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Autore: Fubuki    05/07/2015    2 recensioni
"E tu eri così dispotico, apatico, impulsivo, menefreghista, così diverso da me, eppure... così dannatamente meraviglioso."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Castiel, Lysandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non tutte le storie finiscono bene, e io lo so. Lo sapevo anche all'inizio, quando ti incontrai.
Lo ricordo come se fosse ieri.
Eravamo in un bar, uno di quei bar di periferia che puzzano di alcool e che non chiudono fino al mattino. Ero lì, ma chissà perché. Non frequentavo quel genere di posti, ero un ragazzo particolare, e me lo dicesti anche tu. Pur non avendo una buona memoria, mi impegnavo al massimo nei corsi universitari, e non ero mai neppure stato in una discoteca, cosa che tu non avevi mai sopportato. Non mi piacevano le luci troppo forti, la musica dal ritmo martellante, tutte quelle persone pressate in un posto solo.
Entrai e mi sedetti a un tavolo vicino alla finestra, osservando la pioggia che bagnava il vetro. Voltai lo sguardo in giro con disinteresse e ti vidi seduto al bancone, osservai il tuo movimento ritmico e ripetitivo di portarti il bicchiere alla bocca. Poi tu sollevasti gli occhi e il tuo sguardo incontrò il mio, ma solo per un istante.
Ancora oggi rivedo davanti a me quegli occhi grigi e vuoti, tristi, impotenti. Capii da quello sguardo che eri completamente diverso da me, che non eri romantico, non riflettevi a lungo sulla vita e sulle persone, non t'importava di nulla al di fuori di te stesso.
Ma, per qualche strana ragione, già sapevo che avresti segnato la mia vita.
Ti alzasti e ti avvicinasti a me, cominciando a parlarmi dello schifo che erano la tua vita e il tempo fuori dal locale. Ricordo che ridesti per il modo in cui parlavo, così forbito e così formale, dicesti. Io ti sentivo dire una parolaccia ogni due parole, ma la cosa mi turbava meno del solito.
Poi mi chiedesti di me, e dal tono della tua voce si capiva che avevi bevuto anche troppo. Prima che potessi risponderti completamente ti mettesti a parlare a sproposito, dicendo la prima cosa che ti passava per la testa e commentando il corpo di ogni ragazza che passava sul marciapiede di fronte a noi.
Stavi talmente male che dovetti portarti a dormire nel mio appartamento, dato che non conoscevo il tuo indirizzo. Ripetesti molte volte che la vita è uno schifo, che qualunque cosa tu faccia è comunque sbagliata, ma che te ne accorgi solo dopo averla fatta.
Avevi ragione, ma solo in parte.
Quella sera, inconsciamente, prendevi parte nella mia vita e prendevi possesso del mio cuore con egoismo e prepotenza.
Diventammo amici, chissà come. Mi chiedesti di formare un gruppo, perché dicevi che ti serviva qualcuno capace di cantare e che avremmo potuto far soldi con qualche concerto. Accettai, anche se non avevo mai cantato, e scoprii il mio talento e la mia passione grazie a te.
Presto scoprii anche che una casa non ce l'avevi, perché eri stato sbattuto fuori dalla dimora della tua ex ragazza, perciò rimanesti da me.
La sera tornavi a casa tardi, ubriaco e spesso in compagnia. Io ti lasciavo fare, uscivo di casa e stavo fuori per qualche ora, lasciandoti il tempo di divertirti e poi mandare via la ragazza di cui non conoscevi neppure il nome. Feci questa cosa molto spesso, e all'inizio non mi turbava, finché cominciai a essere stanco del tuo disinteresse nei miei confronti. Mi piaceva lavorare con te, eravamo bravi, ma d'un tratto cominciai a odiare le sere in cui arrivavi a casa e non mi guardavi neppure, chiudendoti in camera tua con qualcuna conosciuta venti minuti prima. Cominciai a odiare il tuo atteggiamento menefreghista, e cominciai ad accorgermi di quanto il mio cuore battesse forte sul palco, accanto a te, quando mi cingevi le spalle con un braccio e alzavi la tua chitarra gridando qualcosa alla folla sotto di noi. Iniziasti a tingerti i capelli di rosso, quei tuoi capelli corvini che ti stavano così bene, perché dicevi che con un po' di distinzione avremmo avuto più successo. Anche se non apprezzavi molto il mio stile vittoriano e totalmente fuori dal comune, e mi dicevi che sembravo uscito da un romanzo di metà Ottocento, mi dicesti che andava bene comunque e che mi distingueva. Mi convincesti a tingermi le punte dei miei capelli albini di nero, mi dicesti che stavo molto meglio, e mi convincesti a tatuarmi la schiena.
