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Autore: rossella0806    27/06/2015    1 recensioni
Aurora è una ragazza con un passato molto doloroso alle spalle: dopo l'ennesima batosta ricevuta nella vita, decide di rifugiarsi in un paesino sperduto, un posto magico circondato da lago e montagne, per poter riflettere e ridare un senso alla propria vita.
Qui si ritroverà a fare i conti con se stessa e con la curiosità dei paesani, gente semplice che si rivelerà di grande aiuto per la sua rinascita spirituale.
Grazie a tutti loro, dal sindaco impicciona, a Liliana, la bottegaia del paese, a Linda, una ragazzina di dodici anni, a Macchia, un gattino trovatello e a Tommaso, aitante vigile del fuoco, Aurora imparerà a vivere e ad affrontare la sua solitudine.
E, alla fine, non solo verrà riscattata dalla sua passione per la fotografia ma, grazie anche ad un incontro inaspettato, si scoprirà più forte e amata di quanto avrebbe mai immaginato.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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La vera scoperta
                                                                                                                                                     non consiste
                                                                                                                                                 in nuovi paesaggi,
                                                                                                                                                  ma nel guardare
                                                                                                                                                    con occhi nuovi

Marcel Proust




    
Venature di bianco pennellano il cielo, mentre sotto di esso l’acqua del ruscello scorre contenuta tra gli argini di terra cedevole, e i fiori e le chiome degli alberi sono come ballerini insicuri in preda alla brezza fastidiosa.
La casa rossa in cima alla collina domina l’intero paesaggio, protetta dalle montagne controlla la fitta vegetazione.
Davanti ad essa si erge il resto del paese: il guscio della piazza con la chiesa e il campanile, i prati e i campi coltivati, le abitazioni a due piani con il giardino perfettamente curato e i negozi, luogo di ritrovo per gli abitanti del borgo.
Ora il vento si fa più forte e scuote con dispetto tutto ciò che gli oppone resistenza, solo la casa rossa rimane imperturbabile.
Il calore del sole intiepidisce ogni cosa, s’insinua malandrino sotto le pietre per raggiungere le lucertole e le formiche intente a riposare, accarezza il pelo dei cani e dei gatti esposti ai suoi raggi.
Dopo il tepore dei giorni precedenti, ora è di nuovo insolitamente caldo.
Sul lato della piazza che si congiunge con i campi c’è una fontana che sgorga acqua fresca: è composta da una lunga vasca di pietra sbeccata ai lati come piccoli morsi di corvi affamati ed è sovrastata da una colonna un po’ tozza con eleganti volute a sorreggere le fauci aperte del leone da cui fuoriesce l’acqua, gli occhi di sasso due bottoni più scuri.    
Di fronte alla fontana si innalza il muro ad est della chiesa, le cui pareti sono state riverniciate da poco con un insolito color senape.
Sulla facciata in stile romanico dell’edificio svetta una torre in mattoni rossi con le due campane in bronzo.
La pesante porta di rovere scuro con un battente sempre aperto di giorno come ad invitare la gente –fedeli e non- ad entrare in quel luogo sacro contrasta con la semplicità delle due panche di pietra collocate ai lati dell’entrata, messe apposta per far riposare i paesani dopo aver svolto le loro divine mansioni.
Nel borgo la giornata è scandita da ritmi ben precisi: il mattino ogni cosa si rianima, il paese stesso ritorna a vivere.
Il vociare delle comari è intenso e continuo, quasi una nenia, e la sera il rientro degli uomini e delle donne dai campi o da altre mansioni risveglia la vita.
Il pomeriggio, invece, il paese è uno gnomo addormentato: è un villaggio fantasma, quasi nessuno popola le sue strade, solo qualche cliente della bottega che non ha potuto andare prima a fare rifornimento vagabonda per le vie, pronto a sfidare il caldo.
E quando scende la notte, tutto ritorna calmo e silenzioso, il paese si ferma di nuovo, questa volta per riposarsi dalle fatiche quotidiane.
Si mette in pausa, premendo il pulsante invisibile del ritmo umano, per poi rinascere uguale a se stesso l’indomani.


