Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |      
Autore: Nanami92    07/07/2015    2 recensioni
La mia vita andava a gonfie vele, avevo tutto quello che si poteva desiderare, ma un giorno, a causa di un passo falso, la mia vita andò a rotoli, come il gioco del domino. Ero costretta a cambiare la mia vita, la mia esistenza, tutto sotto la minaccia della serpe. Non sapevo cosa mi aspettava , ma ormai non avevo nulla da perdere. Io, Emily Vanoffen, sono un chirurgo di ventisei anni caduto in disgrazia e questa è la mia storia.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
"I chirurghi sono tutti incasinati. Siamo macellai, macellai incasinati dal coltello facile. Tagliamo a pezzi la gente e andiamo avanti. I pazienti muoiono quando siamo di guardia e andiamo avanti. Facciamo del male, ci facciamo del male. Non abbiamo tempo di preoccuparci dell'effetto che ci farà nel sangue la morte e le stronzate. Non ha importanza. Anche se siamo dei duri i traumi lasciano sempre delle cicatrici, ci seguono anche a casa e cambiano la nostra vita. I traumi incasinano tutti ma forse è proprio questo il punto il dolore, la paura, le stronzate, forse subire questo ci permette di andare avanti di superare ogni cosa, forse tutti dobbiamo incasinarci un po' prima di poter migliorare."
Grey's Anatomy.
 

 
Piacere il mio nome è Emily, ma potete chiamarmi Ems, e questa è la mia storia.

Fino a due mesi fa la mia vita era perfetta, non fate quella faccia, ve lo giuro, era perfetta, avevo tutto quello che desideravo, i miei sogni si erano realizzati: ero un chirurgo di medicina generale, famosa in tutto il paese, pubblicavo articoli sulle miglior riviste mediche, attico a New York city e un ragazzo bello da morire. Per non parlare del fatto che avevo ventisei anni, insomma ero all’inizio della mia vita e pensavo di esser partita in quarta, ma si sa, il destino ha uno strano umorismo e con me si stava facendo delle grasse risate.
Vi starete chiedendo perché ho parlato al passato, semplice, un bel giorno il mio mondo si è sgretolato, andato, bye bye, addio. Non solo ero stata cacciata dall’ospedale in cui lavoravo, ma mentre tornavo a casa con un brutto scatolone di cartone tra le mani, contenente tutti i miei effetti personali, trovai quel bastardo del mio fidanzato che doveva fare una lezione di yoga, era un istruttore, che metteva la mia migliore amica nella posizione dell’aratro e se la sbatteva. Fidatevi non è stato un bello spettacolo e come se non bastasse nella mia bellissima cucina. Cioè se la stava sbattendo nel posto in cui ogni sera mangiavo il mio fottutissimo cibo da asporto. Non si accorsero subito di me, solo dopo il tonfo sordo che fece lo scatolone quando toccò il pavimento. I loro vestiti erano sparsi ovunque, il perizoma che le avevo regalato una settimana prima per il suo compleanno, sventolava come una bandiera di vittoria dalla lampada sul ripiano di marmo nero. I due traditori si girarono spaesati per poi sgranare gli occhi. Lui cercava a fatica di recuperare le mutande calate fino alle caviglie lei che si copriva le forme nel più completo panico. “Puttana” pensai.
«Fuori. Subito. Entrambi.» Cercai di mantenere una certa calma, anche se dentro stavo esplodendo. Mi mancava solo una denuncia per tentato omicidio e la mia giornata sarebbe stata completa.
Lo stronzo, perché il nome Harry, non rispecchiava nemmeno lontanamente lo schifo d’uomo che era, ebbe pure il coraggio di dirmi “mi dispiace” per fortuna non era stato così stupido da dire non è come sembra, ma a quello rimediò la rossa a cui confidavo tutti i miei segreti più oscuri.
«Cosa ti dispiace esattamente? Che sono tornata prima e vi ho colto sul fatto o che sei inciampato sulla mia migliore, ex, migliore amica e sei finito per fartela?» Lui fece per rispondermi, ma alzai una mano repentina e bloccai qualsiasi cavolata gli stesse per uscire dalla bocca.
