Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Emmastory    26/06/2015    1 recensioni
Inghilterra, 1785. Madison e Georgia. Due ragazze normali con alle spalle un passato difficile. Il ricordo dell'abbandono da parte dei genitori in tenera età, le ha costrette a vivere nell'orfanotrofio locale potendo unicamente contare l'una sulla presenza dell'altra per anni interi. Quando il loro presente sembra sgretolarsi, e la loro vita perdere di senso, la fortuna deciderà di sorridere ad entrambe. Difatti, verranno adottate da una famiglia di nobili radici, dovendo tuttavia abituarsi al loro nuovo ed inaspettato destino.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Destino-regale-mod
 
Destino regale

Capitolo I

Un passato difficile


Due normali ragazze di diciassette e quindici anni, una dai capelli rossi e l’altra neri. Questa l’unica descrizione che qualcuno che non ci conosce, può dare di noi. La maggioranza di quelle persone, ha a nostro avviso ragione da vendere, poiché io e mia sorella Georgia non siamo altro che tali. Il mio nome è Madison, e assieme a mia sorella vivevo in una famiglia felice, composta da noi due e dai nostri genitori. Perché parlare al passato? Il motivo è semplice. Le uniche due persone che credevamo ci amassero ci hanno abbandonate, lasciandoci completamente da sole in un orfanotrofio all’età di soli dodici e dieci anni. Il ricordo di quei giorni rimane impresso nella memoria di entrambe, e fortunatamente, gli stessi hanno avuto una fine. La fortuna ha deciso di sorriderci, e dopo anni di attesa siamo state adottate. Per qualche strana ragione, o forse per uno scherzo del destino, la famiglia che ha deciso di prendersi cura di noi, porta il nostro stesso cognome. Fay. I primi tempi con loro sono stati davvero duri, poiché sia io che Georgia continuavamo a pensare ai nostri genitori biologici. Di loro ci è rimasto un solo ricordo, rappresentato da due diversi bracciali. Nel mio sono incastonati tre magnifici rubini, e in quello di mia sorella tre splendidi smeraldi. A volte, muovo il braccio unicamente per veder brillare quel ninnolo, sapendo che è l’unica cosa che ancora mi ricollega alla mia vecchia famiglia. Un lungo anno è quasi giunto al termine, e ci stiamo abituando alla nostra nuova vita. Ad ogni modo, io e Georgia siamo molto diverse, e ognuna di noi due ha avuto un approccio diverso alla nuova realtà che ora ci circonda. Difatti, io ho scelto di comportarmi in maniera adulta, comprendendo che il passato non può tornare indietro, mentre mia sorella si è lasciata prendere dallo sconforto, tanto da passare le notti a piangere, sperando che con le lacrime, scivoli via anche il ricordo dei nostri genitori. Sin dal primo giorno, abbiamo scoperto di appartenere ad una famiglia nobile. Nostro padre è il re dell’Inghilterra, mentre nostra madre è la regina. Dato il nostro nuovo retaggio, i nostri genitori hanno scelto per noi un secondo nome. In fin dei conti, ogni membro di una famiglia reale che si rispetti deve averne uno. A me è toccato Victoria, nome che nei miei genitori ispirava fiducia e solennità. Dovendo abituarmi, ho scelto di fare buon viso a cattivo gioco, realizzando di gradire anche questa mia sorta di nuova identità. Al contrario di me, mia sorella Georgia, il cui secondo nome è da ora in poi Anne, sembra non essersi ancora abituata alla cosa. Difatti, ha finito per contraddire nostro padre, ottenendo un unico risultato, ossia quello di venire chiusa a chiave nella sua stanza fino all’arrivo del tramonto. Trovando tale punizione immeritata, ho tentato di oppormi a mia volta, venendo fortunatamente soltanto redarguita. Le ore hanno quindi continuato a passare, e la sera è inevitabilmente calata. Disobbedendo a mio padre, ho attraversato i corridoi del nostro castello fino a raggiungere la stanza di Georgia. La porta era chiusa a chiave dall’esterno, ragion per cui, Georgia non aveva modo di aprirla. Volendo quindi mettere fine ai suoi lamenti, ho deciso di aiutarla, facendo girare la chiave all’interno della serratura e aprendo conseguentemente la porta. “Va tutto bene?” le chiesi, avvicinandomi a lei. Quasi ignorandomi, non rispose, mantenendo un perfetto silenzio. Dopo alcuni secondi, si voltò verso di me, pronunciando una frase che non avrei mai creduto di sentire da una ragazza come lei. “No. Niente va bene. Tu sei riuscita ad abituarti, ed io no. Tu sei un diamante, e io un pezzo di vetro.” Disse, ponendo inaudita enfasi sull’ultima frase. In quel momento, sentii una giusta rabbia crescermi  dentro. Tentai in ogni modo di contenermi, ma fallii, e decisi di mostrarle la verità. “Anche per me è stato difficile. Sono sempre rimasta al tuo fianco, fin dal primo giorno. Credi sia facile? Sappi solo che non lo è!” finii per urlare, spaventandola inavvertitamente. “Vai subito via da questa stanza.” Rispose, riuscendo a mantenere la calma e sentendosi oltraggiata dal mio comportamento. Subito dopo, riconobbi l’errore commesso, scegliendo di realizzare il suo desiderio e lasciarla da sola. Proprio mentre ero nell’atto di farlo, sentii una voce chiamarmi dal grande salone. Con movimenti simili a quelli di un automa, raggiunsi subito il salone stesso, riconoscendo nel mio interlocutore, il viso di mio padre. I suoi occhi color nocciola erano decisamente penetranti, e in contrasto con quelli della regina, di un assai più dolce, gradevole e tenue verde. “Mi cercavate?” chiesi, mostrando la compostezza e il garbo di una principessa del mio calibro. “Principessa, io e sua madre abbiamo delle buone notizie per lei. Disse mio padre, apparendo stranamente serio ed enigmatico, come mai prima d’ora. “Ossia?” azzardai, con aria ed espressione interrogativa. “L’anno è ormai terminato, e sappiamo di poterci fidare di lei, ragion per cui, dall’alba di domani lei diverrà regina.” Queste le uniche parole di mia madre, pronunciate con una calma che non credevo fosse capace di mostrare. Le stesse, mi avevano reso davvero felice, e avrei voluto abbracciare i miei genitori, così che sapessero del mio stato d’animo, ma dovetti ad ogni modo limitarmi ad un ringraziamento e ad un rispettoso inchino. Subito dopo, diedi loro le spalle, ritirandomi nella tranquillità della mia stanza. Mentre sedevo sul letto ammirando il mio bracciale, i cui rubini sembravano ora risplendere di luce propria, il mio pensiero si concentrò su mia sorella Georgia, ancora chiusa nella sua stanza, e probabilmente persa in una spirale di tristezza dovuta al nostro screzio. Ritrovando nella mia immagine riflessa nello specchio un briciolo di umanità, venni mossa a compassione, e decisi di raggiungerla. Dopo averlo fatto, mi scusai con lei, e a quell’istante, seguì un forte abbraccio ricco di pentimento da una parte e felicità dall’altra. Non appena tornai nella mia stanza, mi infilai sotto le coperte, e il sonno fu padrone del mio corpo e della mia mente in pochi minuti, permettendomi quindi di assopirmi e dimenticare quanto il mio passato possa essere stato difficile.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo II
Il rango di regina


Il sole si leva alto nel cielo, e lentamente un nuovo giorno ha inizio. Quella appena iniziata è una mattina completamente fuori dall’ordinario. Difatti, oggi è il giorno del mio diciottesimo compleanno, e ciò significa che ora ho ufficialmente raggiunto la maggiore età. Secondo i miei genitori, questo è il giorno perfetto per festeggiare la mia incoronazione. Per tale motivo, ho dovuto  alzarmi presto, e prepararmi per il grande evento. Dopo aver indossato un magnifico vestito verde scelto per l’occasione da mia madre. Uscendo dalla mia stanza dopo essermi preparata a dovere, iniziai a scendere la lunga scala a chiocciola che portava al grande salone. Quando vi arrivai, ciò che vidi mi lasciò senza parole. L’intero salone era stato decorato per l’occasione, e soltanto guardandomi intorno potevo contare centinaia di ospiti, fra cui anche mia sorella Georgia, in un favoloso abito dorato. Non appena la vidi, decisi di salutarla, stringendola in un abbraccio. Vederla, mi aveva davvero sorpreso, poiché dopo quanto era accaduto, credevo che in lei fossero maturati dei sentimenti d’odio nei miei confronti. per mia fortuna, anche lei era felice di vedermi. Quando ci sciogliemmo dal nostro abbraccio, sentii mio padre fare il mio nome, e vidi mia madre indicarmi con un cenno del capo il suo trono ora vuoto. Cogliendo al volo il suo messaggio, mi ci avvicinai, fermandomi dopo qualche passo. Fu questione di alcuni secondi, e vidi mio padre avvicinarsi a me. Quando fu abbastanza vicino, mi passò lo scettro, simbolo del suo potere, ed io chinai il capo, pronta a ricevere la corona reale. Dopo che la stessa fu deposta sul mio capo, chiusi gli occhi, e immaginai di fissare un punto lontano. Respirai quindi a pieni polmoni, e quando riaprii gli occhi, trovai mia sorella Georgia in piedi accanto a me. “Ora sei regina.” Disse, sorridendomi. Limitandomi a guardarla negli occhi, non risposi, sorridendo a mia volta. Allontanandomi lentamente da lei, vidi qualcosa entrare nel mio campo visivo. Mi accorsi quindi della presenza di un uomo. Guardandolo, conclusi che doveva essere uno degli invitati alla mia cerimonia di incoronazione, ma ad ogni modo, mi resi conto che era in qualche modo diverso dagli altri. La sua giacca bianca si sposava alla perfezione con i suoi occhi color miele. Tentando di mantenere un’aria calma, distolsi il mio sguardo da lui, scoprendo dopo alcuni minuti le sue vere intenzioni. Difatti, mi si avvicinò prendendomi per mano. “Mi sembra doveroso invitarla al suo primo ballo da regina, sua altezza.” Disse, facendomi leggermente arrossire. Ad ogni modo, presi la sua mano e accettai la sua proposta. Lasciai quindi che fosse lui a condurre la danza, senza tentare di oppormi. Mentre ballavamo, i nostri sguardi si incrociarono, ed io avvertii uno strano sentimento crescermi dentro. Era come se in quel momento nulla contasse, ed esistessimo solo noi. Il ballo giunse poi al termine, e ne approfittai per ringraziarlo e ricongiungermi a mia sorella. “Io sono Jesse.” Mi disse quell’uomo, prima di lasciar andare la mia mano. Quasi istintivamente, gli sorrisi, per poi dargli le spalle e raggiungere Georgia. “Com’è stato?” mi chiese, attendendo una mia risposta. “Meraviglioso.” Le dissi, volgendo nuovamente il mio sguardo in direzione di Jesse. “Che ti prende?” azzardò Georgia, ora stranita dal mio comportamento. “Niente, sto bene.” Mentii, andando quindi a sedermi sperando di riprendermi da quanto era appena accaduto. Dopo alcuni minuti, mio padre mi raggiunse. Aveva assistito al mio ballo in perfetto silenzio, e ora temevo che fosse in collera. “Chi era quello straniero?” mi chiese, sorprendendomi. “Era un principe.” Dissi, mentendo per la seconda volta. “Io e sua madre vorremmo davvero conoscerlo.” Continuò mio padre, abbozzando un debole sorriso. Lo stesso, mostrava la sua fiducia nei miei confronti, ed io non avrei mai osato tradirla. Ad ogni modo, quando fu lontano da me, mi abbandonai ad un sospiro di sollievo. Sapevo di aver mentito, ma l’avevo fatto solo perché ero stata colta di sorpresa. Ad essere sincera, non sapevo nulla del retaggio di Jesse, ma conclusi che se era stato invitato, doveva forzatamente possedere sangue blu. Guardandomi attorno, mi accorsi che la sala da ballo era ormai vuota, e che non c’era nessuno, fatta eccezione per me e i miei genitori. Dopo essermi congedata da loro e averli lasciati da soli, mi diressi verso la mia stanza. In fin dei conti, dopo l’intensa giornata che avevo vissuto, credevo fermamente di meritarmi una notte di riposo. Mentre camminavo negli ampi corridoi del castello, mi imbattei in Georgia, che fissò il suo sguardo su di me non appena mi vide. La stessa, facendosi improvvisamente seria, mi disse che dovevamo parlare. Stringendomi nelle spalle, acconsentii, lasciandola quindi entrare nella mia camera. Una volta entrata, mi guardai allo specchio, spostandomi i lunghi capelli dal viso. “Sei brava a mentire.” Disse mia sorella, confondendomi. “Cosa vuoi dire?” chiesi, spaesata.” So bene cosa ti è successo, e non mi hai detto niente. “Che avrei dovuto fare?” continuai, sentendomi sempre più confusa dalle sue parole. “Non fingere.” Mi ammonì, con una vena di rabbia nella voce. “Non ricordi?” continuò, alterandosi e mostrandomi il suo bracciale, nella speranza che lo stesso riportasse alla mia mente i ricordi legati alla nostra vecchia vita. In quel momento, mi sentii oltraggiata, e in preda alle mie stesse e contrastanti emozioni, lasciai la stanza. Subito dopo, attraversai il corridoio fino ad arrivare alla sala da ballo, dove rividi mio padre. Lo sentii chiamarmi per nome, ma decisi di ignorarlo, scegliendo di uscire dal castello. Spalancai il portone con tutte le mie forze, e scappai via. Mentre correvo, sentii la voce di Georgia. Non potevo dirlo con certezza, ma stava sicuramente piangendo, e nel farlo, mi pregava di tornare indietro. Ignorai anche la sua preghiera, continuando a correre e concentrandomi solo sulla strada che ora percorrevo. Ogni passo mi allontanava dal mio regno, e tale lontananza faceva sì che le voci di coloro che mi amavano si facessero sempre più flebili. Nella corsa, scelsi di non voltarmi, limitandomi a fissare il mio bracciale. Lo stesso, ora splendeva sotto la luce lunare, e mi infondeva una nuova speranza. Non sapevo dove andare, ero solo sicura di voler scappare dal mio presente, desiderando di poter tornare al mio passato e cambiare il corso degli eventi. Il mio buon senso mi suggeriva che il mio desiderio non poteva essere esaudito, ma sapevo di voler fuggire. Correvo, vagando senza meta. In poco tempo la paura si impadronì di me. In cuor mio, ero spaventata, ma tuttavia consapevole di quello che mi stava accadendo. Quella notte, fuggivo dalla realtà, cercando rifugio nell’ignoto dei miei pensieri, pur essendo sicura di una cosa. Il passato non poteva essere vissuto nuovamente, ed io ero appena stata consegnata ad una nuova realtà, all’interno della quale, ero stata elevata al rango di regina.
 
