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Autore: francoise14    28/06/2015    7 recensioni
Novembre 1945. Il giovane Lele è quasi giunto alla fine del suo viaggio: dopo la guerra e i duri anni di prigionia, si avvicina il momento del ritorno a casa. Sotto gli occhi di questo giovane dalla vita spezzata, le macerie di un'Italia ferita come la sua anima; e nel cuore solo lei, Anna.
Ispirato a una storia vera.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Nemesi
 
Lele aprì faticosamente gli occhi, cercando di abituarsi alla luce che filtrava dalle finestre attraverso le improbabili tendine a fiori appese ai vetri. Il suo sguardo vagò per la stanza, mentre cercava di mettere a fuoco lo scarso mobilio che l'arredava: una sedia impagliata, addossato al muro un tavolo che aveva conosciuto giorni migliori e, accanto al letto, un piccolo comodino col ripiano in marmo, unico pezzo di un certo valore insieme al letto in ferro battuto.
 Il giovane si passò una mano sulla fronte per tergersi il sudore... ancora quell'incubo, quel maledetto, solito incubo. Lui che annaspava nella nebbia, inseguito dai suoi aguzzini, i cani che gli azzannavano le gambe, e poi quel dolore opprimente al petto. Un colpo di tosse scosse il corpo di Lele. Purtroppo ne conosceva già il significato: troppi suoi compagni di prigionia erano morti per quel male oscuro e subdolo, quel mal sottile che consumava inesorabilmente i corpi e che, nelle precarie condizioni di vita del campo, era risultato il più delle volte fatale.... Probabilmente, una volta tornato a casa, sarebbe dovuto ripartire subito per il sanatorio, ma ora aveva altro a cui pensare.
Constatò, stizzito, che paradossalmente aveva iniziato ad essere tormentato da quelle immagini subito dopo la sua partenza dal campo. Le notti durante la prigionia, invece, erano state popolate dagli struggenti ricordi delle persone care e dai ricorrenti sogni che lo riportavano ora davanti al focolare, mentre parlava con sua madre, ora nel fiume a schizzarsi con le sue sorelle, ora tra le rassicuranti colline della sua terra, quelle colline verdi dai dolci pendii che gli ricordavano tanto il profilo dei seni di Anna, celati dal vestito verde della festa.
Sorrise Lele a quel ricordo e si tirò su dal letto, per scenderne quasi di scatto, come se avesse ritrovato di colpo tutte le sue energie. Si avvicinò al catino pieno d'acqua che la proprietaria della modesta pensione gli aveva portato in camera la sera prima e si lavò il viso, asciugandosi con un telo di lino. Ruvido, ma pulito... un lusso rispetto a quello che aveva vissuto negli ultimi anni. Un lusso che però gli costava caro: da quando era stato costretto a proseguire a piedi, era la terza locanda in cui si fermava e i soldi di Giovanni diminuivano sempre di più. Ma ormai era arrivato... il giovane si rivestì rapidamente e scese le scale. Ancora poche ore e l'avrebbe rivista, ancora poche ore e avrebbe di nuovo odorato il profumo della sua pelle e si sarebbe di nuovo specchiato nel miele dorato dei suoi occhi. Un fremito lo percorse, prima di pagare il dovuto e uscire in tutta fretta dall'edificio.
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Lele camminò per tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, fermandosi appena pochi minuti per mangiare un poco di pane che gli era avanzato dalla sera prima. Si ritrovò a pensare, ironicamente, che l'unico aspetto positivo della prigionia, se così lo si poteva definire, era stato quello di abituarsi a vivere con poco, cibo compreso. Ancora faticava a completare un pasto, subito dopo si sentiva gonfio e dolorante come se avesse partecipato a un banchetto di nozze.
Sorrise di nuovo, Lele; quel giorno era tutta la sua anima a sorridere, illuminata dalla certezza dell'incontro imminente: con Anna, ma anche con la sua numerosa e allegra famiglia. Non era sicuro, in realtà, che quell'allegria fosse sopravvissuta alla guerra, né che i suoi due fratelli più grandi fossero ancora vivi, tuttavia era dolce perdersi nella speranza di ritrovare quel piccolo mondo perfetto che aveva dovuto abbandonare a malincuore diversi anni prima.