Io seguivo ogni tuo consiglio inconsciamente, anche se non mi piaceva il tuo stile, senza neppure pensare a ciò che facessi e perché lo stessi facendo. Ma poi lo capii, e quasi non riuscii più a vivere sapendo che non saresti mai stato d'accordo.
Io m'innamorai di te.
La nostra vita divenne più difficile per me, ogni sera volevo entrare nella tua stanza e cacciare chiunque ci fosse oltre a te, ogni giorno volevo che mi guardassi come ti guardavo io e che mi vedessi come io vedevo te. Ma tu eri così dispotico, apatico, impulsivo, menefreghista, così diverso da me, eppure... così dannatamente meraviglioso.
Arrivai ad innamorarmi di tutti i tuoi difetti e a trasformarli in pregi, arrivai ad innamorarmi dei tuoi occhi grigi e all'apparenza così vuoti, mi innamorai del tuo corpo e della tua mente fino a sentirmi male.
E tu ogni sera tornavi nel nostro appartamento con una ragazza diversa oppure completamente ubriaco, e ti chiudevi nella tua camera escludendomi, e ogni giorno facevi le cose per te e aspettavi che le facessi anche io.
Ero disperato, perché sapevo che tu non potevi amarmi. Ti desideravo come non avevo mai desiderato nulla, ti pretendevo quasi fino a dimenticare me stesso e tutto ciò che non riguardasse te, e mi odiavo ogni volta che mi sfioravi anche solo con lo sguardo per non essere come avrei dovuto perché tu ti innamorassi di me. Feci tutto quello che potevo, ma sapevo che non sarebbe servito a nulla.
Vivemmo così per mesi, anni. E ogni giorno mi sentivo più sofferente e innamorato di prima.
È proprio vero che non tutte le storie finiscono bene, che non esiste un lieto fine. E ora sono qui, a chiedermi come ho fatto a sopravvivere per così tanto tempo e a non morire avendoti affianco costantemente. Ogni volta che ti guardavo negli occhi sentivo un cane rabbioso azzannarmi lo stomaco, così avevo smesso di farlo.
Ma a te non importava nulla di me, proprio nulla. Solo della mia voce, che con il tuo talento ci aveva permesso di guadagnare abbastanza per comprare un appartamento più grande e delle ragazze nuove per te e per le tue serate.
Ma poi successe qualcosa... cosa? Non lo so e forse non lo saprò mai.
Iniziasti a tornare a casa prima, senza donne e senza quella puzza insopportabile di alcool e di fumo. Iniziasti a essere più calmo, a non pretendere sempre l'impossibile e iniziasti ad apprezzare maggiormente le canzoni che componevo per noi.
Non so cosa successe, ma ero più felice. Anche se sapevo che non mi avresti mai amato, ora eri mio più di prima. E io accanto a te mi sentivo così debole, così fragile, perché tu eri l'esatto contrario.
E ora, ora che guardo il tuo viso mentre dormi, mi chiedo come tu abbia fatto a non accorgertene. Forse, il pensiero che ci fosse qualcosa tra di noi era talmente inconcepibile che non ti era neppure venuto in mente.
Alzo una mano e con due dita ti accarezzo delicatamente lo zigomo, per non svegliarti. Com'è bello il tuo viso, con i lineamenti perfetti e gli occhi freddi. Perché devo provare tante sofferenze? Perché Dio ha voluto farmi uno scherzo del genere?
Senza neppure sapere come, la distanza fra di noi è notevolmente diminuita. Improvvisamente vedo i tuoi occhi aprirsi e, sorpresi, guardare i miei. Chissà se ti eri mai accorto del colore che hanno, i miei occhi: uno diverso dall'altro, proprio come noi due.
Ora, mi aspetto che tu ti giri e finga di aver sognato tutto, che tu non capisca. E invece resti così, a guardare i miei occhi. I nostri visi sono talmente vicini che sto respirando il tuo fiato e i nostri nasi si sfiorano.
Penserai che sono impazzito, che non è normale che io sia venuto tanto vicino. Ma non lo so neppure io come ho fatto, mi sono ritrovato in questa situazione e ora non saprei come uscirne.
Poi chiudi gli occhi, i tuoi occhi grigi all'apparenza così vuoti, e per un momento mi viene il timore che tornerai a dormire. E invece ti avvicini a me e premi le tue labbra contro le mie.