 
Capitolo III

Paura senza fine


Il sole, stella splendente e visibile in tutta la sua magnificenza, sorge proprio davanti ai miei occhi, segnando l’inizio di un nuovo giorno. Ho appena trascorso una notte all’addiaccio, rinunciando a dormire per continuare la mia fuga. Dopo solo un giorno di viaggio, ho raggiunto la campagna inglese, e credo di essermi avvicinata al mio paese di origine. Ora come ora, continuo a camminare, poiché attirata da un edificio che credo essere una chiesa. La raggiungo in pochi minuti, e decido di entrarvi. Camminando lentamente, mi guardo intorno, riuscendo unicamente a sentire il suono dei miei passi che echeggiano nella chiesa stessa. Mi siedo quindi su una delle panche, mantenendo un silenzio consono all’ambiente in cui mi trovo. Dopo alcuni secondi, una voce mi distrae. Sento che qualcuno mi chiama, rivolgendosi a me con l’appellativo che mi spetta. “Regina? Cosa ci fa qui?” queste le parole che sento, e che in qualche modo mi costringono a voltarmi. Mentre sono nell’atto di farlo, scopro nel prete locale l’identità del mio interlocutore. “Fuggo dalla realtà.” Ammetto, abbassando il capo e tentando al contempo di apparire seria. “Non può farlo, il suo regno ha bisogno di lei.” Risponde, in tono calmo e pacato. In quel preciso istante, alzai lo sguardo, fissandolo sul mio interlocutore. “Lei crede?” chiedo, sperando che lo stesso perdoni la mia ignoranza. Non risponde, limitandosi ad un singolo ed eloquente cenno del capo. Subito dopo, dischiudo le labbra in un sorriso, ed esprimendo la mia gratitudine, esco subito da quel pacifico e accogliente luogo di culto. Dopo averlo fatto, mi accingo a ripercorrere i miei passi, così da seguire il consiglio appena ricevuto e tornare indietro. Il mio cammino sembra letteralmente infinito, e durante lo stesso, sono costretta nuovamente a fermarmi. Difatti, poco lontano da me, scorgo l’orfanotrofio locale, luogo da me odiato visti i miei trascorsi. Vorrei continuare a camminare e ignorarne l’esistenza, ma scelgo tuttavia di avvicinarmi. Quello è l’unico posto in cui posso sperare di avere delle informazioni riguardo ai miei genitori biologici. Sette lunghi anni sono passati, e sia io che Georgia ci siamo lentamente convinte della loro morte. Per mia sfortuna, è ormai chiuso per inattività, e ciò significa che sono costretta a gettare la spugna. In questo preciso momento, mi sento come se qualcuno avesse appena dato un calcio alle mie speranze. Delle fredde lacrime mi bagnano quindi il viso. In preda alla tristezza, non ho modo di impedirlo, scegliendo di lasciare che tutto vada come deve andare.  Con la solitudine e il silenzio come miei unici compagni, continuo il mio viaggio. Le lunghe ore passano, ed io raggiungo la mia destinazione al calar della sera. Osservando ciò che mi circonda, intravedo il mio castello in lontananza, e accelerando il passo che tengo, decido di raggiungere. Sono tuttavia costretta ad arrestare il mio cammino a causa di un insopportabile dolore al fianco. Mi fermo unicamente per respirare e riprendere fiato. Dopo una sosta incentrata sul riposo, ricomincio a camminare, raggiungendo il mio castello e venendo accolta da alcuni dei domestici al servizio di mio padre. “Regina!” ci ha fatto preoccupare!” dicono, quasi all’unisono. Mantenendo la calma, li tranquillizzo, facendo qualche passo in avanti. Salendo le scale, raggiungo il piano superiore, e incontro mio padre. “Dove ti eri cacciata?” chiede, apparendo preoccupato. “Preferisco non parlarne.” Rispondo, congedandomi da lui e tornando al piano di sotto. Non appena lo raggiungo, volgo il mio sguardo verso mia madre, e occupo il mio trono. La mia immobilità si protrae per alcuni secondi, allo scadere dei quali, impartisco il mio primo ordine da sovrana. “Chiudete le porte.” In questa singola frase è per me racchiuso un grande significato. Difatti, durante il mio viaggio, sono stata nuovamente colpita dal dolore, e ho deciso di non volere che altri ne vengano contagiati. Per tale ragione, ho deciso di chiudermi in una sorta di guscio, rifugiandomi nella mia stanza, e sperando nello scemare di questa paura senza fine.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo IV


Doveri reali


Il buio della notte è finalmente stato soppiantato dalla splendente e magnifica luce solare, che ora illumina l’intero castello. Le porte sono chiuse da circa un mese, e oggi ho deciso di cambiare idea e lasciare che vengano riaperte. Secondo i miei genitori, sono volubile quanto il gentile spirare del vento, ma la loro opinione non mi tocca. Dopo tutto questo tempo, sono riuscita ad accettare la mia nuova vita, imparando ad amarli, ma anche ad ignorarli quando sento di doverlo fare. Ad ogni modo, non oserei mai tradire la loro fiducia, ed è proprio questo uno dei motivi per cui ho preso una decisione così importante. Difatti, per la gioia dei miei sudditi, le porte del castello verranno nuovamente aperte, e un ricevimento sarà organizzato in onore di tale evento. Ora come ora, sono ancora nella mia stanza, intenta a decidere che vestito indossare. Volendo evitare inutili perdite di tempo, ho scelto di chiedere consiglio a mia madre, che mi ha quindi aiutata a scegliere un abito rosso di rara e fine bellezza. Dopo essermi preparata, ho sceso lentamente le scale, raggiungendo con garbo e grazia la sala del trono, che occupai in attesa dell’inizio del ricevimento. Lo stesso, ebbe inizio dopo alcuni minuti, e non appena vidi le porte aprirsi, riconobbi nel volto di uno dei numerosi ospiti quello di Jesse. Pur essendo felice di rivederlo, sapevo di dover mantenere un certo decoro, ragion per cui, decisi di non scompormi. Non mossi quindi un muscolo, meravigliandomi nel vederlo avvicinarsi. “Vorrei chiedere la mano di sua figlia, sire.” Disse, rivolgendosi a mio padre e attendendo una risposta. “Lei vorrebbe? Risponda ad una semplice domanda. Qual è il suo retaggio?” chiese, con un tono che non avevo mai avuto l’occasione di ascoltare. A quella domanda, Jesse non rispose, iniziando letteralmente a tremare di paura. Quasi istintivamente, lo guardai negli occhi, sperando che il mio sguardo gli infondesse sicurezza. Ad ogni modo, scelse di continuare a tacere, suscitando quindi l’ira di mio padre. “No! Un plebeo come lei non avrà mai in sposa la regina!” urlò, facendo sobbalzare il resto degli invitati. Gli stessi, si voltarono verso mio padre, guardandolo mentre il terrore diveniva lentamente padrone dei loro animi. Nessuno riusciva a credere a quanto era appena accaduto, poiché nessuno aveva mai assistito alla collera di mio padre. In quel momento, mi alzai in piedi, tentando di fermare Jesse, che si era ora allontanato dal resto degli invitati. Lasciando incustodito il mio trono, feci qualche passo nella sua direzione. “È tutto vero?” gli chiesi, non appena lo raggiunsi. Ancora in preda al dolore e alla vergogna, Jesse mantenne il silenzio. Lo vidi annuire dopo pochi secondi, e lasciai che l’incredulità avesse la meglio su di me. In quel momento, abbandonai la sala, scegliendo di rifugiarmi nella mia stanza. In cuor mio sapevo che non avrei dovuto farlo, ma per qualche strana ragione, non ascoltai la mia coscienza, decidendo segretamente di averne avuto abbastanza. Dopo quanto era accaduto, avevo compreso che una nuova parte della mia vita si basava su una bugia. Ora ero a conoscenza della nuda e cruda verità, secondo la quale, Jesse non avrebbe potuto avermi in sposa, il nostro incontro aveva perso di senso, l’amore che ci legava non avrebbe avuto un futuro, ed io avrei dovuto accettare la realtà, comprendendo quindi a malincuore di dover trovare un altro modo per continuare a vivere la mia vita, e adempiere quindi con diligenza, ai miei doveri reali.


 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 Capitolo V


Costrizioni d’onore


La volontà. È forse quella l’unica cosa in grado di darci la forza di andare avanti e decidere per noi stessi. In alcuni casi, alla stessa si contrappone l’orgoglio, forza contraria capace di renderci completamente succubi delle nostre stesse idee, che a volte non desideriamo cambiare per nulla al mondo. Un terzo antagonista, può essere rappresentato dall’onore, che lega le nostre scelte ad una preesistente e immutabile concatenazione di eventi. Ad ogni modo, un nuovo giorno ha inizio nel mio regno, baciato dallo splendente sole mattutino, nascosto da una coltre di bianche e immacolate nuvole, capaci di ogni trasformazione. Quello odierno, è un giorno nuovo e di cui dovrei essere grata, ma per mia sfortuna, non lo sono. Difatti, i miei genitori hanno preso una decisione di grande importanza senza che io potessi oppormi in maniera alcuna. Ora come ora, la tristezza mi pervade, e vorrei davvero poter mettere loro al corrente del mio pensiero a riguardo. In questa situazione, il mio comportamento non deve essere concepito come irrispettoso, ma come dettato da ferma volontà e decisione. Entrambi, vogliono che il mio regno prosperi, e per tale motivo, hanno deciso di darmi in sposa al giovane Charles, principe francese. Ad essere onesta, non l’ho mai incontrato né conosciuto, ragion per cui, i miei genitori hanno deciso di organizzare un nuovo ricevimento semplicemente per permettermi di incontrarlo. Volendo quindi evitare la collera di mio padre, ho finito con l’accettare. Lui stesso, ha deciso che il mio matrimonio si celebrerà in un mese, e che in ogni caso, avrei presto o tardi dovuto legarmi ad un giovane rampollo di nobile stirpe. Dopo aver terminato quella discussione con i miei genitori, ho subito cercato rifugio nella mia stanza, dove mi lascio quindi andare ad un pianto liberatorio. In questo preciso momento, ho gli occhi velati di lacrime e la vista offuscata. So bene di non potermi ribellare al volere dei miei genitori, ma qualcosa dentro di me mi incalza a farlo. Ad ogni modo, credendo di conoscere le conseguenze di tale gesto, scelgo di ridurre al mutismo la voce del mio animo. Il mio pianto si protrae per ore intere, e sono sicura che nessuno sia in grado di sentirmi. Altri minuti passano, ed io mi accorgo di sbagliarmi. Difatti, qualcuno sta ora bussando alla mia porta, chiusa a chiave per evitare intrusioni. Alcuni istanti dopo, riconosco la voce di mia sorella Georgia, che mi chiede di lasciarla entrare. Spostando quindi il mio sguardo dal soffitto alla porta stessa, mi alzo in piedi e mi avvicino alla porta, aprendola lentamente. Subito dopo, lascio che Georgia entri. A quell’istante segue un forte abbraccio, dal quale non vorrei sciogliermi. In tale situazione, mia sorella può essere considerata mia unica amica e confidente. Rimanendo in silenzio, mi posa una mano sulla spalla, facendomi quindi una muta ma solenne promessa. “Ti aiuterò.” Sembra dire, guardandomi e sorridendo. Non parla, ma a me non importa. La somma eloquenza del suo silenzio è abbastanza. Volgendo il suo sguardo in direzione della porta ancora aperta, decide di uscire dalla stanza. Poco prima di farlo, mi mostrò nuovamente il suo bracciale, e quasi istintivamente feci lo stesso. Fissando il mio sguardo su quel monile per qualche secondo, sorrisi. Richiusi quindi la porta della mia stanza, lasciandomi cadere sul letto e riuscendo ad addormentarmi nello spazio di pochi minuti. Nella veglia che precede il mio profondo sonno, rifletto. Concludo dopo un attento ragionamento che mia sorella ha ragione. Questa non è altro che una nuova vita che ha preso il posto di quella vecchia, ma la stessa rimarrà sempre presente all’interno del mio animo. L’unico ricordo che me ne è rimasto è il mio bracciale, che da oggi ha assunto un nuovo significato. Difatti, ho da oggi in poi deciso di regnare venendo guidata dal mio cuore, e smettendo quindi di anteporre allo stesso doveri reali e costrizioni d’onore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 Capitolo VI