Sebbene possa sembrare un villaggio sperduto e nelle vicinanze non esista la città come la intendiamo noi –caotica, superflua in certe sue sfumature e a volte anche monotona- , vi è una sua copia in miniatura che dista solo quattro chilometri.
La strada per raggiungerla ha un paio di curve, per il resto è lineare e si può percorrere facilmente in bicicletta o a piedi, ovviamente per chi ha fiato ed è allenato.
La città, come il paese, è circondato dalle montagne, ma ha la caratteristica di affacciarsi sul lago e il paesaggio che dalle sue sponde si scorge è straordinario: l’intera vallata -fatta di piccoli borghi disseminati qua e là per il bacino montuoso- sembra cullarsi sotto il suo sguardo vigile e materno.
Il giorno di mercato è poi un autentico spettacolo: molti sono i forestieri in cui ci si può imbattere, la gente s’incontra, si scambia saluti, sorrisi, gesti amichevoli, l’esperienza le insegna ad accaparrarsi la merce migliore.
C’è chi osserva i colori di stoffe e vestiti, chi rincorre gli aromi di cibi e profumi, altri inseguono i rumori e le voci che in un crescendo sempre più forte diventano schiamazzi un po’ fastidiosi, ma tutti si fanno accompagnare dai cinque sensi in quel viaggio settimanale.
E’ un’esperienza cui non si rinuncia mai, nemmeno quando piove o c’è la neve, le bancarelle magari si riducono, il frastuono è più attutito e lontano, ma nulla si ferma.
Non siamo in paese e, per quanto diversa dalle altre, è pur sempre una città.


Si fugge sempre da qualcosa o da qualcuno e la maggior parte delle volte non si sa nemmeno il perché.
Si vuole cambiare, si ha paura, si ha nostalgia del passato, si vuole vivere una vita che non ci appartiene.
Si sogna di notte e ci s’illude di giorno, s’immaginano realtà lontane che, a seconda dei momenti, rendono tristi o allegri.
Il tempo scivola via dalle mani, ogni giorno vorremmo fare cose su cose per provare nuove esperienze, ritagliare degli istanti solo per noi, ma le ore sono quelle che sono, nessun’incantesimo ancora ci permette di accorciare le notti.
Ci svegliamo stanchi e, a seconda di come è andata la giornata, andiamo a dormire eccitati o affranti perché tutto quello che avremmo voluto fare non si è realizzato o si è realizzato solo in parte, così attendiamo con ansia il levare del sole per portare a termine ciò che non siamo riusciti a svolgere il giorno avanti o, più semplicemente, pigri e indolenti, aspettiamo che il tempo scorra.
Lei ha scelto di andare via da tutti e da tutto perché ha voglia di trovare un luogo appartato da quello che gli altri chiamano mondo.
Per questo è scappata, vuole cercare la sua parte di prima donna nello spettacolo della vita: deve fare ordine dentro di sé, per capire cosa diventare e come fare per diventarlo così, quando tornerà, potrà finalmente rivelare tutto il suo amore.


Fuggire dalla città, da quel calore infernale che si sprigiona continuo dai pori di ogni cosa, risucchiando dal corpo qualsiasi forma di energia.
E’ una forza che ottenebra la mente, ricopre i marciapiedi e i muri dei palazzi roventi al suo passaggio, insinuandosi nel cielo di un azzurro a tratti slavato e a tratti di marmo tanto è perfetto.
E quello stesso cielo così magnificamente disegnato, si trasforma senza avvisare in un opprimente coperchio di una pentola –la città- che senza pietà intrappola sotto di sé oggetti, luoghi e persone …
Lei ricorda quel senso di appiccicaticcio sulla pelle che non l’abbandona mai, quell’umidità subdola che per quanto ci si lavi, non si riesce a sciogliere, scomponendola in tante minuscole goccioline invisibili.
La spossatezza prende il sopravvento e conquista ogni fibra, ogni muscolo, ogni tendine di lei, mentre una sonnolenza invincibile l’avvolge.