Io rimango immobile, con gli occhi ancora aperti e fissi sulle tue palpebre chiuse, e sento il calore della tua bocca mentre bacia la mia. Un attimo dopo afferri il mio viso con entrambe le mani, con foga, e io mi ritrovo inginocchiato ai piedi del letto mentre tu sei chino sopra di me.
Il mio cuore batte all'impazzata e mi chiedo se non sto davvero sognando, se tutto quello che desideravo da più di un anno sta realmente accadendo, ma poi tu ti blocchi e mi fissi con gli occhi sbarrati.
Ti allontani da me di qualche centimetro e io non capisco. «Che succede?», mi domandi in un sussurro.
Io apro la bocca, ma non ho le parole né il fiato per risponderti.
Tu scuoti la testa. «Scusami, io...», mormori, ma poi torni a fissare i miei occhi. «Mi sono fatto prendere la mano. Non me ne sono neppure reso conto, probabilmente stavo ancora dormendo».
Io resto fermo, immobile, e mi sento schiacciare da tutta l'emozione che ho appena provato e dalla confusione che sto provando ora. Mi rialzo.
«Lys, davvero, scusa. Sarà colpa del fatto che da un po' non ci sono ragazze, qui a casa», ridi.
Stai dicendo che hai solo bisogno di un rapporto, non importa con chi?
Probabilmente scoppierò a piangere.
Ma tu non me ne dai il tempo e riprendi a parlare, guardandomi negli occhi. «Però... non è stato... voglio dire, io non mi aspettavo... non credevo che sarebbe stato così... sì, insomma, piacevole. Baciare un uomo, intendo. Te», mormori, forse più a te stesso che a me.
Avverto il mio cuore perdere un battito. «P... piacevole?»
Annuisci. «È da un po' che ho dei pensieri strani. Non farci caso».
Improvvisamente sento il mio corpo crollare in terra e i miei occhi cercare invano di trattenere le lacrime. Nascondo il viso tra le mie mani ed esplodo in un pianto isterico e disperato, come non mi era mai successo.
Tu, seduto sul letto, rimani immobile, oppure ti avvicini. Non ne sono sicuro. Poi sento la tua mano toccarmi la spalla e la tua voce chiedermi cosa c'è. Alzo lo sguardo e vedo il tuo viso a una ventina di centimetri dal mio, e sento una strana sensazione invadere il mio corpo.
Senza essere del tutto cosciente delle mie azioni, afferro il collo della tua camicia e ti tiro verso di me, fissando i tuoi occhi improvvisamente spalancati e colmi di confusione.
«Io...», esordisco, ma la mia voce è spezzata da singhiozzi violenti, «Io ti...».
Tu rimani immobile, con gli occhi ancora fissi su di me, e il tuo respiro si fa più affannoso.
«Castiel, ti amo».
La tua espressione non cambia. Rimani fermo, con gli occhi sbarrati e le labbra dischiuse, e i tuoi pugni si serrano.
«Io...», rispondi, «Lys, davvero, non so cosa dire».
Le mie mani lasciano lentamente la presa e il mio capo si china. Le lacrime scorrono ancora sul mio viso, e tu rimani fermo davanti a me.
Mi prende il panico. Se tu avessi rifiutato i miei sentimenti, cosa avremmo fatto dopo? Avremmo potuto vivere come prima, dimenticandoci di tutto questo?
Lo sapevo, del resto, e l'ho sempre saputo che non tutte le storie finiscono bene.

Da quella sera, la nostra vita non è più stata la stessa. Tu provavi a trattarmi nello stesso modo di sempre, ma non ci riuscivi. Quando eravamo insieme, nella stessa stanza, era inevitabile pensarci. Allora tu diventavi silenzioso, le tue battute iniziavano ad essere orribili e tu te ne rendesti conto.
Il disagio aumentava sempre di più. Io mi sentivo malissimo sapendo che ti stavo creando dei problemi, ma, per quanto mi sforzassi, non potevo smettere di amarti.
«Lysandre», mi dicesti un giorno.
Alzai lo sguardo verso di te, che eri diventato meno spavaldo con me da quella sera.
«Riguardo... quella cosa», esordisti.
Sentii le mie guance avvampare. Perché ne parlavi? In questo modo, poi.
Te ne rendesti conto e ti copristi il viso con le mani, ma non aggiungesti altro.
«Cosa...?», ti domandai. Tu mi guardasti, poi abbassasti lo sguardo.
