Libri > Il Labirinto - The Maze Runner
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Autore: Stillintoyou    30/06/2015    2 recensioni
[Il Labirinto/The Maze Runner][Il Labirinto/The Maze Runner]Passò un sacco di tempo prima che quel dannato rumore smettesse di darmi il tormento.
‹‹ E ora? ›› pensai, poi alzai lo sguardo quando sentii che qualcosa, sopra di lei, si stava muovendo.
Della luce entrò all'interno di quella sottospecie di stanza, o cella, o quello che era.
Socchiusi gli occhi per l'improvviso impatto con la luce esterna, e qualcuno balzò a pochi centimetri da me.
‹‹ cosa c'è nella scatola? Un fagiolino nuovo, vero? ›› disse qualcuno dall'esterno.
Mi sentivo come se fossi imbavagliata, squadrando il ragazzo che si era inginocchiato per guardarmi in faccia.
‹‹ Oh caspio... ›› inclinò la testa, assumendo un espressione stranita. Si mise in piedi
‹‹ Newt? ››
‹‹ Non ci crederete mai... ›› alzò il volto, rivolgendosi alle persone che si erano raggruppati attorno all'uscita di quella... scatola, a quanto pare la chiamavano così.
‹‹ A cosa non crederemo mai? ››
‹‹ È.... una ragazza ›› il ragazzo abbassò nuovamente lo sguardo su di me ‹‹ Ci hanno mandato una ragazza. ››
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cominciai a pensare seriamente che quello che stavo vivendo fosse solo un incubo e nulla di più. Era possibile? Forse sì. Doveva essere così per forza e presto mi sarei svegliata.
Mi sentivo abbandonata a me stessa anche se non lo ero. Mi sentivo vulnerabile e sull'orlo di un filo di seta pronto a spezzarsi da un momento all'altro. Rimaneva solo da scoprire da che parte sarei caduta e come, consapevole, tutto sommato, che mi sarei fatta male sia in un modo che nell'altro.
Non credevo che una persona potesse provare così tante cose. Sentivo che presto o tardi la mia testa sarebbe esplosa.
Newt era furioso, o forse semplicemente deluso da me. O magari entrambe le cose. E chi lo sapeva? D'altronde aveva deciso che non rivolgermi la parola fosse la cosa migliore. Gli sarebbe mai passata?
Non mi rivolgeva nemmeno lo sguardo, neanche per sbaglio, a stento mi indirizzava un “Ciao” sussurrato, ma come se stesse sputando veleno nel farlo.
Qualcuno gli aveva detto del bacio di George. Non capivo perché mi facessero questo... ma sopratutto, non capivo chi ci avesse visto. O meglio... chi avesse visto George baciarmi. Io ero innocente... giusto?
Non avevo ricambiato il bacio (e non avrei mai fatto. Mai!).
C'era solo Minho presente, e di certo non era stato lui a dirlo.
Probabilmente, era passato qualcuno non me n'ero nemmeno resa conto. Non ne avevo la benché minima idea. Volevo solo svegliarmi da quell'incubo.
Poggiai le mani sulle tempie e cominciai a premerle, sospirando rumorosamente. Volevo solo sdraiarmi da qualche parte e stare sola. Volevo spegnere il cervello, non volevo pensare.
«È tutto okay?», domandò Chuck, mandando giù un boccone del panino che aveva tra le mani. Era più grande della sua testa.
Il piccolo Chuck, sempre all'erta nei miei confronti. Forse l'unico che in quel momento era riuscito ad avvicinarsi senza correre il rischio che gli staccassi un dito per il nervoso.
Annuii, non volendolo far preoccupare per colpa dei miei intrugli mentali. Lui doveva star fuori da quella storia, non doveva entrarci in alcun modo. Chuck era comunque come il mio fratellino minore, avrei fatto qualsiasi cosa per tenerlo al sicuro, anche dai miei pensieri piuttosto negativi.
Ripresi a mescolare il minestrone che avevo davanti, controllando che non si attaccasse alla pentola. «È tutto okay, ho solo mal di testa», mormorai con fare distaccato. Frypan mi aveva dato un solo compito quel giorno. Uno solo. Avevo intenzione di non deluderlo.
«Perché caspio mi menti in questo modo? Elizabeth, sarò anche più piccolo di te ma non sono così rincaspiato da non capire quando qualcosa non va!»
«Chuck, sto bene, sul serio!»
«Sì, certo, ed io sono un bel figurino di diciotto anni!» Si poggiò le mani sui fianchi e corrucciò le labbra, facendomi scappare una risata. Il suo visino tondeggiante divenne ancora più rotondo in quel modo.
«Davvero, Chucky, sto bene» Poggiai le mani sulla sua testa, scompigliandogli i capelli ed incasinandoli un po'. «Dopo una bella dormita sarà di nuovo tutto okay. Promesso!»
«È vero che hai baciato George?», domandò, addentando di nuovo il panino e guardandomi incuriosito.
Trasalii, concentrandomi di nuovo sul minestrone. «No. Lui ha baciato me, io non l'ho fatto.»
«Quindi Newt è arrabbiato con te per questo caspio di motivo?» Si grattò la fronte, masticando in modo abbastanza rumoroso.
Annuii, e lui sospirò dopo aver ingoiato il boccone. «Non voglio mai avere una ragazza, se comporta tutti questi rincaspiamenti mentali», borbottò.
Frypan entrò nella Cucina, poggiò uno straccio a terra e cominciò a pulire (forse l'aveva già fatto venti volte nel giro di una giornata). «Inutile, queste caspio di macchie non vanno via!», borbottò, strofinando lo straccio contro il pavimento sotto il tavolo. «Avrò strofinato lo straccio non so quante volte!»«Cosa sono quelle macchie?», domandai, avvicinandomi lentamente a lui e chinandomi per osservarle meglio. Non le avevo notate prima di allora. Erano piccole, tutte a forma di... sole.
Corrugai la fronte e alzai lo sguardo verso Frypan, concentrato nel cercare di smacchiare il suo adorato pavimento. Mi sembrava quasi di vederlo sudare tanto sfregava forte, rischiando anche di staccare il legno da terra. Teneva la lingua tra le labbra e gli occhi socchiusi.
«Non lo so, Fagio, ma non vanno via. È da ieri che sono qui! Poi hanno una caspio di consistenza strana e, non so se l'hai notato, ma puzzano da morire!»
«A me sembra quasi sangue.»
«Non penso sia sangue... voglio dire, non vedi che più passo lo straccio più questo coso, qualsiasi cosa sia, sembra insinuarsi nel legno? Caspio è odioso!», brontolò, lanciando lo straccio contro il pavimento con fare disperato. «Ho provato a metterci l'acqua calda, poi quella sorta di detersivo, poi del limone... mi manca solo di cercare di farci la pipì sopra!»
«Ew, ti prego, non provarci nemmeno!» Assunsi un'espressione disgustata, rimettendomi in piedi.
Chuck diede un finto colpo di tosse, salutò con la mano e corse fuori ancor prima che Frypan potesse ufficialmente metabolizzare il fatto che fosse in Cucina. Non voleva che entrasse, temeva che mangiasse tutto ciò che c’era nella dispensa (cosa impossibile e alquanto crudele da pensare).
«Hai sentito di quello strano animale che ieri è comparso nella Radura?», chiese Frypan, raccogliendo lo straccio e portandolo al lavandino per pulirlo.
«Che strano animale?»
Scrollò le spalle. «Non l'ho visto, ma da come l'ha descritto Winston, sembrava una Scacertola. È sgusciata fuori dalla stanza dove si trova Justin ed è corsa via velocissima.» Scrollò di nuovo le spalle, come se fosse percorso da un brivido lungo la schiena, poi scosse la testa e schioccò la lingua. «Qualsiasi cosa fosse, spero vivamente di non trovarmelo mai davanti. Giuro su ciò che vuoi che, se mai dovesse presentarsi qui, gli tirerò contro una padella!»
Un animale simile ad una Scacertola? Da come le avevo viste non potevo nemmeno considerarle animali. Tutto quel metallo, quel rumore di ingranaggi quando camminavano... potevano essere degli esperimenti perfettamente riusciti, magari animali modificati o... non ne avevo la benché minima idea, ma lo scoop del giorno non riguardava di certo un “Cosa sono le Scacertole?”.
«Beh, che ha fatto di tanto eclatante questo strano animale? È pericoloso?», domandai, sistemando i capelli sulla spalla.
Frypan rimase in silenzio, girandosi poi lentamente verso di me come se gli avessi fatto la domanda del secolo. «Non lo so... vorremmo saperlo tutti.»

