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Autore: Jultine    30/06/2015    2 recensioni
"Trasportare il suo corpo non fu per nulla facile, dato che le galosce sprofondavano nella neve ad ogni passo. Ogni volta che rimanevo senza fiato, mollavo il suo corpo in mezzo al candore e pregavo: “Inverno, mio dolce e caro inverno, sii clemente con me.” e poi ripartivo.
Non ricordo perché lo impiccai. Però ricordo come mi sentii allora."
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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ZIMUSHKA


 

È stato peggio di un crimine, è stato un errore.”

-Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord

 

 

Avevamo un bel ciliegio sul retro della nostra dacia. Non dava mai frutti. Era sterile, come il mio ventre. Spesso ricordo che, nelle belle giornate d'estate, Alosha si accomodava ai piedi di quell'albero e leggeva per ore.

Mio marito.

Quando lo impiccai in quello stesso punto era gennaio e faceva freddo. Le campagne erano deserte e ricoperte da un sudario di neve. Quel giorno insistetti tanto affinché Alosha mi portasse lo stesso a trascorrere lì il fine settimana. Si mise subito a leggere di fronte al camino che con tanta premura avevo acceso. L'idea, infatti, arrivò quando la legna era finita. Lui non si offrì nemmeno di andarla a spaccare al posto mio.

Mentre raccoglievo i ceppi da ardere, accatastati al suolo nei pressi del ciliegio, pensai a come ucciderlo. L'albero, ora spoglio e irto di rami secchi e scheletrici, mi suggerì come fare.

-Impiccalo ad uno dei miei rami più robusti- l'avevo sentito sussurrare -esso non si spezzerà poiché è tanto l'affetto che provo per te.-

Non trovai bizzarro il fatto che una pianta mi avesse parlato: lo faceva spesso, quasi sempre.

Rientrai in casa e misi il tè a bollire nel Samovar. Mentre Alosha leggeva, io addizionai alla bevanda un po' della mia medicina. Lui non sapeva nulla della prescrizione del medico, ed io non l'avevo mai osservata. Gli porsi il tè caldo e lui l'afferrò senza ringraziarmi. Bevve fino a vuotarne la tazza e dopo breve tempo si addormentò col suo libraccio tra le mani.

Trasportare il suo corpo non fu per nulla facile, dato che le galosce sprofondavano nella neve ad ogni passo. Ogni volta che rimanevo senza fiato, mollavo il suo corpo in mezzo al candore e pregavo: “Inverno, mio dolce e caro inverno, sii clemente con me.” e poi ripartivo.

Non ricordo perché lo impiccai. Però ricordo come mi sentii allora.

Lo sollevai a fatica facendo leva con la corda su uno dei rami più robusti e tirai, tirai. Legai la cima al tronco e gli poggiai i piedi s'una sedia. Cominciai a scuoterlo per fargli riprendere conoscenza, e, dopo essersi guardato attorno smarrito, posò i suoi occhi terrorizzati su di me.

-Perché?- sibilò con gli occhi sgranati, da bestia ferita.

Gli conficcai il mio sguardo dritto in faccia. Fu quella la mia risposta.

Diedi un calcio alla sedia. Lo osservai per un po' mentre si agitava nel vuoto calciando l'aria. Poi si pisciò addosso come un cane e rimase a ciondolare come un macabro pendolo.

Mi piacque ciò che vidi. Mi piacque ciò che avevo fatto.

Mi sistemai il fazzoletto di lana sulla testa per coprirmi meglio i capelli e pregai Cristo di risparmiare la sua anima.

Inverno, mio dolce e caro inverno, sii clemente con me.

Dovevo tirarlo giù dal ramo e nasconderlo da qualche parte, ma dove? La realtà mi piombò addosso improvvisamente con tutto il suo terrore. E se mi avessero scoperta? Temevo qualsiasi cosa si muovesse, frusciasse, razzolasse perfino. Più mi allarmavo e più le galline facevano chiasso dentro al pollaio. E poi il vento faceva scricchiolare ogni cosa. Decisi di sbrigarmi.

Tagliai la corda dal ramo e dal suo collo e la seppellii in giardino con furia; eliminai ogni traccia del delitto e cercai con lo sguardo un buon posto per far fuori il corpo.

-Gettalo nel pozzo, nel pozzo.- m'incalzò il ciliegio -Il pozzo è buio, il pozzo cela.-

Gli obbedii all'istante, trascinando Alosha per una gamba fino al luogo designato, ad una ventina di metri da me. Con tutta la mia forza sollevai il cadavere di mio marito e lo gettai nella voragine. Lo osservai per un istante precipitare come un bambolotto pieno di farina. Atterrò nell'acqua con un sonoro tonfo. Mi sporsi dal muretto tondo e restai lì ad osservare attenta, come se mi aspettassi che la mano di Alosha mi ghermisse e mi portasse con sé nell'oscurità del pozzo.

Non accadde nulla.

 

 

 

Si era fatta la bella stagione ed avevo deciso di tornare alla dacia per curare l'orto. Giunta sul posto salutai il vicino, il quale subito mi chiese di mio marito, e gli risposi con palpabile rammarico che era venuto a mancare per la tisi.

-Era un così buon uomo, Alexandr.- mi disse -Lo vedevo sempre seduto lì, ai piedi del ciliegio a leggere.-

-Già.-

-Che macabra coincidenza, però- riprese il vecchio -Temo che quell'albero debba essere abbattuto. S'è preso la gomma.-

Mi balzò il cuore nel petto.

