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Autore: Satomi    03/07/2015    1 recensioni
[Ciclo dei Corsari delle Antille] [post-Regina dei Caraibi]
Moko s’è appena alzato che già sente la mancanza di quel calore che Dinah ha raccolto dentro di sé, chiusa come un tatù nella sua corazza; in attesa, e nella speranza, che il prossimo cacciatore non batta troppo forte pur di arrivare a lei.
[Canon/OC - possibile OOC, giustificato]
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: PWP
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Niente di più oltre noi

 

 

Non può restarsene lì nell’angolo, ne è consapevole, con le piante dei piedi a raccogliere la polvere e il sedere a mescolare sudore e pieghe di stoffa sullo sgabello. Ma ha visto troppo, in quegli occhi, da rischiare di essere trafitto; lui che mai ha temuto le ferite – mere punture – delle spade spagnole; inspira a fondo e alza lo sguardo, pronto ad affrontare quel mare in tempesta, ma senza increspature.
“Ti ha lasciato entrare. Un negro. Me ne stupisco.”
Nove parole in un solo incontro, Carmaux ci resterebbe secco per la sorpresa; a stento trattiene la risata che gli si sfilaccia tra i denti, prima di rispondere. “Bernard non bada al colore delle mani che lo pagano.”
“Lo hai pagato.” Una sfumatura di accusa, secca, vibrante. Sei come loro, sembra dire.
“Certo che no.”
“…”
“Te l’ho detto, Bernard non bada al colore delle mani… ma a quanto sono grosse.”
Moko alza il capo senza più timore, godendosi lo stupore – chiaro, genuino stupore, null’altro – che dilaga negli occhi di Dinah. Con una punta di quella che, se si fosse trovato tra camerati, avrebbe osato definire complicità. Il sollievo di trovarsi con uno della sua razza l’ha resa più alta e diritta, la curva delle sue labbra insolitamente morbida come il gesto con cui apre la finestra, in un ricambio di odori e vento caldo che li coglie entrambi.
“Non vieni?”
“Aspetto.” Lasciati guardare, pensa Moko mentre il bianco indecente di quella stoffa che puzza più di tutto il resto – di voglie marce che Bernard vuole i suoi clienti soddisfino – gli scivola sotto gli occhi in una serie di volute che si fermano attorno alle caviglie di Dinah; si alza col solo scopo di inginocchiarsi lì, per sfiorarle con quelle sue mani che sono avvezze a ben altro che a carezzare il corpo di una donna. Non gli ha mostrato la schiena, cosa che fa con tutti, il pensiero lo colpisce. E lei se ne accorge, quando si abbassa per prendergli una mano e rigirarsela tra le proprie, sovrappensiero; una scottatura le spicca su un polso.
“Non sei uno di loro; non ho bisogno di punirti” mormora con voce incolore, ma un rantolo di invidia le raschia la gola quando vede che la sua, di schiena, porta ben pochi segni in confronto a quelli che frastagliano la propria; ricordi di frustate bollenti che lei sbatte in faccia a ogni suo singolo cliente, a mostrare con quale giocattolo usurato stia avendo a che fare. Ma lui, pensa Moko con un sospiro, era troppo prezioso per finire consumato; i padroni avevano riguardo nei confronti di una merce rara quale era, e lui li aveva gabbati tutti fuggendo – non prima d’aver sparso in terra le budella di molti di loro.
Potrebbe raccontarle ogni cosa, donarle quella confidenza che di rado si è potuto permettere con altri, ma non è di parole che entrambi hanno bisogno, né di ricordi dolorosi; le mani di Dinah che sono corse a carezzarlo tra le natiche sono più eloquenti dei suoi occhi senza malizia ma che lo fanno arrossire come un fanciullo.
Desiderio. Un desiderio che lui condivide quando l’avvolge e si lascia avvolgere, scoprendola umida nella bocca e lì, più in basso, dove l’ha saggiata delicatamente con un dito dopo averla posata sul letto; di rado i muscoli gli sono pesati così tanto sulle ossa, ma basta il tocco ruvido di Dinah a farlo galleggiare come sughero sulle onde mentre lei gli strofina i palmi sui capezzoli; inclina il capo, il naso gli è finito in una gran massa di ricci sudati e scomposti che lo solleticano ovunque. Sembra un’altra coi capelli così sciolti; sembra più bella, con quei lineamenti che si addolciscono sotto le dita; mani delicate gli massaggiano nuca e collo, scorrono sul capo rasato e lui per un attimo trema, restringendosi su quel ventre morbido pronto ad accoglierlo. Il bambino che è stato gli tende la mano ma lui la respinge; non ha bisogno di regredire a quegli anni per godere del calore confortante di una donna – di una madre come Dinah avrebbe potuto essere.
Ma non è a questo che lei pensa quando lo raccoglie nell’incavo tra le sue gambe e dita assai poco materne gli stringono l’erezione; è un tocco goffo, sbrigativo, di chi è avvezzo a lasciarsi prendere e sopportare di tutto. Nessuno le ha mai permesso di esprimere genuinamente quella sensualità che, ricorda Moko con un sussulto, tutte le donne della tribù mostravano, quand’era bambino e le guardava da dietro le giare di grano macinato; prima che le verghe dei bianchi le riducessero, assieme ai loro uomini, a ammassi di carne da vendere al mercato.
“Scusa…”
La zittisce più dolcemente che può; è bello sentire sottopelle la fiducia con cui quella donna – sì, donna – si abbandona al suo bacio e lascia che cali dentro di sé guardandolo fisso negli occhi, senza paura; non hanno bisogno di compiacere nessuno, se non loro stessi e i corpi che reclamano piacere, e lo dimostrano ciascuno coi rispettivi tempi. È bello vedere il capo di Dinah appesantirsi e scivolare di lato, lì dove una spalla amichevole l’attende. È bello, per Moko, essersi spogliato dei panni di carnefice ch’è stato costretto a vestire per odio verso i suoi persecutori e per volere del suo ultimo padrone, l’unico ad aver mostrato rispetto per lui.
“Quando parti?” Una voce grave, gonfia di sonno, gli s’insinua nell’orecchio e lo strappa alle sue riflessioni. Sospira.
“Presto; ho denaro a sufficienza da pagarmi un viaggio.”
“Non avevi degli amici?”
Amici. Non sa come rispondere senza mentire, né tradire la fiducia che due persone, nonostante le diversità, hanno riposto in lui. “Era il Corsaro a legarci.” Il mio odio s’era unito al suo. “Ora che se n’è andato non ho più motivo per restare; né ho bisogno di nessuno.”
Dinah si discosta da lui con lentezza, negli occhi ora lucidi una domanda che non è sicuro d’aver interpretato bene; è lei a capire tutto, per entrambi. “Sciocco” dice con un sorriso inaspettato. “Mi piace il tuo corpo e lo volevo per me… solo per una volta… tutto qui. Nel mondo lì fuori, con te, sarei solo un peso.” Si morde il labbro, come pentita della sua confessione, prima di tornare a stendersi; vi è tempo per rivestirsi e riprendere le redini del lavoro, sempre lo stesso, sempre più sfiancante; è quasi una fortuna che i clienti la richiedano sempre meno.
Moko s’è appena alzato che già sente la mancanza di quel calore che Dinah ha raccolto dentro di sé, chiusa come un tatù nella sua corazza; in attesa, e nella speranza, che il prossimo cacciatore non batta troppo forte pur di arrivare a lei. Vorrebbe dirglielo, dirle che forse non tutto è perduto, ma non si sente di illuderla. Non una donna come lei.
Se solo il compare bianco si decidesse.
Ti lascio in buone mani.
Forse.
Sì.