Aveva scelto di lasciare la strada maestra e di proseguire lungo il vecchio tracciato ferroviario, (desolatamente distrutto in più punti dai bombardamenti), che costeggiava il fiume fra gli alberi del bosco. Probabilmente non sarebbe stato più ricostruito, si ritrovò a pensare il giovane, ma in quel momento la sua unica preoccupazione era arrivare a casa prima del tramonto, non c'era più traccia in lui dell'amarezza e delle cupe riflessioni dei giorni passati. Gli sembrava che quella fosse una giornata splendida: nonostante i primi freddi, il cielo era azzurro e terso, il tepore del sole gli scaldava le membra e negli occhi aveva i colori caldi delle foglie d'autunno. Quando riprese la strada imbrecciata, il suo sguardo si posò sui tetti scuri del piccolo borgo che si facevano sempre più vicini, sui monti che sovrastavano la piana e, soprattutto, cercò le antiche e bianche mura della Città di Pietra, troppo lontane però per essere avvistate da lì, i cui palazzi si stagliavano sulle pendici del Colle Eletto.
 Lele gioì: era arrivato. Accelerando il passo, tagliò per i campi e quando ritornò sulla stradina, proseguì lungo la discesa. Davanti a sé, le colline... Lele sorrise per l'ennesima volta, non gli era mai sembrato così bello il contrasto tra la terra lavorata e l'arancio e il rosso della macchia circostante.
Sta a vedere che a forza di stare col Professore, son diventato poeta anch'io!, si ritrovò a pensare.
Gli erano rimasti pochi spiccioli in tasca, ma bastavano per prendere le sigarette. Non per sé, ovviamente, data la malattia, ma per suo padre e i suoi fratelli... e per Anna, con cui tante volte si erano nascosti per consumare baci e cicche.
Lo spaccio sorgeva al pianoterra della casa posta alla sinistra della strada, quasi alla fine della discesa. Lele si avvicinò alla porta e, trovandola aperta, scansò la tenda di stoffa che ne celava l'ingresso ed entrò. Fu in quel momento che udì una risata argentina tanto familiare... e il suo cuore perse un battito, quando all'interno dello spaccio, lo accolsero un sorriso gentile e due inconfondibili occhi color miele.
"Desidera?" domandò la giovane donna dai capelli ramati, un poco incuriosita dal forestiero.
Lele ammutolì, non riusciva a trovare le parole di fronte all'oggetto del suo amore, alla donna della sua vita, improvvisamente materializzatasi dietro il bancone. Evidentemente ora lavorava lì come commessa, constatò rapidamente... però non l'aveva riconosciuto.
"Va tutto bene, signore? " chiedeva a quel punto la ragazza, intimidita dal silenzio di quello strano giovanotto e, soprattutto, dai suoi febbricitanti occhi grigi che sembravano toccarle l'anima.