-Ma che dice sul serio? È sicuro?-

-Sì, Cristo Santissimo mi è testimone!-

-Le credo, le credo.- biascicai -Meglio dargli un'occhiata, allora.-

Mi allontanai vagamente scossa. Una volta di fronte al mio amato ciliegio, notai che sulla superficie nuda dei rami vi erano per davvero delle grosse bolle di resina giallastra.

Dapprima pensai che Alosha avesse maledetto me e l'albero, così lo riempii di icone e fiori, ma quando il ciliegio cominciò a marcire, decisi una volta per tutte di abbatterlo e non pensare più a quella storia. Chiamai dunque dei giardinieri che mi aiutassero a sradicarlo.

Il giorno dopo si presentarono due uomini assolutamente identici, forse gemelli. Mi colpì molto questo fatto, perché i gemelli mi fanno davvero molta impressione. Arrivarono dunque queste persone che, senza rivolgermi nemmeno un saluto, strapparono il tronco marcio dal terreno e se lo caricarono sul carro. Mentre facevano per andarsene, notai che uno di loro mi fissava. Lo osservai, e vidi che aveva perso ogni tratto somatico. Al posto di occhi, naso, labbra e orecchie aveva solo un agglomerato fibroso di carne.

Fui presa da un'angoscia talmente soffocante che mi fu impossibile persino gridare o gemere per lo sgomento. Ero terrorizzata. Distolsi lo sguardo, ma quando osai cercare i due uomini con la coda dell'occhio per sincerarmi che non fosse stato uno scherzo della mia mente, il carretto era già sparito lungo la strada sterrata e i due giardinieri mi avevano rivolto le spalle.

Corsi in casa per rinfrescarmi, ma nell'acquaio trovai una cordicella infangata che galleggiava nell'acqua torbida. Terrorizzata dall'idea di una maledizione, pregai a lungo, con una ferocia quasi febbrile, e poi, stanca e angosciata, mi addormentai.

 

 

 

Il giorno seguente fui svegliata dalla luce intensa del sole che penetrava dalla finestra. In una giornata tanto luminosa e mite non riuscii a pensare ad altro se non alla cura dell'orto e del giardino. Repentinamente liberata dall'angoscia, trascorsi gran parte della mattinata e del primo pomeriggio a godermi il tepore primaverile, finché il tempo non mutò e grosse nubi grigiastre non soffocarono il cielo. Si era in marzo, per cui non mi curai più di tanto dell'accaduto, anzi, ne approfittai per dedicarmi ad alcune faccende in casa. Prima che potessi varcare la soglia, però (e quando ripenso a quanto accadde rabbrividisco ancora), prese a venir giù una pioggia fitta e spessa, rossa come sangue, che all'impatto col suolo liberava un pigmento scuro simile al fango. In pochi minuti, tutto il vialetto e le strade erano diventate rossastre e vischiose al passo.

Invocando aiuto a gran voce, presi a correre verso il pozzo, ormai certa che Alexandr mi avesse maledetta. Pensava di portarmi all'inferno con sé, ma non mi avrebbe avuta! Nè ora né mai.

Aveva preso a tuonare così forte che sembrava stesse per arrivare l'Apocalisse. Alla folgore era accompagnato il rombo delle trombe di mille arcangeli. Erano furiosi! Furiosi perché mio marito mi aveva maledetta.

Ah, che pentimento! Che stupida ero stata a farmi sviare dal demonio così facilmente!

Artigliai ansimante il bordo del pozzo, invocando il suo nome come un'ossessa.

-Alosha! Alosha!- strillavo -Marito mio, caro mio Alosha, perdonami! Perdona il mio peccato!-

Non rispondeva. Solo il buio, grumoso e denso, mi restituiva l'eco.

-Alosha, dolce amore, ti imploro clemenza! Per favore, per favore!-

Mi girava la testa, furiosamente, e a stento percepivo le forme della dacia e del viottolo insanguinato. Non ci volle molto per far sì che svenissi, accompagnata dalla triste voce del mio ciliegio che, in lacrime, mi domandava perché avessi ucciso anche lui.

 

 

 

Arrivarono due uomini che mi sollevarono dal terra. Dopo avermi adagiato s'una barella, potei distinguere i contorni di un carretto poco lontano da noi. Stavano forse portandomi all'ospedale? Me, una peccatrice? Qualcuno era veramente venuto in mio soccorso? Oh, Alosha! Grazie, grazie, caro Alosha! Alla fine mi hai perdonata, dolce marito mio!

Rivolsi un sorriso ad uno dei miei salvatori, ma una volta riconosciuto quel volto gridai in preda al terrore.

-Il giardiniere! Lei è uno dei giardinieri!- esclamai -Lei non aveva la faccia!-

-Si calmi signora, non faccia sforzi. È solo molto agitata.- rispose quello che, intanto, aveva fatto cenno all'altro di aiutarlo.

-E' lei invece! Lo so! Siete gemelli, ma in realtà uno di voi non ha la faccia!-

Ad un tratto provai un fastidioso pizzicore alla coscia e fui pervasa dall'improvvisa dolcezza del sonno. Tutto assunse nuovamente forme sempre più incerte e molli, ma posso giurare su Cristo Santissimo (e mi perdonarmi) che prima di chiudere gli occhi la mano bianca di mio marito fece leva sul pozzo per sollevarsi ed uscire. E mi guardò con rimprovero ed odio, pugnalandomi con quegli occhi vitrei e gonfi di morto.

 

 

Perché, Natalia, perché hai ucciso anche me?

 

   
 
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