Temo libero, e che si poteva fare di bello?
Niente. Appunto.
Una passeggiata per sgranchirmi le gambe ed evitare di pensare ulteriormente a quanto fossi stata stupida a mettere piede nel Labirinto. Eppure dov'ero diretta? Ma chiaramente nel posto più allegro della Radura.
Le Faccemorte.
Ormai conoscevo praticamente a memoria la strada per arrivarci, e per quanto fosse inquietante come posto, era il più tranquillo. Circondato da un odorino poco piacevole, ma comunque il più tranquillo.
Cominciai a guardare tutti quei morti, le loro croci fatte con dei legni legati tra di loro. Provai ad immaginare le loro facce, come potevano essere morti. Avevano sofferto? Avevano avuto anche un solo straccio di amico o un qualsiasi legame? Cosa ricordavano? Cosa potevano sapere di loro stessi? Non era per niente allegro. Mi vennero i brividi al sol pensiero di quello che potevano aver passato...
Sorrisi amaramente perché, a pensarci bene, io ero chiusa in quelle quattro mura che contenevano quel luogo chiamato Radura. Sì, era un bel posto, ma era circondato da una prigione apparentemente senza via d'uscita. Cosa ci poteva essere di peggio?
Ebbi un improvvisa voglia di correre, volevo scappare da quel posto, sarei stata disposta a entrare di nuovo nel Labirinto se fosse servito ad aiutare tutti quanti a fuggire.
Fu come se all'improvviso non controllassi più i miei movimenti. Dovevo correre. Dovevo muovermi.
Non riuscivo quasi a pensare, eppure era come se sapessi bene cosa fare. Era qualcosa che sapevo benissimo. Era come se stessi leggendo degli ordini, quasi riuscissi a vedere quelle parole davanti a me.
Cercalo. Trovalo. Non è lontano. Lo sai meglio di chiunque altro.
Nella mia testa turbinavano queste parole, ma non erano pensieri, erano quasi ricordi. Riuscivo a sentire chiaramente la voce di una donna nella mia testa, come se mi volesse indicare qualcosa.
Toccai gli alberi attorno a me. Tutti. Uno ad uno. Sembrava quasi che il mio tocco ne analizzasse la corteccia solo toccandola. Fredda, ruvida, un pochino rovinata.
Camminavo. Correvo. Mi giravo a destra e a sinistra, finché non mi fermai davanti ad un albero dalla corteccia grossissima.
Cominciai a grattarla via con fare frenetico. Dovevo levarla tutta, o almeno, dovevo toglierla dal punto in cui la stavo toccando. Non sapevo il perché, ma sapevo che era importante. Continuai a raschiarla via, sentivo il legno incastrarsi sotto le mie unghie e tagliarmi. Faceva male, ma non riuscivo a smettere di grattare via la corteccia. Era come se non controllassi le mie mani, facevano come volevano loro. Mi fermai solo una volta che ebbi visto ciò che c'era sotto la corteccia.
Il legno era scavato, il tronco era... vuoto. O meglio, non c'era più legno, ma era un posto completamente elettrico con un piccolo spazio cilindrico al centro pieno di fili colorati.
Doveva essere stato il rifugio di qualcosa... o forse lo era ancora. Che fosse come un caricabatterie? Ma di cosa?
Quell'albero era unico o ce n'erano altri simili? Qualcuno si era già accorto prima di un albero del genere?
Rimasi a fissare quel buco, cercando di cogliere quanti più dettagli possibile. Sentivo che era un particolare importante, dovevo dirlo ad Alby o... a Newt.
Okay, anche se fossi andata da loro dicendo “Ehi, guardate qui”, mi resi conto che effettivamente non avrei saputo cos’altro aggiungere... perché non avevo la benché minima idea di cosa fosse.
Sospirai, girandomi e facendo qualche passo per andare via, ma dovetti fermarmi.
Solo in quel momento mi resi conto che mi trovavo a pochi passi dall'entrata del nascondiglio, e mi accorsi anche che l'ingresso era praticamente esposto.
Corrugai la fronte e mi misi a gattoni, spostando quei pochi rami che intralciavano il passaggio ed entrando nel nascondiglio. Piano piano, perché, per qualche strano motivo, non volevo fare troppo rumore.
«Oh, wow, perfetto, che ci fai qui?», sbottò Newt infastidito.
Trasalii, ma decisi di rimanere lì e di non uscire, sistemando l'entrata del nascondiglio. Mi sedetti davanti a lui, guardandolo e cercando di studiare la fisionomia del suo viso, sperando che in qualche modo non celasse odio o risentimento. Con mia grande sorpresa, non c'erano questi due sentimenti... non in modo prevalente almeno.
I suoi occhi erano rossi e lucidi, come se fino a pochi attimi prima avesse pianto... e l'idea che potesse averlo fatto non mi rendeva per niente felice. Quasi avrei preferito che fosse furioso con me.
«Che ci fai qui tutto solo?», domandai, cercando di smorzare un po' quella situazione tesa e pesante.
Lui sollevò un sopracciglio, scuotendo la bottiglia di vetro mezza vuota che teneva in mano. «Secondo te? Sono venuto qui perché volevo stare da solo a prendermi una bella sbronza, ma qualcuno ha rovinato il mio momento di meritata solitudine», disse a denti stretti, poggiando la testa contro la superficie alle sue spalle e chiudendo gli occhi.
«Quindi sei sbronzo?», domandai, stringendomi le gambe contro il petto.
Scosse la testa e sbuffò, poggiando la bottiglia accanto a lui. «Magari. Questo schifo mi ha a stento dissetato, di certo non mi ha fatto sbronzare. È alquanto acido a dire il vero. Una delle sbobbe di Frypan.» Schioccò rumorosamente la lingua contro il palato. «Ma devo ammettere che è migliore delle altre.»
«Bene così», mormorai, poggiando la fronte contro le braccia. «Immagino che tu non abbia voglia di parlare, giusto?»
«Già.» Sospirò e aprì gli occhi, portando lo sguardo verso di me. «Anche perché, di cosa vorresti parlare? Del modo in cui hai deliberatamente infranto la promessa, di quanto cibo portavi di nascosto a George o di quanto quest'ultimo baci bene?» Fece spallucce. «Perché non voglio sentire né una storia né l'altra. Non mi interessa più. Questo è quello che ho deciso nei miei attimi di solitudine passati in questo buco.»
Sentendolo bene, mentre parlava, aveva un tono un po'... sbronzo. Forse non lo era del tutto, aveva abbastanza lucidità da capire cosa gli succedeva attorno e da ragionare, ma forse se avesse continuato a bere... beh, non importava.
Sospirai e cominciai a gattonare verso la sua direzione, notando la sua espressione ben poco felice della cosa. Alzò le mani, come a volersi riparare da me, scuotendo la testa. «Non provare ad accoccolarti contro di me perché giuro che potrei arrabbiarmi seriamente», disse a denti stretti.
Mi fermai e presi le sue mani, scuotendo la testa. «Smettila di fare così, caspio! Secondo te mi prende così la voglia improvvisa di baciare George dopo che ha cercato di strozzarmi ben due volte?»
Corrucciò le labbra ed abbassò lo sguardo, facendo spallucce. Ora, seriamente, sembrava un bambino.
«Ragiona, per fortuna il cervello ti funziona! E poi, è stato solo un bacio, mica ci ho fatto l'amore!»
«Perché c'erano le sbarre a separarvi. Per quanto ne so, sareste potuti anche andare oltre e non mi avresti detto niente», brontolò, senza nemmeno incrociare il mio sguardo. Evitava il contatto visivo.
Schiusi le labbra e strinsi le sue mani anche se notavo che avrebbe voluto seriamente lasciare andare la presa. «Ti fidi così poco di me? Non farei mai l'amore con lui, razza di rincaspiato che non sei altro!»
Sembrò quasi trasalire, tornò più indietro con la schiena fino a poggiarsi completamente sulla superficie alle sue spalle, sospirando rumorosamente.
«È stato solo un bacio, che oltretutto si è preso di sua volontà, io non ho nemmeno ricambiato. Mi spieghi perché mai avrei dovuto farlo?»
«Magari hai visto la parte buona che c'è in lui, non so», sussurrò, come se avesse paura di rispondere. «Hai questa particolarità di vedere il lato positivo di tutto e tutti.»
«Lo vedo solo se c'è, Newt. George ce l'ha, ma questo non mi spinge a baciare uno come lui. E per quanto riguarda quel dannato Labirinto, sono entrata lì solo perché Minho aveva bisogno del mio aiuto. Per il cibo... beh, sono una stupida e perché... non lo so. Forse, in qualche modo, pensavo che facendo qualche atto buono potessi redimermi ai suoi occhi.»
Chiuse di nuovo gli occhi, girando lentamente il volto nella mia direzione. Fece un respiro profondo e portò le mani tra i capelli, stringendole. «Senti, Liz, non mi interessa più, okay? Sono nervoso, voglio solo riposarmi e non pensare a niente di tutto questo per una volta nella mia dannata esistenza.»
«Voglio solo chiarire con te, maledizione! Non voglio che tu mi tenga in muso per il resto della tua vita per una stupidaggine del genere!»
Riaprì gli occhi e sollevò lo sguardo al soffitto, sbuffando rumorosamente. «Finiscila, quando capirai che mi preoccupo e basta?» E, finalmente, mi guardò. Prese la bottiglia e la portò alle labbra, bevendone un sorso e, allo stesso tempo, assumendo un espressione quasi disgustata. La poggiò e si slanciò in avanti, portando il viso a pochi centimetri dal mio.
«Sei troppo ingenua per stare in un posto come questo, Elizabeth, devi capirlo. Okay, forse sarò esagerato con le mie pessime sfuriate da rincaspiato, ma avrò anche io il diritto di sfogarmi ogni tanto. So com'è fatto il Labirinto, per questo ti avevo chiesto di promettermi di non andarci mai, ed invece l'hai fatto. Quella di George, onestamente, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.»
Picchiettò piano l'indice sulla mia tempia, arricciando il naso. «Stupida, ingenua, Fagiolina. Apri gli occhi sulla Radura che ti circonda. Sono pochi i Radurai sui quali puoi contare veramente. Facciamo così, ti perdono solo che stavolta mi prometti seriamente che non farai più ciò che hai fatto. Intendo entrare nel Labirinto e fidarti di quel rincaspiato chiuso nella Gattabuia.»
Annuii, gattonando ancora verso di lui, costringendolo così a tornare con la schiena contro la superficie alle sue spalle.
Mi sedetti sulle sue gambe, legando le mie dietro la sua schiena. «Prometto che non metterò più piede lì dentro. Te lo giuro. E poi non voglio rischiare di morire un'altra volta. In un mese ho già rischiato qualcosa come quattro volte», brontolai, sentendolo sospirare e poggiare le sue labbra sulla mia fronte.
«Aspetta... cosa?»
«I Dolenti ci hanno accerchiato... non abbiamo capito come neutralizzarli o cose così, ma abbiamo scoperto che c'è qualcosa di ben più pericoloso che temono anche loro e che li ha fatti fuggire.» Sollevai un po' di più la manica della mia maglietta, mostrandogli il braccio pieno di quei piccoli taglietti superficiali. «Vedi? Quando ci hanno accerchiati siamo fuggiti passando attraverso un piccolo spiraglio tra due Dolenti e, beh, credevo mi avessero punta. Ho avuto una piccola crisi di panico infatti, ma è passata dopo un po' e... perché quella faccia?»
Mentre parlavo, la sua espressione si era fatta gelida, oltre ad essere sbiancato di tre toni.
«Nulla», rispose con un tono secco. «Ma credo che appena usciremo da qui andrò a spaccare un tavolo in fronte a Minho. Così, tanto per complimentarmi delle sue idee geniali.»
Sospirai rumorosamente e scossi la testa, ridendo, anche se la sua espressione non era per niente scherzosa. Al contrario, era serio come non mai.
Alla fine, però, sorrise. Forse aveva deciso che ormai, essendo cosa passata, poteva guardarla come una cosa di poco conto... o forse, semplicemente, aveva deciso che prenderla con leggerezza fosse la cosa migliore da fare?
Poggiò le mani sui miei fianchi e fece un respiro profondo, cancellando quel sorriso dalle labbra, sostituendolo con un’espressione preoccupata. «Non voglio che ti accada qualcosa di male.»
«Non mi accadrà nulla di male, tranquillo. Sarò buonissima, non farò più nulla di azzardato. Te lo prometto.»
«Lo spero.» Mi accarezzò con delicatezza il viso. «E farò in modo che sia così», mormorò, chiudendo gli occhi e riaprendoli pochi istanti dopo.
Il suo viso era veramente poco distante dal mio, ed era quasi come se, attraverso i suoi occhi, riuscissi a vedere la sua anima che batteva i pugni per cercare di incontrare la mia. D'altronde, gli occhi non erano forse lo specchio dell'anima?
Le sue labbra, così appetibili, erano come calamite per le mie, attratte nonostante la distanza.
«Ricordi la volta che tu e George vi siete messi le mani addosso?», domandai, e per un attimo pensai di aver rovinato quel momento. Invece, Newt non si mosse di un centimetro, guardando prima le mie labbra, poi i miei occhi. Si limitò ad annuire, senza spiccicare parola.
«Gli hai sussurrato qualcosa... cos'era?»
«Che se avesse provato a toccarti di nuovo, avrebbe dormito con i Dolenti. O l'avrei ucciso. E che in entrambi i casi sarei stato più che felice di farlo con le mie stesse mani» Passò la mano lungo la mia schiena, seguendo perfettamente la mia spina dorale. Mi causò i brividi di piacere, accennando un sorriso. «Sei la mia luce in questo regno di ombre, nessuno deve toccarti, caspio», mormorò infine.
Poi, finalmente, le nostre labbra si incontrarono.
Stavolta era diverso. Non era come il primo, non era un bacio semplice, era qualcosa di più... desiderato. Non sapevo perché stavolta fosse differente, ma non mi tirai indietro. Non volevo farlo.
Era come se ne avessimo bisogno per sopravvivere, quasi come se non ci vedessimo da troppo tempo.
Non so come o quando, ma lentamente il bacio diventava sempre più inteso, ricercato. A stento ci staccavamo per riprendere fiato. Una vera e propria assuefazione mia dalle sue labbra e sua dalle mie, ed ero sicura di non aver mai provato una sensazione del genere prima di quel momento.
Fece scorrere le mani lungo la mia schiena, ancora una volta, per poi fermarsi al bordo della mia maglietta. Esitò un secondo prima di sollevarla lentamente, sfiorando così la mia pelle nuda.
Lo lasciai fare senza staccarmi dalle sue labbra... o meglio, facendolo solo per un attimo per permettergli di sfilarmi la maglietta, cosa che, presa dalla foga, feci a mia volta, così da poter tornare sulle sue labbra il prima possibile. Non volevo abbandonarle, non volevo starne lontana per così troppo tempo. Avevo bisogno di sentirne il sapore.
E poi, dovevo fare tutto abbastanza velocemente, prima che la mia parte timida prendesse il sopravvento.
Spostò le mani sul bordo dei miei pantaloni, ed allora sì che si staccò dalle mie labbra. Mi guardò negli occhi per pochi attimi, come se stesse scegliendo accuratamente le cose da fare. Non sembrava per niente a disagio o cose simili. Cominciò a slacciarmi i pantaloni e ci mise davvero poco tempo, come se fosse una cosa che faceva ogni giorno.
Avere i suoi occhi piantati nei miei, in quel momento, era... strano.
Scrutò il mio corpo lentamente, passandosi la lingua sulle labbra. Inclinò la testa quasi incuriosito, passando l'indice lungo il mio reggiseno. Scosse la testa ed accennò un sorrisetto, baciandomi delicatamente le guance, scendendo poi verso il collo.
Sul serio, sembrava così sicuro di sé da farmi passare ogni sorta di timidezza e insicurezza.
Feci leva sulle ginocchia e lui ne approfittò per abbassarmi i pantaloni, seguiti poco dopo dagli slip.
Portai le mani sui suoi pantaloni, sentendolo sussultare, ma rimase fermo con le labbra sul mio collo. Lasciava dei baci delicati, che sinceramente mi distraevano abbastanza. Riuscivo veramente poco a rimare lucida su ciò che stavo facendo.
Pensai di averci messo più del dovuto a slacciargli i pantaloni, ma forse non era così. Non avevo un limite di tempo, e lo sentivo lento, lentissimo, come se quell'istante fosse destinato a durare per sempre.
Si sollevò leggermente per permettermi di abbassargli quanto bastava i pantaloni, poi i boxer, e si sistemò meglio, con me sulle gambe. Spostò le labbra dal mio collo, poggiando la fronte contro la mia. Solo in quel momento mi resi conto che i nostri respiri erano pesanti e si intrecciavano.
Poggiai le mani dietro il suo collo, facendone salire una tra i suoi capelli. Mi strinsi a lui, i nostri corpi sembravano essere fatti apposta per stare uniti. Era come se non ci fosse un solo suono nei dintorni, se non quello dei nostri respiri. Riuscivo a sentire anche il nostro cuore che batteva come uno solo.
Tornò sul mio collo e cominciò a lasciarvi dei leggeri morsi, senza premere troppo con i denti, forse per paura di farmi male. Ma ero così su di giri che quello era proprio l'ultimo dei miei pensieri.
Mi accarezzava i fianchi con delicatezza, spingendo lentamente il mio bacino verso il suo e premendolo appena, causandomi un fremito.
«Liz?», mormorò contro il mio collo. La sua voce era quasi soffocata dal suo ansimare.
«Mh?», risposi semplicemente, non essendo in grado di esprimermi in modo differente.
«È tutto okay?», domandò con un tono leggermente preoccupato. Per quanto sembrasse sicuro di sé, si preoccupava davvero per me anche in quella situazione?
Annuii, stringendomi di più a lui.
«Bene così... se ti faccio male, dimmelo», mormorò infine, riprendendo a marchiarmi con quella striscia umida di baci, fino alle labbra. Fece leggermente leva sui miei fianchi, avvicinandomi di più a lui. Tirò il mio labbro inferiore con i denti, riprendendo a baciarmi poco dopo.
Bacio che accolsi più che volentieri, stringendo delicatamente i suoi capelli con la mano, mentre l'altra scese lungo la sua schiena.
Le sue mani accarezzarono le mie cosce, percorrendole lentamente e causandomi i brividi. Ovunque mi toccasse, era quello l'effetto ottenuto. Brividi e fremiti.
Sentii una leggera pressione nel momento in cui i nostri corpi si unirono, lasciandomi sfuggire un gemito soffocato solo dalle sue labbra. Strinsi le mani a pugno pur di non fargli male. Non mi aspettavo quel dolore improvviso, anche se aveva cercato di essere il più delicato possibile.
«Scusami...», sussurrò contro le mie labbra, ansimando. Spostò una mano dalle mie cosce, facendola salire lungo la mia schiena, fino al reggiseno. Dovetti spostare le braccia dal suo corpo per farmelo sfilare, ma ve le rimisi subito dopo.
Prese a muoversi lentamente, cercando di farmi abituare a quella nuova sensazione. Perché, sì, era nuova per me. Se prima avevo avuto qualche dubbio, nel momento in cui diventammo una cosa sola ne ebbi la certezza.
Non mi sembrava nemmeno di essere in me, eravamo un’unica cosa, uniti da mille sensazioni vissute tutte insieme. Lontani da tutti, lontani da tutto. Non importava più niente di ciò che era successo negli ultimi giorni, era tutto troppo distante da noi. In quel momento esistevamo solo io e lui, tra ansimi e gemiti soffocati per evitare di fare anche il minimo rumore.
Le mie guance erano così arrossate che temevo di andare a fuoco da un momento all'altro, non riuscivo nemmeno a pensare ad una singola cosa che non fosse l'attimo che stavo vivendo, ed era forse la sensazione più bella che potessi vivere.
Il suo tocco, il suo respiro, il suo dolce ansimare sulle mie guance e sulle mie labbra... c'era forse un suono più dolce di quello? Se c'era, non l'avevo mai sentito. Ma ero piuttosto certa che nulla sarebbe stato migliore di tutto ciò.
Presi piano piano confidenza col suo corpo, con quella nuova sensazione. Sperai che non finisse mai, perché finalmente c'era la pace che tanto avevamo sperato di trovare.