LUNEDI’ 17 LUGLIO

Sulla via principale, all’imbocco con la strada che porta verso la piazza della chiesa e il ponte che taglia in due il fiume, la forestiera entra in una casa bassa e allungata - ora adibita a bottega- dai muri di pietra e con una grande vetrata racchiusa da infissi in legno e metallo.
Il suono acuto e stridulo della campanella sospesa dietro la porta annuncia il suo arrivo.
Il negozio consiste in un’unica ampia e rettangolare stanza con quattro scaffali posti lungo le pareti e tre più oblunghi nel mezzo a formare una U, mentre una decina di gradini conducono verso il basso, nel magazzino.
In un angolo, di fianco all’ingresso, ha trovato posto un tavolo di legno screziato da numerose venature, mentre sopra è appoggiato il registratore di cassa e, nella parte retrostante, uno sgabello piuttosto alto.
Al trillo del piccolo sonaglio, la donna dietro il bancone alza la testa, abbandonando la matita con cui stava scarabocchiando su dei fogli: ha i capelli color biondo cenere raccolti in un fermaglio verde e indossa un grembiule rosso a pois con l’allacciatura sul davanti.
La forestiera accenna un sorriso e subito chiede se può dare un’occhiata in giro.
Alla risposta affermativa della donna, lei comincia ad aggirarsi per la piccola bottega, il cestino di metallo nella mano destra, la sinistra a cercare il portafogli nella borsa per paura di averlo dimenticato alla casa rossa.
Subito rassicurata dal morbido tessuto, la forestiera riprende tranquillamente il suo tour tra i ripiani colmi di cibo: la spesa è sempre stata per lei un’attività rilassante, nella sua vecchia vita era un’abitudine che conservava almeno tre volte a settimana, ma mai sceglieva il weekend, perché detestava e detesta ancora la folla, la mandria imbufalita che assale con fremente irrazionalità confezioni e scatole di ogni genere.
E poi lei ultimamente è fissata con i supermercati biologici, luoghi più intimi, dove poter girovagare con calma, senza essere spintonati o rischiare di fare folli corse per raggiungere la prima cassa disponibile.
Già, la cassa: la forestiera rivolge uno sguardo verso la donna che si è rimessa seduta sullo sgabello, quasi come nel gioco del nascondino la nuova arrivata non vuole farsi vedere, ma sa di essere vista, tanto da avvertire distintamente la presenza discreta della negoziante che la segue nel suo vagabondare per la bottega.
La forestiera abbassa gli occhi verso il cestino di metallo, fa finta di frugare tra la merce scelta come a controllare di aver preso tutto quello per cui è entrata poi, con noncuranza, si sposta verso lo scaffale congiunto con quello a U, in modo da sfuggire agli occhi della predatrice.
Ne approfitta per aggiungere alla spesa anche del cioccolato e una bottiglia di olio, ma una volta terminati i ripiani, la fortuna la abbandona, costringendola a tornare sui suoi passi, per domandare alla negoziante dove può trovare il pane, i pomodori e le pesche.
“La servo subito … “ la rassicura la donna: esce dalla sua tana dietro il bancone e si reca nelle apposite cassette dove tiene ciò che ha appena promesso alla forestiera, che annuisce con un basta così, e poi si avvicina alla cassa.
Sta per pagare, quando la bottegaia le rivolge nuovamente la parola:
“Mi scusi, è la nuova inquilina della casa rossa, vero?”
“Sì, sono arrivata ieri pomeriggio”  risponde lei, abbozzando un timido sorriso.
“Sa già quanto si fermerà?”
“Almeno un mese …” lei continua a ritirare la spesa nella borsa, senza guardare negli occhi la sua interlocutrice, mentre questa sistema il denaro nella cassa.
“Sono sicura che da noi si troverà bene! Il paese è piccolo, ci conosciamo tutti, però qui vicino c’è la città che è ben fornita … vedrà che non le mancherà nulla”
La forestiera prende le due borse cariche di cibo e, con un lieve sorriso, saluta la bottegaia, desiderosa solo di scappare da quell'interrogatorio.
Grave errore, perché ovviamente essendo umanamente dotata di due mani, da sola non può aprire la porta.
Così, mentre un guizzo di panico le attraversa il cuore, la donna dai capelli biondo cenere esce da dietro il bancone per venire in suo aiuto: prima le apre la porta d’entrata poi, appoggiandosi allo stipite con le braccia conserte, segue con lo sguardo la straniera risalire la piazza.


