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Autore: mikchan    27/06/2015    0 recensioni
[NON COMPLETA] La ginnastica artistica è sempre stata la più grande passione di Chiara. Non c'era niente di meglio che qualche giro sulle parallele o un salto al volteggio per rendere migliore la giornata.
Ma nel momento in cui questa possibilità le viene tolta, Chiara si ritroverà catapultata nella vita di una qualunque adolescente, tra scuola, libri, amicizie e primi amori. I problemi quotidiani sembrano molto più grandi se vissuti dall'interno e Chiara dovrà imparare ad affrontarli con coraggio e tenacia.
E chissà che, forse, non trovi anche il ragazzo che le faccia battere forte il cuore.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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4- SAPORE DI MIELE



"Ehi, Chiara! Pomeriggio ti va di andare a fare un giro?".
Mi voltai verso Carlo, sorridendo mentre prendevo la mia merenda dalla macchinetta. "Mi dispiace, ma non posso".
"Dai", insistette lui, "È bel tempo oggi e non ho voglia di tornare a casa subito", mi pregò, esibendo una discutibile faccia da cucciolo bastonato.
"Ho già un impegno, davvero. Ho il treno alle due e mezza, subito dopo scuola", gli spiegai, mentre ci incamminavamo verso le nostre classi.
"Perfetto, ti accompagno in macchina!", esclamò lui e, senza lasciarmi nemmeno il tempo di rispondere, mi salutò e raggiunse alcuni suoi amici.
Sospirando, tornai in classe e mi sedetti al mio posto. "Il paradiso non è più così rosa?", mi prese in giro Greta, seduta al mio fianco.
Le lanciai un'occhiataccia. "Scema", sbottai. "È che Carlo...".
"Oh, Carlo!", esclamò lei, ridendo.
"State davvero bene, insieme", aggiunse Elisa sorridendomi dolce.
"Non stiamo insieme", borbottai ricordandomi la discussione del giorno precedente con i miei genitori. Ma perché cavolo tutti vedevano cose che non c'erano? Io e Carlo eravamo amici e ci comportavamo da tali, non capivo davvero perché la gente continuasse a ricamarci sopra.
"Sì, certo, per ora", mi zittì Greta. "Quindi che fate oggi? Altra sessione intensiva di studio?", mi chiese maliziosa.
Ignorai la sua battutaccia e sbuffai. "No, ho appuntamento dal fisioterapista", risposi lanciandole un'occhiata eloquente.
"Oh", si limitò a rispondere lei.
"Già, oh. Ma Carlo ha deciso che vuole andare a fare un giro con me senza nemmeno ascoltarmi. Lo picchierei quando si comporta così".
"Un appuntamento?", esclamò Elisa spalancando gli occhi luccicanti.
Sbuffai. "Non è un appuntamento perché non stiamo insieme. E soprattutto perché non usciremo insieme".
"Vai a parlargli", mi disse ovvia Greta.
"Sì, come se non ci avessi provato. Dopo lo tartasserò anche di messaggi, ma se ho capito qualcosa di Carlo è che ama decidere al posto degli altri. Imbecille", borbottai incrociando le braccia al petto.
Greta ed Elisa ridacchiarono, non convinte delle mie parole o, più precisamente, della faccenda dell'appuntamento. Avrei preso a sberle anche loro, se solo non fossimo state a scuola e se non fosse stato un gesto tremendamente infantile.
Sbuffai nuovamente, nervosa, mentre la campanella che segnava la fine dell'intervallo suonava. Sicuramente tutta quella tensione era dovuta al mio appuntamento per quel pomeriggio, ma decisamente anche alla sindrome premestruale che mi avvisava che in un paio di giorni mi sarei ritrovata a volermi strappare le ovaie a morsi. Di bene in meglio, insomma.
Come avevo detto alle mie amiche, che non avevano smesso un attimo di fare stupide allusioni e battutine, riempii Carlo di messaggi, ma alle due, quando suonò la fine delle lezioni, lui non ne aveva visualizzato nemmeno uno.
