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Autore: Sarah M Gloomy    30/06/2015    0 recensioni
Paul. L’inizio di tutto e la mia fine.
Mi ero appena svegliata da una tremenda post sbornia e della sera prima ricordavo solo la presenza di alcol. Molto alcol. Ero appena uscita da una relazione burrascosa, durata l’arco della mia vita, in cui avevo messo anima e corpo per farla funzionare. E come tutte le cose importanti era andata dritta nel cesso, con lui che mi diceva che ha bisogno di tempo, di riflettere e di intruppare le mani in qualcos'altro che non ero io. La mia distruzione ... e il mio nuovo inizio!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L’appartamento 9
 
Paul. L’inizio di tutto e la mia fine.
Mi ero appena svegliata da una tremenda post sbornia e della sera prima ricordavo solo la presenza di alcol. Molto alcol. Ero appena uscita da una relazione burrascosa, durata l’arco della mia vita, in cui avevo messo anima e corpo per farla funzionare. E come tutte le cose importanti era andata dritta nel cesso, con lui che mi diceva che ha bisogno di tempo, di riflettere e di intruppare le mani in qualcos’altro che non ero io. La mia distruzione. Tutto ruotava intorno a lui, dalle amicizie ai luoghi di incontri. In comune avevamo anche l’appartamento, che logicamente da bravo cavaliere si era ripreso per fare le sue orge.
Alexia, la mia migliore amica dai tempi del liceo, mi aveva gentilmente ospitato nel suo appartamento, ma sia i suoi ritmi di vita sia l’ambiente ristretto non collimava con l’idea di avere una mia identità. Mi ero piazzata sul divano e la prima settimana l’avevo passata tra lavoro e crisi isteriche, piangendo anche di fronte allo sturacessi che aveva la sua pettinatura appena sveglio. E giuro, in quei momenti ero lucida!
Poi la brillante idea di Ale di imbucarsi ad una festa. Niente male, fantastico, ormai avevo toccato il fondo della depressione, perché non annegare in stuzzichini e alcol? Non ricordo neppure la festa, o la casa, né tanto meno gli stuzzichini. Mi ero piazzata vicino alla tinozza arancione più grande che avessi mai visto, solo il miasma mi aveva steso ma non avevo mollato e avevo tracannato bicchiere su bicchiere.
Per esperienze precedenti so che sono una pessima ubriaca. Tendenzialmente inizio a deprimermi, a piangere, a singhiozzare e al peggio prendo a sberle qualcuno. Direi, a rigor di logica, che le possibilità di aver fatto qualcosa di folle sono molto minime. Sottoterra.
Mi alzai dal divano, rantolando e con il sapore acido che lasciava una bella vomitata mi diressi verso il bagno. Sperando di non rimettere di nuovo, sentii le fusa di Ale nella sua camera da letto. Di certo il suo risveglio sarebbe stato migliore del mio.
Orribile. Il mio doppione allo specchio faceva schifo. I capelli erano impastati di non so che cosa e avevo un mega rasta al posto della frangetta. Il sospetto era di essermi pure vomitata sui capelli. Dopo una bella doccia il mio aspetto rimaneva schifoso, con i capelli nocciola che si schiaffano sulla guancia, le occhiaia nere sotto gli occhi verdi e le palpebre pesanti. Mi infilai un paio di pantaloni larghi, maglia poco sexy, i capelli raccolti in una coda, occhiali e mi piazzai depressa sul divano, con il computer sulle ginocchia.
Ora, sveglia, mi era impossibile non sentire i guaiti degli altri nella camera da letto, quindi mi infilai le cuffie e misi la musica a tutto volume.
Volevo bene a Ale, ma i suoi ritmi erano molto diversi dai miei. Come me lavorava e la sera era sempre fuori, cercando di convincermi ad uscire in qualche sua scorribanda. Era un tipetto un po’ libertino, disprezzava le storie lunghe ed era più “da una botta e via”. L’opposto di me, che al principio avevo interpretato il suo motto come un ottimo smacchiante per capi difficili.
Ritornare dai miei era fuori questione, sia per il lavoro che avevo in città sia per il fatto che si tornava a vivere con i miei! L’unica chance che mi rimaneva era trovarmi un appartamento, possibilmente da condividere con qualche ragazza come me e buttarmi Paul alle spalle. Se lui mi avesse visto sul divano avrebbe riso e mi avrebbe accarezzato i capelli. Paul!