Non avevo la benché minima idea di quanto tempo fosse passato, perché erano sembrati attimi infiniti. Sapevo solo che, una volta finito tutto, ci eravamo ritrovati accoccolati come mai era successo prima di quel momento. Il suo tocco sui miei capelli era così delicato da farmi venire quasi la sonnolenza, tanto ero rilassata.
Per non parlare della sensazione della mia pelle contro la sua, che era quasi una cosa unica. Unite come non mai prima d'ora. Eravamo sudati e la cosa non m'interessava minimamente. Non era fastidioso, era la conseguenza di... beh... di aver fatto l'amore. A stento riuscivo a crederci, suonava così strano.
Per quanto non avessi ricordi del mio passato, una buona parte di me sapeva benissimo che quella era la prima volta che provavo così tante cose per una persona. E ormai non avevo più paura di quella sensazione. Non dopo aver capito chi avevo al mio fianco. Forse la persona più meravigliosa che potessi mai incontrare
Il suo respiro era così leggero e caldo a farmi venire i brividi lungo la schiena, mentre le sue carezze continuavano ad essere così delicate da riuscire in qualche modo ad esprimere la pace che provava in quell'istante, finalmente, dopo tanto tempo che l’aveva chiesta e desiderata così ardentemente.
E poi esprimevano... affetto. Il bisogno di dare e ricevere affetto. Lo sentii ridacchiare per un attimo, depositando un bacio sulla mia nuca poco dopo.
Corrugai la fronte e sollevai lo sguardo, sorridendo dopo qualche istante. «Perché ridi?»
«Nulla, ho pensato ad una cosa assurda, non preoccuparti», disse, spostando una mano sul mio volto, accarezzandolo lentamente. «Magari è l'alcool che comincia a farsi sentire. Finalmente, caspio, meglio tardi che mai!»
Il sorriso lentamente svanì dal mio volto. Non mi faceva impazzire l'idea che ciò che avevamo fatto fosse solo una conseguenza dovuta ad un imminente stato di ubriachezza. O peggio, al suo non essere sobrio al cento per cento...
Feci un respiro profondo e cercai di mantenere un sorrisetto appena accennato, così almeno non gli avrei fatto notare il mio improvviso sbalzo d'umore. Se era vero che l'effetto dell'alcool stava cominciando a farsi avanti, se si fosse accorto del mio sbalzo d'umore e avessi dovuto spiegargli cosa avevo, magari non l’avrebbe presa bene e quella pace si sarebbe placata.
Abbassai leggermente il volto, fissai la cicatrice che aveva sul petto. Prima non ci avevo fatto caso, forse la mia vista era troppo appannata per soffermarsi a simili dettagli. Eppure era ancora lì ed era ben visibile.
La sfiorai lentamente, provocando un sussulto da parte sua. Il secondo in quella giornata. Forse era sorpreso, o magari la mia mano era fredda. Ne seguii la forma con l'indice. Per quanto si fosse ristretta rispetto a prima, era ancora piuttosto pronunciata. Il suo colore era rossastro, gran parte della pelle si era rimarginata, ma la parte più profonda era ancora lì.
«Forza, andiamo dagli altri prima che si accorgano della nostra assenza... siamo stati via parecchio tempo», disse, spezzando il silenzio.
Spostai la mano ed annuii. Forse era il caso, d'altronde dovevo andare in Cucina. Non volevo approfittare ulteriormente dell'enorme pazienza che Frypan stava dimostrando nei miei confronti.

Newt mi accompagnò fino alla Cucina e per tutto il tragitto non fece altro che controllare che i miei abiti fossero a posto. Anche dopo aver varcato la soglia della Cucina, ma per fortuna una volta lì il suo primo pensiero fu quello di nascondere la bottiglia quasi vuota.
Prima di metterla nella dispensa, però, bevve l'ultimo sorso che era rimasto.
Mi preoccupai. D'altronde non era già abbastanza sobrio, in più, dopo quel goccio, probabilmente di lì a poco sarebbe stato ufficialmente sbronzo.
Fortuna che evidentemente non era così tanto alcolico da potergli fare male e che la bottiglia, d'altronde, non era nemmeno così tanto grande.
Si passò la lingua sulle labbra e mi guardò, corrugando la fronte quando notò la mia espressione. «Che c'è?», chiese, appunto.
«Credevo che ti facesse un po' schifo, invece l'hai bevuta tutta...»
Scrollò le spalle, cominciando a cercare negli scaffali della Cucina qualcosa da mangiare. «Beh, non era esattamente un dannato succo di frutta alla pesca. Per fare schifo fa schifo, ma dopo un po' diciamo che diventa abbastanza bevibile... e mi dispiaceva lasciare quell'ultimo goccio, quindi...»
«Bene così...», sospirai, girandomi verso i fornelli. C'era una pentola con del brodino già pronto, ma da scaldare. Frypan aveva già pensato a cosa cucinare, almeno mi aveva lasciato meno lavoro... Forse perché aveva già previsto che sarei arrivata tardi? La cosa certamente non mi faceva onore, dovevo ammetterlo.
A pensarci bene, perché la Cucina era vuota? La cosa mi sorprese. Non c'era nessuno dei miei colleghi, ed era davvero tardi. A quest'ora avrebbe dovuto esserci almeno uno di loro con un mestolo in mano che fremeva dalla voglia di picchiare gli altri per la loro assenza.
Ed invece c'eravamo solo io e Newt, che continuava a cercare qualcosa da mangiare (possibilmente del pane) per sostituire quel sapore amaro che ora regnava sovrano nella sua bocca, conseguenza della bevanda “alcolica” di Frypan.
«Non trovi strano che non sia nessuno?» domandai, attirando la sua attenzione.
Si voltò a guardarmi con la coda dell'occhio, mentre acchiappava trionfante il suo amato pezzo di pane. «Sì, ma sinceramente non me ne frega un caspio», rispose con tutta calma, addentando il panino.
Capii che non era davvero lui a parlare, ma l'alcool. Newt si sarebbe posto il problema della mancanza degli altri ancor prima di aver varcato la soglia della porta, perché sapeva più di me che quello non era un buon segno. E poi, il suo accento si era lievemente inclinato, era leggermente più moscio di prima.
Sospirai di nuovo e scossi la testa.
«Magari sono in bagno a fare una sploffata di gruppo», disse infine con noncuranza, poi ridacchiò da solo, come se trovasse quella battuta seriamente divertente. Decisamente, era l'alcool a parlare al posto suo. Fosse stato in condizioni normali non avrebbe mai riso di una cosa del genere. Quella era una cosa da Minho, non da Newt!
«Caspio, Newt, sei davvero ubriaco?»
Mi guardò e gonfiò le guance, come se si fosse offeso per quella domanda. Avvicinò l'indice e il pollice per farmi vedere quanto, secondo lui, fosse ubriaco. E a detta sua lo era veramente poco, forse quattro millimetri di distacco tra il pollice e l'indice.
Si poggiò al tavolo e arricciò le labbra. «Non molto, la bottiglia, come hai potuto vedere, era piccola. E poi non era così alcolico. Comunque, buono questo pane... e ultima cosa, ma non ultima...» Si poggiò una mano sulla fronte. «... forse è il caso che mi sdrai...»
«E se vomiti?»
«Non vomiterò, non preoccuparti, Fagio.» Addentò di nuovo il pane, voltandosi a guardare verso l’ingresso della stanza. Sollevò una mano in segno di saluto, sfoderando un sorriso enorme. «Guarda, c'è il mio Pive preferito sulla soglia della porta!», disse con fin troppo entusiasmo.
Mi girai, vedendo Alby con la fronte corrugata in un’espressione che diceva qualcosa come “Che ha adesso?”
«Sei ubriaco?», chiese, storcendo lievemente il naso.
Newt schioccò la lingua e corrucciò le labbra con fare offeso. «No, perché?» Il suo accento era improvvisamente tornato normale, privo di ogni sorta di carenza tipica di qualcuno ubriaco.
Dannazione, era anche un bravo attore, allora?
«Hai le guance arrossate... e non mi saluti mai in questo modo.» Alby incrociò le braccia al petto, sollevando un sopracciglio.
Newt non rispose, mi guardò con la coda dell'occhio come per chiedermi una mano. Ma cosa potevo dire io ad Alby? Le mie parole sicuramente non gli avrebbero fatto cambiare idea. Oltretutto, che fosse ubriaco era una cosa piuttosto evidente. Feci spallucce, non sapevo cosa dirgli.
Diede un colpo di tosse, passandosi una mano tra i capelli e spostandosi dal tavolo. «Pive, non sono ubriaco, caspio», ribatté brontolando. Fingeva bene, questo dovevo riconoscerlo.
Alby sollevò gli occhi al soffitto ed annuì ripetutamente, portandosi poi le braccia lungo i fianchi. «Farò finta di crederti. Ma porcocaspio, Newt!»
«Andrò nel Casolare a farmi una bella dormita, così magari mi riprendo subito... o quasi», rispose l’altro, brontolando ancora ed avviandosi fuori, facendomi cenno di seguirlo.
«Non vomitare ovunque, okay?»
«Io non vomito, caspio!» Sollevò le braccia al cielo. «Perché siete convinti che vomiterò?»
Alby non gli rispose, soffocando una risatina in gola. Feci per raggiungere Newt, ma mi prese il polso. «No, Eli, vieni con me, così appena Newt si sveglierà gli racconterai ciò che è successo.»
«Qualcosa di grave?» Sapevo che quella giornata non poteva andare tutta per il verso giusto. Troppo bello per essere vero.
«Lo vedrai con i tuoi stessi occhi. Tu», indicò Newt, «fila a dormire».
Newt sbuffò, sollevando gli occhi al cielo. «Okay. Mamma, bene così.»
Non si oppose, si fidava di Alby, sapeva che non mi avrebbe mai fatto qualcosa di male (o comunque in grado di farlo incazzare). E poi sapeva perfettamente che, una volta visto ciò che c'era da vedere, sarei tornata da lui.
Perché, però, avevo cominciato a sentire una pessima sensazione allo stomaco?