«No, niente».
Non potevo vivere in questo modo, e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mi alzai dalla sedia su cui ero seduto e mi avvicinai a te, in piedi in mezzo alla stanza, e tu alzasti lo sguardo verso di me con gli occhi colmi di - davvero? - panico. Non volevo che tu temessi che ti sarei saltato addosso, perché tu sapevi che io non sono il tipo. Tesi le mani verso il tuo viso, per afferrarlo e impossessarmi ancora delle tue labbra, ma poi mi frenai e strinsi i pugni.
Tu rimanesti immobile a fissarmi.
«Tu... cosa provi, ora?», mi domandasti.
Cosa provavo? Desiderio. Amore. Un'emozione indefinibile. Rabbia. Tristezza. Sofferenza. Disperazione, anzi. E molto, molto altro.
«Tu cosa provi?», ti chiesi io senza riuscire a controllarmi. Volevo saperlo, dovevo saperlo.
Tu ti sorprendesti, credo, e rimanesti confuso. Poi respirasti a fondo e mi guardasti ancora. «Non ne ho idea».
Questa fu una risposta che mi disarmò completamente.
«Cosa significa?»
«Significa che non lo so».
«È... impossibile».
Assumesti un'espressione aggressiva. «E invece lo è!»
Rimasi in silenzio, abituato a queste tue uscite. Un brivido mi percosse quando alzasti la voce.
Ah, quanto ti amavo. Persino i tuoi attacchi di collera mi piacevano fino a impazzire.
Muovesti qualche passo, allontanandoti da me, ma poi tornasti indietro. «Scusa», dicesti.
«Non fa nulla».
«No, non per quello. È solo che... deve essere difficile per te».
Rimasi qualche secondo interdetto e guardai i tuoi occhi, esitanti, fissi nei miei. Non ti eri mai preoccupato per me, per come mi sentissi.
«Io... ormai ci ho fatto l'abitudine», mentii. Dopo il tuo bacio, la vita era diventata più insopportabile di quanto già non fosse.
Tu annuisti. «Mi dispiace», dicesti, «io devo... chiarirmi un po' le idee».
Non sapevo cosa ci fosse da chiarire, ma ti lasciai tempo. Tanto tempo.
Dopo qualche mese, mi accorsi che il tuo atteggiamento non era più lo stesso. Dopo un periodo di esitazione, in cui parlavamo appena ed evitavi tutti i miei sguardi, cominciasti ad essere più aperto, anche se eri molto più introverso e silenzioso rispetto a quando ti avevo conosciuto.
Nonostante la mia memoria non sia molto buona, non potrei mai dimenticare cosa successe poi.
Un giorno freddo di dicembre, appena tornai nel nostro appartamento, ti trovai sdraiato sul divano con le mani che ti coprivano il viso. Appena mi vedesti ti alzasti e venisti verso di me.
«Lys, dobbiamo parlare», esclamasti.
Non me l'aspettavo, davvero. «D'accordo», mormorai.
«È da molto che ci penso. Molto, molto tempo. E io credo... io avverto una strana sensazione, qualche volta. Come di calore, qualcosa che mi scalda completamente, e mi viene talmente caldo che il mio respiro accelera. A te non capita?», dicesti.
«Continuamente», risposi. Mi veniva caldo sempre, quando ero con te, e spesso mi capitava di dover uscire a prendere un po' d'aria.
Abbassasti lo sguardo. «Anche ora?»
«Sì».
Ti avvicinasti a me, ma non troppo. Sentii il mio cuore accelerare il battito quando ti portasti una mano alla nuca e dicesti queste parole: «Beh, non so cosa possa significare. Credi che sia il caso di aprire le finestre? Forse è colpa del condizionatore... anche io ho caldo».
Un momento dopo mi ritrovai a percorrere i pochi metri che ci separavano e mi fermai davanti a te. Questa volta non bloccai l'impulso di afferrarti il viso e di baciarti, perché avvertii il tuo corpo fare lo stesso. Le tue mani mi stringevano con possessività e il mio cuore batteva tanto forte che sarebbe potuto esplodere.
Forse, non era vero. Forse anche le storie più assurde finiscono bene.




Angolo dell'autrice
Buonsalve a tutti!
Vorrei ringraziare tutti voi, (spero numerosi) lettori, per essere giunti fino alla fine.
Mi auguro che questa mia OS vi sia piaciuta, e vi prego di esprimere il vostro giudizio lasciandomi un commentino... *w*
   
 
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