Con stizza, cambiai musica perché era la nostra canzone, ma se hai avuto una relazione con un tipo da quando avevi quattordici anni fino ai venticinque, direi che un po’ tutto te lo ricorda!
Il giorno prima avevo scovato in internet un appartamento, con tre inquiline e avevo chiesto la disponibilità per un colloquio con loro nel pomeriggio. Mi erano sembrate simpatiche, anche se avevo solo letto il loro messaggio e i nostri discorsi erano solo per mezzo di chat. Si erano firmate Charlie, Kit e Sam. Avevamo già un tono colloquiale, come vecchie amiche!
Mi avevano scritto se era possibile incontrarci a mezzogiorno anziché alle quindici, perché Kit aveva dei problemi per quell’ora. Mah, nessuna difficoltà.
Alzai gli occhi vedendo un’ombra che si allungava dalla porta, seguita da un’altra più minuta. Ale aveva accalappiato un bel maschione, muscoloso, in canottiera e con i capelli lunghi per potersi attaccare in momenti di intimità. Visto il cespuglio arruffato che aveva, ero certa che Ale l’avesse usato come corda. Per educazione mi tolsi le cuffiette, aspettando una qualche mossa. È difficile sapere come comportarsi! È un momento intimo, quindi la terza incomoda che allunga la mano e si presenta è poco opportuno; rimanere piazzata sul divano e fare la spettatrice era da voyeur; stare sul divano, fingere di non averli visti era da maleducati. Mi limitai a fissarli a intermittenza, così se Ale avesse voluto presentarmi sarei stata pronta.
   «Ti chiamo, allora.»
   «Okay.» Ale lo accompagnò alla porta come una gatta in calore, strusciandosi e con molta grazia facendolo uscire. Un modo per dirgli «Vattene» senza farglielo capire.
La mia amica si afflosciò sul divano, con un sorriso e lo sguardo lucido di chi vuole che gli si chieda della serata. E la conoscevo da troppo tempo per cascarci. Anche lei sapeva giocare. «Com’è andata la serata?»
Mi limitai a mugugnare qualcosa, obbligandola a chiamarmi dolcemente. «Robin??»
   «Sì, lo so Ale! Mai avuto una serata migliore. Mister Muscolo è stato fantastico, mai fatto un sesso migliore ma possiamo non parlare di me? Ho ancora i postumi di una sbornia che non ricordo, ho l’incontro con le ragazze per l’appartamento a mezzogiorno. E mi sembra di sclerare di brutto, stavo per piangere nuovamente per Paul e …»
   «Sei logorroica!»
   «Lo so! Sai che sono a ruota libera. Io parlo, parlo e poi qualche volta penso.» Fissai Ale che mi sorrideva. Di risposta mi passai il dito sulle labbra, facendo segno di chiudere la serratura. «Capito.»
   «Mister Muscolo, però, non era così bravo a letto. Ho finto un po’. Sai, se non li gasi i ragazzi si deprimono facilmente. Baciava come se volesse mordermi! Voglio dire, capisco giocare con le labbra ma usare i denti è un po’ eccessivo.»
Sospirai. «Lo rivedrai?»
Come immaginavo, Ale scosse la testa. «Direi proprio di no. Lui è un tipo da una botta e via, bellezza. Cosa pensavi di metterti per il colloquio?»
Alzai le spalle. «Pensavo un paio di jeans e una maglietta.»
   «Non stai andando a fare il bucato.»
   «Ale, devo solo incontrare delle ragazze, presentarmi, stringere la mano e parlare se possiamo convivere! Mica devo essere sexy per loro!»
   «E se ci fossero altre possibili coinquiline?»
   «No, sono l’unica. Hanno detto che tutti gli altri non andavano bene.»
   «Magari sono stati snobbati perché sono andate là in jeans e maglietta.»
Sospirai. «Tirami fuori un vestito da mettermi e facciamola finita. Tanto ho capito che o si fa come vuoi tu o non si fa niente. E lo so da tanto, ma ancora aspetto che cambi!»
 
            Nuovamente guardai l’indirizzo e la porta di quello che poteva essere l’edificio del nuovo appartamento. Bel quartiere, curato, con un parco per fare jogging alla mattina. Semmai prendessi un colpo alla testa e volessi farlo, il parco è lì. Mi piaceva che fosse in un viale illuminato, non molto trafficato dalle auto e c’era la fermata dell’autobus a non più di trenta metri dall’entrata del palazzo.