Minho era sulla soglia della porta e parlava con Jeff. Non aveva una bella cera, sembrava piuttosto preoccupato a dire il vero.
Eravamo fuori dalla stanza dove c'era Justin, ma non c'era un solo rumore che provenisse da lì dentro. Okay, era anche vero che Justin aveva smesso di gridare da un po', ma tutto quel silenzio mi metteva una pessima sensazione addosso. E poi, Minho sembrava veramente agitato.
I Radurai erano tutti lì intorno, sparpagliati, a svolgere le loro mansioni quotidiane.
«Perché non c'era nessuno in Cucina, prima?» A dire il vero mi ero resa conto pochi attimi fa che in effetti non c'era nessuno dei Radurai in giro, ed erano praticamente tutti lì.
«Eravamo tutti qui, Eli, non ti sei accorta di nulla? Piuttosto dove siete stati voi tutto questo tempo?», chiese accigliato. Voleva saperlo davvero o era solo una domanda per controbattere la mia?
Cercai di non arrossire e guardai altrove, scrollando le spalle con fare piuttosto naturale. «Ci siamo isolati un pochino perché Newt aveva bisogno di stare da solo... così... sai... sono rimasta da sola con lui, anche se lui non voleva, ma sono molo testarda, sai. In ogni caso, ora è passato, si è preso una bella sbronza, però. Io ho cercato di evitarlo, ma sai com'è fatto», dissi di getto, mantenendo un tono normale. Sperai con tutta me stessa che se la fosse bevuta... a dire il vero mi sentivo un po' sporca dentro a mentirgli in modo così spudorato, ma non volevo dirgli la verità. D'altronde erano cose private.
«Comunque, come mai siamo qui, ora?», domandai, anche se sospettavo vivamente che fosse perché era successo qualcosa a Justin.
Lui, infatti, sospirò ed indicò la porta. «Prova ad indovinare, Fagio.»
«È successo qualcosa a Justin, vero?»
Mi guardò con la coda dell'occhio, annuendo. «Non indovinerai mai cosa, però»
Okay, ora mi preoccupava. Mi ricordai improvvisamente che dovevo parlargli della scoperta che avevo fatto, ma optai per dirglielo più tardi. Ora come ora sembrava preso da ciò che era successo a Justin e la cosa mi incuriosiva parecchio.
«Avanti, vieni Fagio, devi vedere... e spero che saprai darmi una risposta almeno tu.» Si avviò verso la porta, passando tra Minho e Jeff come se nulla fosse. Loro a stento ci fecero caso. Lo seguii ed entrai nella stanza.
C'era odore di... morte.
Justin era sdraiato nel letto, immobile, inerme, completamente bagnato dal sudore. Se non avessi notato il petto che si alzava ed abbassava per come respirava avrei pensato che fosse morto.
Cosa aveva che non andava? Di cosa avrei dovuto stupirmi? Era vivo, non aveva nulla di che.
Avere il corpo perlato per il sudore era una cosa normale per via della mutazione, no? D'altronde causava n dolore non indifferente, a quanto avevo capito. Sudare doveva essere il minimo delle conseguenze che dava.
Guardai Alby con la fronte corrugata, e lui mi indicò Justin. «Guarda il suo collo», disse con tono fermo, come se mi avesse letto la domanda in volto.
Così feci, mi avvicinai a lui. Aveva la mano sinistra poggiata sul collo, come per coprirsi.
La sfiorai ed assunse un espressione infastidita, come se il mio tocco gli avesse provocato fastidio. Sgranò gli occhi di botto e prese a gridare. Balzai all'indietro, colta chiaramente di sorpresa per quella reazione. Ma che diavolo gli prendeva?
Si mise seduto sul letto e cominciò a grattarsi il collo con frase frenetico. In poco tempo, il suo collo si arrossò.
Jeff entrò nella stanza, lo spinse contro il letto e tentò di immobilizzarlo. «Passatemi qualcosa per legarlo, presto!», gridò voltandosi verso di noi. Minho salì sul letto per cercare di aiutare Jeff ad immobilizzare Justin, che continuava a dimenarsi. Tentava di liberare le mani.
Minho gli poggiò il ginocchio sul petto e gli prese le mani, premendole contro il letto.
«Lasciatemi stare!», gridò Justin. Le vene del suo collo si erano ingrossate a dismisura solo negli ultimi istanti.
«Scordatelo! Se continuerai a grattarti così finirai col farti veramente male!»
Non so perché, ma la discussione mi faceva quasi ridere. Sembrava una discussione tipica di una madre con la figlia che non riesce a smettere di grattarsi una puntura di zanzara.
Alby lanciò verso il letto due vecchi stracci. Forse erano poco, ma meglio di nulla.
Jeff si affrettò a legare le mani di Justin alla testiera del letto, stringendo più forte che poteva i nodi.
Tirò un sospiro di sollievo, passandosi le mani tra i capelli. «Dico, Pive, dannazione, dovremmo dire ai Medicali di costruire un Mini-Casolare dedicato ai Pive rincaspiati che stanno spuntando come funghi in questo periodo!»
Minho scese dal letto e si stiracchiò, sospirando pesantemente. «Già. Non credo sia neanche il caso di mandarli nel Labirinto, perché, secondo me, se i Dolenti vedono un altro Raduraio pazzo, danno le dimissioni e si stabiliscono qui.» Portò le mani dietro la testa. «Dopo aver visto George nudo credo siano rimasti traumatizzati.» Rise fragorosamente, ignorando il fatto che tutti i presenti in stanza (compreso Justin, che aveva apparentemente recuperato la calma) lo stessero guardando piuttosto male.
Justin poggiò la testa contro il cuscino, chiudendo gli occhi e respirando profondamente.
«Si è riaddormentato», sentenziò Jeff, guardando me ed Alby. «Non toccatelo di nuovo o si sveglierà come prima. Non voglio più sentire delle urla così forti.»
«Come fai a sapere che sta dormendo?», domandai, grattandomi la testa. Per quello che ne sapevo, poteva stare solo riposando gli occhi.
«Ha fatto così anche prima. Ha sclerato perché l'abbiamo toccato e pochi attimi dopo si è riaddormentato con la stessa facilità con cui Minho si vanta del suo sedere.»
«Ho un sedere perfetto!», disse Minho, assumendo un espressione fiera.
«Appunto...» Jeff si passò una mano sul volto, poi scosse la testa e sospirò. «Comunque, non toccatelo più.»
«Va bene», mormorai, guardando Alby.
Lui annuì, indicando di nuovo Justin. «Non toccarlo, ma guardagli il collo.»
Sospirai. L'idea di riavvicinarmi a Justin non mi faceva fare i salti di gioia, ma se mi diceva di farlo sicuramente aveva un motivo valido. Così, lentamente, mi avvicinai, guardando oltre la sua spalla.
Il suo collo era dannatamente arrossato, ma non era sicuramente quello che dovevo guardare. Era pieno di solchi profondi fatti con le unghie, la pelle rossissima, irritata.... ed un tatuaggio.
Schiusi le labbra e aguzzai la vista, leggendo le parole che c'erano scritte.
Gruppo A
Soggetto A20
Il Detonatore
«E questo che significa?», domandai, girandomi di scatto. «Chi è stato?!»
«Sicuramente la stessa persona – o cosa – che l'ha fatto a George.»
«Soggetto 19 e Soggetto 20... sono collegati», disse Minho. Era la prima cosa intelligente che sentivo uscire dalla sua bocca da quando ero entrata in quella stanza. «Deve essere così. Anche perché se George è il l'Innesco e Justin è il Detonatore...»
«Entrambi sono pezzi di...»
«... una bomba», mi interruppe Minho, anticipando la mia risposta. Ero incredibilmente sorpresa del fatto che avesse detto ben due cose corrette in così poco tempo. Non che non fosse intelligente, ma in casi del genere di rado tirava fuori la sua intelligenza e solitamente lasciava che il suo sarcasmo prendesse il sopravvento.
Alzai lo sguardo verso di lui, ero confusa. Perché i loro tatuaggi erano collegati e perché proprio i pezzi di una bomba?
«Okay, questa cosa non la capisco», disse Alby, poggiandosi le mani dietro la nuca.
«Nemmeno io», disse Minho, incrociando le braccia al petto. «Anche io voglio un tatuaggio», brontolò. Eccolo, era troppo strano che non avesse detto ancora una delle sue caspiate.
Alby schioccò rumorosamente la lingua, guardandolo.
Minho scrollò le spalle. «Che c'è? È vero! E ne voglio uno fico!»
«Possiamo rimanere concentrati sul problema, per favore?», sbottai, sbuffando. «Vi devo informare anche del fatto che prima, molto prima, ero vicina alla zona delle Faccemorte e... beh... ho trovato un albero cavo con dentro degli aggeggi strani. Sembrava quasi la tana di qualcosa.»
«E che aspettavi a dircelo?» Alby fece per uscire, ma si fermò, guardandomi. «Portaci lì.»
«Non ricordo bene dove sia...»
«Beh, non importa, vorrà dire che lo cercheremo.»
Non capivo l'utilità di cercarlo tutti in gruppo. D'altronde, cosa sarebbe cambiato? Non ci avremmo capito nulla comunque.
Forse volevano solo vedere com'era fatto, se c’era qualcosa di utile o cose così.

Passammo quasi due ore in cerca di quel famoso albero, finché alla fine, per fortuna, non lo trovammo. La corteccia era ancora a terra, ma si stava sorprendentemente rigenerando, forse era proprio per quel motivo che fino a quel momento non eravamo riusciti a trovarlo.
Sopra la parte priva di corteccia si era formata una sorta di patina liscia e marrone. Alby la bucherellò con l'indice, levandola poi con l'intera mano. Era viscida e molliccia, faceva venire il voltastomaco solo a guardarla.
«Ma che diavolo...?», bofonchiò, dopo aver scoperto il buco.
Era pieno di cavi e cavetti, ed emanava calore. Molto calore. Ma ciò che ci stupiva non era quello, ma il fatto che, al posto della cavità vuota che c'era l'ultima volta, ora al suo interno c'era una specie di robot di animale. Ricordava vagamente un rettile e la sua coda, lunga e appuntita, gli ricopriva tutto il corpo. Come se fosse appallottolato. I cavi che prima erano scollegati ora ricoprivano gran parte del suo corpo, come se lo stessero caricando. I suoi occhi erano chiusi.
«È una Scacertola?», domandai, guardando Alby.
Lui scosse la testa, la sua espressione era quasi sconvolta. «No e non ho mai visto nulla di simile, questo te lo posso assicurare...»
«Che caspio è?», chiese Minho, arricciando il naso. La sua domanda era quella che mi stavo ponendo anche io.
Alby avvicinò la mano, toccando la superficie fredda di quella cosa raggomitolata.
Volevo dirgli che secondo me era una pessima idea toccarla, ma non feci nemmeno in tempo ad aprire bocca che questa spalancò gli occhi. Erano neri come la pece, facevano uno strano rumore, come se stessero mettendo a fuoco le immagini.
Drizzò la coda e notai che era più a punta di quanto sembrasse. La schioccò rumorosamente, poi, velocemente, si staccò dai fili producendo alcune scintille e si spostò agilmente verso il basso per poi fuggire. Era mille volte più veloce delle Scacertole.
«Ma... Alby, dannazione, e poi ero io il combina guai, vero?»
«Chiudi il becco, caspio! Non ci ho pensato. Anche io posso sbagliare, no?» Sbuffò e si grattò la nuca. «Bel casino... e se quel coso è pericoloso?»
«Possiamo solo aspettare e vedere se succede qualcosa in questi giorni...», sussurrai. Non era molto incoraggiante da dire, ma effettivamente era l'unica cosa che potessimo fare.
Non avevamo molta scelta e la cosa era piuttosto scoraggiante. Sperai solamente che, qualunque cosa fosse, non creasse altri guai.


Tornai nel Casolare, volevo controllare se Newt dormiva o meno.
Entrai in una delle stanze col letto, tanto ero sicura che l’avrei trovato sdraiato sul materasso e non di certo per terra. Per mia fortuna, avevo azzeccato la stanza dove si era coricato, ma, come immaginavo, era sveglio. Fissava silenziosamente il soffitto, le braccia incrociate dietro la testa.
«Non avevi detto che avresti dormito?», domandai, sedendomi accanto a lui sul letto.
Non si girò a guardarmi, ma annuì comunque. «Sì, ho dormito, ma mi sono svegliato come ho sentito la porta aprirsi.» Chiuse gli occhi e ridacchiò. «Sei così fine e delicata quando apri la porta... ricordi vagamente un elefante.»
Schiusi le labbra e corrugai la fronte, gonfiando le guance. «Ah, ma grazie!»
«La cosa triste è che ricordo il nome ma non ricordo com'è fatto un elefante», mormorò con un tono leggermente cupo. Effettivamente, nemmeno io ricordavo come fosse fatto un elefante.
Ed ecco che, improvvisamente, mi tornò in mente quanto mi facesse schifo non rammentare nulla della mia vita passata. Una parte di me però pensava che forse era meglio così.
«Liz?» Si tirò su, mettendosi seduto sul letto e poggiando una mano sulla mia. «Ti fa male...?»
Corrugai la fronte. Sulle prime non capii a cosa si stesse riferendo. Più che altro non ci avevo fatto caso. Dopo realizzai e scossi la testa, sorridendo. «No, non più di tanto. Sono ancora in grado di camminare, quindi... è okay.»
«Bene così.» Depositò un bacio sulla mia fronte. Il sorriso stampato sulle sue labbra mi diede una sensazione di sollievo.
«A te è passata la sbronza?»
«Più o meno, diciamo. Te l'avevo detto che non era poi così alcolico e che io non ero così ubriaco.»
«E hai vomitato?»
A quella domanda, bofonchiò qualcosa e guardò altrove. Poi, riportò lo sguardo su di me. «No... però ci sono andato vicino. Non dirlo ad Alby, ti prego.»
«Nah, tranquillo. Senti... posso chiederti una cosa?»
Annuì. Non nego che fosse abbastanza imbarazzante da chiedere, perché comunque... beh... era imbarazzante. Presi un respiro profondo e mi morsi il labbro inferiore, guardandolo negli occhi anche se una buona parte di me voleva guardare altrove. «Eri sobrio quando... beh...»
«Quando abbiamo fatto l'amore?», completò la mia frase.
Annuii. Dovevo essere diventata rossissima, perché sentivo le mie guance pulsare come non mai.
«Sì, ero sobrio. Non l'avrei mai fatto se no. La sbronza è salita tutta dopo. Ehi, è stata la mia prima volta, non sono così cretino da farlo da ubriaco così magari non mi ricordo nulla l'indomani. Anzi, è la nostra prima volta. Nel vero senso della parola.»
Arrossii ancora di lui, poggiando la fronte sulla sua spalla.
Lui rise e poggiò il mento sulla mia nuca. «Che c'è?»
«È imbarazzante il fatto che tu abbia capito che ero vergine.»
«Era scontato, Liz. Di tanto in tanto tremavi. E poi, hai perso un po' di sangue.» Mi cinse le spalle con un braccio e fece spallucce. «E poi non m'importa. Meglio. E, comunque, era anche la mia prima volta. Devo ricordarti che sono qui dall'età di quindici anni? E, non so se l'hai notato, ma qui siamo tutti maschi, e a meno che io non sia diventato improvvisamente gay, sicuramente non ho fatto l'amore con nessuno di loro», concluse. Lo disse con così tanta disinvoltura da lasciarmi quasi a bocca aperta.
Okay, era decisamente più sciolto di me nel parlare di questo argomento. Io fino a quel momento ero stata capace solo di arrossire come una bambina e di bofonchiare qualche parolina, nulla di più. Non avevo nulla da dire per poter ribattere, e poi aveva ragione.
Decisi di cambiare discorso. Chiusi gli occhi, spostandomi e sistemandomi i capelli dietro l'orecchio. «Io, Alby e Minho abbiamo scoperto una nuova creatura. Stava in un albero cavo che ho individuato io per caso, prima di trovarti nel nascondiglio.»
Corrugò la fronte. Non sapevo di preciso se lo avesse fatto per il cambio d'argomento improvviso o per la mia scoperta. Comunque, abbassò lievemente il volto. Un modo silenzioso per dirmi di andare avanti.
«E niente. Non era come una Scacertola, sembrava un rettile robot. Aveva una coda lunga e appunta... onestamente, anche se non ricordo nulla del mio passato, sono abbastanza sicura di non aver mai visto nulla di simile!»
«Era una Marchiatrice», rispose con tutta naturalezza.
Corrugai la fronte, cosa che fece anche lui, poi schiuse le labbra. «Non ho la benché minima idea di cosa caspio sia una Marchiatrice e tanto meno so perché l'ho detto.»
«Come sarebbe a dire “non ho la benché minima idea di cosa caspio sia”?» Sollevai un sopracciglio. Per un attimo pensai che stesse scherzando, ma la sua espressione diceva tutto meno che quello. Era sincero e sembrava quasi spaventato dalla cosa.
«Liz, non so cosa sia una Marchiatrice. Come faccio a sapere cos'era quella cosa se, oltretutto, non l'ho nemmeno vista?»
«Un po' come me per i D2MH...» Deglutii, facendo un respiro profondo per cercare di essere il più naturale possibile. Quella situazione, per qualche strano motivo, mi stava seriamente mettendo i brividi di terrore. «Magari è stato una sorta di flashback... non saprei.»
«La cosa non mi consola nemmeno un pochino, onestamente parlando, caspio.» Si poggiò le mani ai lati della nuca, chiudendo gli occhi.
E di nuovo, la pace era svanita. Perché doveva sempre finire così? Non potevamo vivere il tutto in santa pace, per una sola volta da quando ero arrivata in quel posto?
«Avanti, non ci pensare.» Scesi dal letto, prendendogli la mano e tirandolo verso di me. Non gli avrei permesso di stare in quella stanza a scervellarsi su ciò che aveva appena detto, o come minimo avrebbe passato la notte in bianco.
Si alzò poco dopo, lasciando andare la mia mano per sistemarsi i capelli. «Fosse semplice», disse, poi scosse la testa. Almeno doveva provarci, non poteva di certo far diventare quel pensiero un chiodo fisso, rischiava solo di farsi venire un emicrania. Ed io lo sapevo bene, bene visto che ero la prima a soffermarsi su un pensiero e a non abbandonarlo per tutta la sera. Non volevo che accadesse anche a lui.
«Andiamo a cena?», domandò, schioccandosi il collo. «Almeno così mi distraggo.»
Annuii. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di farlo distrarre.