Mentre uscivamo dalla scuola lo vidi appoggiato al cancello, come tutti i giorni, con alcuni amici. Mi fece segno di raggiungerlo ma lo ignorai volutamente, decisa a non rivolgergli più la parola, o i messaggi, fino a quando non mi avesse chiesto scusa. Per cosa, esattamente, non avrei saputo dirlo: mi ero arrabbiata perché mi aveva incluso nei suoi piani senza nemmeno chiedermelo e, per giunta, aveva ignorato le mie richieste di una spiegazione. Forse era un po' stupido reagire in quel modo, ma non avevo alcuna intenzione di farmi comandare a bacchetta da nessuno, e nemmeno di farmi dare ordini da un cretino patentato.
Il cretino patentato in questione stava letteralmente strillando il mio nome per tutto il piazzale della scuola e, considerata la discreta fama che la ginnastica mi aveva attribuito e il fatto che ormai tutti sapessero chi fossi, ogni persona al mio fianco si voltò verso di me, guardandomi divertita.
Io continuai imperterrita a camminare, con lo sguardo alto davanti a me e le gote in fiamme. Stupido cretino patentato.
Non riuscii a fare però un altro passo verso la salvezza, ovvero il mio pulman, che mi sentii afferrare per la spalla e girare come se fossi una trottola senza volontà. Mi trovai davanti gli occhi neri di Carlo e il suo volto corrucciato, ma non mi lasciai ingannare.
"Devo andare", dissi tagliente.
"Ti avevo detto che ti avrei accompagnato io", ribatté lui, prendendo un grosso respiro. Era ancora più carino così, mi ritrovai a pensare, con gli occhi lucidi e i capelli scopigliati dalla corsa. Mi lasciai incantare per un attimo e lui continuò a parlare. "È successo qualcosa?", mi chiese quindi.
Alzai un sopracciglio. "Se non avessi ignorato i miei messaggi lo sapresti", sbottai.
"Mi è morto il telefono", disse semplicemente, tirandolo fuori dalla tasca e mostrandomelo spento. "Non l'ho messo in carica stanotte", commentò alzando le spalle.
"Devo comunque andare", ripetei. "Ho un treno da prendere".
"Ti porto io", ribatté lui, sicuro.
Incrociai le braccia al petto. "Potresti almeno chiedermelo, ti pare?", sbottai.
Lui rimase un attimo spiazzato. "Sì, beh, io ho dato...".
"Hai dato per scontato che avrei accettato", continuai per lui, interrompendolo. "Già", dissi solo, guarandolo ovvio.
"Merda", borbottò tra se, passandosi una mano tra i capelli. "Sono uno scemo".
"Stupido idiota patentato".
"Ehi", esclamò lui, sorpreso.
Lo guardai un attimo poi scoppiai a ridere. Carlo mi seguì a ruota, scuotendo poi la testa. "Scusa, Chiara. Accetti un mio passaggio?".
"In realtà", mormorai abbassando lo sguardo. Non mi vergognavo a dire che avevo bisogno di un fisioterapista, anche perché non ce ne era affatto motivo, ma ero restia a confessarlo a Carlo, principalmente per quella stupida convinzione che lui rappresentasse il mio nuovo mondo e non volevo mischiarlo con quello vecchio. Mi bastò però alzare gli occhi nei suoi per capire che era stupido pensarla in quel modo, perché la mia vita era una sola e la ginnastica ne avrebbe sempre fatto parte. "Ho un appuntamento con il fisioterapista", ammisi. "Per il ginocchio".
Lui si limitò ad annuire, senza guardarmi con quella pietà o quella compassione che riempiva lo sguardo di tutti quelli a cui accennavo quell'argomento. "Okay. Allora ti accompagno e poi ti aspetto, così andiamo a prenderci una cioccolata", mi propose, allungando la mano.
Io lo guardai incerta. Le mie sedute non erano sempre semplici e mi era spesso capitato di tornare a casa con il cuore pesante e gli occhi gonfi di lacrime e non volevo che Carlo mi vedesse così. Poi, sempre per un'illuminazione divina, mi resi conto che Carlo era proprio ciò di cui avevo bisogno per non cadere in quel baratro. Mi serviva sapere che la mia esistenza si stava allargando anche ad altri orizzonti ed era bello accorgersi quanto potessi rendere felice qualcuno anche solo con poche parole. Fino a poco tempo prima mi ero convinta che non sapevo fare molto altro, esclusa la ginnastica, ma riuscire a condurre una vita normale era diventato quel traguardo che forse mi avrebbe aiutata ad andare avanti e iniziare a vivere di nuovo.