L’appartamento era al terzo piano, con ascensore e scale pulite. Ad ogni pianerottolo c’erano delle piante e uno sciame di mosche e zanzare per l’acqua stagnata. Non si può avere tutto dalla vita. Feci le scale di corsa, bloccandomi per cinque minuti buoni davanti all’appartamento 9 per riprendere fiato: non sono brava a correre con le scarpe con il tacco e, anche se ne fossi in grado, non sono sportiva!
Bussai alla porta, accorgendomi all’ultimo che lì, vicino, c’era il campanello. Dall’altra parte c’era un tramestio, quindi evitai di suonare.
Mi aprì la porta una bella ragazza dai tratti un po’ androgini. Capelli corti fino alle spalle neri, gli occhi acquosi dello stesso colore, pelle quasi diafana, il mento leggermente quadrato. Ero ancora insicura sul sesso quando miagolò un «Ciao» che mi lasciò senza fiato. Fissai il traballante pomo di Adamo e guardai il pezzo di carta che mi ero portata appresso. Indicai la ragazza davanti a me, impacciata. «Io sono Robin.»
Si lasciò sfuggire una risata. «Oh cielo, scusami! Che figura! Io sono Charlie, entra pure. Ci siamo sentite per chat. Hai sempre parlato con me. Non entri?»
   «Oh, certo.»
Con un po’ di imbarazzo entrai. Mi guardai intorno. Appartamento grande, davanti al divano c’era una grande televisione, vicino alla quale una credenza con qualche libro, un lettore dvd e un registratore vecchio modello, una cucina dall’aspetto curato, un tavolo per quattro e un’ampia terrazza che potevo vedere sin dall’entrata.
Charlie continuava a parlare. «Devi scusarmi, ma ogni tanto i miei amici organizzano degli incontri al buio e pensavo fossi uno di quelli. In effetti, di solito mi avvisano!» Si lasciò sfuggire un’altra risata. Ero ancora indecisa se fosse un lui o una lei. Puntavo di più su un cinquanta e cinquanta. «Mi hai sorpreso. Ero convinta che Robin fosse un nome da uomo.»
Nella stanza non era l’unica ad essere sorpresa. Però Charlie era, con i suoi modi colloquiali, molto affabile. Non mi sorprendevo che mi fosse piaciuta subito. «Siediti pure.»
Mi accomodai sul divano, mentre Charlie si raggomitolava cordiale sui suoi pantaloni jeans. Quanto avrei voluto che Ale non mi avesse obbligato a mettere una gonna! «Mi perdoni, sono un po’ spiazzata. Sa … dal fatto che … che ha detto che credeva che Robin fosse un nome da uomo, credo che …»
Sorrise. «Kit e Sam? Uomini. Li ho soprannominati io così, ma devo dire che potrebbe essere frainteso. Se avessi scritto Keith e Samuel sarebbe stato più chiaro.»
   «Un po’.» Lasciai scivolare l’agitazione con una risata, che piacque a Charlie. «Visto? Non faccio del male quindi possiamo anche parlare.»
   «Scusa … posso darti del “tu”? Credo che siamo quasi coetanee. Sai … esco da una relazione di undici anni con un ragazzo e ritrovarmi circondata da uomini non è quello che mi aspettavo. Praticamente mi sto rendendo conto che non so nulla della vita, non so come si fa amicizia con gli uomini e, orrore, non so neppure cavarmela da sola! Intanto volevo provare a fare amicizia di nuovo con altre ragazze, che non fosse un incontro per lavoro o una che ti chiede dei gettoni per fare i lavaggi.» Mi sentivo come dal dottore, a parlare con un perfetto sconosciuto dei fatti miei e pure incapace di bloccarmi!
   «Undici anni di relazione? È un record!»
Ridacchiai, alzando le spalle. «O uno schifo. Primo e unico ragazzo.»
   «Un po’ ti invidio. Non sono mai riuscita ad avere relazioni serie. Arrivano fino ad un certo punto, poi quando si è all’apice se ne escono fuori con un “non sapevo che l’avessi”. Cioè, ho visto la tua espressione e ti è subito venuto un mezzo sospetto, no?»
   «Ti assicuro che se non fosse per il pomo di Adamo avrei detto che eri una donna al cento per cento.»