La stanza era ancora praticamente vuota. Erano pochi i Radurai che si erano recati alla tavolata, ma la cosa onestamente non mi pesava. Non volevano cenare? Era un problema loro, non mio. Basta, avevo deciso che non mi sarei più posta quel problema.
Minho era seduto davanti a noi. Si ingozzava come se non mangiasse da settimane intere.
Da quando c'eravamo seduti tutti insieme non ci aveva posto nemmeno una sola domanda. Non che la cosa mi pesasse. Al contrario, mi sorprendeva, ma non sarei di certo stata la prima a chiedere qualcosa.
Mi domandavo, piuttosto, se Newt ce l'avesse ancora con lui. Non volevo chiederglielo così spudoratamente, davanti a Minho poi, ma la curiosità quasi mi attanagliava lo stomaco.
«Che caspio di nausea», brontolò con un espressione disgustata. Il suono della sua voce era così basso che quasi non riuscivo a sentirlo nonostante fossi a pochi centimetri da lui. Speravo tutta via che non gli venisse da vomitare proprio davanti a tutti... e accanto a me. O avremmo avuto probabilmente una catena di vomiti e Frypan si sarebbe messo le mani nei capelli per aver rovinato la sua amata tavolata luccicante del venerdì sera.
A parte le scene rivoltati, Newt non aveva un bell'aspetto. Aveva le occhiaie e la sua pelle era pallidissima. Sembrava sul punto di avere un calo di pressione. Prima non era ridotto così male. Okay, sì, non aveva comunque un bell'aspetto fresco, ma non era neanche così tanto messo male.
Poggiai la mano sulla sua gamba, inclinando la testa appena mi rivolse lo sguardo. «Che c'è?», sussurrò.
«Dovrei chiederlo io a te», risposi, sussurrando a mia volta.
Minho, davanti a noi, aveva finalmente smesso di ingozzarsi. Detestavo il fatto che, nonostante mangiasse come un maiale tutti i giorni, non mettesse su nemmeno un chilo. Rivolse l'attenzione a noi, poi schioccò la lingua. «Amico, fattelo dire, sembri un caspio di morto vivente.» La sua indelicatezza era da Oscar. Il solito inappropriato. «Non hai toccato praticamente cibo. Vuoi che lo mangi io al posto tuo?» Allungò le mani verso il piatto di Newt, muovendo le dita come un burattinaio esperto.
«Lascia stare il mio piatto, sono ancora incazzato nero. E accanto a me ho un coltello», sibilò tra i denti Newt, passandosi nervosamente le mani tra i capelli. «Non sto molto bene, okay? Ho una pessima sensazione. Ma seriamente pessima.»
«Forse ti sei solo lasciato condizionare da ciò che hai detto prima, Newt, non pensarci.»
«Ma mangi o no?», ribatté Minho, e in tutta risposta, Newt diede una spinta secca al piatto, facendolo scontrare con quello di Minho. «Tieni, ingozzati.»
Lo prese quasi come un ordine, cominciando a mangiare anche il cibo di Newt. «Sul serio, che hai?», chiese con la bocca piena, cosa che forse fece schifo anche a lui, dato che assunse un espressione strana, ma non smise di mangiare.
Newt scosse la testa, alzandosi di scatto dal tavolo ed uscendo dalla stanza.
Minho lo indicò, sgranando gli occhi. «Ho forse detto qualcosa che non va?», chiese di nuovo a bocca piena, mandando giù il boccone poco dopo.
«No... ha detto che quel coso che abbiamo visto si chiamava “Marchiatore” o qualcosa di simile. Solo che lui non l'ha mai visto. Gli è venuto spontaneo. Penso sia rimasto un po' scosso dalla cosa», sospirai.
«Beh... possiamo andare da George e chiedergli se sa qualcosa, no? Lui sa sicuramente cose in più di noi. Ricorrere al suo aiuto per una volta non sarà una cosa negativa, credo.»
Questa era la cosa più assurda che avessi mai sentito da quando avevo memoria. Eppure era una buona idea.

Certo che però sentir uscire una proposta del genere dalla bocca di Minho, quando era tra le prime persone a detestare l'idea che andassi da George, era veramente strano.
«E come la mettiamo con Newt?»

«Beh.. viene con noi. Hai un idea migliore? Magari se quel rincaspiato di George lo vede ci dirà il doppio delle cose!»

Mi poggiai una mano sulla fronte, facendola strisciare verso il basso poco dopo. Non ero esattamente dell'idea che Newt si sarebbe trattenuto nel vedere quella faccia di caspio per un semplice, ma valido motivo: lo odiava così tanto da avere istinti omicidi nei suoi confronti e, fosse per lui, lo avrebbe lasciato marcire senza cibo né acqua all'interno della Gattabuia.
E a pensarci bene... George mi doveva ancora qualche spiegazione. Ad esempio, a cosa si riferiva col “Bacio della Morte”?
Ci alzammo alla svelta dal tavolo, raggiungendo Newt fuori dalla stanza. Era poggiato al muro, aveva gli occhi chiusi e la testa rivolta verso l'alto. Respirava così pesantemente da permettermi di sentire il rumore del suo respiro anche ad una discreta distanza.
«Newt, tutto bene?», chiese Minho. Newt annuì, senza dare una vera e propria risposta. Era pallidissimo, le sue mani erano chiuse a pugno. Che stesse ancora così per ciò che aveva detto?
Mi morsi il labbro inferiore, stavo per chiederglielo, ma mi fermai nel vedere che si era allontanato dalla parete con un movimento così lento da farmi pensare ad uno zombie. Le sue occhiaie erano molto più visibili alla luce del sole.
«Sicuro che sia tutto okay?», domandai mormorando.
Si avvicinò a me, poggiò le mani sulle mie spalle ed annuì, accennando un sorriso.
Minho, dietro di noi, emise un “Oooow”, simile a quelli che emettono le persone nel vedere dei cucciolotti appena nati che cercano il seno materno per nutrirsi.
Feci un respiro profondo. «Senti... noi pensavamo di andare a chiedere qualcosa a George.»
Vidi il suo sorriso sparire lentamente, sostituito da un espressione seriamente contrariata da quello che gli avevo detto. Sapevo che avrebbe fatto quella faccia, anche se ad essere sincera mi sarei aspettata più un “Ma ti sei completamente rincaspiata tutto d'un colpo?”.
«È per un buon motivo, biondino.» Minho cercò di alleviare un pochino la situazione, anche se con un palese insuccesso.
Newt lo fulminò con lo sguardo, schioccando rumorosamente la lingua contro il palato. «Guarda che sono ancora arrabbiato con te», disse. Il suo tono era ancora più smorto del suo aspetto.
Minho aprì le braccia con fare teatrale. «L'ho fatto per una buona causa! Caspio, Newt, sono un rincaspiato e ho sbagliato! Sono umano anche io, sai?»
Newt fece per rispondere, schiuse le labbra, ma poi ci ripensò, contraendo la mascella. Annuì, sospirando. «Bene così» che, in breve, era un “ti perdono, anche se vorrei strozzarti”.
«Magari George sa dirci qualcosa riguardo a... ciò che hai detto prima. E riguardo ai tatuaggi che hanno sia lui che Justin.»
«Justin ha un tatuaggio?» Corrugò la fronte. «Perché nessuno mi ha detto nulla?»
«Me ne sono dimenticata...»
«Pensiamo che sia collegato a quello di George», aggiunse Minho. «Perché c'è scritto: Gruppo A, Soggetto A20, Il Detonatore.»
«Il Detonatore», ripeté Newt, sovrappensiero.
Minho ed io lo guardammo con un espressione totalmente sbigottita.
«Che c'è?», chiese Newt, quasi scocciato da quegli sguardi. «Che avete da guardare così?»
«Hai qualche ricordo al riguardo?», sollecitò Minho, come se, ormai, fosse pronto a tutto.
Newt chiuse gli occhi, facendo un respiro profondo. «Nulla. Il vuoto più totale, come sempre. Anche se per qualche strano motivo, la cosa non mi stupisce poi tanto... mi da una pessima sensazione.» Scosse velocemente la testa, sbuffando. Mi avvicinò a lui, lasciandomi un bacio sulla fronte. «Okay, andate. Io, però, non vengo. Sta’ attenta.» Poggiò il mento sulla mia nuca.
«No Pive, e che caspio, tu vieni con noi stavolta!»
«Non voglio farlo, caspio. Non ho intenzione di vedere quella faccia di caspio», sibilò Newt.
«Ti costringo a venire, anche se questo, magari, vorrà dire trascinarti fino alla Gattabuia per i tuoi caspio di boxer bianco coniglio.»
«Veramente, sono grigio perla...», sussurrai, provocando una risatina soffocata da parte di Newt, che poggiò le labbra contro i miei capelli per non darlo a vedere, passando le dita tra le ciocche.
Minho inclinò la testa. Non mi aveva sentita... ed era meglio così. «Chiaro il concetto, comunque?», chiese, indicando poi dietro di lui con un gesto della mano. «Muovi quel tuo culetto da bambola di plastica e seguici.» E, detto questo, cominciò a camminare verso la Gattabuia.
Newt sollevò gli occhi al cielo e si spostò, cominciando a seguirlo, ed io feci lo stesso. «Cavolo, da quando Minho ha queste capacità da leader?», domandai, ricevendo come risposta muta una scrollata di spalle.