Ausilio provvidenziale


Una nuova alba splende, e un mese è ormai giunto al termine. Quello odierno, è il giorno del mio matrimonio, che ad essere sincera, non vorrei venisse celebrato. Ad ogni modo, so bene che perfino tentare di ribellarmi, attirerebbe solo attenzioni indesiderate, ed io non voglio che accada. Per tale motivo, sono costretta a mostrare un mellifluo sorriso che nasconda alla perfezione il mio reale stato d’animo, e ingoiare a malincuore il più amaro dei bocconi. Data l’odierna occasione, ho scelto di vestirmi di bianco, per poi raggiungere assieme alla mia famiglia la chiesa locale. Quel luogo riporta alla mia mente il ricordo della mia tentata fuga dalla realtà, ragion per cui, mi trovo in una posizione di stallo, e l’unico passo da compiere consiste nel continuare a fingere che vada tutto bene, pur essendo fermamente convinta del contrario. Inoltre, i miei genitori continuano incessantemente a ripetere che sono orgogliosi di me, poiché sposarmi permetterebbe al mio regno di crescere e prosperare. Ad ogni modo, anche stavolta mi trovo in completo disaccordo con la loro idea. Difatti, entrambi credono che sposare un principe sia la chiave della mia felicità. Per loro mera e semplice sfortuna, ignorano completamente la realtà dei fatti. Anche se da allora è passato del tempo, ricordo ancora il giorno della mia incoronazione, così come il mio primo ballo da regina. Quella sera, la mia mente si è schiarita, ed io ho avuto modo di conoscere a fondo la mia stessa volontà. I miei genitori ne sono all’oscuro, ma quel ballo mi ha permesso di innamorarmi di Jesse, giovane plebeo da loro odiato per aver chiesto la mia mano pur non appartenendo al ceto nobile. Ad ogni modo, il tempo continua a passare, ed io attendo amareggiata la fine di questa sorta di incubo, che ora ha il sapore di una punizione. Rimanendo in silenzio, non oso muovermi, notando dopo un tempo apparentemente infinito, che il portone della chiesa si sta aprendo. Dopo alcuni istanti, vedo Charles nell’atto di entrare, e fingo felicità nel vederlo. Il tempo scorre, ed io rimango muta, troppo concentrata e persa in uno straripante fiume di pensieri per parlare. È quindi questione di un attimo, e Charles mi prende per mano. In quel momento, un senso di disgusto mi cresce dentro. Per tale ragione, gli impedisco di stringermele. Stranita dal mio comportamento, Charles sposta il suo sguardo dalle mie mani al mio volto, mostrandomi quindi la sua confusione. I miei genitori e il giudice di pace assistono alla scena, ed io mi ritrovo ad essere bersagliata dalle numerose occhiate di rimprovero di mio padre. Pur senza l’uso della parola, mi sta avvisando del mio errore, e con l’occhio invelenito, tenta di richiamarmi all’ordine. Tentando di ricompormi, torno a guardare Charles, che ora sorride. Per qualche strana ragione, non riesco a sentirmi a mio agio, ma non ho modo di lamentarmi, poiché in poco tempo arriva per me il momento di pronunciare la formula del voto coniugale. Quasi volendomi aggrappare all’ultimo briciolo di libertà rimastomi, non oso proferire parola. Subito dopo, mio padre sposta il suo attento sguardo su di me, fulminandomi quindi con un’altra delle sue eloquente occhiate. Il timore provato mi impedisce di parlare, e la situazione peggiora. I minuti continuano a passare, e alcuni istanti dopo accade qualcosa di decisamente inaspettato. Il portone della chiesa si apre di nuovo, e Georgia fa il suo ingresso nella stessa. “Fermate il matrimonio!” urla, distraendo i miei genitori e attirando la loro attenzione. In quel momento, posso finalmente dire di sentirmi sollevata, poiché finalmente sembro avere l’occasione di ribellarmi e protestare, salvandomi quindi da un avvenire realmente non desiderato. Alcuni istanti dopo, mi allontano da Charles, con l’unico scopo di avvicinarmi a Georgia. “Perché l’hai fatto?” le chiedo, dubbiosa e al contempo felice di vederla. “Volevo aiutarti.” Rispose, stringendomi in un abbraccio. A quella dimostrazione d’affetto seguì la collera di mio padre, ora troppo adirato per ragionare. La sua prima reazione, è quella di redarguirmi. “Come osi!” urla, mostrando tutto il disappunto legato al mio gesto. “Voglio poter essere libera di decidere, e questo non è il  mio volere.” Risposi, facendo uso di un coraggio e di una forza interiore che non credevo di possedere. Alle mie parole, mio padre tace, ed io vedo mia madre sbiancare. Non mi aveva mai sentito parlare in quel modo a mio padre, e la sua incredulità a riguardo era decisamente evidente. Non riusciva letteralmente a credere a quel che era appena successo, ma dovette ad ogni modo ammettere che quella scena corrispondeva alla realtà. Alcuni istanti dopo, decisi di dar loro le spalle, e uscire quindi dalla chiesa assieme a Georgia. Ignorando completamente i nostri genitori, ci avviammo verso il nostro castello. Per nostra fortuna, il viaggio si rivelò breve, e quando raggiungemmo la nostra destinazione, non tardai a ringraziarla del suo gesto. Le parole non saranno mai abbastanza per riuscire nel mio intento, ma comprendo di doverle essere sinceramente grata, poiché il suo non è stato altro che un ausilio provvidenziale.  
 


 
 
 
Capitolo VII


Essere sé stessi


I giorni, formati dalle lunghe e inesorabili ore, hanno continuato il loro incessante scorrere, imitando la chiara acqua marina. Lentamente, tre mesi sono giunti al termine. Il mio regno è riuscito a mantenersi stabile fino ad oggi, ma ora che sono sveglia e vigile, e il sole mi illumina il viso, un presentimento si insinua come polvere nella mia mente, portandomi quindi a credere che qualcosa cambierà sicuramente. Ad ogni modo, l’ottimismo mi pervade, convincendomi al contempo del contrario. Ora come ora, nulla lascia presagire il verificarsi di un evento spiacevole, ragion per cui, ripongo ogni mia speranza nello splendere del sole, libero di mostrarsi in tutta la sua magnificenza. I lunghi mesi sono ormai trascorsi, ed io sono riuscita a far valere la mia libertà, rifiutando di sposare l’odioso principe Charles. Ricordo ancora il giorno in cui l’ho incontrato. La sua semplice vista mi disturbava, e sin dal primo momento, capii di non riuscire a sopportarlo. I sorrisi che soleva rivolgermi, mi sembravano stranamente melliflui e completamente privi di significato. Secondo il pensiero di mia sorella Georgia, Charles non era altro che uno scaltro e arido arrampicatore sociale, disposto a sposarmi solo per salire al trono. Giocando d’astuzia, entrambe abbiamo mangiato la foglia, riuscendo quindi a sventare il suo piano. Difatti, quelli che asseriva di provare nei miei confronti, non erano sentimenti veri e propri, ma bensì il risultato delle sue abilità di attore. Per mia fortuna, unita ad una mia incrollabile determinazione, sono riuscita a spezzare le catene che mi legavano a lui, rifiutando categoricamente di sposarlo. Tale gesto da parte, è tuttora considerato ignobile e irrispettoso da mio padre, ma ancora una volta, il suo giudizio non mi sfiora. Avendo sviluppato una profonda conoscenza di me stessa e delle mie emozioni, tendo ad ignorarlo, poiché ho ormai imparato a decidere da sola. L’unica pecca è rappresentata talvolta dalla forza dei miei sentimenti, che in alcuni casi, mi spingono a compiere azioni in realtà involute. Ad ogni modo, il tempo continua a scorrere, e ogni singolo pezzo di questo mosaico sembra lentamente trovare il suo posto. Nel tentativo di schiarirmi le idee ed evitare di ripensare al passato, rimango chiusa nella mia stanza, ammirando il panorama dalla mia finestra. Ora come ora, la pioggia cade incessantemente, e credo che un burrascoso temporale non tarderà certo ad arrivare. Sospirando, osservo le gocce di pioggia scivolare sul vetro, che appare bagnato e freddo come il mio cuore in tale situazione. Un secondo sospiro rompe il silenzio, e sedendo in terra, inizio a pensare. Inevitabilmente, il pensiero di Jesse e dei suoi inequivocabili sentimenti per me si fa strada nella mia mente, creandovi quindi uno stabile nido. Lentamente, delle lacrime iniziano a solcarmi il volto, ed io non ho modo di impedirlo. Lascio quindi che i miei contrastanti sentimenti si manifestino, sdraiandomi sul letto e sperando di addormentarmi. Il silenzio mi inghiotte nuovamente, annullando ogni rumore precedentemente udibile. La quiete e la calma regnano sovrane, ed io non oso muovermi. Improvvisamente, uno strano rumore mi distrae. Voltandomi verso la fonte dello stesso, scopro che viene dalla porta della mia stanza, ora chiusa a chiave. Guardando in basso, noto la presenza di un bianco foglio sul pavimento. Alzandomi in piedi, mi avvicino, decidendo quindi di raccoglierlo. Dopo averlo fatto, noto la presenza di  un sorta di messaggio, e comincio a leggere. “Sii te stessa.” Questa l’unica frase presente su quel foglio, che mi rendeva felice, e infondeva in me una nuova speranza. Dopo aver finito di leggere, riposi quel foglio all’interno di uno dei miei numerosi e polverosi libri, che a sua volta trovò il suo posto nella mia ordinata libreria. Un improvviso rumore di passi mi induce a voltarmi, e istintivamente mi avvicino alla porta. La apro senza esitare, trovando mia sorella Georgia in piedi davanti a me. “Cosa ci fai qui?” le chiesi, dubbiosa.” “Ero qui per quel messaggio. L’hai letto?” Disse, completando il suo discorso con una domanda. Tacendo quasi istintivamente, annuii, mostrandole un sorriso. “Ti voglio bene.” Continuò, stringendomi in un abbraccio. Anche stavolta, non risposi, lasciando che le mie azioni parlassero per me. Quando finalmente ci sciogliemmo dal nostro abbraccio, Georgia decise di lasciare la stanza, ed io non glielo impedii. Mi ritrovai nuovamente da sola, ma la mia solitudine non era causa di tristezza, bensì di gioia. Le parole e i gesti di mia sorella mi avevano aperto gli occhi, portandomi a capire che ognuno di noi, in questo grande e avverso mondo, ha bisogno di un’occasione per essere sé stesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
Capitolo VIII


