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Autore: saccuz    24/06/2015    2 recensioni
"Mi sento impotente, sono impotente. Non sono in grado di fare alcunché, posso muovermi, ma non posso fare niente. Istintivo mi sale alle labbra un grido di frustrazione. Non posso e non voglio trattenerlo. Lascio che esploda, come io mi sento esplodere. Gli permetto di riempire tutto l’immenso vuoto che si è andato creando."
Quanto grande può essere il dolore di una perdita, e fino a che punto può scavare dentro di noi?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ULTIMO SGUARDO
 

“Mi sento impotente, sono impotente. Non sono in grado di fare alcunché, posso muovermi, ma non posso fare niente. Istintivo mi sale alle labbra un grido di frustrazione. Non posso e non voglio trattenerlo. Lascio che esploda, come io mi sento esplodere. Gli permetto di riempire tutto l’immenso vuoto che si è andato creando. Urlo, urlo, urlo. Fino a che non mi fa male la gola, fino a che non avverto le corde vocali chiedere pietà. Ma proseguo. Ho paura che cessato il grido non resti più niente. Ho paura che il silenzio, il nulla che seguirà, mi inglobi. Ho paura, quindi urlo. Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi. Le lascio colare. Da quant’è che non piango? Molto, ormai ne ho passate troppe, mi sono sempre detto, per riuscire a piangere ancora per qualcosa. Eppure piango. Sento il loro sapore salato lambirmi le labbra. Sento sottili torrenti colare lungo le guance, gocciolare lungo il mento e bagnare la divisa. Mi manca il fiato, continuo imperterrito. Ringrazio dio, ma davvero può esistere ancora un dio? E se esiste, davvero è nostro? Davvero non è degli altri? Non lo so. Non so più cosa pensare. Ma non importa. Ringrazio di essere solo. Non perché mi vergogni delle mie lacrime, sono giustificate. Ringrazio di essere solo perché non vorrei assistere a questo insieme a nessun altro. Non vorrei vedere sul volto di qualcun altro quello che già so essere dipinto sul mio. I polmoni bruciano, la testa gira, la gola si spella, i muscoli tesi fanno male. Non importa. Niente importa più. Perché dovrebbe importare dopo tutto? Il mio corpo si ribella. Mi accascio distrutto contro lo schienale. Avverto il tanto temuto vuoto avvicinarsi strisciando. Sono combattuto. Vorrei che mi prendesse. Lo voglio con tutto il cuore. La mia mente vuole l’oblio. PERCHÉ NON MI PRENDI, DANNATO? Il cuore e la mente vogliono l’oblio. Il corpo no. Cerco in ogni modo di scomparire. NO. Il corpo mi blocca. Il dannato istinto di autoconservazione mi tiene in vita. Mi costringe a combattere. Ancora. Non ho forse combattuto abbastanza? Non ho forse sofferto abbastanza? No, evidentemente no. Mi faccio coraggio. Alzo gli occhi. Cerco di vedere all’esterno. Gli occhi sono pieni di lacrime. La luce si rifrange dentro. Non riesco a vedere. Con rabbia scaccio le lacrime dagli occhi e dal volto. Non posso non vedere. Devo vedere. Prima che la natura faccia il suo corso. Prima che sparisca del tutto. Ma non voglio vedere. Non voglio che come ultima immagine io abbia questa. Ripenso a quando era morto il nonno. Il ricordo della salma dentro la bara mi torna davanti agli occhi. NO. Non voglio che la salma sia il mio ultimo ricordo di lei. Eppure devo guardare. Guardare per ricordare. Non posso dimenticare ciò che è successo. Non posso non ricordare. Nessuno di noi deve dimenticare. E poi, anche se lo volesse; come potrebbe? Alzo di nuovo gli occhi. Non ricordo di aver di nuovo chinato la testa. Mi ricordo di come un tempo chinare la testa fosse un segno di rispetto. Ora non più. Abbiamo chinato la testa troppe volte. Non possiamo chinarla più. Non ci è più consentito chinare la testa a Terra. Non ci sarà più permesso. Mai più. Con rabbia, con odio, con disperazione, alzo gli occhi. Non reggo la vista. Come potrei? Esiste forse qualcosa di peggio da vedere? No, ne sono sicuro. Ho già perso molto finora, conosco quelle sensazioni. Questa non è come quelle. Non c’è paragone. Mi torna in mente il corpo martoriato di mia moglie. Gli occhi vuoti, come mi sento io ora, vuoto. La faccia deformata dall’ultimo grido di disperazione e dolore. Il suo corpo. Vedo come se lo avessi davanti: la maglia una volta azzurra, ormai piena di macchie rosso scuro, attaccata al corpo. Osservo i pantaloni. Sono rossi. Non si nota il sangue. Il sangue no. Risalta di più un bianco latteo. Ossa. La posizione della gambe, scomposte, piegate a metà femore a novanta gradi. Cerco di spostare il corpo. Le mani affondano nella carne distrutta. Sbatto gli occhi. Devo riuscire a guardare. È uno sforzo enorme. Le pupille si fissano su quello spettacolo. Non riesco a distogliere lo sguardo. Un desiderio morboso di vedere me lo impedisce. Sento una nuova ondata di disperazione salirmi dentro. Gli occhi sono accecati dai bagliori che emette. Però non riesco a distoglierli. Come potrei? Non è una cosa che si veda tutti i giorni questa. Vedo la bellezza della scena. Non riesco a non vederla. È palese. Uno spettacolo indimenticabile. Mi disgusto da solo. Questo NON è bello. Non posso essere così meschino da pensarlo. Sento finalmente che il vuoto sta giungendo. Tolgo la mano insanguinata dal fianco, dove un frammento della mia astronave mi ha trapassato il fegato. Tolgo la mano rossa, ormai inutile. Sento la testa farsi meravigliosamente leggera. Sto morendo, lo so, e non voglio più fare niente per impedirlo. Dopo quello che ho visto non mi interessa più andare avanti. Qualcosa dentro di me si è spezzato, ho perso troppo per ricominciare. Forse altri, più forti di me, resisteranno, ma per me è troppo. Ho visto troppo. Ho combattuto troppo. Ho vissuto troppo.  Sto aspettando questo momento da giorni, mesi, anni. Ma me ne sono reso finalmente conto soltanto da poche ore.  Da quando sono chiuso qui dentro. Da quando sono bloccato in questa dannata capsula. Da quando ho visto la sonda puntare dritta verso il suo obiettivo. Da quando ho visto la mia casa; la casa di tutti noi, distrutta. Da quando quei bastardi verdi a otto braccia l’hanno fatta saltare in aria. Da quando la Terra ha smesso di esistere.”

   
 
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