Man mano che ci avvicinavamo alla Gattabuia si sentiva un pessimo odore acre nell'aria. Era come puzza di... morte. Nemmeno alle Faccemorte c'era così tanto tanfo.
«Sembra puzza di sploff fatta dopo sei settimana di indigestione della sbobba di Frypan cucinata con prodotti scaduti!» Ed ecco una delle perle di saggezza di Minho. Aveva reso perfettamente l'idea, comunque.
«Fermi!», disse Newt, indicando la Gattabuia. «Vedete anche voi quello che vedo io? O l'alcool è ancora in circolo ed ora ho le allucinazioni?»
«Se intendi la porta della Gattabuia sfondata, la vedo anche io», risposi, incrociando poi lo sguardo con quello di Newt.
Il problema non era solo la porta sfondata, e quello lo sapevo bene. Poteva essere sfondata nel senso di aperta... ma era proprio spaccata. Le travi della porta erano completamente inclinate. C'erano dei pezzi di legno a terra, sparsi tutti attorno in modo completamente a caso, il che dava a pensare che il colpo che era stato dato alla porta per aprirla fosse stato seriamente forte.
Cominciammo a correre il quella direzione, fermandoci quando fummo abbastanza vicini da riuscire a sentire un rumore di colpi di tosse, poi qualcosa di liquido che cadeva a terra.
Minho si avvicinò lentamente all'entrata della Gattabuia... poi cadde all'indietro dopo aver emesso un gridolino. «Caspio!» Fece in tempo a dire solo quello, poi un Dolente si sporse quanto bastava per guardarci, mettendo in bella mostra dei denti lunghi ed affilati. Ma non si mosse. Gridò e basta con quel suo strano verso, un misto tra quello di un animale e quello di un robot. Gli aculei sulla sua schiena si innalzarono con fare minaccioso, ma il suo obbiettivo non eravamo chiaramente noi.
«È un caspio di Dolente!», disse Minho. «Perché non ci attacca?!»
«È piccolo», risposi io. «Ed è un D2MH...»
«Vuoi dire che quei caspio di cosi si riproducono?»
«No, Minho, non si riproducono», rispose Newt.
«Non possono riprodursi», aggiunsi, avvicinandomi per vedere meglio il motivo preciso per cui non ci stava attaccando. Non osai avvicinarmi troppo per paura che potesse attaccarmi all'improvviso.
Il Dolente continuava ad emettere piccoli ringhi, a minacciarmi con le sue punte metalliche rigide, che muoveva con una delicatezza invidiabile, ma che sicuramente non invitavano a delle carezze.
Guardai all'interno della Gattabuia. Avevo un sensazione seriamente pessima e la puzza era sempre più forte. Capii che, probabilmente, era il Dolente. Ma poi m'irrigidii. Okay, forse non avrei dovuto avere così tanta curiosità.
Sì, la puzza era proveniva dal Dolente... ma non solo.
George era lì dentro. Tossiva. Dalla sua bocca usciva del sangue. Ogni colpo di tosse doveva essere dolorosissimo. Uno dei bracci metallici del Dolente era conficcato del nel suo addome, lo impalava contro la parete della Gattabuia. Sotto di lui c'era una grossissima pozza di sangue.
La sua espressione di dolore la diceva lunga. La cosa peggiore era che fosse ancora cosciente, nonostante tutto.
Sembrava che in tutto questo, lui stesse soffrendo anche per qualcos'altro. C'era qualcosa che nascondeva nei suoi profondi occhi azzurri. Riuscii a vederlo quando, con sua grossa fatica, sollevò gli occhi verso i miei. Forse sbiancai, forse provai una sorta di empatia nei suoi confronti.
Lui spostò lo sguardo oltre la mia persona. Riuscii a capire di avere Newt e Minho alle mie spalle, ma non sentii una sola parola dei loro commenti riguardanti ciò che avevamo davanti. Mi sentivo dannatamente impotente ed era la sensazione più brutta del mondo.
George fece per parlare, ma non ci riuscì. Diede un colpo di tosse piuttosto forte, sputando fuori dell'altro sangue.
Il Dolente, forse infastidito dalla nostra presenza, indietreggiò, lasciando che il corpo di George scivolasse verso il basso come un vecchio cappotto rovinato che cade da un appendiabiti.
Tornammo indietro per evitare di essere colpiti, ma il mio sguardo non riusciva a staccarsi dal corpo inerme di George. Il suo petto continuava ad alzarsi ed abbassarsi. Era ancora in vita, per quanto quel buco sul suo addome non promettesse nulla di buono. Per non parlare di quella pozza di sangue sotto il suo corpo. Non era per niente rassicurante.
Odiavo George per ciò che mi aveva fatto, ma vederlo in quello stato era veramente orribile. Era peggio di una vecchia bambola inanimata, con al differenza che era ancora vivo.
Il Dolente continuò ad indietreggiare, passandoci davanti senza nemmeno calcolarci.
«Se ne sta andando?», domandai, a nessuno in particolare. Mi guardai attorno, aspettai che il Dolente fosse un po' più lontano. Ancora un pochino... qualche centimetro in più...
Poi feci per correre dentro la Gattabuia. Sentivo il dovere di portare via George da lì.
«Liz!», gridò Newt. «Spostati subito! Non entrare!»
Mi girai verso di lui, sentendo la terra sotto i miei piedi che cominciava a tremare. Il Dolente stava tornando indietro, rotolando ad una velocità estrema.
«Caspio!» Feci in tempo a gettarmi all'indietro, il Dolente passò a pochi centimetri dal mio corpo. Le punte sulla sua schiena si scontrarono contro il corpo di George, trafiggendolo come un animale da macello.
Il Dolente non stava andando via. Aveva solo preso la rincorsa per completare la sua opera con un finale degno di nota.
George, adesso, era morto sul serio.
Mi coprii il volto con le mani e mi girai, poggiandomi a Newt. Avevo il voltastomaco. Lui passò una mano tra i miei capelli, accarezzandoli lentamente.
Sentii di nuovo la terra tremare. Il Dolente stava rotolando via. Stavolta, però, se ne stava andando sul serio.
«Caspio... e adesso?», bofonchiò Minho.
Alzai il volto, guardando quello di Newt che spostò la mano dai miei capelli, portandola sotto il mio mento per farmi alzare il volto. Non disse nulla. Mi bastò lo sguardo. Andava tutto bene... era tutto okay.
«Abbiamo un piano B a disposizione?», domandò Minho, poggiandosi le mani sui fianchi.
«Ve lo do io un piano B», disse Alby, a braccia incrociate esattamente dietro di noi. Doveva essere arrivato da poco. «Justin è sparito dalla stanza. Dobbiamo trovarlo.»
Minho sgranò gli occhi. «Come sarebbe a dire “Justin è sparito”? Non era legato?»
«Era, appunto. Qualcuno ha tagliato gli stracci con lui l'avevamo legato e l'ha liberato. Abbiamo uno psicocaspiato a piede libero per la Radura, Pive. Dobbiamo trovarlo. Ho avvisato anche gli altri.»
«Aspetta... da quanto tempo sei qui?» Newt si grattò la fronte.
Alby schiuse le labbra. «Da poco fa. Ho visto il Dolente che schiacciava George e basta...» Si voltò a guardare dentro la Gattabuia, sospirando rumorosamente. «Dovremmo dargli almeno una degna sepoltura, dopo una morte così pessima.»
«Già...» Newt, sospirò a sua volta, mordendosi l'interno delle guance. «Forza, cerchiamo quell'altro rincaspiato.»

Dovevamo trovare Justin a tutti i costi. Tutti i Radurai stavano facendo quello. Sembrava di giocare a nascondino contro la nostra stessa volontà.
Perché era scappato? Da cosa fuggiva? Ma sopratutto.... come aveva fatto a liberarsi?
Quel Dolente da dove era passato, se le porte del Labirinto erano chiuse? Aveva forse scavalcato?
Se quei cosi potevano saltare i muri, allora eravamo seriamente, ufficialmente, dannatamente fregati.
Newt camminava in modo davvero lento. Era sovrappensiero, l'unica cosa a cui sembrava prestare seriamente attenzione era a dove metteva i piedi. Non si guardava attorno, come invece doveva fare.
«A cosa pensi?», domandai, cercando di richiamare la sua attenzione.
Non rispose, scosse la testa e scrollò le spalle. Non voleva parlare, e sapevo che forse si stava solo appellando al suo orgoglio.
«Ti dispiace per George?», azzardai, mentre lasciavo che Minho e Alby ci superassero.
Ormai capivo la sua difficoltà nell'esternare ciò che provava e l'accettavo. Ma con me era diverso, riusciva a lasciarsi andare un pochino di più, ed era un privilegio che mi tenevo ben stretto.
Anche se forse in quel momento non voleva proprio parlare. Riuscivo a leggerlo nei suoi occhi. Il suo sguardo era perso, incorniciato da quelle occhiaie che sembravano aumentare ad ogni secondo che passava.
Contrasse la mascella, facendo un respiro profondo. «Non sono dispiaciuto del fatto che sia morto. O meglio, sì, mi dispiace perché alla fine è... era, uno di noi. Perdere un Raduraio, per quanto magari tu lo possa odiare, è comunque come perdere un membro della famiglia.» Chiuse per un attimo gli occhi, riaprendoli poco tempo dopo. «E noi non abbiamo una famiglia. E per quanto volessi ucciderlo con le mie stesse caspio di mani, non gli avrei mai augurato di fare una fine così dannatamente miserabile.» Si passò le mani tra i capelli. «E poi... non so... oserei dire che c'era qualcosa di diverso in lui. Avevo questa sensazione strana.»
«Allora non sono stata l'unica ad aver avuto questa sensazione.»
«No. Evidentemente no», mormorò, fermandosi quando lo fecero anche Alby e Minho. Ci fecero cenno di fare silenzio, poi si guardarono attorno.
«C'è qualcosa di strano...»
«Che c'è di strano, Alby? Oltre al fatto che, nonostante siamo vicino al recinto dei maiali, questi siano stranamente più puzzolenti del solito?»
Alby guardò Minho con la coda dell'occhio. Non c'era bisogno che gli dicesse che in quel momento, quel commento era piuttosto fuori luogo.
«Troppo silenzio per i miei gusti. Penso che dovremmo dividerci e ritrovarci tutti qui tra un’ora.»
Dividersi? Ma, dico, di colpo aveva mandato in ferie il cervello? Si era scordato del Dolente che aveva tranquillamente schiacciato George come se fosse stato una formica? Magari era ancora nella Radura. Era un rischio stare in gruppo, figuriamoci se non lo era stare da soli!
Tuttavia, decisi di non controbattere. Magari pensava che così facendo avremmo avuto meno distrazioni e saremmo stati costretti a stare più attenti, non avendo nessuno che ci guardasse le spalle. Avremmo dovuto contare solo su noi stessi.
«Dobbiamo trovare Justin», ribatté Alby. «Se è davvero collegato in qualche modo a George, come pensiamo che sia, non è il caso che giri per la Radura da solo con un Dolente che vorrebbe farlo fuori per cena come ha fatto col suo amichetto.»
Newt arricciò il naso, come se la cosa non lo convincesse affatto. Fece balzare lo sguardo da me a Minho, per poi concentrarsi di nuovo su Alby. «Pensi che il Dolente voglia farlo fuori?»
«Penso che sia probabile, dal momento che i tatuaggi sono in un certo senso collegati... o almeno, sembra così. Non è nulla di certo, ma non mi fido a lasciarlo così da solo... è pericoloso.»
Sembrava quasi che la morte di George avesse avuto uno strano effetto sui Radurai. Come se ne avessero ricevuto un lieve shock... o forse, era semplicemente che nell'ultimo mese tutto era diventato più strano?
«Forza, diamoci una mossa prima che diventi troppo buio», concluse Alby, facendoci cenno di muoverci.
E in meno di qualche secondo, mi ritrovai sola con Newt. Alby era andato a sinistra, Minho a destra, ed io e Newt eravamo rimasti nello stesso punto di prima, immobili come statue. Quasi incapaci di muoverci.
Ci guardammo per qualche attimo, poi Newt chiuse gli occhi e respirò profondamente, sorridendo poco dopo. «Sta’ attenta», disse, inclinando la testa.
«Perché?»
Scrollò le spalle, poggiando le mani sulle mie guance. «C'è un baby Dolente che probabilmente sta facendosi un bel giretto turistico nella Radura in cerca di un biondino rincaspiato. Ti basta come risposta?» All'improvviso era stranamente positivo. Riuscivo a sentire quanto fosse preoccupato, ma cercava comunque di non darlo a vedere.
Annuii, decidendo che quello non era il momento per mettersi a discutere su certe cose. Avevamo un compito ben più importante da mandare avanti.
«Ci vediamo qui tra poco, okay?»
«Okay.»
«Bene così.» E, detto questo, cominciò ad avviarsi dal lato opposto al mio.
E così mi ritrovai sola. Completamente sola.