La realtà secondo il cuore


Dopo un intero mese di incessante e scrosciante pioggia, il sole è tornato a splendere, annullando la diarchia instaurata con la pioggia stessa, la cui umidità ha ormai smesso di permeare l’aria, che ora spira allietando gli animi dei miei sudditi. Sin da stamattina, ho iniziato a notare dei cambiamenti nel comportamento dei miei genitori. Lo stesso, è ora vagamente sospetto, ma io non oso porre domande a riguardo. Scendendo lentamente le scale, raggiungo il grande salone, dove scelgo di rimanere nella speranza di carpire i dettagli presenti nei loro discorsi. Mantenendo il silenzio, ascolto. Li sento pronunciare il mio nome diverse volte, e per tale motivo, sorrido. Volendo ad ogni modo evitare di essere scoperta, decido di tornare nella mia stanza. Durante il mio cammino negli ampi corridoi del castello, incontro Georgia, che sembra essere felice almeno tanto quanto me. “Va tutto bene?” mi chiede, mutando l’espressione del suo volto. “Perché lo chiedi?” azzardo, aspettandomi una risposta. “Ti ho sentita piangere.” Alle sue parole, un ricordo riguardante la scorsa notte mi torna in mente. Riuscendo a capire a cosa si riferisce, annuisco, fornendo quindi una risposta alla sua domanda. Poco dopo, mi saluta, inchinandosi rispettosamente davanti a me. Riprendendo il mio cammino, mi allontano da lei, trovando il suo comportamento alquanto strano ed inusuale. Sono regina ormai da lungo tempo, ma ad essere sincera, non l’avevo mai vista inchinarsi di fronte a me. Dopo aver riflettuto, conclusi che la serie di eventi ai quali avevo assistito, doveva forzatamente essere indice di un repentino cambiamento all’interno del mio regno e della mia vita. Le lunghe ore passarono in fretta, e in breve calò la sera, che tinse di nero il cielo, punteggiandolo di stelle. Rimango perfettamente immobile e seduta sul mio trono, con gli occhi fissi sul portone del castello. Un rumore mi costringe a voltarmi, e dopo averlo fatto, mi accorgo dell’arrivo di entrambi i miei genitori. “Abbiamo delle buone notizie per lei, regina.” Esordisce mio padre, tacendo subito dopo. “Di che si tratta?” chiedo, scivolando quindi nel silenzio in attesa di una risposta. “Io e sua madre abbiamo riflettuto, e lei è ora libera di sposare lo straniero.” Continuò, sorprendendomi. Ad ogni modo, l’ultima parola che mio padre pronunciò mi fece irrigidire. “Sappiate che ha un nome.” Rispondo, rivolgendomi ad entrambi. “Quale sarebbe?” chiese mia madre, apparendo confusa. “Si chiama Jesse.” Continuai, mostrandomi leggermente stizzita. Sapevo che i miei genitori non avevano alcuna colpa, ma visti i miei sentimenti per lui, il fatto che si rivolgessero alla sua persona definendolo uno straniero, mi feriva, e si traduceva in una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Alcuni istanti dopo, ritrovai la calma, ricominciando a discutere con i miei genitori, così da riuscire a decidere la data del mio matrimonio. Dopo aver lungamente discusso, decidemmo che il mio matrimonio si sarebbe celebrato entro due mesi. Mi trovai quindi di fronte ad una libera scelta, secondo la quale, non avrei dovuto fare altro che avvisare i miei genitori non appena fossi stata pronta a celebrare le mie giuste nozze. Ringraziandoli quindi della loro clemenza, mi congedai da loro, raggiungendo lentamente la mia stanza. Mi lasciai quindi cadere sul letto, scivolando in un profondo sonno dettato dalla mia stanchezza unita alla mia indescrivibile felicità. Poco prima che riuscissi ad addormentarmi, un sorriso mi illuminò il volto. In cuor mio sapevo di essere finalmente libera di agire e amare, e sapevo che quella che stavo ora vivendo, era la realtà secondo il mio cuore.
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo IX


Il ritorno di un principe


Il lento e pacato scorrere del tempo è il risultato dei cambiamenti che avvengono nel mondo. Con la stessa lentezza con cui lo stesso scorre, si assiste al sorgere del sole, alla nascita di un fiore, o anche alla formazione di un maestoso rilievo. Quest’oggi, la stagione autunnale ha inizio. Le foglie degli alberi hanno iniziato a cadere, depositandosi sul terreno sgombro o talvolta inumidito dallo scrosciare della pioggia. La magnifica quercia visibile fuori dalla mia finestra, ha perso ogni sua foglia, e tutte ora giacciono sull’erba del mio giardino, formando un tappeto di colori. Il sibilare del vento mi infonde tristezza e malinconia. Sperando di venir fuori dalla spirale di malessere in cui sono ormai caduta, siedo sul mio letto, iniziando a leggere. Mentre sono placidamente immersa nell’oceano di parole rappresentato dal romanzo che ora leggo, sento che qualcuno bussa alla mia porta. “Avanti.” Dico, evitando di distrarmi. Poco dopo, sento la porta aprirsi, e alzando lo sguardo, incrocio lo sguardo di mia sorella Georgia. “Posso disturbarti?” chiede, apparendo incerta. “Che hai da dirmi?” chiedo a mia volta, alzandomi in piedi e appoggiando il mio libro sul piccolo comodino presente nella stanza. “Si tratta di Charles.” Esordisce, iniziando quindi a tremare. “Che succede?” continuo, attendendo una risposta. “È proprio qui al castello, e vuole parlarti.” Risponde, con voce rotta dall’emozione. “Portami da lui.” Dico, esortandola a farlo. Subito dopo, scendiamo entrambe le scale, raggiungendo la sala del trono situata al piano inferiore. “Vorrei scambiare due parole con lei, regina.” Disse Charles, rivolgendosi educatamente a me. “A che proposito?” chiesi, decidendo di affrontarlo. “Perché non ha accettato la mia proposta di matrimonio?” chiese, attendendo una mia risposta. “La risposta è semplice, lei non è parte del mio futuro, e non lo sarà mai.” Dissi, sfidandolo con la voce e lo sguardo. “Non si libererà di me!” rispose, mostrando tutta la sua collera nei miei riguardi. Dopo aver ascoltato le sue parole, decisi di non replicare, dandogli le spalle e ordinando che venisse cacciato dal castello. “Portatelo via.” Dissi, in tono perentorio. Nello spazio di un momento, due dei miei servi obbedirono ai miei ordini, e quando le porte del castello vennero chiuse, mi augurai di non incontrarlo mai più. Un’altra manciata di preziosi secondi passò, ed io concentrai il mio sguardo su mia sorella Georgia. “Non sarà più un disturbo.” Le dissi, riferendomi al principe Charles. “Ne sei sicura?” mi chiese, dubbiosa. “Mai stata più sicura.” Risposi, iniziando a salire le scale che portavano alla mia stanza. Mi allontanai lentamente, e a mia sorella e ai miei genitori, non restava che guardarmi, ascoltando il suono dei miei passi affievolirsi ad ogni metro percorso. Una volta arrivata nella mia camera, ripresi a leggere sedendomi nuovamente sul letto. Ogni pagina che giravo, equivaleva ad un nuovo inizio, che io continuavo a desiderare per la mia vita. Ad essere sincera, leggere mi aiuta a riflettere, e al calar della sera, quando chiusi lentamente quel libro per poi poggiarlo su uno scaffale della mia libreria, imparai un’importante lezione. Molte sono le cose che nella mia vita hanno subito dei cambiamenti, a cominciare dalla mia famiglia, ora composta da due sovrani di nobile stirpe, e finendo con gli antagonisti che la caratterizzano, ora rappresentati dall’acido principe Charles. Ad ogni modo, volendo conservare il mio innato ottimismo, voglio semplicemente chiudere gli occhi e respirare a fondo, sperando quindi in un futuro migliore, dettato dalla mia felicità e non dall’aspro ed inaspettato ritorno di un avido principe.
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Capitolo X


La lettera


Una buia, piovosa e tormentata notte ha appena avuto fine, e la luce solare sta ora letteralmente inondando la mia stanza. Aprendo lentamente gli occhi, lascio che il mio udito venga solleticato dal soave canto di un uccellino, che quasi in segno di rispetto, si posa sul mio davanzale, spostando il suo sguardo su di me, per poi volare via alla volta dello sconfinato e ora azzurro cielo mattutino. Alzandomi lentamente in piedi, mi concedo alcuni minuti per prepararmi. Non appena mi considero pronta, inizio a scendere le scale, con la ferma intenzione di raggiungere i miei genitori. Scendendo lentamente l’ultimo scalino, li trovo entrambi nel grande salone, e noto dipinta sui loro volti un’espressione che non avevo mai avuto occasione di vedere. “Che succede?” chiedo, rivolgendomi a mio padre. “Brutte notizie, regina.” Disse, confondendomi e spaventandomi non poco. “Ditemi tutto.” Continuai, aspettandomi una risposta. “Una delle case del villaggio vicino è stata rasa al suolo.” Disse, facendo in modo che ogni mio dubbio sparisse. “Com’è accaduto?” chiedo, in evidente stato di allarme. “Un incendio.” Prorompe mia madre, abbassando conseguentemente lo sguardo. “Non è possibile!” penso, in un triste e amaro soliloquio. “Portatemi il mio cavallo!” ordino, uscendo subito dal mio castello. In poco tempo, il mio destriero viene sellato e preparato a dovere. Senza esitare, monto in sella e lo sprono per invitarlo a correre. L’animale segue i miei ordini, e si abbandona ad un galoppo sciolto e privo di esitazioni. Con il cuore in gola e mille pensieri in mente, cavalco in direzione del villaggio poco lontano dal mio regno. Lo raggiungo nello spazio di pochi minuti, e scendo da cavallo non appena raggiunsi la mia destinazione. Con un gesto della mano, faccio in modo che il mio cavallo rimanga immobile, e inizio a correre alla ricerca di un indizio che possa darmi un’idea circa chi possa essere il colpevole di quest’incendio. Corro per alcune decine di metri, notando proprio sotto ai miei piedi, della cenere. Comprendendo di essere sulla pista giusta, decido di seguire la scia formata dalla cenere stessa, raggiungendo una piccola casa ormai ridotta ad un cumulo di fumanti macerie. Lentamente, mi faccio strada fra i detriti, scorgendo qualcosa di bianco fra gli stessi. Guardando meglio, scopro di avere davanti agli occhi un bianco foglio sporcato da alcune macchie di inchiostro. Quasi istintivamente, inizio a leggere il contenuto di quel manoscritto, rimanendo esterrefatta da ciò che ho la sfortuna di leggere. In quella che scopro essere una lettera, c’erano il mio nome e quello di mia sorella. Con la vista offuscata da un fiume di lacrime che ora mi inonda il viso, alzo lo sguardo, scoprendo che l’edificio ormai raso al suolo, era la mia vecchia casa. Continuo quindi a piangere, e intascando la lettera, cammino a testa alta, raggiungendo il mio cavallo e iniziando sulla sua groppa il viaggio di ritorno. Raggiungo il mio regno al calar della sera. Il cielo è ormai spento, illuminato soltanto dalle timide ma lucenti stelle. Sono ormai spossata, e la stanchezza mi impedisce di muovermi. Georgia è preoccupata, e non tarda a chiedermi come mi sento. Sopraffatta dal dolore derivante dalla mia amara scoperta, non rispondo, sperando che il mio silenzio sia abbastanza eloquente. La lettera che ora stringo in mano, mi scivola, cadendo proprio davanti a lei. “Che cos’è?” chiede, raccogliendola timidamente. “Una lettera di mamma.” Rispondo, sperando che capisca e che io non debba ripetermi. “Cosa?” continua, mostrandosi sorpresa. “Leggila tu stessa.” Le dico, suonando stranamente seria. Tacendo, Georgia inizia a leggere, assumendo quindi il mio stesso stato d’animo. Proprio come me, ora non riesce a parlare, e ha la sola forza di restituirmi quella lettera, che io conservo gelosamente all’interno di un cassetto. Mantenendo il silenzio, Georgia esce dalla mia stanza. Prima che se ne vada, le mostro il mio bracciale, e lei fa lo stesso con me. La nostra tristezza è ora motivata e inequivocabile, e nessuna di noi due ha voglia di parlare. Il dolore ci ha privato del dono della parola, e scivolando nel mutismo, ci addormentiamo, sperando nella positività della giornata di domani.
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XI


Speranze e nuovi inizi


Un altro lungo mese ha raggiunto il suo culmine, e finora la mia vita si è rivelata piena di dolore e sorprese. Difatti, molte cose da allora sono cambiate. I miei genitori, hanno iniziato a prestare più attenzione ai miei sentimenti e al mio modo di pensare, dapprima ignorati per loro grande superbia. Tale cambiamento, può avere un unico significato. Posso finalmente dirmi libera di amare, potendo ora esternare i miei sentimenti. Ora come ora, il mio unico pensiero è quello di avvisare Jesse. Finalmente possiamo sposarci, e sono sicura che lui ne sarà davvero entusiasta. Per questa ragione, ho deciso di recarmi nel vicino villaggio assieme alla mia famiglia. Nessuno di loro conosce Jesse ad eccezione di Georgia, ma ad ogni modo, abbiamo deciso che il viaggio avrà inizio nel primo pomeriggio. I minuti sembravano ore, e quando finalmente sentii i rintocchi delle campane della chiesa declamare il passaggio delle stesse, guardai subito fuori dalla finestra, ammirando l’imbrunire. Nello spazio di un momento, scesi le scale, arrivando quindi nella sala del trono. Avvisando i miei genitori, aprii il portone del castello e ne uscii, chiedendo che il mio cavallo venisse sellato. Seguendomi, Georgia, fece lo stesso, e insieme iniziammo il viaggio. I nostri genitori rimanevano dietro di noi, non osando proferire parola fino alla fine del viaggio. Quando finalmente arrivammo a destinazione, scendemmo tutti dai nostri cavalli, ed io mi avvicinai alla porta della casa di Jesse. Bussai un paio di volte, e fui accolta da una donna. Alla mia vista, si esibì in un rispettoso inchino. “Che cosa la porta qui?” mi chiese educatamente. “Sono qui per vedere suo figlio.” Risposi, mantenendo la calma. “Sarà subito da lei.” asserì, sparendo dalla mia vista per alcuni minuti. Attesi senza lamentarmi, vedendo Jesse fare il suo ingresso nel salotto di casa. “Deve parlarmi?” chiese, guardandomi negli occhi. “Possiamo finalmente sposarci.” Gli dissi,  sorridendo. “Dice sul serio?” continuò, dubbioso. A quella domanda, non risposi, limitandomi ad annuire. Guardando Jesse negli occhi, capii che avrebbe davvero voluto mostrarmi i suoi sentimenti, finora repressi per una lunga serie di ragioni legate al mio rango e al suo onore. Quasi a voler ricevere una sorta di autorizzazione, incrociai lo sguardo di mio padre, vedendolo annuire. Subito dopo aver ricevuto la sua approvazione, mi avvicinai a Jesse, lasciando quindi che mi prendesse per mano. In quel momento, il mio cuore iniziò a battere con forza, ed io non tentai di impedirlo. Spostando quindi il mio sguardo dal viso di Jesse a quello di mia madre, sorrisi. A quell’istante seguì una mia reazione, consistente nell’uscire da quella casa assieme a Jesse. Subito dopo, mi riavvicinai al mio cavallo. Non appena fui abbastanza vicina, tentai di salirgli in groppa. Alla vista di Jesse, l’animale si spaventò, ritraendosi e scalciando. Mantenendo la calma, gli posai una mano sul fianco, iniziando quindi ad accarezzarlo. Il cavallo si calmò al mio tocco, e finalmente potei salirgli in groppa. Sorprendentemente, l’animale sopportò il peso e la presenza di Jesse, che ora sorrideva guardandomi negli occhi. ricominciammo quindi il viaggio di ritorno verso il mio castello, raggiungendolo al calar della sera. La luce della luna faceva risplendere i rubini del mio bracciale, che ora mostravano tutta la loro rara e fine bellezza. Mentre cavalcavo, spostai il mio sguardo su quel gioiello, lasciando che le mie labbra si dischiudessero in un luminoso sorriso. Sorridevo per una semplice ragione, ossia perché ora vedevo negli astri celesti, speranze e nuovi inizi
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XII