Per questo accettai la sua mano con un sorriso, seguendolo poi verso la sua macchina. Per la prima volta, mi lasciai trasportare dalle mie sensazioni e mi resi conto di quanto fosse bello tenere stretta una mano così, semplicemente. Carlo aveva le dita lunghe e forti e avvolgevano le mie completamente, infondendomi una sensazione di calore e benessere. Sentii una scarica attraversarmi la schiena quando pensai ad altri usi che avrebbero reso giustizia a quelle dita ed avvampai, sorpresa da me stessa. Da quando facevo pensieri simili? Decisamente era l'influenza di Greta e delle sue confessioni e decisi che non le avrei più permesso di raccontarmi in quel modo le sue avventure con Lorenzo.
La maggior parte del viaggio in macchina fu silenzioso, ma non era quel silenzio pesante dato dall'imbarazzo. Eravamo semplicemente consci entrambi che le parole erano inutili e che significava molto di più la mia mano, ancora stretta nella sua, fissa sulla leva del cambio. Gli diedi le indicazioni per raggiungere l'ambulatorio e poi continuammo a fluttuare in quell'atmosfera tranquilla e pacifica.
Quando Carlo fermò la macchina nel parcheggio, istintivamente, lo invitai a salire con me, soprattutto per non lasciarlo da solo in macchina. Almeno, quello era ciò di cui mi convinsi.
Salutai Enrica, la donna all'accettazione e, sempre con le dita strette nelle sue, gli feci strada fino alla sala d'aspetto, dove mi sedetti, in attesa del mio turno. Carlo iniziò a muovere lentamente il pollice e, mentre lo guardavo ipnotizzata disegnare immagini senza senso sulla mia pelle, pensai che avrei voluto stringere quella mano per sempre.
"Quanto dobbiamo aspettare?", mi chiese.
Alzai le spalle. "In teoria sono la prossima, quindi non molto".
Lui annuì, pensieroso. "Mi aiuti con i compiti di inglese, allora?", mi propose.
"Certo!", acconsentii allegra.
Lui estrasse il libro dalla cartella e sentii come un senso di mancanza quando sciolse le nostre dita per prendere l'astuccio e la matita. Ma non dovetti aspettare molto, perché appoggiò il libro sulle sue gambe e, dopo averlo aperto alla pagina giusta, mi riafferrò la mano, lanciandomi un piccolo sorriso.
Io avevo il cuore che batteva all'impazzata e faticai a concentrarmi sulle sue frasi da completare, completamente persa nella sua stretta calda e rassicurante.
Poco dopo il dottor Calvani uscì dal suo studio e, di nuovo, dovetti lasciare la mano di Carlo. Lui mi guardò, sempre con quel sorriso dolce dipinto sulle labbra, ed entrai in quella piccola stanzina con la testa tra le nuvole e il cuore leggero. Mi sentivo come se potessi volare.
Il dottor Calvani, Giorgio per gli amici o per i pazienti di lunga data come me, mi guardò divertito, ma non disse nulla. Mi chiese del mio ginocchio e di altre cose che feci fatica a capire, con tutte quelle nuvole rosa intorno al mio cervello. Mancava solo l'unicorno bianco che cavalcava su un arcobaleno e sarei stata completamente fregata.
Come avevo immaginato, la presenza di Carlo nella stanza accanto e l'effetto che aveva su di me, mi aiutarono ad affrontare la visita in modo più tranquillo. Non ero spaventata, soprattutto perché sapevo che ormai ero quasi del tutto guarita, ma non potei fare a meno di irrigidirmi quando mi accennò a quella maledetta proposta.
"Non l'ho detto a nessuno", gli rivelai a voce bassa, mentre mi rivestivo.
Lui mi guardò comprensivo. "Capisco cosa provi, Chiara, ma dovresti provare a darti una possibilità".
"Io non ho più possibilità", dissi veloce e dura. Ed era vero, alla fine. La ginnastica professionale era ormai un mondo a porte chiuse, per me. Che senso aveva continuare a sperare di poterci entrare?
