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Autore: AurumLiddell    02/07/2015    4 recensioni
L'ex professore della scuola elementare Heavenly Host, Yoshikazu Yanagihori, ha lasciato una lettera per te.
Genere: Horror, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questo è ormai il mio unico modo per comunicare. A te che stai leggendo, forse credi di conoscere la mia storia, ma è proprio qui che ti sbagli, non intendo tediarti raccontandoti tutta (e dico “tutta”) la mia vita per filo e per segno quindi cercherò di riassumere. Sono nato e cresciuto in una cittadina poco distante da Tokyo, mio padre come ben saprai era Takamine Yanagihori, ovvero il preside della scuola elementare Heavenly Host. E’ sempre stato un tipo duro con me però anche giusto, mia madre morì quando avevo sei anni e mio padre per un certo periodo non fu più lo stesso, a volte lo trovavo seduto nella sua scrivania a fissare il vuoto, senza un motivo. Per fortuna in seguito si riprese, a volte penso che sia stato anche per quello che tentò di violentare la madre della piccola Sachiko, perché gli mancava qualcosa, e scommetto che hai perfettamente capito a cosa alludo. Andando avanti, anche io ebbi il mio periodo di scombussolamento dato che ero solo un bambino ma per fortuna con il passare dei mesi e degli anni riuscii a superare il tutto, mi laureai e diventai professore della stessa scuola che amministrava mio padre anche se io avrei preferito insegnare all’università, dovetti scegliere il cammino che mi era stato imposto. Non mi sono mai sposato. Non avrei mai potuto immaginare che una persona a me così cara, forse l’unica, potesse commettere un duplice omicidio, soprattutto su una bambina. Il giorno in cui mi confessò tutto ero scosso, sconvolto e la lista dei vocaboli che potrebbero seguire è abbastanza lunga, mi disse che aveva incubi, che rivedeva le sue mani sul collo di Sachiko e sua madre cadere accidentalmente dalle scale per poi fratturarsi il collo. Avrei preferito che non mi avesse detto nulla, anche se, non so se questo avrebbe fatto la differenza: da quel giorno iniziai a sentirmi strano, confuso, fino a che una mattina mi svegliai senza la capacità di pronunciare nemmeno una lettera, era quasi come se non sentissi le corde vocali e quella situazione mi faceva impazzire. Mio padre, con la scusa che stava iniziando a diventare superstizioso, capì che la mia non era una semplice malattia ma fu comunque costretto a comunicarlo a scuola, ormai non potevo più insegnare. Un giorno, passeggiavo tranquillamente nei corridoi della scuola facendomi gli affari miei, quando ad un certo punto intravedo la piccola Yuki che entra nello spogliatoio della palestra, mi sembrava così triste e sconsolata, così decisi di seguirla, magari non avrei potuto parlare è vero ma potevo essere un buon ascoltatore qualunque fosse il suo problema. Entrando, ovviamente, fu la prima sagoma che scorsi, una figura piccola appollaiata su una panca. Mi sedetti vicino a lei senza dire nulla, ad un certo punto iniziò a parlare, aveva litigato con sua madre per un futile motivo, tipico che tutti i bambini a quell’età litigassero con i genitori per stupidaggini, mi limitai ad annuire finché non accadde quello che avrei preferito evitare e che segnò la fine della mia sanità mentale e l’inizio della mia “carriera come macchina da guerra” se così vogliamo dire. Mentre Yuki parlava non sentii più la sua voce ma quella di un'altra bambina il cui tono mi era sconosciuto “Ciao Yoshi… Non hai bisogno di ascoltare le sue parole, portala in quel posto che io e te sappiamo.. Non ha bisogno di vivere..” ‘Quel posto? Quale posto?’ pensai, non volevo crederci, cercai di respingere quella voce ma fu tutto inutile, mi presi la testa fra le mani, sentii Yuki smettere di parlare “Sensei? State bene?” chiese la piccola, non potrò mai dimenticare il suo tono di voce, così delicato e premuroso, quella voce non voleva smettere di parlare “Avanti! Non essere codardo! E’ soltanto una stupida ragazzina, almeno così sarà utile.” Diceva, quando rialzai la testa per guardarla sentivo di avere gli occhi lucidi, dopo qualche secondo mi accorsi che la sua espressione stava mutando, aveva paura, non volevo spaventarla. Non ricordo più niente di quel momento eccetto una cosa: i corpi dei bambini stesi in fila in quella stanza, bendati, come ci erano arrivati lì? Pensai, ero stato io? Probabilmente sì, una bambina dai capelli neri lunghi ed un vestito rosso era lì davanti a tutti loro, poi si voltò verso di me e sorrise, fu uno spettacolo raccapricciante “Ben fatto!” disse “Adesso puoi crogiolarti nella disperazione mentre io faccio il resto.” Mi chiesi cosa intendeva dire, anche se non ci misi molto a capire, volevo reagire, ma non ce la facevo, qualcosa me lo impediva, alla fine arrivai a realizzare che probabilmente quella creatura sovrannaturale non era nient’altro che Sachiko, rabbrividii alla sola idea. Non avevo più il pieno controllo della mia mente, l’unica cosa che riuscii a fare fu rannicchiarmi in un angolo dando le spalle a quello che sarebbe accaduto di lì a poco, non volevo guardare, inizia a tremare, fu terribile, ancora peggio quando sentii il piccolo Ryou urlare, non ci potevo credere, davvero stava facendo del male a dei suoi simili? Non volevo voltarmi, non ne avevo la forza, poi seguì l’urlo di Tokiko, semplicemente agghiacciante, forse più del primo e fu altrettanto inquietante il modo in cui cessò di emettere suoni. Infine, la parte forse più straziante, furono le grida di Yuki che sembravano non cessare mai. “Basta.. Basta!” pensai, ma ero impotente, una parte di me voleva girarsi, ma l’altra mi diceva che se lo avessi fatto sarei stato in un certo senso “dannato”, peccato che diedi ascolto a quest’ultima quando finì tutto. Molto lentamente mi girai, e quello che vidi non lo scorderò mai più: le interiora del piccolo Ryou erano fuoriuscite dal suo corpo e sul suo volto c’era un espressione di tetro terrore mischiato al dolore, la testa di Tokiko era staccata per metà dalla mandibola in su ed era a terra poco più vicina al corpicino e Yuki era senza l’occhio sinistro, Sachiko lo teneva ancora conficcato nella forbice, la vidi che ancora un po’ respirava, con l’occhio destro mi mandò una rapida occhiata, le vidi scendere una lacrima per poi tornare a guardare il soffitto e spegnersi per sempre. Era troppo, era davvero troppo, mi presi nuovamente la testa fra le mani, non ci potevo credere, era un incubo? Una punizione? Che cosa avevo fatto per rendermi complice di un simile abominio? Sachiko si girò verso di me con le forbici in mano, avevo come la sensazione che sentisse il mio dolore, la mia paura, il mio tormento, e scoppiò in una sonora risata e fu in quel momento che urlai, gridavo e lei continuava a ridere godendo appieno della mia sofferenza. L’ultima cosa che ricordo, sono io, in ginocchio davanti ai cadaveri dei bambini, Sachiko non c’era più ed io ero catatonico, non riuscivo a reagire, i poliziotti non ci misero molto ad arrivare, forse sono rimasto lì per almeno due giorni ma quando arrivarono le forze dell’ordine fu come se fossero passati soltanto un paio di minuti. Non opposi resistenza nel farmi portare via, ricordo che mi facevano delle domande ma io non rispondevo, guardavo il vuoto, qualcuno alzò la voce ma non mi fece il minimo effetto, ero come un morto vivente. Alla fine vennero a sapere della mia instabilità e mi rinchiusero in un ospedale psichiatrico, dove continuai la mia vita da vegetale, ho approfittato di un piccolo momento di lucidità per scrivere questa lettera: intendo tornare sul luogo del delitto, anche se non è stata colpa mia sento di non poter vivere con questo rimorso. Molto probabilmente mentre tu stai finendo di leggere questa riga, io sarò già morto da un pezzo.
   
 
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