Agognata realtà


Un nuovo giorno ha inizio, e dei cambiamenti  spirano nell’aria. La stessa, è ora più fredda del solito, e tutto ciò può avere un unico significato. Il freddo e magnifico inverno ha fatto visita al mio regno. Le temperature sono scese vertiginosamente, e non è raro vedere gli alberi spogliarsi lentamente, o le tenere foglie bruciare nel gelo. Il tempo atmosferico, si rivela essere un misero dettaglio, poiché mi basta chiudere gli occhi per dimenticare, e pensare alla realtà che mi circonda. Sono finalmente sposata con l’uomo che amo, e i miei pensieri sembrano avere un concreto significato per i miei genitori. Il tempo sta passando, e sia io che Jesse stiamo iniziando a pensare a quale sia il prossimo passo da compiere nel nostro rapporto. Entrambi crediamo che sia arrivata l’ora di aggiungere un membro alla nostra famiglia. Ad ogni modo, per qualche strana e ignota ragione, ho intenzione di aspettare. Difatti, uno strano presentimento mi porta a credere in un repentino cambiamento dell’attuale situazione. Sin da quando mi sono sposata, vivo con il timore di rincontrare il principe Charles. Lo stesso, sentendosi oltraggiato poiché ho rifiutato la sua proposta di matrimonio, ha giurato vendetta nei miei confronti. Ad ogni modo, volendo salvare le apparenze, ed evitare di distruggere la felicità di Jesse, faccio del mio meglio per fingere che non ci siano problemi. So bene che il mio silenzio non durerà a lungo, poiché presto o tardi mi troverò costretta a dover vuotare il sacco, decidendo quindi di rivelare tutta la verità a Jesse. Ora come ora, mantengo il silenzio, mentre inganno il tempo guardando la bianca e candida neve scendere lentamente dal cielo. Le ore trascorrono inesorabili, e i miei sospiri si fanno più frequenti. Dopo un tempo che mi pare interminabile, decido di salire le scale e raggiungere la mia stanza. Aprendo la porta, mi siedo sul letto, posando il mio sguardo sul mio bracciale. Mentre sono nell’atto di farlo, mille domande iniziano ad affollarsi nella mia mente. Per mia mera sfortuna, nessuno di quegli interrogativi trova una risposta. Dopo alcuni minuti, mi rimetto in piedi, decidendo quindi di raggiungere la stanza di mia sorella Georgia. Le voglio davvero bene, e in questo momento, sembra essere l’unica persona con cui ho il coraggio di confidarmi. Avvicinandomi lentamente alla porta, tento di aprirla, riuscendoci dopo alcuni tentativi. Ad ogni modo, quel che vedo mi lascia senza parole. La camera di mia sorella è completamente vuota. Non riesco a trovare una spiegazione a quello che vedo, eppure capisco che è la pura verità. In preda alla paura e alla confusione, scendo velocemente le scale, con la ferma e precisa intenzione di raggiungere il piano inferiore. Durante il tragitto, mi imbatto in uno dei miei domestici. “Regina! Grazie al cielo l’ho trovata!” esclama nel vedermi. “Cos’è successo?” chiedo, lasciando che la mia spontaneità abbia la meglio su di me. “La principessa Georgia è stata rapita.” Rispose, tacendo subito dopo. Ritornando ad essere preda delle mie stesse e ora negative emozioni, raggiungo la sala del trono, incontrando i miei genitori. Entrambi, hanno l’aria preoccupata, e noto che mia  madre ha il viso bagnato dalle lacrime. “La ritroveremo.” La rassicura mio padre, avvicinandosi a lei. “Abbiamo bisogno del suo aiuto.” Dice, rivolgendosi a me. “Farò ciò che posso.” Rispondo, facendo suonare quella frase come una solenne promessa. Scivolando nel più completo silenzio, inizio a pensare, prendendo la più drastica delle decisioni. “Partirò alla sua ricerca.” Annunciai, in tono solenne. “Faccia attenzione.” Si raccomandò mio padre, guardandomi negli occhi. Incrociando il suo sguardo, annuii, uscendo subito dal castello. Chiedendo che il mio cavallo fosse preparato a dovere. Subito dopo, diedi inizio al mio viaggio. Ancora una volta, vagavo senza meta, mantenendo la concentrazione e il mio sguardo fisso sulla natura che ora mi circondava. Imboccai quindi un sentiero, guardandomi costantemente intorno, alla ricerca di un punto di riferimento. Dopo alcuni minuti, raggiunsi la chiesa locale, dove scelsi di riposare. Dopo averlo fatto, ripresi il cammino alla ricerca di mia sorella. Il mio cavallo continuava spedito il suo galoppo, ed io ora fissavo il mio bracciale. Considerandolo il simbolo della nostra vecchia vita, lasciavo che mi infondesse una nuova speranza. In quel momento, un ricordo si fece strada nella mia mente. Ripensai al principe Charles e al suo desiderio di vendetta. Compresi quindi che aveva intenzione di ferirmi, portandomi via quanto avessi di più caro, ovvero parte della mia famiglia. Ad ogni modo, non avevo idea del luogo in cui avesse potuto portarla, concludendo dopo un veloce ragionamento, che l’unico posto avrebbe potuto essere il suo castello. Ogni indizio che raccoglievo, lasciava spazio ad una nuova domanda priva di risposta. Tentando quindi di mantenere la calma, non arrestai il mio cammino. Dopo interminabili ore di viaggio, assistetti al calar della sera. Le mie speranze stavano per abbandonarmi, e alzando lo sguardo, scorsi un palazzo proprio di fronte a me. Avvicinandomi, scesi da cavallo, trovandomi davanti uno dei servitori del principe. “Sono qui per vedere il sovrano. Dissi, aspettando che le porte di quel sontuoso palazzo venissero aperte. Attesi per degli interi minuti, e allo scadere degli stessi, entrai. Il principe era proprio davanti a me, e non appena mi vide, asserì di avermi atteso a lungo. “Lasci subito andare mia sorella!” gli intimai, mostrando tutto il mio coraggio. “Ad una condizione.” Disse, sfidandomi con la voce. “Quale sarebbe?” chiesi, sprezzante. “Deve diventare mia moglie.” Rispose, guardandomi negli occhi. “Non lo farò mai.” Dissi, avvicinandomi quasi istintivamente. “In questo caso, può dire addio a sua sorella.” Affermò, allontanandosi da me e dirigendosi verso un’ampia scalinata. Sentendo una giusta rabbia crescermi dentro, decisi di seguirlo. Arrivando quindi in cima alle scale, vidi subito una porta chiusa, e sentii la voce di mia sorella invocare il mio nome. Animata da una sconosciuta forza che non credevo di possedere, aprii subito quella porta, vedendo che mia sorella era stata legata ad una sedia. Guardandola negli occhi, che erano ora velati di lacrime, colsi una sua inequivocabile richiesta di aiuto. Avvicinandomi, scelsi di provare a sciogliere i nodi che le stringevano i polsi. Ci riuscii dopo un singolo tentativo, e afferrandole il polso ancora dolorante la aiutai ad uscire da quella stanza. Per nostra sfortuna, il principe Charles ci sbarrò la strada, impedendoci quindi di avanzare. Ci provammo comunque, tentando di avvicinarci alle scale e costringendo il principe Charles ad indietreggiare. Per sua sfortuna, fece un passo di troppo, e finì per cadere rovinosamente. Approfittando della sua caduta, scendemmo a nostra volta le scale, raggiungendo quindi il portone del palazzo. Quando arrivammo all’ultimo scalino, notammo che il principe era privo di sensi. Ad ogni modo, non tentammo di soccorrerlo, volendo solo scappare da quel luogo, augurandoci di non doverci entrare mai più. Invitai quindi Georgia a salire sul mio cavallo, e poco dopo iniziammo il nostro viaggio verso casa. Un’intera ora trascorse, e finalmente, imboccando un sentiero, intravidi il mio castello in lontananza. Continuai quindi ad avvicinarmi fino a raggiungerlo, per poi entrarvi e varcare la soglia della mia stanza. Sfinita dalla stanchezza, mi lasciai cadere sul letto, sprofondando in un sonno ricco di sogni concernenti il mio avvenire e la mia tanto agognata e bramata libertà.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 

Capitolo XIII


L’erede


Il tempo ha continuato imperterrito a trascorrere, e con esso anche un altro mese della mia vita è lentamente giunto al termine. La mattinata odierna ha avuto inizio al sorgere del sole, astro brillante e di magnifica potenza. La mia stessa vita non potrebbe essere migliore, poiché ho finalmente sconfitto un nemico che avevo finito per crearmi autonomamente. Lo stesso, rappresentato dal principe Charles, ha cercato di spegnere il mio sorriso, minando la mia autostima e la mia felicità. Secondo la mia intera famiglia, affrontarlo è stata decisamente la mossa migliore. Difatti, se non avessi agito, la situazione avrebbe continuato a peggiorare e aggravarsi, finendo per diventare insostenibile. Le ore che compongono questa giornata stanno letteralmente volando, e ho deciso di investire parte del mio tempo parlando con Jesse del nostro prossimo futuro. In questo frangente, io e lui abbiamo finalmente deciso di allargare la famiglia, lasciando che il regno prosperi con l’arrivo di un neonato, destinato a divenire erede con l’andar del tempo. Volendo realizzare questo nostro desiderio, abbiamo scelto di fare un tentativo, purtroppo andato a vuoto come una miriade di molti altri. Il tempo passava, ed entrambi iniziavamo a perdere le speranze, fino a quando questa mattina la fortuna non ha deciso di sorriderci. Oggi infatti, sono felice di essere in attesa del mio primo figlio, prossimo erede al trono d’Inghilterra. Ora come ora, la felicità ci pervade, e non ci resta che aspettare fino al giorno designato per la sua nascita. La sera è intanto calata, e tenendo fede alla mia routine giornaliera, ho deciso di andare a letto presto, come d’altronde ho sempre fatto. Ad ogni modo, la mia intera famiglia è emozionata riguardo alla mia attuale condizione, e i miei genitori non vedono l’ora di conoscere il futuro erede. Per qualche strana ragione, mia sorella Georgia non sembra condividere la loro felicità. Inizialmente, non riuscivo a spiegarmi il perché di tale situazione, ragion per cui, ho deciso di parlarle chiedendo spiegazioni a riguardo. Mantenendo la calma, mi ha detto di sentirsi triste perché profondamente diversa da me. “Non saremo mai uguali.” Ha detto, inducendomi a provare pena per lei. Quasi istintivamente, mi sono avvicinata, spiegandole che le nostre differenze non hanno alcuna importanza. Il legame di sangue che ci unisce è letteralmente indissolubile, così come il nostro legame affettivo. Difatti, quando eravamo solo delle bambine, mi ricordo di averle fatto una promessa. Eravamo ancora in orfanotrofio, e lei non faceva che piangere poiché non riusciva a credere alla realtà che aveva davanti agli occhi. Essendo sua sorella, tentavo sempre di consolarla, riuscendoci per mia fortuna nella maggioranza dei casi. Inoltre, ricordo che cercavo sempre di non scompormi e mantenere la calma anche nelle peggiori situazioni, volendo evitare di spaventarla o intristirla ulteriormente. Il giorno prima di abbandonarci, i nostri genitori ci hanno regalato due bracciali molto simili fra loro, che ancora oggi conserviamo gelosamente. A volte, entrambe ci lasciamo travolgere dai ricordi, finendo quindi per naufragare in un mare di rimembranze. Ora come ora, ammiro il paesaggio visibile fuori dalla finestra della mia stanza, tenendo il mio sguardo fisso sulla maestosa luna. La stessa, è circondata dalle lucenti stelle, che sembrano giocare nel cielo notturno. Guardandomi intorno, lascio che un sorriso mi illumini il volto. Presto diventerò madre, e potrò considerarmi orgogliosa del mio futuro figlio, erede del mio vasto e magnifico regno.
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XIV