Avevo già fatto avanti e indietro da un posto all'altro un paio di volte. Tutto quello che avevo trovato era solo polvere, terra, prato verde, Radurai che correvano da una parte all'altra gridando il nome di Justin... ma nessuna traccia di quest'ultimo.
La notte stava calando ad una velocità pazzesca, mi sembrava di avere i secondi contati. O forse era effettivamente così?
Dovevo cercare da qualche altra parte. Sapevo di doverlo fare, sapevo di doverlo trovare. La sentivo come una priorità massima. Come se fosse diventato il mio unico scopo... o meglio, come se fosse stato il mio unico obbiettivo da quando mi trovavo lì e l'avessi scoperto solo in quell'istante. Mi sentivo quasi come un predatore in cerca della sua preda.
Il punto era che alla fine non sapevo nemmeno da dove cominciare a cercarlo. La Radura era grande, o almeno, per me da sola, lo era. Non mi piaceva cercare in posti del genere... da dove cominciare?
Stavo percorrendo la strada per tornare alla Gattabuia. Il terriccio sotto i miei piedi era bucherellato dalle spine del Dolente. Mi dava quasi la sensazione di sprofondare ogni volta che passavo su uno di quei piccoli fossi. Le fiaccole vicino alla Gattabuia davano un tono ancora più tetro a quella specie di scena del crimine, ora priva del cadavere.
«Aspetta un attimo...» Corrugai la fronte, avvicinandomi con una corsa lenta. Perché non c'era il corpo di George lì dentro?
«Dov'è il...»
«Cadavere di George? Oh, non saprei. Sicuramente i Creatori l'hanno ripreso, come hanno fatto con tutti gli altri cadaveri dei Radurai, una volta seppelliti. Sai, devono analizzarli.»
Mi vennero i brividi alla schiena. Mi girai lentamente.
Justin era lì, con solo un vecchio paio di pantaloni stracciati addosso. «Ciao Elizabeth.» Nel suo tono di voce c'era qualcosa di diverso. Un timbro più basso, una calma che prima non aveva.
Anche il suo sguardo era diverso. Prima era in grado di dare una sorta di sicurezza, ora era quasi spento, come se qualcuno avesse premuto un interruttore in grado di interrompere quella capacità.
«Ti stavamo cercando... dove eri...» Non terminai la frase, mi interruppe sollevando l'indice.
«Sono sempre stato nella Radura. Stavo solo aspettando il momento in cui potevo trovarti finalmente da sola, mentre tutti gli altri Pive sono distanti e non possono né vederci né sentirci.» Avanzò lentamente verso di me. «Noi due abbiamo un grosso conto in sospeso, Elizabeth.»
«Ah... davvero?» Deglutii. Avevo una strana sensazione addosso. Mi sentivo... nervosa, agitata. Il suo sguardo mi provocava i brividi alla schiena. Era troppo spento, troppo calmo. «Senti, ne possiamo discutere al Casolare? Non so se lo sai, ma c'è un baby Dolente che probabilmente gira ancora indisturbato e non mi sembra il caso di star–»
«Lo so perfettamente, mia cara», sogghignò, inclinando la testa. «Come so mille altre cose.» Prese un grosso respiro profondo, sollevando la testa verso il cielo con fare liberatorio. «Ah, la magia della scienza! Il dolce potere della Mutazione! Quante cose che ricordo adesso, e sono tutte perfettamente intatte perché, caspio, in verità sono sempre state lì! Quali creature perfette i Dolenti, non trovi, Elizabeth?» Riabbassò il volto verso di me, ridendo. Era una di quelle risate false, da farti innervosire perché sai che chi la fa sta nascondendo qualcosa. Qualcosa di importante che dovresti sapere.
«Già... perfettamente diaboliche. Chi li ha creati doveva essere uno psicopatico.»
«Oh...» Corrucciò le labbra. «Non ricordi proprio nulla, eh? Eppure ti sono stati forniti gli indizi necessari per fartelo ricordare...»
«Ricordare cosa?»
Soffocò una risata, facendosi serio poco dopo. «Chi ha creato i dolenti, Elizabeth?»
E fu come se quella domanda avesse fatto esplodere una bomba nel mio petto. Poggiai le mani sulle mie tempie, abbassando lo sguardo.
Mi fissai le mani. Sapevo davvero la risposta a quella domanda?
Sono creature perfette. Dannatamente perfette.
Ero stata io?
Solo uno psicopatico sotto pressione poteva inventare esseri simili. Doveva avere davvero tanta, tantissima rabbia in corpo.
Era la mia descrizione, quella?
«Sono stata io?», domandai d'impulso, alzando lo sguardo dalle mie mani. Mi sentivo un assassina solo a quel pensiero.
Lo sguardo di Justin era serio. Di ghiaccio, come i suoi occhi, che sotto la luce della fiaccola che gli illuminava solo metà viso, sembravano cristallini. Poi, di colpo, scoppiò in una fragorosa risata. Quasi divenne rosso da quanto rideva. Si passò una mano sotto gli occhi, come per asciugarsi delle lacrime che, però, non c'erano. «No, razza di rincaspiata!»
Tirai un sospiro di sollievo.
«Tu hai creato i D2MH, non i Dolenti.»
Non so perché... ma quello non mi stupì più di tanto. La notizia non mi fece così tanto effetto... forse perché, infondo, sentivo una sorta di legame con quelle creature.
«Non ti sei mai chiesta il perché, il giorno in cui avevano invaso la Radura, i Dolenti quasi esitassero ad attaccarti?»
I miei occhi erano piantati nei suoi, non riuscivo a distogliere lo sguardo. Scossi la testa per rispondergli. Effettivamente a quello non avevo nemmeno fatto caso.
«Quindi la tua memoria è completamente vuota? Caspio, allora George ha fallito nella sua missione», disse con un tono quasi scoraggiato. «E dire che doveva fare solo quello.»
Corrugai la fronte. «Non ti dispiace nemmeno un po' che il tuo ragazzo sia stato ucciso? Non vuoi sapere come? Il perché?»
«So perfettamente come è morto», ridacchiò. «So più cose di te. So più cose di quanto t'immagini. Non hai mai capito nulla, Elizabeth, e la cosa mi stupisce parecchio! E pensare che eri tu la preferita di tutti. La preferita di Thomas, di Teresa, di Janson... dei piani alti. Tutti avevano gli occhi puntati sulla nuova stella della C.A.T.T.I.V.O. Non erano più i quattro d’élite. C'era anche di nuovo un quinto membro. La nuova promessa.»
«Justin... non so di cosa tu stia parlando, ma ora cominci a mettermi i brividi...»
«Avevo escogitato un piano perfetto... e George, in questo, aveva un solo compito. L'ha completato... ma poi ha cominciato a dar di matto più di quanto avessi messo in conto.» Poggiò le mani sulle sue labbra. Mi guardava negli occhi, ma era chiaro che la sua mente era altrove. «Forse non era un Immune... o forse il veleno dei Dolenti era troppo forte e la sua immunità è andata a farsi friggere. D'altronde, era stato punto più volte e in profondità. Caspio, quando si è buttato nel Labirinto e non tornava più mi sono preoccupato davvero, davvero tanto. Ho pensato al peggio.» Scrollò le spalle. «In ogni caso, è anche per la sua improvvisa forma di pazzia che l'ho ucciso. Era diventato troppo pericoloso per il piano, avrebbe mandato tutto in fumo. Oltre per questo motivo, c'è anche la sua improvvisa presa di coscienza. Stava cominciando a pensare che forse tutto quello che stavamo facendo fosse malsano e crudele, che dovevamo smettere di cercare una vendetta per qualcosa che forse non era nemmeno colpa tua. Delirava. Era da abbattere.» Si sporse lievemente, indicando sulla parete. «Oh, a questo proposito, dolcezza, credo che prima che scoccasse la sua ora, ti abbia lasciato scritto un messaggio. Quasi dimenticavo di dirtelo. Non lo trovi carino?» Ridacchiò in modo sarcastico. «Ti risparmio la lettura. In sintesi, dice che io sono il cattivo di turno, che gli dispiace di aver fatto la testa di caspio. Voleva anche metterti in guardia. Ecco perché ho preferito farlo fuori prima.»
Schiusi le labbra. Sentii una strana sensazione al petto. Le mie mani erano diventate fredde di colpo, riuscivo a stento a muoverle. Non sapevo cosa pensare. «Hai ucciso George?»
«Sì, te l'ho detto. Era diventato un giocattolo difettoso. Così ho mandato un Dolente ad ucciderlo.»
Scrollò le spalle con una naturalezza degna di nota. Non gli importava nulla. «Vuoi un paio di risposte vere, Elizabeth? Sono disposto a dartele. Sono disposto a dirti il perché di tutto questo. Sono disposto a dirti cosa è successo, cosa ho ricordato. Ricordo la pessima sensazione di sopravvivere in quel posto. Di cercare di emergere da un’ombra di grandezza come la tua. Ricordo il giorno in cui abbiamo consegnato i progetti, la sfida del capo, così che uno di questi diventasse ufficialmente il D2MH. Uno di noi due sarebbe finito nel progetto del Gruppo A o del Gruppo B. Indovina che vinse tra i due? Ma era chiaro che avresti vinto tu. Non importava il fatto che ci avessi messo anima e cuore nel progetto, che avessi speso notti insonni a lavorarci su, no? Al capo non interessava. Il tuo progetto era il migliore, il più curato in ogni singolo dettaglio. Il tuo Alpha era la macchina perfetta, degna di un serial killer di professione.» Batté le mani con fare sarcastico. «Complimenti. Un ottimo erede del precedente Creatore. Il capo decise di risparmiarmi. Non mi mandò nel Gruppo A solo perché pensò di darmi una seconda possibilità... ma per quanto mi impegnassi per stare al tuo stesso passo, sembrò non accontentarsi. Venni spedito nel Gruppo A contro la mia volontà mentre tu eri chiaramente troppo impegnata a fare qualsiasi altra cosa tu stessi facendo. Eri diventata troppo impegnata per passare del tempo con me, anche se mi consideravi il tuo migliore amico. Ero diventato troppo superficiale, vero?» Contrasse la mascella. «Non avevo dimenticato del tutto. Una buonissima parte di me si ricordava di quella bastarda che mi aveva abbandonato al mio destino. Quella che diceva di essere un'amica, ma poi si è rivelata essere una schifosa manipolatrice. Non c'è stato un solo giorno, da quando sei arrivata, in cui non abbia pensato ad un modo per fartela pagare! Arrivi qui e tutto va in rovina. Il ragazzo che amavo, beh, a parte essersi preso una cotta per l'altro biondo, era completamente impazzito dalla gelosia nei tuoi confronti.» Sogghignò. «È stato un gioco da ragazzi convincerlo a collaborare. Tra me e George, sono sempre stato io la mente di tutto. Sono sempre stato io quello che aveva il controllo di tutto, ma lasciavo credere a tutti che fosse lui. George era... il ragazzo più fantastico del mondo. Era forte, sì, anche lui aveva un carattere forte. Ma la mente di tutto sono sempre stato io, sin dal primo momento. Non avevo messo in conto il fatto che potesse arrivare alla decisione di gettarsi nel Labirinto per colpa tua. Ecco, vedi, quello... quello mi ha fatto incazzare parecchio.» Mi indicò ripetutamente. Le vene del suo collo si erano improvvisamente gonfiate, percorrendo il suo collo con filamenti violacei. «Lì è stato il momento peggiore. Quello in cui ho cominciato seriamente a pianificare i mille modi in cui avrei voluto ucciderti. Perché se la mia vita è andata in fumo tutta in una volta è stata tutta colpa tua. Tutta colpa tua! Non ricordi ancora nulla?»
Non riuscii a rispondere. Sentivo la testa pulsarmi, era come se ci fosse una battaglia interiore. Come se volessi ricordare, ma non riuscissi a rimettere insieme i pezzi del puzzle che avrebbero dovuto comporre i miei ricordi.
Vidi qualcosa camminare sulla sua gamba, ma non riuscii a capire cosa fosse finché non raggiunse la sua spalla. Strofinò il muso metallico contro la guancia di Justin, come se stesse cercando le coccole.
«Quella è una Marchiatrice?», riuscii a mormorare. Solo in quel momento mi resi conto che la mia voce tremava. Avevo un nodo alla gola. Non sapevo se fossi scioccata per la storia o per il fatto che tra George e Justin, non fosse George il manipolatore.
Annuì alla mia domanda, accarezzando il corpo della Marchiatrice, poi questa girò la testa verso di me, aprendo la bocca ed emettendo un verso simile a quello dei gatti quando soffiano.
«Sì, questa piccola adorabile creatura è una Marchiatrice. È come un animaletto domestico per me. Mi ha sempre riferito tutto quello che accadeva qui dentro, anche quando ero incosciente. Mi pungeva con la coda ed ecco che vedevo ciò che aveva visto lei. Più infallibile di una telecamera nascosta. Ha anche diverse altre doti, anche a livello sonoro. Te ne darà un assaggino a breve... se non ha già cominciato a farlo. Ed inoltre mi ha liberato lei, ed è la dolcissima artefice del mio tatuaggio e di quello di George. Carini, vero? L'Innesco e il Detonatore. Sono chiaramente collegati, dolcezza, ma tu questo già lo sapevi. Inoltre, questo dolce animaletto è stato creato dalla stessa persona che ha creato i Dolenti.» Rivolse il volto verso la Marchiatrice, guardandomi con la coda dell'occhio, come se si aspettasse che capissi di chi stava parlando.
Come potevo farlo? La mia mente era dannatamente offuscata, sentivo solo il fastidioso brusio dei miei pensieri, nient'altro. E la cosa peggiore, era che erano tutti accavallati, non capivo nulla, non riuscivo più a pensare.
«Come hai detto tu? Che chi li ha creati doveva “essere uno psicopatico”, giusto? Uhm... è un modo poco carino per definire la persona che ami, ti pare?»
Corrugai la fronte, scuotendo velocemente la testa. Schiusi le labbra. Collegai velocemente le cose. Lentamente, riuscii a ricordare qualche piccolo frammento del mio passato, anche se questo mi stava portando ad avere il doppio del mal di testa. Mi sembrava di avere il cervello in fiamme, che premeva contro il mio cranio e cercava di uscire.