"Invece sì, e lo sai", ribatté lui, sospirando. "Ma è una scelta tua, ovviamente. Potresti parlarne con qualcuno di esterno a tutta questa faccenda. Quel ragazzo la fuori, ad esempio", aggiunse con un piccolo sorriso.
"Non sono pronta", mormorai, chiedendomi per un attimo se fosse vero o se stessi solo cercando di convincermene.
Lo guardai annuire, seriamente, mentre scriveva qualcosa a computer. Poi sentii la stampante accendersi. "Metti questa pomata quando ti fa male, ma cerca di non abusarne. Devi riabituare il ginocchio agli sforzi ed è normale che se fai qualcosa di eccessivo all'improvviso diventi un po' dolorante. L'importante, Chiara, è non pretendere troppo, lo sai".
"Sì", risposi solo, prendendo la ricetta dalle sue mani. "Grazie mille dottore", lo salutai poi.
"A presto, Chiara. E pensaci", mi ripeté prima che uscissi dalla porta.
Già, pensarci. Come se non avessi fatto altro negli ultimi mesi. Continuavo a ripetermi che forse era troppo presto, ma in realtà avevo solo paura. Una fottutissima, tremenda paura.
Ogni brutto pensiero, però, scomparve quando incontrai la figura di Carlo. Aveva riposto il manuale di inglese e ora teneva in mano un libro, in cui sembrava completamente immerso. Lo raggiunsi lentamente, memorizzando ogni dettaglio del suo volto così concentrato. Le sopracciglia arcuate sopra gli occhi scuri, i denti bianchi che mordicchiavano il labbro e i capelli che gli ricadevano sulla fronte. Perché all'improvviso mi sembrava di essere di fronte ad un angelo?
Mi tornarono in mente le parole del dottore ma scossi in fretta la testa per cancellarle. Ora volevo solo sorridere. Per questo mi sedetti di nuovo vicino a Carlo, che alzò una mano per avvertirmi di non interrompere subito la sua lettura. Finì probabilmente un paragrafo e poi alzò la testa, sorridendomi. "Finito?", mi chiese.
Annuii. "Cosa stai leggendo?", gli chiesi curiosa.
"Oh, una stupidata. Adoro i fantasy", si giustificò, mostrandomi la copertina.
"Hyperversum", lessi. "È bello?".
"Dipende. Ti piacciono i videogiochi e la storia?".
"I videogiochi non molto, lo ammetto; la storia sì".
"E allora potrebbe interessarti", disse chiudendolo e infilandolo nello zaino. "Te lo presterò", aggiunse.
"Credo che dovrà mettersi in lista con tutti gli altri libri che ho sempre voluto leggere ma che non ho mai avuto il tempo di aprire. Ora di tempo ne ho un sacco in più, quindi credo che ne approfitterò", dissi ridacchiando.
"Allora ti consiglio un paio di titoli", disse alzandosi e porgendomi la mano. "Cioccolata?", mi chiese poi.
Il mio sorriso si allargò e mi affrettai ad alzarmi, stringendo poi la mano nella sua. Il mio cuore perse un battito, poi continuò a battere tranquillo. Mi piaceva la sensazione che il suo tocco mi infondeva, forse perché era stranamente e terribilmente simile a quella che avevo provato la prima volta che avevo toccato le parallele quando ero bambina.
Carlo guidò verso il centro e questa volta riempimmo il silenzio parlando di libri. Ero contenta di aver trovato una passione in comune e soprattutto che Carlo non fosse uno di quei ragazzi che avevano paura di prendere fuoco soltanto a leggere qualche parola. Lo guardai incantata mentre mi raccontava la trama del libro che stava leggendo e, mentre parlava di videogiochi e viaggi nel medioevo, mi accorsi di quanto le sue labbra sottili e rosa fossero belle.
Avrei voluto baciarle.
Trasalii a quel pensiero, arrossendo. Cavolo, ma cosa mi stava succedendo? Mi sentivo una ragazzina stupida, ma non potevo fare a meno di sorridere davanti all'evidenza che mi stavo davvero prendendo una bella cotta per Carlo. E, decisamente, non era una cosa che mi dispiaceva.
Carlo parcheggiò vicino al bar e camminammo fianco a fianco, con le mani strette l'una nell'altra, continuando a parlare. Entrammo e ci sedemmo ad un tavolino appartato, ordinando subito due cioccolate calde con panna, il rimedio perfetto per il freddo di inizio novembre.