Il futuro di Georgia


L’aurora mattutina splende nel cielo, decretando l’inizio di un nuovo giorno e destando ogni pacifica creatura dal sonno in cui è caduta. Quasi a voler dar prova di tutto ciò, dei timidi uccellini iniziano a cantare, mentre ingannano il tempo volando nell’infinito, terso e azzurro cielo. La luce del sole fa loro da guida, e gli stessi non accennano a fermarsi, poiché troppo concentrati sulla loro a me ignota destinazione. Quelle docili creature staranno sicuramente svernando a sud, verso paesi più caldi, nel mero tentativo di sfuggire ai rigori dell’inverno, stagione ancora ai suoi gelidi primordi. Lentamente, un raggio di sole penetra nella mia stanza, che si illumina conseguentemente a giorno. Alcuni minuti passano, e io decido di alzarmi dal letto, con la ferma e precisa intenzione di dare inizio ad un’altra delle mie magnifiche giornate. Mi preparo quindi a dovere, procedendo a scendere le scale e raggiungere la sala del trono. Non appena vi metto piede, incrocio lo sguardo preoccupato di Jesse. Parlandogli, lo informo riguardo al mio stato d’animo, menzionando di non riuscire in alcun modo a rilassarmi. Secondo il pensiero dei miei genitori, dipende tutto dalla mia condizione. Concedendomi alcuni istanti per riflettere, comprendo di dover dare loro ragione. Difatti, il mio ruolo di regina, unito alla mia condizione stessa, grava sul mio umore, impedendomi di vivere delle giornate tranquilla. Per mia fortuna, Jesse afferma di avere la soluzione giusta per me. Stranita dalle sue parole, ho deciso di chiedere spiegazioni. “Monterai a cavallo.” Mi disse, sorridendo. In quel momento, entrai in confusione. Non riuscivo a capire perché farlo avrebbe dovuto rilassarmi. Mantenendo la calma, Jesse spiegò che l’animale avrebbe sicuramente capito come mi sentivo, e avrebbe conseguentemente modificato i suoi comportamenti. Stringendomi quindi nelle spalle e sorridendo per la seconda volta, decisi di accettare la sua proposta. Mi accinsi quindi ad uscire dalle mura del mio castello, venendo bruscamente fermata da mia sorella. “Dove vai?” chiede, dubbiosa. “Io e Jesse andremo a cavallo.” Rispondo, regalandole un sorriso. “Fa attenzione.” Dice, mostrandosi ora preoccupata. Guardandola negli occhi, non proferisco parola, limitandomi a scuotere la testa. “Non mi accadrà nulla.” La rassicuro, allontanandomi da lei e raggiungendo Jesse, che mi aspetta nella stalla. Prima che potessi muovere un singolo passo, Georgia mi chiamò per nome, distraendomi nuovamente. Mi voltai quindi verso di lei, aspettando che riprendesse a parlare. “Vengo anch’io.” Disse, guardandomi negli occhi. Alle sue parole, annuii, non trovando motivo valido per impedirle di unirsi a noi. Ripresi a camminare, e lei mi seguì in silenzio, standomi vicina. Quando finalmente fummo fuori dal castello, salimmo in groppa ai nostri cavalli. Sorprendentemente, mi accorsi che Jesse aveva ragione. Difatti, non appena spronai il mio destriero per invitarlo a correre, lo stesso si rifiutò, accompagnando a tale dissenso un basso e soffocato nitrito. “Te l’avevo detto.” Rise Jesse, spostando il suo sguardo dal sentiero che percorrevano al mio viso. Incrociando il suo sguardo, risi a mia volta, afferrando saldamente le redini del mio cavallo. Lo stesso, procedeva con passo lento, ma nonostante tutto riuscii a non rimanere indietro. Non avevamo una meta precisa, e dovetti ammettere che la passeggiata aveva sortito l’effetto sperato. Mi sentivo infatti molto più calma, e qualcosa mi diceva che per me le sorprese non avevano ancora avuto fine. Decisi di smontare da cavallo e sdraiarmi fra l’erba venendo imitata da Jesse qualche istante dopo. I cavalli ci guardavano, brucando tranquillamente l’erba vicina. Mantenevo il silenzio, ma lasciai che il panico si impadronisse di me non appena mi voltai. Facendolo, scoprii con orrore che Georgia era sparita. Guardandomi negli occhi, Jesse notò l’espressione dipinta sul mio volto, e non potè fare a meno di porre la più ovvia delle domande. “Che ti succede?” chiese, assumendo quindi il mio stesso stato d’animo. “Georgia è sparita.” Risposi, iniziando inconsciamente a tremare. “Rilassati, sarà al fiume.” Disse, sorridendo e avvicinandosi al suo cavallo. “Monta, ti accompagno.” Continuò, guardandomi negli occhi. Obbedii senza protestare, e mi lasciai guidare da lui in completo silenzio. Cavalcammo senza sosta per una decina di minuti, e notai che la nostra destinazione era proprio oltre una vasta e verde radura. L’attraversammo velocemente, raggiungendo quindi il fiume. Provai un profondo senso di sollievo quando vidi che Georgia era tranquillamente seduta fra l’erba. Ad ogni modo, guardando meglio mi accorsi che era in compagnia di un ragazzo. Avvicinandomi lentamente, la chiamai per nome. “Chi è quel ragazzo?” chiesi, curiosa. “Si chiama Lucas.” Rispose, presentandomelo. Feci qualche passo nella sua direzione, e gli tesi la mano perché me la stringesse. Il ragazzo afferrò la mia mano con una vena di riluttanza nei movimenti, e quando gliela lasciai, notai che Jesse non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Alcuni istanti dopo, notai che quella sorta di interesse era ricambiato dal ragazzo stesso. Entrambi finirono per osservarsi intensamente per alcuni minuti. Allo scadere degli stessi, si abbracciarono. “Vi conoscete?” non potei evitare di chiedere, stranita. “Siamo fratelli.” Disse Jesse, sorridendo. In quel preciso istante, lasciai che anche le mie labbra si dischiudessero in un luminoso sorriso. Mi avvicinai quindi a mia sorella, che intanto continuava a guardare Lucas negli occhi. Quasi istintivamente, mi bloccai, rimanendo immobile davanti alla scena che seguì. Il silenzio e la natura facevano da perfetta cornice alla giornata odierna, ed io respiravo piano. Fu quindi questione di un attimo, e vidi le labbra di mia sorella sfiorare quelle del ragazzo. Sorrisi nuovamente, scambiandomi un occhiata d’intesa con Jesse. In quel momento, fui pervasa da una sensazione di profonda felicità. Avevo sempre sperato in una novità per mia sorella, ed ora sapevo che il giovane e gentile Lucas, avrebbe rappresentato il futuro di Georgia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
Capitolo XV


Imprevisti


Giornalmente, i secondi che compongono ogni giornata si trasformano in minuti, che lentamente divengono ore. Con la stessa lentezza, le ore diventano giorni, mesi ed infine anni. Sono ora passati in tutto sei mesi, e il sole è nascosto e celato alla mia vista da una coltre di nuvole. Data la situazione, sono certa che oggi il cielo diverrà cupo, e la pioggia bagnerà le strade. Ora come ora, siedo sul mio comodo letto, e sono intenta a rileggere la lettera scrittami dalla mia vera madre. Nella stessa, esprime tutto il risentimento che prova nell’aver abbandonato me e Georgia, sostenendo che è stata tutta un idea del nostro vero padre. Mentre leggo, sembro lottare con me stessa, poiché tento in ogni modo di impedire che delle fredde e amare lacrime inizino a sgorgare, rigandomi il viso. A tal proposito, decido di avvicinarmi allo scaffale presente nella mia stanza, per poi prendere in mano un libro e riporre quella lettera al sicuro. Subito dopo, esco dalla mia stanza, e nonostante la fredda aria che spira, scelgo di andare a sedermi nella veranda. Il tempo scorre, ed io mantengo il silenzio. Guardandomi attorno, incrocio lo sguardo di mia sorella, che ha evidentemente avuto la mia stessa idea. “Va tutto bene?” chiede, guardandomi. “Si.” Mi limito a risponderle, mostrandole quindi un mellifluo ma convincente sorriso. La tristezza derivante dalla lettura di quel manoscritto è ancora padrona del mio animo, ma tento di fare in modo che non lo capisca. “Hai visto Jesse?” le chiedo, sperando di distrarla. “No.” Risponde, scuotendo il capo. In quel momento, decido di darle le spalle, per poi mettermi alla sua ricerca. Inizio dalla sua stanza, che scopro completamente vuota. Chiudendone lentamente la porta, decido di dirigermi verso il grande salone, dove lo trovo fermo ad ammirare il paesaggio visibile dalla grande vetrata. “Ti stavo cercando.” Esordii, vedendolo quindi voltarsi verso di me. “Che hai da dirmi?” chiede, dubbioso. “Il tempo sta passando.” Dissi, guardandolo negli occhi e posando una mano sul mio ventre ora gonfio. “Lo so bene.” Risponde, prendendomi le mani, che ora tremano incontrollabilmente al suo lieve tocco. Un singolo attimo diviene un ricordo, e le mie labbra si posano sulle sue. Dopo alcuni secondi, ci sciogliamo dall’abbraccio che ci ha unito, ed io inizio ad allontanarmi. “Da questa a Georgia.” Dice, posandomi una mano sulla spalla e costringendomi a voltarmi. Subito dopo, mi porge una busta da lettere, ed io deduco la presenza di una sorta di messaggio all’interno della stessa. Ad ogni modo, riesco a tenere a bada la mia curiosità e torno nella veranda, dove spero di trovare Georgia. La mia speranza si traduce in realtà, poiché mia sorella non sembra essersi mossa di un millimetro, ed è ora intenta a fissare il cielo, fortunatamente chiaro e privo di nubi. La chiamo per nome, e lei si volta di scatto. “Questa è per te.” Le dico, porgendole le busta. “Grazie.” Risponde, dandosi subito da fare per aprirla. Per fortuna, ci riesce in poco tempo, e ne estrae quella che scopro essere una lettera. Guardandola, noto che è intenta a leggerne il contenuto, motivo per cui, mi avvicino mantenendo il silenzio. Le rimango accanto per tutto il tempo, e poco dopo la vedo ripiegare con cura quel foglio. “Cosa dice?” le chiedo, spinta dalla curiosità. “È un invito.” Risponde, regalandomi un luminoso e ampio sorriso. Tacendo, muovo lentamente il capo, unicamente per invitarla a continuare a parlare e chiarirsi. “Lucas ci ha invitate al fiume.” Dice, sorridendo nuovamente.  “Ci andremo.” Rispondo, guardandola negli occhi. Alle mie parole, Georgia annuisce, ed io le do nuovamente le spalle con la ferma e precisa intenzione di tornare da Jesse. “Gentile da parte di tuo fratello.” Dico, guardandolo negli occhi. “Che farete?” chiese, dubbioso.” “Andremo.” Risposi, mostrandogli un sorriso. A quell’istante seguì un fortissimo abbraccio, e le nostre labbra si unirono di nuovo. Per qualche strana ragione, volevo davvero che quel bacio non avesse fine. Noi due ci amiamo, e stiamo per costruirci una famiglia. Dopo esserci divisi, decidemmo di uscire e raggiungere Lucas al fiume. Corsi ad informare Georgia della cosa, e la lasciai da sola. Poco tempo dopo, tutti e tre fummo pronti ed iniziammo il nostro viaggio. In sella ai nostri destrieri, raggiungemmo il fiume in pochissimo tempo, e Georgia scese da cavallo solo per salutare Lucas e baciarlo. Quella scena mi strappò un sorriso, ma per mia sfortuna feci un passo di troppo, e il mio bracciale finì per cadere in acqua. Iniziai quindi a fissarla con espressione triste. Accorgendosi di quanto accaduto, Jesse si offrì di andare a riprenderlo, sparendo dalla mia vista per alcuni minuti. Quando finalmente me lo riportò, feci una scoperta alla quale non avrei voluto credere. Il mio bracciale era integro, ma uno dei rubini era scomparso. Pur mantenendo il silenzio, chinai il capo, mostrando il mio disappunto a riguardo. Jesse tentò di consolarmi, riuscendoci quasi subito, ed io gliene fui grata. In tutto questo tempo, ha fatto molto per me, compreso farmi il più bel regalo che una donna possa mai sperare di ricevere. Ora come ora, dopo tale ragionamento, il rubino mancante sul mio bracciale non ha importanza. Difatti, questo non è altro che uno dei tanti imprevisti della vita.
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XVI