 

 

Note dell’autrice: questo è il mio ultimo lavoro nel fandom in ordine di scrittura, risalente a ormai quasi tre anni fa. Un blocco che mio malgrado perdura tuttora, nonostante l’amore per questi romanzi, e la conseguente ispirazione, non si siano ancora istinti. Lo avevo già pubblicato in un altro mio spazio, e probabilmente chi mi segue anche lì lo avrà notato. Ho voluto spostarlo qui, su EFP, perché può essere letto in moto abbastanza indipendente ;se anche goduto o apprezzato, questo lo lascio decidere al lettore.
Chi ha letto la mia originale “Questione di sangue” potrebbe riconoscere qualcuno di familiare: la Dinah di quella storia e questa provengono dalla stessa matrice, ma non posso dire siano la stessa persona. Non sempre un personaggio creato per un fandom salgariano – perché sì, la Dinah “salgariana” è nata ancor prima di quella storica  - potrà adeguarsi a un universo più realistico. Si tratta di un personaggio cui tengo, ed è l’OC creato per il Ciclo delle Antille cui sono più affezionata in assoluto; mi sembra un esordio consono per lei, qui su EFP.
La Dinah storica era piegata irrimediabilmente dagli eventi, e dalla sua condizione. Come forse si può intuire – e come sa bene chi la conosce da tempo -, per questa Dinah c’è ancora speranza. 

   
 
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