«Oh sì, Elizabeth... ora ricordi? Newt ha creato i Dolenti. Newt voleva creare i D2MH, ma quelli dei piani alti, avendo capito quanto si stava rivelando pericoloso e quanto forte fosse il suo desiderio di vendetta, hanno preferito mandarlo nel Gruppo A. Ricordi quando si è lanciato giù dal muro del Labirinto? Ma certo che te lo ricordi. Eri così addolorata per lui...» Sorrise, facendo un passo in avanti. «Che sciocca che sei. Provare pietà per qualcuno che nemmeno conosci. Sentimento banale, la pietà. Errore umano, oserei dire.» Schioccò la lingua, passandosi una mano tra i capelli. «Sai il motivo per cui Newt zoppica?»
«Per la caduta dal muro...», risposi con un filo di voce.
La Marchiatrice soffiò di nuovo. Sembrò che il suo verso mi attraversasse il cervello come una lama.
Justin scosse l'indice in segno di diniego. «Parlo del vero motivo.»
Qualche altro motivo poteva esserci? Se ci fosse stato un motivo differente, Newt me l'avrebbe detto, no? Perché mai nascondermi una cosa del genere?
«Oh beh, immagino che non te l'abbia detto. Anche se... forse nemmeno se lo ricorda. E come potrebbe?» Rise con fare sadico, poi incrociò le braccia al petto. «Io me lo ricordo benissimo, perché ero lì davanti. Ero nuovo. L'hanno costretto ad entrare nella Scatola. Si rifiutava di bere quel caspio di coso per far cancellargli la memoria. Così, Janson, stufo del suo continuo non voler collaborare e fare il ribelle, prese una delle pistole degli scienziati e gli sparò alla gamba. Questo lo costrinse ad accasciarsi per il dolore e, mentre gridava, gli gettarono in bocca il liquido e lo costrinsero a mandarlo giù. Mentre era incosciente, prima di mandarlo qui, gli curarono alla svelta la ferita. Sai, alla C.A.T.T.I.V.O. hanno strumenti davvero favolosi, per cui non gli rimase nemmeno la cicatrice. In pochi attimi tornò come nuovo. Una volta arrivato nella Radura, il dolore era già passato... il trauma della caduta l'ha semplicemente risvegliato. Per questo lui pensa che sia dovuto a quella, di certo non al corpo di un’arma da fuoco.» Rise, come se trovasse quella storia divertente.
Io la trovavo semplicemente raccapricciante.
Abbassai lo sguardo, non riuscendo più a reggerlo. La mia vista cominciava ad essere offuscata, sentivo che il mal di testa mi destabilizzava parecchio. Riuscivo a stento a tenere gli occhi aperti, e mi sentivo... stanca. Stanca come non mai. I miei muscoli non collaboravano più. Era come se avessi i piedi affondati nel terreno.
«Ho soddisfatto abbastanza le tue curiosità?», domandò Justin, guardandomi mentre le mie gambe cominciavano a cedere ed io, lentamente, mi accasciavo a terra.
Quella cavolo di Marchiatrice stava emettendo un suono continuo che mi torturava il cervello.
«Quasi quasi, avrei preferito non sapere nulla», sussurrai.
«Beh, in ogni, caso... penso che il suono della Marchiatrice ti stia destabilizzando abbastanza. George ti ha parlato del Bacio della Morte?»
«No. Ma ho capito a cosa si riferisce.»
«Al fatto che lui è morto prima di te... e il Bacio della Morte è per...»
«... perché io sarei stata la prossima», sussurrai, sentendo l'ennesimo groppo in gola.
Era tutto calcolato sin dal principio.
Continuavo a ripetere a me stessa che tutto questo doveva essere un sogno, e che presto mi sarei svegliata. La mia testa continuava a pulsare. Piccoli spazi dei ricordi mancanti venivano colmati, ma veramente piccoli.
Magari Justin non aveva passato il test del D2MH, ma era uno stratega veramente terribile. Aveva studiato tutto nei minimi dettagli, ed era un dannato sadico. Come poteva aver ucciso a sangue freddo la persona che amava? Come si poteva arrivare a tanto, pur di completare la propria vendetta?
Sentii la terra sotto di me tremare. Il rumore di un respiro affannato, pesante. Si faceva avanti ogni secondo di più. La cosa che si avvicinava non stava camminando, stava rotolando.
«Ecco perché eri la loro preferita. Sei intelligente.» Ed ecco che in pochi attimi, dietro Justin c'era un D2MH di grosse dimensioni. Era diverso da quelli che si vedevano di solito in giro. Sì, era grosso, ma era... differente. Non aveva le spine della schiena come gli altri, ma era liscio, sul marroncino chiaro e con venature viola che partivano dal muso e scendevano in giù.
«Ti presento la mia bestia. Ricordi? Avevamo seguito progetti differenti. Ecco il design del mio.» Sollevò la testa verso il muso del D2MH. Sembrava essere innocuo verso di lui, non crudele o pronto ad ucciderlo, nonostante avanzasse minacciosamente. La sua altezza era veramente colossale, il suo avanzamento lento, forse dovuto all'enorme stazza. Spalancò le fauci, mettendo in bella mostra tutti i suoi denti a punta ed emettendo un profondo ringhio animalesco.
«Ed ora, Elizabeth, lascia che si compia il momento della mia vendetta.»
Nei suoi occhi brillava una scintilla mai vista prima. Era così luminosa, chiedeva la vendetta perfetta. Mi aveva odiata per tutto quel tempo, sin dal primo momento, ed io non mi ero mai accorta di nulla.
Non ero in grado di muovermi. Era come se i miei arti fossero incollati a terra. E quella dannata Marchiatrice non smetteva nemmeno per un secondo di emettere quel suono, che continuava a trapanarmi il cervello.
Per qualche strano motivo, Justin vi era immune. Magari era diverso per ogni persona, chi lo sapeva... comunque a me dava piuttosto fastidio.
La mia vista era offuscata, a stento riuscii a vedere come la mano di Justin si protese in avanti, facendo segno al Dolente dietro di lui di partire.
E questo non aspettò altro. Fece un balzo sul posto e partì alla carica. Chiusi gli occhi, rassegnandomi. Non avevo molta scelta. Sentii solo il suono delle lame che giravano. Ringhi. Tremolii del terreno.
Ma ero viva. Non ero ferita. Non sentivo nessun dolore. Riaprii gli occhi, piuttosto sorpresa. Vidi due Dolenti che lottavano tra di loro.
Quello nuovo era come gli altri, ma decisamente più grosso. Il colore era diverso, più tendente al dorato, e le punte sulla schiena erano mille volte più affilate.
«L'Alpha», sibilò tra i denti Justin. «È venuto a difendere la mammina. Come sempre, d'altronde. Ecco perché non hanno attaccato subito, alla prima invasione nella Radura. Anche se sicuramente sono stati i Creatori a mandarli qui come test. C'era l'Alpha a controllarli a distanza. Credevo che non l'avessero mandato nel Labirinto, o che fosse disattivato. Ecco perché lì dentro i dolenti si sono fermati. Era nascosto nel Labirinto, ma agiva comunque...»
Il Dolente di Justin emise un grido straziante e ancora più fastidioso del rumore della Marchiatrice, mentre l'altro, l'Alpha, ritrasse lentamente una delle lame che aveva attraversato da parte a parte il suo corpo. Cominciarono a macellarsi a vicenda, come era già successo con gli altri. Con la differenza che l'Alpha era decisamente più grande e sembrava subire molti meno danni.
Non mi ero resa conto che, nel frattempo, Justin aveva mandato la Marchiatrice verso di me.
Non sentivo più nulla e vedevo tutto sempre più sfocato.
Abbassai lo sguardo, ritrovando quell'affare attaccato al mio petto. I miei piedi erano ancora immobili. Avrei corso, avrei cercato di scappare, ma non riuscivo a muovere un solo arto. Facevo quasi fatica a respirare.
La Marchiatrice aveva aumentato il volume del suono. O forse era così forte perché era a pochi centimetri dal mio volto.
‹‹Il verso della Marchiatrice, se ascoltato a lungo e se rivolto ad una persona in particolare, può provocare emicranie fortissime, agendo a livello neuronale, e può condurre alla morte. In alcuni casi, può provocare anche un’emorragia interna. Paralizza la vittima, non permettendogli di muoversi, e questa recupera la capacità motoria dopo un breve periodo di tempo e solo quando la Marchiatrice smetterà di emettere il suo verso. Questo è ciò che diceva la descrizione di questa creatura», disse Justin. La sua voce riecheggiava nella mia testa, e di colpo non capii quale dei due suoni fosse più fastidioso. Ricordare quella cosa non era affatto rassicurante.
Cercai di muovere il braccio destro per liberarmi di quell'essere, ma era completamente addormentato. Non riuscivo a muovere un solo muscolo. Potevo solo assistere a quella scena, senza avere nemmeno la possibilità di sfuggirle.
Vidi la coda della Marchiatrice ergersi, mettendo il mostra la punta lucida. Poco dopo sentii un dolore allo stomaco. Qualcosa di pochi attimi. Per poi vederla sbalzata via dal colpo di un artiglio dell'Alpha.
Non sentivo più nessun nuovo. Non mi resi conto nemmeno del Dolente di Justin che era a terra con le “zampe” rivolte contro il petto. Era morto, ed era dannatamente messo male. Pieno di tagli ovunque.
L'Alpha non era messo meglio. Sembrava che avesse usato l'ultimo briciolo di forza per sbalzare via la Marchiatrice e schiacciarla con uno degli artigli metallici. Emise un ultimo grido, poi si accasciò a terra, non troppo distante da me.
Justin corse verso la Marchiatrice, la prese in mano e la guardò. Sembrava dispiaciuto per lei. Forse era l'unico essere che gli era stato vicino. La strinse con una mano e la infilò nella tasca dei pantaloni, lasciando metà della sua parte superiore a penzoloni.
«Caspio, sei ancora viva? Eppure ti ha trapassata con la sua coda!» Contrasse la mascella, tirando fuori un coltello dall'altra tasca del pantalone e chinandosi su di me.
Non avevo recuperato del tutto le mie capacità motorie, ma ora che la Marchiatrice era morta, riuscivo almeno a fare qualche piccolo movimento. Riuscii a strisciare... ma sapevo perfettamente che non sarebbe bastato. Mi tirai su col busto, cominciando ad indietreggiare.
«Perché fai tutto questo?!», gridai, con la poca forza che avevo in corpo. Il buco nello stomaco bruciava da matti, sanguinavo tanto... forse troppo. E sentivo le forze abbandonarmi lentamente. Non volevo lasciarmi andare così. Non potevo.
«Perché, Elizabeth... è ciò che siamo. Siamo assassini», rispose con tutta calma. C'era una nota di sadismo nella sua voce. «Abbiamo creato i D2MH, e cosa fanno loro? Uccidono. Abbiamo collaborato con la creazione di questo posto, e cosa fa questo posto? Imprigiona dei ragazzini, che muoiono nel tentativo di fuggire.» Mi fermò per una gamba, così da non permettermi più di strisciare via, lontana da lui. «Non possiamo cambiare ciò che siamo. Abbiamo fallito nel cercare una cura per l'Eruzione, siamo stati scadenti. Non so perché tu sia qui, ma... ti faccio andare via subito.» Inclinò la testa, impugnando stretto il coltello. «Addio, Elizabeth. Saluta da parte mia quel fallimento di George.» E, detto questo, spinse velocemente il coltello verso il mio petto.
Poi si fermò. Il coltello aveva appena attraversato la mia carne, ma non avevo sentito nulla. Nessun dolore, nessuna fitta... nulla. Forse l'adrenalina del colpo precedente mi aveva anestetizzata, in un certo senso. Sentivo solo il mio respiro. Annaspavo, cercavo l'aria.
Ma perché si era fermato? Il suo sguardo era... perso. Lo vidi inarcare la schiena, poi cadere all'indietro. Appena il suo corpo cadde a terra, vidi che, dietro di lui, c'era uno degli artigli dell'Alpha. Era completamente sporco di sangue.
Abbassai lo sguardo su di lui. Per la prima volta, riuscii a vedere in un essere così crudele un briciolo di affetto. Era sempre stato nel Labirinto e mi aveva salvata più volte.
Il giorno dell'invasione, i Dolenti non stavano inseguendo me, ma Newt. Il giorno in cui ero entrata nel Labirinto, il ruggito che aveva fatto arrestare i Dolenti, era il suo. Ed ora mi aveva salvata dal Dolente di Justin... e aveva cercato di salvarmi la vita.
Abbassò lentamente l'artiglio verso la mia mano. La sfiorò, emettendo un verso che sembrava essere una sorta di uggiolio. Poi la ritrasse verso il suo corpo, assumendo la posizione da morto, come facevano gli altri Dolenti.
Non so quanto tempo passò. Non molto, forse qualche minuto, ma l'aria cominciava a mancare sempre di più. Sentivo i miei arti formicolare. Cercavo di resistere, cercavo di muovermi.
Sentii delle voci lontane. I Radurai stavano tornando indietro.
Udii dei passi. Poi qualcuno si fermò.
«Ma quella non è Elizabeth?» Sentii la voce di Alby, ma ancor prima che potesse continuare, qualcuno cominciò a correre nella mia direzione.
«Elizabeth? Elizabeth!» E questo era Minho, ma lui cominciò a correre solo dopo aver finito di parlare.
«Minho! Newt! Caspio, Pive, rallentate! Jeff! Vieni qui!», gridò Alby.
Poco tempo dopo, sentii il mio cuore battere più forte.
Newt si chinò alla mia altezza, portò una mano dietro la mia nuca e mi sollevò lentamente. I suoi occhi erano lucidi come non li avevo mai visti prima di quel momento, sussurrava tra sé e sé.
Diedi dei leggeri colpi di tosse, forse sputai del sangue, non sapevo nemmeno io cosa mi stava succedendo.
Guardarlo negli occhi e non avere abbastanza forze per dire anche una sola parola che potesse essere di conforto era la cosa peggiore di tutte.
«No, no, no, no... Liz... ascolta la mia voce.» Ma la sua voce tremava.
Poggiò una mano sulla mia guancia, mi guardava, e leggevo nei suoi occhi la frustrazione di non poter fare nulla.
Soffrivo di più per quella scena che per qualsiasi altra cosa.
«Newt?», sussurrò Minho, vedendo l'amico che sembrava assente.
«Newt...», fu tutto ciò che fui in grado di dirgli.
E l'ultima cosa che vidi, fu lui che cercava di non piangere, portandosi una mano sulle labbra. Avrei voluto dirgli qualcos'altro. Ma non ne fui in grado.
Avremmo dovuto avere più tempo.
 





 

{L'angolo dell'autrice}
Salve pive!
Ma ciao miei amati pive!
Ebbene sì, questo era l'ultimo capitolo di questa fanfiction.
Vi ringrazio davvero tantissimo per tutte le recensioni positive che avete lasciato, mi avete fatto amare ciò che faccio e alla fine a questa storia mi ero affezionata davvero tantissimo. Tant'è che mi dispiace che sia finita, ma non poteva durare in eterno. D'altronde è ambinetata un mese prima dell'arrivo di Thomas e Teresa!
Ringrazio in particolare la mia beta,
Eibhlin Rei, per la pazienza, il lavoro e il tempo che ha speso dietro questa storia. È stata bravissima... e le dovrò fare una statua immensa.
Grazie mille, sul serio! <3

Vi avviso, comunque, che c'è ancora un'ultima cosa.
Solo che adesso non vi dico cosa (?)
Keep Calm! ;)

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