Nascita di una principessa


Tre mesi. Tre interi mesi sono appena passati, e l’odierno sole appare più caldo del solito. Il freddo e rigido inverno ha finalmente avuto fine. La neve ha smesso di cadere, e il vento di sibilare minaccioso.  L’inizio di una nuova e radiosa giornata allieta il mio animo, strappandomi un sorriso come si fa con della fragile carta velina. È mattina presto, ed io e mio marito Jesse siamo davvero felici e orgogliosi, poiché proprio oggi è venuta al mondo la nostra amata bambina, l’adorabile e aggraziata Miranda. Ha fatto il suo ingresso nel mondo, venendo a conoscendo del mero ignoto a cui prima era estranea. Mia sorella non potrebbe dirsi più felice, poiché è appena diventata zia. L’orgoglio dei miei genitori è paragonabile solo alla vastità del mio regno, che ora comprende l’intera Inghilterra. L’aver messo al mondo una futura principessa mi riempie il cuore di gioia, e ogni minuto passato ad occuparmi di lei non si rivela essere una mera incombenza, bensì una sentita e veritiera opera d’amore. Intanto, i giorni continuano a passare, e una settimana sembra lentamente scomparire. “Come ti senti?” chiede Jesse, mostrandosi preoccupato. “Bene.” Rispondo, sorridendo. Sentendosi rinfrancato dalle mie parole, Jesse mi abbraccia, posando poi le sue labbra sulla mia fronte. Accetto quel bacio come un’amichevole sfida, senza quindi tentare di oppormi. In breve tempo, cala la sera, ed io raggiungo subito la mia stanza, dove la piccola Miranda dorme tranquilla. Preoccupandomi per lei, decido di andare a controllarla. Raggiungo quindi la mia stanza, e aprendo lentamente la porta, mi rallegro a causa della scena a cui assisto. Difatti, vedo che mia sorella Georgia la tiene in braccio, e le sta offrendo da mangiare con un biberon. Quella così tenera scena mi strappa un sorriso. Non proferendo parola, mi limito a guardare mia sorella mentre si prende cura della nipote, e non oso staccare lo sguardo da nessuna delle due. Georgia vuole davvero molto bene a Miranda, ed io non posso che rallegrarmene. Sembra infatti che lei abbia preso davvero a cuore il suo nuovo ruolo di zia. Inoltre, ogni volta che ha l’occasione di parlarmi, mia sorella ripete che sono davvero fortunata ad avere accanto un uomo come Jesse, che mostrandomi il suo amore, mi ha reso madre, e ha promesso di restarmi fedele contro ogni avversità. Tentando di confortarla, le ripeto che non è sola, poiché al suo fianco c’è Lucas. Loro si amano, e se non sono arrivati dove io e Jesse siamo ora, questo può voler dire soltanto una cosa. Il loro cammino verso la felicità sarà sicuramente più lungo, e potrà in alcuni casi spingerli ad arrendersi e gettare la spugna, ed io so che se mai accadrà, rimarrò al fianco di mia sorella in ogni caso. Ora come ora, mi basta solo che sappia che le voglio bene, e che tale situazione non cambierà mai. Siamo profondamente diverse, e questo non si può negare, ma quello che ci lega è molto più che un semplice legame affettivo. Siamo come due nodi in una corda, molto vicini fra loro, e nel nostro caso, impossibili da sciogliere. Georgia né è completamente all’oscuro, ma sin da quando è nata, facendo il suo ingresso nel mondo, ogni singola notte prego per lei, rimanendo chiusa nella mia stanza a fissare il cielo stellato. A volte, lascio che il fiume delle mie emozioni mi travolga, abbandonandomi quindi a dei tristi soliloqui, nei quali chiedo che le mie preghiere vengano esaudite. Per mia fortuna, gli astri hanno deciso di sorridermi, e finora per lei non ci sono stati problemi di sorta. Mentre il tempo scorre incessantemente, continuo a pregare, e spero nella positività del suo immediato futuro. Le mie speranze e le mie preghiere verranno sicuramente ascoltate, e nel frattempo, continuerò ad essere felice della nascita di una principessa.
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Capitolo XVII


Sogni e fortuna


Un nuovo e lungo anno è in procinto di iniziare, prendendo il posto di quello precedente. Il tempo scorre come acqua tranquilla, e concedendomi qualche secondo per riflettere, realizzo che è appena passato un anno dalla nascita di mia figlia Miranda. È una bellissima bambina, e cresce di giorno in giorno, imparando sempre nuove cose. Vederla così aperta e curiosa riguardo al mondo che la circonda, mi rende felice, e mi lascia sperare in un suo roseo futuro. Ad ogni modo, ho notato che in questo lasso di tempo, mia sorella Georgia è profondamente cambiata. Difatti, da ormai una settimana dice di essere così debole da non riuscire ad alzarsi dal letto. Provando pena per lei, Lucas le rimane accanto, prendendosi cura di lei al meglio delle sue possibilità. Inoltre, i miei genitori mi hanno informato che le è venuta la febbre. Per tale ragione, ho ordinato ad uno dei miei domestici di chiamare un medico che la visiti, sperando quindi che riesca a guarire. Il mio ordine non è stato ignorato, e nel giro di un’ora, il miglior medico dell’Inghilterra ha raggiunto il mio regno. Dopo avergli permesso di entrare nel mio castello, gli ho subito mostrato la camera di Georgia, dove lei ora riposava. Non riusciva a dormire, ed era ancora sveglia e vigile. Aveva il viso contratto in una smorfia di dolore, ma alla vista del medico, abbozzò un debole ma convincente sorriso, e sembrò rifiorire. In quel momento, Lucas si scostò da lei, in modo da evitare di intralciare il lavoro del dottore. Lo stesso, le misurò il battito cardiaco e la temperatura corporea, scoprendo che quest’ultima era davvero alta. Secondo il parere del medico, tutto questo poteva avere un solo significato. “Deve essere subito portata in ospedale.” Disse, guardandoci negli occhi. A quelle parole, Lucas ed io sbiancammo, limitandoci ad annuire e ascoltare i consigli del medico. Subito dopo, uscii dalla stanza per informare mio padre circa l’esito della visita, vedendolo quindi prendere una drastica decisione. Stando alle condizioni di Georgia, il più vicino ospedale doveva essere raggiunto tempestivamente, ma secondo il pensiero di mio padre, il viaggio si sarebbe rivelato troppo lungo nel caso in cui avessimo deciso di partire a cavallo. Per tale motivo, ordinò che Georgia venisse fatta sul suo calesse, e che solo allora il viaggio avrebbe avuto inizio. Vista la sua preoccupazione per mia sorella, mio padre non voleva sentire ragioni, ma io lo pregai, convincendolo quindi a seguirlo assieme a Lucas. Dopo alcuni attimi di esitazione, mio padre acconsentì, e uscendo dal castello, iniziammo il viaggio alla volta del vicino ospedale. Per nostra fortuna, riuscimmo a raggiungerlo, e i medici presenti prestarono a Georgia tutte le cure del caso. Le ore passarono, e dopo un tempo che ci parve interminabile, ci venne finalmente concesso di vederla. Facendo quindi qualche passo in avanti, entrammo nella stanza che le era stata assegnata, ed io non riuscii a credere a ciò che vidi. Mia sorella era sdraiata in un letto d’ospedale, e non osava muoversi. Rimasi ferma a guardarla, per poi sentire un suono simile ad un pianto. Mi voltai quindi verso la fonte di quel rumore, notando che proprio accanto a lei giaceva un indifeso neonato. Mi avvicinai ancora di qualche passo, fermandomi però di colpo. Difatti, vidi Georgia muoversi, e compresi che si stava svegliando dal sonno in cui era caduta tempo prima. La chiamai quindi per nome non appena la vidi aprire gli occhi, e la vidi sorridere. Lei si limitò a salutarmi, stringendo il suo neonato. “Lui è Michael.” Disse, sorridendo nuovamente. “È bellissimo. Congratulazioni.” Dissi, abbracciandola. Subito dopo, decisi di lasciarla da sola con il bambino, richiudendo la porta alle mie spalle. “Sta bene.” Dissi, uscendo da quella stanza. Alle mie parole, seguirono il sorriso compiaciuto di mio padre e la felicità di Lucas. Da quel momento in poi, uno dei medici ci mise di fronte ad una scelta. Potevamo infatti tornare a casa e attendere che Georgia venisse dimessa, oppure rimanere in ospedale con lei. Dopo averci riflettuto scegliemmo la seconda delle opzioni proposte, rimanendo al fianco di Georgia fino al calar della sera. Difatti, venne dimessa solo allora, e si mostrò felice di poter tornare a casa. Non appena raggiungemmo la nostra destinazione, fummo accolte da nostra madre e da uno dei miei servitori. Non appena ci vide, nostra madre ci strinse in un abbraccio, chiedendo di vedere il nipote. In quel momento, Georgia lasciò che lo prendesse in braccio, sorridendo subito dopo. I minuti passarono, e mantenendo il silenzio, incrociai lo sguardo di Jesse, che nel frattempo mi aveva raggiunta. Evitando di staccare gli occhi da me, mi posò una mano sulla spalla. Spostando il mio sguardo su mia sorella, sorrisi. In quel momento, mi sentii davvero felice per lei. Le mie preghiere avevano fortunatamente ottenuto una risposta, e si erano tradotte nella realizzazione dei sogni di mia sorella.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Capitolo XVIII


Un cambiamento inaspettato


È notte fonda, e per qualche strana ragione, non riesco a dormire. So di essere stanchissima, ma il mio sonno è disturbato. Fuori dalla mia finestra la pioggia cade, e un temporale ha appena avuto inizio. Continuo a rigirarmi nel mio letto, nella mera speranza di addormentarmi, ma senza successo. Dopo ore di tentativi, riesco a chiudere gli occhi e dormire, pur essendo costretta a svegliarmi nuovamente. Da qualche tempo a questa parte, un sogno ricorrente sembra tormentarmi. Non vedo altro che fiamme, e non sento altro che urla. Ripenso senza volere alla mia vecchia casa, ormai rasa al suolo da un devastante incendio tempo addietro. Nulla potrà mai riportarla indietro, e tale consapevolezza mi avvilisce enormemente. Le lunghe ore notturne non sembrano aver fine, e il cielo notturno appare sconfinate. Ad ogni modo, dopo un tempo che mi pare interminabile, le tenebre vengono sconfitte dall’aurora, che si fa lentamente largo nel cielo stesso, ora azzurro e non più cupo. L’incubo che ho fatto mi ha tenuta sveglia per l’intera notte, ragion per cui, stamani non ho una bella cera. “Qualcosa non va?” chiede Georgia nel vedermi. “Ho solo dormito poco.” Rispondo, nel tentativo di dissuaderla dal porre ulteriori domande. “Ti manca, non è vero?” dice, notando la mesta espressione dipinta sul mio volto. In quel momento, un orribile ricordo mi attraversa la mente. Rivedo la mia vera madre, che con il solo sguardo, ha la ferma e precisa intenzione di dirmi addio per sempre. “Come fai a saperlo?” continuo, alterandomi di colpo. “Siamo sorelle.” Risponde, mantenendo una calma a mio dire mostruosa. “Hai ragione.” Ammisi, abbassando lo sguardo. Subito dopo, le diedi le spalle, e iniziai ad allontanarmi lentamente da lei. “Aspetta!” mi prega, afferrandomi il polso. Voltandomi di scatto, torno a guardarla negli occhi, e noto che stringe i pugni. Confusa, la guardo senza capire. Alcuni secondi passano, ed io la vedo aprire una mano. Con mia grande sorpresa, scopro che nascondeva il rubino mancante del mio bracciale. Lei me lo porse, ed io lo presi delicatamente. “Dove l’hai trovato?” chiedo, di nuovo in preda alla confusione. “Me l’ha portato Lucas.” Rispose, in completa sincerità. “Gli ho spiegato quanto fosse importante, e ha deciso di aiutarti.” Continuò, mostrando stavolta un debole sorriso e poggiandomi una mano sulla spalla. “Ti capisco.” Disse, sospirando e divenendo improvvisamente enigmatica. Alle sue parole, non risposi, limitandomi ad abbassare lo sguardo e dirigermi verso la mia stanza. La porta è socchiusa, e vi entro spingendola dolcemente. Mi lascio quindi cadere sul letto, lasciando che un fiume di pensieri si faccia lentamente largo nella mia mente. Quell’orribile visione si manifesta nuovamente, e mi trovo costretta a scuotere la testa per scacciarli. Nel mero tentativo di risollevarmi, decido di raggiungere Jesse, che è ora impegnato a tenere in braccio nostra figlia. Alla mia vista, lascia che io la prenda in braccio, iniziando quindi a coccolarla. Le solletico il pancino, sentendola ridere di gusto. Poco tempo dopo, le mostro il suo sonaglio, giocando quindi con lei per alcuni minuti. Vedendola sbadigliare, decido che è per lei arrivato il momento di andare a dormire, ragion per cui, la porto subito nella sua culla, dove la vedo addormentarsi poco tempo dopo. Tornando quindi nella sala del trono, dove Jesse mi aspetta, decido di voler passare del tempo con lui. Mi avvicino lentamente, e mi lascio andare ad un sospiro di tristezza. “Che cos’hai?” chiede, preoccupato. “Devi sapere una cosa.” Affermo, con espressione mesta. Mantenendo il silenzio, Jesse mi guarda negli occhi, invitandomi a continuare. “Sono stata adottata. Le persone che conosci non sono i miei veri genitori.” Ammisi, non notando il lento sgorgare di una lacrima che mi solca il viso. In quel preciso istante, Jesse si avvicina abbracciandomi nel tentativo di confortarmi. “Non ricordi nulla di loro?” chiede, sperando di non essere invadente. “La mia vera madre è morta in un incendio, e il mio vero padre non mi ha mai voluto bene.” Risposi con un tono a metà fra onestà e dolore. Subito dopo, gli mostro il mio bracciale, che ora sembra brillare di luce propria. “Ho già visto un gioiello del genere.” Prorompe, incuriosendomi. In quel preciso istante, scelgo di mantenere il silenzio, aspettando che riprenda a parlare. “Vieni con me.” Dice, afferrandomi il braccio. Fidandomi ciecamente di lui, e sapendo di non avere altra scelta, decido di seguirlo, raggiungendo l’uscita del mio castello. Subito dopo, scelse di andare a prendere il mio cavallo, e mi chiese di salirvi. “Fidati di me.” Disse, tenendo saldamente le redini. Io non dissi nulla, limitandomi ad annuire. Poco tempo dopo, Jesse spronò il cavallo, che iniziò subito a correre. Non avevo idea di dove mi stesse portando, ma continuavo a guardarmi confusamente intorno. “Dove andiamo?” chiesi, dubbiosa. Alle mie parole, Jesse non rispose, limitandosi a restare concentrato sul sentiero che ora percorrevano. Il viaggio si rivelò più lungo di quanto pensassi, ragion per cui, finii per addormentarmi. Mi svegliai dopo circa un’ora, poiché disturbata da un suono che non riuscii a distinguere. “Ben svegliata.” Disse Jesse, sorridendo. “Dove siamo?” chiesi, sbadigliando. “Vicino alla chiesa, ora seguimi.” Rispose, aiutando a scendere da cavallo. Posai lentamente i piedi sul terreno, lasciando quindi andare la sua mano, per poi camminare al suo fianco. Il nostro cammino sembrava letteralmente infinito, ma io non potevo fare a meno di sorridere. Sapevo che Jesse aveva delle buone intenzioni, e mi fidavo. Confusa, mi guardavo intorno, scorgevo dopo un lungo cammino, la chiesa. Quasi istintivamente, mi fermai. “Sono troppo stanca.” Dissi, mentendo a me stessa. “Non puoi fermarti ora.” Mi incoraggiò Jesse, prendendomi per mano. Sorridendo, decisi di continuare il mio viaggio. Camminavo a testa bassa, continuando a rimanere concentrata sui miei passi. Poco tempo dopo, rialzai lo sguardo, scoprendo di trovarmi di fronte all’orfanotrofio dove ero stata abbandonata da bambina. “Perché mi hai portata qui?” chiesi, confusa. In quel preciso istante, Jesse sorrise, e mi chiesi di avvicinarmi. “Guardati intorno.” Disse, sorridendo nuovamente. Mantenendo il silenzio, annuii abbassando lo sguardo. Alcuni istanti dopo, vidi uno strano oggetto brillare. Guardando meglio, mi accorsi di avere in mano un bracciale molto simile al mio. Quasi istintivamente, lo strinsi in mano, spostando quindi il mio sguardo su Jesse. “Era di mia madre.” Dissi, non potendo evitare che le lacrime mi bagnassero il viso. “Tua madre non è morta.” Rispose, prendendomi per mano. A quell’istante, seguì un forte abbraccio, nel quale sperai di trovare eterno rifugio. Chiusi lentamente gli occhi, con la ferma e precisa intenzione di non muovermi. Non riuscivo letteralmente a credere a quanto era appena accaduto, eppure sapevo che la vista non mi ingannava. Ogni avvenimento era reale, e tutto sembrava accadere troppo in fretta. Le parole di Jesse avevano funto da chiave per la porta dei miei sentimenti a lungo repressi, e avevano acceso in me una nuova speranza. Ora come ora, ero un lume la cui luce brillava, e sapevo di aver appena assistito ad un inaspettato cambiamento.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XIX


