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Autore: Fiamma Winchler    24/06/2015    0 recensioni
Nella mente rividi gli occhi di Francesco: sorpresi, rabbiosi; poi impauriti e infine assenti, privi di vita. Provai di nuovo la sensazione che avevo vissuto.
«Non stavo sognando…» sussurrai.
Genere: Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angelica
 
Le parole del poliziotto mi risuonarono in testa, facendo aumentare l’emicrania già molto forte.
«Signorina Angelica, glielo richiedo: vuole raccontarci quello che ha visto due giorni fa nel parco pubblico?»
 
Insistette «Signorina Angelica…» e così risposi, raccontando ciò che ricordavo: «La prego di scusarmi, - iniziai - sono ancora un po’ scossa. Erano le sei e mezzo del mattino e mi ero appena svegliata da un terribile incubo…»
«Ci può dire cosa ha sognato? Ogni dettaglio può rivelarsi fondamentale.» mi interruppe l’agente.
Sentii una tenaglia stringermi le tempie e piegai la testa per resistere al dolore.
«Io…io non me lo ricordo» balbettai.
L’uomo non si accorse che mentivo e non si scompose. Si limitò ad annuire col capo invitandomi a proseguire.
«Come dicevo, mi ero svegliata da un sonno terribilmente agitato; avevo la gola secca e la fronte sudata. Mi vestii e uscii di casa cercando di tornare con la mente alla normalità.»
Una donna in divisa fermò nuovamente il mio racconto: «Questi avvenimenti che sta raccontando sono essenziali per descrivere il ritrovamento?»
«Se vuole sapere cosa ho visto quando sono arrivata davanti al cadavere, e credo proprio che le interessi, dovrebbe lasciarmi parlare! Per me è già difficile ricordare. La prego mi porti un minimo di rispetto. Ormai mi è rimasto poco da dire.»
Ricacciai indietro le lacrime che minacciavano di uscire copiose dai miei occhi.
«Le chiedo scusa, cara. Nessuno la interromperà più; continui pure.»
«Dunque, stavo camminando tranquillamente quando lo vidi: era a terra, immobile. Sdraiato su una pozza di sangue scuro.  - Non riuscii più a trattenere le lacrime e lasciai che scendessero rigandomi le guance. - Poi tutto ciò che ricordo è di aver chiamato la polizia e credo di essere svenuta, perché non ricordo nient'altro.»
«Conosceva la vittima, giusto?»
Incapace di parlare mi limitai ad annuire, piano.
In quel momento la porta in fondo alla stanza si spalancò e fecero irruzione tre persone vestite di nero: uno di loro presentò il gruppo di detective mostrando un distintivo; gli altri seguivano con in mano un mucchio di panni.
«Angelica Villani! Abbiamo perquisito la sua abitazione e abbiamo trovato le prove che lei ha ucciso il giovane Francesco Torre l’altra notte.»
Gli occhi di tutti si spostarono sul giovane detective che aveva parlato: era alto, robusto e mi fissava con occhi scuri e accusatori.
«Si spieghi meglio» Ordinò il poliziotto che mi stava interrogando.
Un secondo detective avanzò nella sala e posò su un tavolo un paio di pantaloni, una maglia e un quaderno blu: erano tutte cose mie… ed erano tutte incrostante di sangue secco.
L’agente mi porse il quaderno blu con fare interrogativo. Le mie mani tremarono ma lo presero. Lo aprii e iniziai a leggere la perfetta descrizione della morte di Francesco: mi riaffiorarono alla mente le immagini del mio incubo. Lasciai cadere il quaderno dopo aver letto la data appuntata in cima alla pagina: lo avevo scritto io, riconoscevo la calligrafia; e lo avevo scritto il giorno precedente all’omicidio.
Nella mente rividi gli occhi di Francesco: sorpresi, rabbiosi; poi impauriti e infine assenti, privi di vita. Provai di nuovo la sensazione che avevo vissuto trafiggendolo con uno strano coltello appuntito.
«Non stavo sognando…» sussurrai facendo tornare alla mente l’ultimo tratto del mio “sogno”.
Non ero sola nel mio corpo e una forza troppo potente per essere combattuta si era insediata nella mia mente.
 
«Non sono pazza!» Gridai, battendo i pugni sui vetri del furgoncino che mi stava portando al manicomio dopo sette giorni di analisi.
«Non sono pazza! Non sono io, è lei! Toglietemela, vi prego! Non possiamo vivere in due qua dentro! Si sta prendendo il mio corpo!»
Mi voltai verso il poliziotto seduto vicino a me: sembrava tranquillo, protetto dal manganello che teneva sulle gambe; pronto per essere usato in qualunque momento.
Un brivido mi percosse tutta la schiena.
«Quello non ti salverà. Sta’ attento, non manca molto alla tua morte, e avverrà per mano mia. L'ho scritto qualche giorno fa.» sorrisi al ragazzo in divisa.
«Sai il mio nome?» mi chiese con voce calma rivolgendosi a me come ad una bambina.
«Si, ti chiami Riccardo.»
«Che brava, - disse - e tu come ti chiami?»
Mi avevano fatto questa domanda continuamente negli ultimi giorni, quando mi arrabbiavo e io dovevo respirare profondamente e rispondere: “Sono Angelica, ho ventitré anni e vivo da sola nel mio appartamento in Viale Redi. I miei amici mi aiuteranno a guarire dalla mia malattia”.
Ma quella volta non risposi così: lasciai scendere una calda goccia salata sul viso e mi voltai verso Riccardo. Mi asciugò la lacrima con un movimento delicato del pollice, come se fossi normale, come se lui non avesse paura di me.
«Mi chiamavano Angelica, ma ormai lei non fa più parte di me. Ho vinto io.» e afferrai il manganello dalle ginocchia di quel giovane poliziotto. Nei suoi occhi vidi crescere l'incertezza, poi la paura. Mi chiese esitante cosa stessi facendo. Poi urlò, e quello fu l’ultimo suono che emise.
   
 
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