Sorrise, e non mi pentii di averglielo detto. Sembrava una donna, anche con quel pomo d’Adamo ballonzolante. Beh … qualche sospetto mi sarebbe venuto lo stesso anche se non glielo avessi visto, però meglio non marcare quel fatto. Si avvicinò con fare complice, bisbigliando. «Grazie e mi piaci. Non nel senso che ti porterei a letto, ma come possibile amica non sei male.»
   «Grazie, anch’io non mi trovo male. E complimenti per l’appartamento, è stupendo.»
   «No, non dire così. Ti faccio vedere le stanze prima che arrivino Kit e Sam. Loro non vogliono che nessuno le veda. Così ti fai un po’ l’idea degli uomini con cui sono costretta a vivere!»
Con fare confabulatorio, Charlie mi fece strada, aprendo la prima stanza del corridoio. Bagno. Niente di speciale, carino con le mattonelle blu acqua, la doccia con il vetro opaco, water, bidè e un grande lavandino con due specchi. Come in una famiglia, sotto c’erano i bicchieri con i nomi dei rispettivi proprietari. Vista la scelta dei nomi, sospettai che ci fosse lo zampino di Charlie.
   «Attenta, fino adesso hai visto le stanze in comune. Da qui in poi non sarò responsabile di quello che vedrai.»
   «Del tipo “ci sono cose che voi umani non potete neanche immaginare”?»
Ridemmo entrambe, aprendo la prima porta. La stanza odorava di chiuso e, quando Charlie accese la luce, mi accorsi della montagna di indumenti piazzati sulla sedia. Il letto era sfatto, mostrando le lenzuola di Star Wars. Come era riuscito a trovarle quel tipo di lenzuola per un letto a due piazze? Sulla credenza erano stipati la più alta collezione di Dvd e libri che avessi mai visto. Accompagnata a intermittenza da qualche giocattolo da collezione. Charlie alzò le sopracciglia, chiudendo la porta con aria plateale. «Questo è Sam.»
Aprì quella di fianco di Sam, dove un’altra stanza, altrettanto grande, mostrava la presenza esplosiva di Charlie. Tappezzati sulla parete c’erano poster attori e cantanti, maschi e femmine e, appoggiato vicino al letto, una chitarra elettrica. La sua camera era pulita, arieggiata e ogni cosa, dalla collezione di peluche ai cuscini era posizionata perfettamente. Il mio ego femminile si risvegliò da qualche parte, scuotendo la testa in segno di disapprovazione per la mia persona. Ammisi a malincuore. «Hai un tocco più femminile del mio.»
   «Grazie. E ora Kit. Non scandalizzarti.»
Era la stanza davanti a quella di Charlie. Era più pulita di quella di Sam, ma abbastanza inquietante. Come Charlie aveva poster su una parete, soprattutto di donne svestite su auto. Sulla scrivania aveva una teca con un serpente piuttosto grande e, vicino alla porta, un’altra teca dove un ragno delle dimensioni della mia mano dormicchiava. Per lo meno il letto era fatto, anche se non mi sfuggì la confezione di preservativi attaccata alla parete con scritto, lì vicino, “Grande Bro”.
Charlie chiuse la porta, osservando la mia reazione. «Sinceramente sono più scandalizzata dalla montagna di biancheria nella stanza di Sam! Ma come fa?»
   «Ho una teoria. Secondo me Sam si sveglia alla mattina, farfuglia sulla sedia qualche imprecazione e il primo indumento che si ritrova tra le mani se lo mette. Questa è l’ultima stanza.»
L’aprì. Era vuota, se non fosse per il letto piazzato in mezzo e l’armadio aperto. La finestra spalancata la illuminava. «Immagino che non siamo esattamente quelli che aspettavi, ma mi piacerebbe che tu fossi la nostra coinquilina.»
Era la cosa più carina che qualcuno mi avesse detto. Con gli occhi lucidi mi girai verso Charlie e l’abbracciai. Al diavolo se non era quello che mi aspettavo, se dovevo convivere con degli uomini. Meglio cambiare la vita dalla radice, e quale modo migliore di farlo con altre persone? Forse andava anche meglio: ero convinta che in un gruppo di ragazze mi sarei trovata a fare alla sera le solite cose! «Oh, mi piacerebbe un sacco.»
Lei ricambiò, saltellando sul posto. «Sì!»
   «Charlie, hai lasciato di nuovo la porta aperta! Devi chiuderla a chiave, se no a che serve?»
Io e Charlie ci sciogliemmo dall’abbraccio. Mister Muscolo accompagnato da un altro ragazzo sconosciuto ci osservavano.
   
 
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