La nostra discussione si spostò sui film, sugli attori, sui posti nel mondo che avremmo voluto visitare. Eravamo immersi in una bolla, completamente isolati dal mondo, ma incapaci di smettere di sorridere. Era, almeno per me, una sensazione nuova e bellissima.
Non mi ero mai sentita così a mio agio con una persona che non fosse Greta o Vera e mi batteva forte il cuore al pensiero che anche Carlo apprezzava la mia presenza. Insomma, non ero mai stata eccessivamente bella, ero ordinaria, normale, una qualunque ragazza italiana. Ma davanti agli occhi di Carlo mi sentivo improvvisamente nuova e stupenda, a posto con me stessa e con il mondo.
Quasi non ci accorgemmo del tempo che era passato e fu il telefono che all'improvviso mi suonò in tasca che fece scoppiare la nostra bolla. Scoppiammo a ridere, mentre rispondevo velocemente a mia madre. Erano quasi le sette di sera e non mi ero fatta sentire per tutto il pomeriggio. Conoscevo abbastanza mia madre per sapere che dopo la ramanzina, avrebbe preteso di conoscere ogni dettaglio della mia uscita con Carlo e non volevo tornare a casa.
Ma proprio Carlo mi costrinse ad alzarmi, ricordandomi che la cena era l'unico momento in cui una famiglia si poteva riunire e parlare della giornata appena trascorsa. Mi stupii del tono con cui pronunciò quelle parole, così sincero e profondo, e pensai che dovesse avere una famiglia davvero fantastica


per anelare in quel modo il momento della cena.
Carlo mi accompagnò a casa e si fermò davanti al mio cancello, sorridendomi. "Ci vediamo domani", mi salutò, mentre frugava nella tasca della giacca e ne estraeva un paio di caramelle. "Vuoi una?", mi chiese prima che scendessi.
Io scossi la testa e mi incantai a guardarlo mentre la scartava e se la infilava in bocca.
"Carlo", lo chiamai, schiarendomi la voce. "Senti, ma quello di oggi è stato un...".
"Appuntamento?", concluse lui, ponendo la domanda che mi era ronzata in testa tutto il pomeriggio. Lui alzò le spalle. "Per me sì", ammise.
"Anche per me", mormorai, non riuscendo a trattenere un sorriso.Carlo strinse la mia mano, che aveva passato tutto il viaggio sotto la sua, sulla leva del cambio, e si avvicinò al mio volto. Avevo capito cosa volesse fare, ma smisi di farmi domande quando incontrai i suoi occhi. Chiusi i miei e spensi il cervello, facendo incontrare le nostre labbra.
Fu un bacio delicato e dolce e quando incontrai la sua lingua con la mia sentii il sapore del miele esplodermi in testa.
Se mi avessero chiesto una parola con cui descrivere quel bacio, credo che sarebbe stata quella. Miele. Come la caramella che aveva mangiato poco prima.
Non lo avevo mai adorato particolarmente, ma da quel momento divenne ciò che caratterizzava Carlo.
Dolce e deciso.
Un bacio al sapore del miele. 

Salve a tutti, popolo di EFP.
Mi scuso enormemente per il ritardo, ma queste ultime settimane sono state un inferno con la maturità e non sono riuscita a riprendere in mano seriamente la storia.
Ora sono finalmente tornata con il quarto capitolo e da oggi spero di essere più puntuale negli aggiornamenti.
Vorrei fare qui una precisazione sulla base della recensione di Amahy: mi rendo conto che molte scene sembrano banali e noiose, viste e riviste e che forse il personaggio di Carlo può apparire come il solito ragazzo trito e ritrito delle storie d'amore. La verità è che il mio intento non è raccontare una storia straordinaria, ma una normale e quotidiana storia d'amore, quindi gli avvenimenti, così come Carlo, sono ordinari, qualcosa che esiste nella vita reale che è, a conti fatti, la storia più rivista di questo mondo.
Insomma, vi prego di dare una possibilità a Carlo, che nella sua normalità ha molto da offrire o, almeno, spero di farvi percepire tutto il suo potenziale.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ci rivediamo settimana prossima, speriamo!
A presto e grazie a tutti
mikchan
  
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