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Autore: Christa Mason    29/06/2015    0 recensioni
Julian Casablancas è uno studente del Le Rosey e fa tremendamente freddo quando incontra Gil.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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  É successo tutto in fretta. Jules con i suoi occhi vitrei e un corpo che affondava nella neve dirigendosi verso il ristorante della stazione sciistica, affondava stanco come io adesso affondo nel mio letto, nelle nostre bianche lenzuola illuminate dal sole. 
  L’avevano portato via. L’ambulanza non sarebbe mai arrivata alla stazione sciistica, così ci invase il vento provocato dall’elica di un elicottero: un elicottero l’avrebbe portato in ospedale. Sembrava  proprio di vivere in uno di quei film, uno di quelli con i finali in tragedia. Un uomo mi ha preso per un braccio, non con la dolcezza consolatoria di chi avrebbe dovuto dirmi Andrà tutto bene, ma con la prepotenza di chi conosce bene quei ricchi ubriaconi figli di papà del Le Rosey. 
  “Hai un numero di un parente, qualcuno da chiamare?” mi chiedeva quell’uomo, distinto nel vociare affollato che si accumulato fuori dal ristorante. Vedevo Julian sparire su un elicottero e quell’uomo mi parlava, come se potessi ascoltarlo veramente. Portava la rossa divisa dei paramedici che lo faceva sembrare un serial killer nella neve, di un rosso così rosso che mi feriva come fosse stato sangue di Julian. 
  “Io non lo so.” dicevo esasperata. “Si chiama Julian Casablancas. É tutto quello che so.”
  É tutto quello che so. Queste mie parole mi feriscono e mi torturano. Cerco di abbandonarmi al sonno, sperando che lo svenimento di Julian non sia niente di grave, ma le ore passano ed è sempre più difficile. Mi chiamerà, so che lo farà, sarà la prima cosa che farà quando si sarà svegliato. Non si è svegliato ancora, evidentemente. Alzo lo sguardo verso la finestra, incrocio una bottiglietta da minibar sul comodino. Poche dita di scotch che Julian mi aveva regalato la prima volta che c’eravamo mai parlati, quella volta in cui Gary Simmons era riuscito a non morire congelato, grazie a Julian. Sembra passato tanto di quel tempo, tempo che abbiamo passato a sfiorarci il naso e a sorriderci, tempo che sembra essere stato solo una delle più dolci fantasie, perchè di Julian Casablancas non saprei cosa raccontare, se non che lo amo. É tutto quello che so. 
  Un clacson risuona fastidioso nel silenzioso quartiere delle case popolari. Non c’è mai traffico qui, eppure c’è qualcuno che sembra aver da ridire. Ancora quel clacson. Scivolo brontolante sotto le coperte, Non voglio sentirvi, per un po’ non voglio sentirvi più. Pensavo a Julian, al fatto che non riuscivo ad odiare nessuna parte di lui, neanche quella così oscura che l’aveva ridotto senza sensi ad affondare nella neve. Ancora, questo maledetto clacson! 
  Gillian. 
  Penso di essermelo immaginato, quel qualcuno che chiama il mio nome. Ma quella voce, stridente, so american, so angry, continua a risuonare nella mia testa, fondendosi con il prepotente clacson di qualcuno che a tutti costi vuole attirare l’attenzione. No, non è la voce di Julian che sto sognando.
  “Gillian!” questa volta non me lo sono immaginato. 
  Mi sporgo alla finestra, due spalle minute che affrontano il freddo svizzero di dicembre. C’è un ragazzo che non ho mai visto, fuori da una bella auto, una massa disordinata di capelli e una faccia da stronzo. Chi sei? Perchè mi stai chiamando? Si guarda intorno, poi mi vede. 
  “Sei tu, Gillian?” mi chiede. 
  “Sì, chi sei tu?”
  “Diamine, ti ho cercata ovunque.”
  “Perchè?”
  “Sono Albert.” mi dice come se questo spiegasse ogni cosa. Come se avessi dovuto dire Ah quel famoso Albert che deve fare quella cosa. Ma la verità è che non conoscevo nessun Albert, neanche di nome, e non ero dell’umore di continuare una conversazione con lui. Non ero dell’umore di fare o chiedermi qualsiasi cosa riguardo quell’Albert e me ne sarei tornata a torturarmi nel mio letto il prima possibile.
  “Ok.” dico semplicemente, chiudo la finestra. 
 Albert suona ancora il clacson senza lasciarmi andar via. 
  “Cosa c’è?” gli urlo, esasperata. 
  “Sei la ragazza di Julian, vero?”
  “Non lo so.” non mento. 
  “Dove l’hanno portato? Ho cercato in tutti gli ospedali qua intorno.”
  “Non è qui, l’hanno portato via in elicottero… è a Zurigo.”
  “Cazzo…” batte la mano sul tetto della macchina con la sincera frustrazione di chi ha passato delle ore a cercare Julian Casablancas in tutti gli ospedali del cantone. É uno di quegli amici a senso unico, penso io, e immagino che Julian debba averne parecchi: convinti che Julian passi le ore a parlare di loro, ma Jules non parla mai di nessuno. No, non ho mai sentito parlare di questo Albert, ma mi sentivo rassicurata dal fatto che lui sapesse chi sono e dove cercarmi. 
  “Vai da lui?” gli chiedo. 
  “Per forza.” sta entrando in macchina. 
  “Non credo sia niente di grave, un calo di zuccheri, forse.” gli urlo, non lo penso davvero.
  “Ma quale calo di zuccheri. Vieni con me?” 
  “Sì.” dico senza esitare. 
  Inciampo cercando le mie scarpe, infilo la prima maglietta che trovo accartocciata sul letto, testimone di chissà quali avventure, portatrice di chissà quali odori urbani, infilo di corsa il mio giaccone. Albert dà un altro colpo di clacson, come a dirmi di sbrigarmi. Sento il mio viso scolpito dal freddo, fragile, stanco. Non penso, non reagisco. Scendo di corsa le scale. 
  Albert è un compagno di viaggio di quelli che non smettono di parlare, di quelli che vogliono essere sicuri di risultare interessanti a tutti costi, agita le mani come un pazzo e un paio di volte ho paura che il controllo della macchina possa sfuggirgli. Forse è solo il suo modo di reagire a quello che è successo a Julian Casablancas. Io mi astraggo dal mondo, lui vuole farne parte a tutti costi. 
  “Perchè non sei salita sull’elicottero?”
  “Non c’era posto, suppongo.”
  “Giusto.”
  Parole di due che non si conoscono e che si intrecciano a fatica. Osservo le sua mani, nervose e frementi. I lineamenti pesanti  di una carnagione olivastra quella massa di capelli che ogni tanto si scuoteva insicuro. Dice di essere un amico di Jules, anche lui lo chiama Jules, e sembra di conoscerlo più di quanto lo conosca io, e fa male, dal momento che ho realizzato di non sapere niente di lui solo poche ore fa. 
  “Perchè Jules non ragiona…” dice “… è estremo in tutte le cose che fa. In questo momento sarà con un tubo ficcato in gola mentre cercano di fargli una lavanda gastrica, credi a me.”
  Rabbrividisco. 
 “Ti parlava di me, Jules?” cambio discorso.
  “Continuamente.”
  “Eri tra i suoi amici, quel giorno al ristorante, quando si è inginocchiato chiedendomi di uscire?”
  “Cavolo, sì.”
  “Non mi ricordo di te.”
  “Non puoi ricordarti di uno come me, non se c’è Julian Casablancas.”
  
  
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