Tacite verità


È primavera, ed io sono impegnata ad ammirare il panorama visibile dalla mia finestra. Il tempo scorre, così come la rugiada sull’erba del mio giardino. Un sorriso mi illumina il volto, mentre una fragile e tenera foglia verde si muove in direzione del sole, nella speranza di carpirne i raggi e crescere diventando sempre più forte, e potendo un giorno essere parte di una meravigliosa pianta. Un’intera settimana è appena trascorsa, e il ricordo del mio viaggio con Jesse non sembra voler svanire dalla mia giovane mente. Difatti, ho la netta sensazione di aver appena scoperto una delle tante radici del mio passato. Inoltre, il tempo continua a scorrere, e con l’andare dello stesso, sono sempre più felice di aver incontrato Jesse. Siamo ormai sposati da più di un anno, e mi conosce bene, e dato anche l’arrivo di Miranda, non potrei chiedere di meglio. Ad ogni modo, una sorta di presentimento mi porta a credere che lui mi stia in qualche modo nascondendo qualcosa . Per tale motivo, ho deciso di parlargli. “Mi nascondi qualcosa?” gli chiesi, guardandolo negli occhi. “Non lo farei mai.” Rispose, iniziando inconsciamente a tremare. “Jesse, devi dirmi la verità.” Gli dissi, prendendogli le mani. “Va bene.” Disse, sospirando. “Non te l’ho mai detto, eppure io conoscevo tua madre.” Ammise, guardandomi negli occhi. “Le nostre due famiglie avevano ottimi rapporti, e io ho finito per innamorarmi di te sin dal primo giorno in cui ti ho vista.” A quelle parole, sussultai. Non riuscivo a crederci. Jesse conosceva la verità, e fino ad ora non aveva osato rivelarmela. Quasi istintivamente, iniziai a piangere. Le lacrime mi bagnavano il viso, ed io non potevo fare altro che nascondere il viso con le mani. Fra un singhiozzo e l’altro, mi concedevo delle pause per riprendere fiato. Il mio respiro era ormai divenuto affannoso, e i miei occhi erano gonfi per via del pianto. Avevo anche le gote arrossate, e mi lasciai cadere sul mio letto. Affondai quindi il viso nel cuscino, scegliendo di provare a calmarmi. Ad ogni modo, malgrado i miei numerosi tentativi di farlo, non ci riuscii. Continuavo a piangere in silenzio, desiderando unicamente di poter scomparire per sempre. Ora come ora, sapevo che mia madre non era morta, e che avrei potuto aver la possibilità di rivederla dopo un così lungo lasso di tempo. Dal triste giorno del mio abbandono sono passati tre anni, e ogni volta che tento di rimembrare i bei ricordi legati alla mia famiglia, sento un acuto dolore propagarsi in tutto il mio corpo, fino ad arrivare alla mia candida e fragile anima. Il tempo scorre, ed io decido di uscire dalla mia stanza. “Portami da lei.” dico a Jesse, dopo averlo raggiunto nel grande salone. Alle mie parole, sceglie di non rispondere, limitandosi ad annuire. In quel preciso istante, procedo a dargli le spalle con la ferma e precisa intenzione di salire nuovamente le scale e andare subito ad avvisare Georgia. Attraversai gli ampi corridoi del castello fino a raggiungere la sua stanza, aprendone quindi la porta con velocità e disinvoltura. Ad ogni modo, ebbi cura di non sbatterla, tenendo saldamente la maniglia. “Ho buone notizie.” Esordii, guardandola negli occhi. “Che succede?” mi interroga, incuriosita e al contempo stranita dalle mie parole. “Nostra madre non è morta, e Jesse sa dove vive, ora vieni con me.” Dissi, in tono serio ma pacato. Subito dopo, vidi Georgia alzarsi in piedi, e iniziare a seguirmi senza proferire parola. Insieme, scendemmo velocemente le scale, per poi dirigerci oltre le mura del castello. Salendo quindi in groppa ai nostri cavalli, lasciammo che Jesse ci facesse strada, portandoci quindi dalla nostra vera madre. Durante il viaggio, tenevo gli occhi aperti, osservando il sole nascondersi dietro ai monti con l’arrivo dell’imbrunire. Due intere ore passarono inesorabili, ed io mi ritrovai davanti ad una piccola ma accogliente casa. Scendendo da cavallo, Jesse bussò lievemente alla solida porta in legno. Un lungo minuto trascorse, e una donna la aprì. La stessa, guardò fissamente me e Georgia negli occhi. Nessuna di noi due osava proferire parola, fino a quando il silenzio non si ruppe come un delicato vaso in porcellana. La donna sorrise, e chiamandoci per nome, ci abbracciò. “Mi siete mancate. “Disse, rivolgendosi ad entrambe e iniziando conseguentemente a piangere. “Credevo di avervi perso.” Continuò, singhiozzando sonoramente. “Va tutto bene.” Le dissi, rassicurandola e dandole la possibilità di sfogarsi. Poco tempo dopo, ci sciogliemmo dal nostro abbraccio, e nostra madre ci invitò ad entrare in casa. Accettammo di buon grado il suo invito, sedendo attorno al tavolo della piccola ma accogliente cucina. “Come state?” ci chiese, posando il suo preoccupato e amorevole sguardo su di noi. “Bene, ma c’è qualcosa che devi sapere.” Risposi, guardandola negli occhi e facendo anche le veci di Georgia, che continuava a mantenere un perfetto e religioso silenzio. Mia madre non rispose, limitandosi a chiedermi di continuare a parlare con un lieve cenno del capo. “Da quando ci hai abbandonate, la nostra vita è andata avanti, e siamo state adottate.” Dissi, tacendo subito dopo. “Una nobile famiglia ci ha accolte, elevandoci al rango di regina e principessa.” Continuai, dopo una breve pausa di silenzio. Quando lo stesso cadde di nuovo nella stanza, io guardai Jesse negli occhi, cercando conforto in un momento di quel genere. Ad ogni modo, anche se non osava aprire bocca per parlare, sembrava dirmi che tutto sarebbe andato per il meglio. “Sappiamo quanto tu possa aver sofferto, e abbiamo delle buone notizie.” Disse Georgia, fino a quel momento, muta come un pesce. “Quali sarebbero?” chiese nostra madre, con aria interrogativa. “Sei diventata nonna.” Rispondemmo entrambe all’unisono. “Dite sul serio?” chiese, assumendo un’aria alquanto confusa.” A quell’interrogativo, non risposi, limitandomi ad annuire e lasciare che il mio volto venisse illuminato da uno splendido sorriso. “Vieni con noi.” Dissi, alzandomi in piedi e posando il mio sguardo sull’uscio di casa. Alle mie parole, seguì l’immediata reazione di mia madre, che aprì la porta con velocità incredibile, permettendoci di uscire. Mantenendo il silenzio, salì sul mio cavallo, e lasciò che la accompagnassimo al castello. Quando arrivammo, era ormai notte fonda, e per tale ragione, le porte erano ormai chiuse. Avvicinandomi, tentai di aprirle, ma invano. Per mia fortuna, riuscii ad attirare l’attenzione di uno dei miei servitori, che subito riaprì il portone, dandoci quindi modo di entrare. Subito dopo, condussi mia madre nella sala del trono, dove il sovrano sedeva in silenzio. “Qualcuno vorrebbe parlarvi, sire.” Dissi, attirando la sua attenzione e facendo in modo che si voltasse verso di me.” “Di chi si tratta?” chiese, quasi infastidito dalla mia presenza. In quel preciso istante, mi feci da parte, scostandomi e rivelando la presenza di mia madre. “Sono colei che ha messo al mondo le sovrane.” Disse mia madre, in tono solenne.” Subito dopo, un assordante e snervante silenzio cadde nella sala, ed io ebbi timore della risposta che mia madre avrebbe potuto ricevere. Con mia grande sorpresa, il re non proferì parola, limitandosi a guardarmi negli occhi, volendo quasi confermare la veridicità di quell’affermazione. “È tutto vero.” Dissi, nel mero tentativo di difendere mia madre. Malgrado la mia sincera risposta, il silenzio del sovrano si protrasse, rendendomi sempre più nervosa. I minuti passavano, e mia madre decise di provare colmare quel lungo e lugubre silenzio. “Capirò se non vuole che le veda.” Disse, rivolgendosi con rispetto al re. Dopo quelle parole, mia madre ci diede le spalle, raggiungendo il portone del castello e aspettando che venisse aperto. Subito dopo, iniziò a camminare, avviandosi verso casa sua. In quel momento, volsi il mio sguardo al cielo stellato, comprendendo la purezza del gesto appena compiuto da mia madre. Ci aveva appena lasciato da sole, ma sapevo che l’aveva fatto in buona fede. Aveva appena fatto in modo che io e Georgia potessimo vivere la nostra vita. Difatti, anche se il nostro passato è stato difficile, e spesso costellato di tacite verità, ha sapientemente lasciato che entrambe crescessimo fisicamente ed emotivamente, diventando quindi artefici del nostro destino reale.


Ciao! Vi ringrazio moltissimo di aver letto questo mio lavoro. Nella speranza che vi sia piaciuto, vi chiedo solo di farmelo sapere Emmastory  
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Emmastory