"C'è qualcosa che non va, Anna?" fece allora una voce maschile e dal retrobottega comparve un giovane alto e dinoccolato, dai corti capelli castani e gli occhi di ghiaccio. Lele fece uno sforzo di memoria, realizzando che doveva essere per forza quel moccioso di Antonio Contini, il figlio dei proprietari. Aveva sempre provato una sana e istintiva antipatia per quel ragazzino viziato, coetaneo di Anna, che alle feste si dava tante arie di fronte a lui e ai suoi amici. E l'antipatia si era rafforzata alla sua partenza, perché grazie alla sua più giovane età, il Contini in guerra non era stato chiamato...
Lele, infastidito da quell'intromissione, stava per replicare qualcosa quando, ad un tratto, un semplice quanto spontaneo gesto del ragazzo lo colpì come una frustata: Antonio Contini aveva cinto con un braccio la vita sottile di Anna... della sua Anna. 
Lele annaspò... il suo sguardo si abbassò sulla mano di lei e fu allora che si sentì mancare la terra sotto i piedi: sull'anulare sinistro di Anna, al posto della fede d'acciaio, faceva bella mostra di sé il vecchio anello di famiglia dei Contini, che Lele tante volte aveva notato sul dito della madre di Antonio... un anello di dubbio gusto, sormontato da una rosa in corallo tutt'altro che delicata, ma dall'inequivocabile significato.
"Si sente bene, signore?" ripeté attonita Anna... e solo in quel momento notò la piccola treccia di capelli annodata sul dito dell'uomo. La ragazza impietrì, come se avesse visto un fantasma... e di fronte a quegli occhi sgranati, di fronte a quel pallore colpevole che improvvisamente l'aveva colta, Lele si voltò di scatto e uscì.
Sentì la voce spezzata di lei chiamare il suo nome, scongiurarlo di aspettare, ma il giovane non si fermò: corse via ricacciando indietro le lacrime, perché un uomo non piange, Lele... ma appena fu abbastanza lontano per non essere raggiunto, un conato lo assalì e ricacciò anche l'anima.
Aveva vissuto in quegli anni solo per lei, per lei aveva lottato e affrontato un viaggio lungo e pericoloso, per lei aveva lasciato Giovanni a Milano senza neanche fare una sosta... e per lei aveva rinunciato a Julia, trattandola come la peggiore delle donne, quando la giovane aveva rischiato la sua stessa vita per lui, senza chiedere niente in cambio, tranne forse un po' d'amore. Tutto solo ed esclusivamente per lei, Anna... Anna che aveva promesso, Anna che non l'aveva aspettato. E come dolorosa rivelazione, una parola gli affiorò sulle labbra: Nemesi. Era stato Giovanni, un giorno, a spiegargliene il significato, parlando di come la Storia, prima o poi, presenti il suo conto.
Era la sua giusta punizione, quindi? O solo un assurda beffa del Destino? Per un istante rivide lo sguardo azzurro e lucido di Julia... e si sentì di nuovo colpevole al pensiero di averla fatta soffrire per inseguire una chimera.
Si rialzò, Lele. Il cielo continuava ad essere azzurro, il sole a splendere... ma la sua anima non rideva più. Lo colse l'impulso di abbandonare tutto, di scappare via da quella terra tanto amata perché c'era Anna ad aspettarlo... ma per andare dove? Da Giovanni, che era tornato alla sua vita? Da Julia, che aveva ferito in modo tanto crudele? No, non poteva.
Il giovane inspirò profondamente. Non era tornato solo per Anna: era tornato perché quello era il posto che l'aveva visto nascere, era il luogo per cui aveva combattuto... era la terra della sua famiglia. Era tornato perché quella era la sua casa.
Senza accorgersene, era arrivato sulle rive del fiume, in realtà poco più di un ruscello, che separava la strada dai campi, vicino alla piccola edicola in pietra con l'immagine della Vergine. Lele la guardò distrattamente, non era mai stato particolarmente credente, però rivolse ugualmente una muta preghiera di ringraziamento: era arrivato.
Con un gesto deciso si sfilò la treccina dal dito e la gettò nell'acqua: ormai non gli serviva più. Si rendeva conto che il dolore di quel momento non era niente rispetto a quello che aveva passato; un giorno avrebbe dimenticato, chissà, forse anche perdonato... ma non adesso.
Attraversò a piedi il fiumiciattolo, ignorando l'acqua gelida che gli entrava dalle scarpe ormai sfondate e... fu allora che lo vide: un uomo sulla sessantina in mezzo al campo, con la vanga in mano. Il volto di Lele s'illuminò, mentre il cuore gli iniziava a battere furiosamente nel petto.
Iniziò a correre verso di lui, mentre l'uomo interrompeva il suo lavoro e guardava attonito quello sconosciuto sbracciarsi e chiamarlo "babbo" .
Lele si fermò ansante solo quando gli fu davanti, e i suoi occhi grigi si posarono sul volto incredulo dell'uomo, segnato dal sole e dalla fatica.
"Chi sei? Cosa vuoi?" gli domandò sospettoso l'uomo.
"Babbo, ma non mi riconoscete?" si meravigliò il povero Lele.
L'uomo osservò meglio quel giovane forestiero dai capelli cortissimi e dal viso triste, che indossava un cappotto troppo grande per lui. Sembrava uno spaventapasseri, ma quella voce... quegli occhi...
"Ma che sei Lele?" domandò con la voce rotta dall'emozione.
"Sì, babbo, sono io! Sono Lele!" balbettò il giovane con le lacrime agli occhi, e gli si buttò fra le braccia.
Il padre lo strinse a sé come non aveva mai fatto, e per la prima volta in vita sua pianse. Pianse di gioia per quel figlio che aveva creduto morto e che era tornato, pianse di dolore per le sofferenze e gli stenti che doveva aver patito... il suo Lele, così bello e forte, ridotto ad uno scricciolo, ad un mucchietto d'ossa. Pianse il buon Salvatore, asciugando poi i suoi occhi e quelli del figlio con il tocco ruvido ma delicato della sua grande mano callosa. Mano di contadino, ma mai carezza fu più dolce per il cuore di Lele.
Commossi si staccarono e Lele lo guardò... c'era una muta domanda nei suoi occhi, che non aveva tuttavia il coraggio di pronunciare.
Il padre sorrise e gli posò un braccio sulle spalle esili.
"Andiamo a casa, figlio mio. Stanno tutti bene, mancavi solo tu".  
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N.d.A. E qui finisce il viaggio di Lele, che, ammetto mi mancherà un po'. Forse il finale avrà deluso qualcuno, ma ci tenevo a concludere questa storia con l'episodio, reale, dell'incontro con il padre, perché è stato proprio questo episodio ad ispirarmi. "Lele" è vissuto veramente e questo è un piccolo omaggio alla sua memoria, alle sue pene: perché il vero Lele è stato davvero nei campi di concentramento, aveva davvero un'Anna ad aspettarlo (con gli esiti che ora sappiamo) e una "Julia" che aveva rifiutato...
Per chi fosse curioso di conoscere il seguito, nella realtà Lele si sposò con un'altra donna, ma non ebbe figli; Anna si sposò col "Contini" e purtroppo per Lele divenne una di famiglia, in quanto sorella della cognata di Lele (la moglie del fratello Giuseppe). Quello che si dice i casi della vita...
Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito, silenziosi e non, in particolare la mia amica Arianna e le mie "supporters" Alga, SabrinaSala, Lucy71 ed Emerald77. Dedicato a tutte voi!
 
 
 
 
   
 
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