Per la strada di ritorno che l’avrebbe portata alla casa rossa, lei incontra qualche persona.
E’ mattina ed è normale imbattersi in della gente. Un paio di anziane signore le rivolge un saluto, sorridendo in modo melenso, mentre una piccola comitiva di bambini la guarda incuriositi, indicandola in modo poco educato.
Lei fa cenni a tutti, ma non si cura più del dovuto di risultare gentile: è la novità del paese, suscita interesse e questo le sembra normale, anche se non riesce a capire fino in fondo il loro atteggiamento: forse non sono abituati a vedere turisti? si domanda.
In città, infatti, è sempre stata addestrata a svicolare tra la gente come se fosse invisibile, nessuno la nota più di quanto non noterebbe un’altra donna monotonamente normale.
Ma dopotutto cosa le importa di quello che gli altri pensano di lei?
Le viene in mente una frase di Charlie Chaplin, che aveva letto da qualche parte in un libretto di aforismi:

Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione.
Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te.
E quello che gli altri pensano di te è problema loro

Ma il suo problema è sempre stato quello: la prima volta che aveva visto Mattia aveva subito trovato qualcosa di speciale in quel viso sbarbato ancora da bambino, nello sguardo limpido e irriverente, nei capelli scuri e spettinati e aveva desiderato che anche lui la notasse, in mezzo a quella baraonda caotica che era il parco in agosto, per nulla svuotato dalle ferie estive.
Aurora, un vestito blu con le spalline sottili, stava lottando con una fastidiosissima zanzara che la stava importunando da qualche secondo, impedendole di continuare a leggere il libro che si stava gustando, seduta su una panchina dalla vernice verde scrostata, all’ombra di un salice piangente.
Il libro le era scivolato di mano proprio nello stesso istante in cui Mattia stava passando di lì con la sua bici, diretto verso una delle numerose piccole fontane del parco.
I bermuda rossi e la maglia bianca esaltavano il fisico asciutto e da sportivo, gli occhiali da sole calati sugli occhi.
Lei recuperò il libro con la stessa lentezza proverbiale di una lumaca e se lo appoggiò distratta sulle gambe, mentre lui scendeva dalla bici e, gli occhiali sistemati in testa, portava le mani a coppa verso l’imbocco della fontana, bevendo avidi sorsi.
Poi si asciugò soddisfatto la bocca con il dorso della mano, riempì la borraccia in acciaio incastrata nell’apposito spazio del telaio e, finalmente, il suo sguardo incontrò quello di Aurora, che continuava a spiarlo di sottecchi.
Un rossore improvviso le colorò le guance, sentendosi quasi in colpa per essere stata sorpresa in flagrante: distolse subito gli occhi verdi, nello stesso istante in cui Mattia risaliva sul sellino e, con un sorriso, le passava davanti divertito:
“Ti è caduto questo … “ le fece notare, chinandosi a raccogliere il segnalibro raffigurante un gatto certosino, sfuggito da chissà quale pagina, quando ad Aurora era scivolato il libro dalle mani.
“Ah, grazie … “  borbottò, allungando una mano in direzione dell’oggetto che le stava tendendo il ragazzo.
“Figurati. Ora devo andare, altrimenti chi lo sente il mio allenatore se gli registro un record inferiore alle sue aspettative! Ci vediamo!”
“Sì … ci vediamo”
Il ciclista, un piede appoggiato a terra per mantenersi in equilibrio, si calò gli occhiali scuri e, prima dello sprint, salutò Aurora dicendole:
“Comunque io mi chiamo Mattia”
Ed è così che, grazie al segnalibro, Aurora conobbe Mattia, ma non ebbe il tempo di rivelargli quale fosse il suo nome, piacevolmente stordita e sorpresa da quella figura che si allontanava sempre di più.


NOTA DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Spero che questo primo capitolo sia stato di vostro gradimento!
Questo è un racconto a cui tengo moltissimo, per cui mi auguro con tutto il cuore che vogliate lasciarmi un vostro piccolo pensiero sul racconto: consigli, critiche, anche apprezzamenti sono graditissimi!
La prima parte del capitolo è stata piuttosto riflessiva, ditemi se vi ha annoiato, però la reputo fondamentale per presentarvi il paese e i tormenti interiori di Aurora che scopriremo andando avanti!
Bene, chissà se vi ho fatto compagnia, ne sarei felice se fosse così!
A presto!
   
 
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