«Non ti azzardare a rispondere guarda, sono sul punto di prendere un coltello e tagliarti l’unico luogo del tuo corpo contenente un neurone, non sfidarmi»  Ero furiosa, avevo le lacrime che cercavano di uscirmi prepotenti dall’apparato lacrimale, ma non potevo cedere, non davanti a quei due. Li volevo fuori, fuori da casa mia, fuori dalla mia vita. Il bello è che quel deficiente mezzo hippy era pure a scrocco da me, perché le sue “lezioni” sicuramente non gli davano da mangiare, a quello ci pensavo io. Stupida, stupida, mi ripetevo.
Prima di andarsene lui mi guardò con i pantaloni ancora sbottonati, la camicia aperta e le scarpe di canapa in mano e con la faccia da cucciolo bastonato disse:
«Amore, cucciola, mi farò perdonare, tu sei l’amore della mia vita» Incredibile non si arrendeva, le mani mi prudevano, stava tastando i miei limiti?
«Sparisci bastardo» avevo gli occhi iniettati di sangue, la mia voce tremava ed era più simile ad un sibilo che ad altro.
«Ma come farò? Dove andrò?» Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, stava cercando di farsi perdonare per continuare ad approfittarsi della scema che gli dava vitto e alloggio. Presi senza pensarci un vaso di inestimabile valore, di vetro, vetro di murano, Venezia, Italia, o mio oddio, il raptus arrivò, ma fortunatamente gli lanciai addosso un tacco e non il vaso. La cosa buffa è che lo centrai pieno in fronte. Si contorse dal dolore portandosi una mano alla fronte arrossata e livida, mentre con l’altra si tastò il naso che probabilmente era rotto e perdeva sangue. Le povere orribili scarpe di canapa di color marroncino si macchiarono irrimediabilmente.
«Stronza, sei una frigida stronza di merda!» Finalmente il suo vero io uscì, le parole furono come un vomito di offese senza sosta, finché, non riuscii ad arrivare alla porta e gliela sbattei in faccia. Mi appoggiai con la schiena a quella soglia chiusa per sempre in faccia all’uomo che pensavo fosse il mio compagno per la vita. Mi lasciai scivolare lentamente con le lacrime che finalmente uscirono inesorabili, le gambe mi tremavano e i singhiozzi riempirono quell’appartamento deflorato e così costoso, che spreco. Non sapevo perché mi aveva tradita, sapevo solo che mi sentivo uno schifo, una donna, una compagna fallita.
Mi ritrovavo dopo due mesi di abbuffate di gelato con qualche kilo in più, il conto in banca svuotato e nessuna speranza di usare la mia laurea in medicina che non come straccio per pulire per terra.
Non sapevo come uscirne, era la fine. Giravo come un morto vivente per l’appartamento al cinquantesimo piano, era tutto a vetri e dava sul magnifico Central Park, eppure quella vista mi aveva sempre stimolato la produzione di endorfine: un gruppo di sostanze prodotte dal cervello nel lobo anteriore dell'ipofisi, classificabili come neurotrasmettitori, dotate di una proprietà magica, o semplicemente analgesica e fisiologica simili a quelle della morfina e dell'oppio, ma con portata più ampia, ma niente, non sentivo nulla, ero vuota come un guscio senza nessun emozione in corpo.
Mi facevo pena, si avete capito bene e non sto facendo la vittima, ero veramente a terra e non riuscivo a riprendere quota e a chi di voi viene in mente la frase “peggio di così tanto..” bè si al peggio non c’è mai fine perché quel maledetto giorno arrivò la visita della donna più temuta dell’Upper East Side, della serpe per eccellenza, una donna così velenosa che se un povero scorpione africano l’avesse punta per sbaglio sarebbe morto dopo pochi istanti. Ebbene si quel giorno alla porta si presentò niente che meno che mia madre Lorelai Vanoffen: aristocratica doc dallo sguardo gelido e dalla lingua tagliente.
«Sei uno straccio» se ne uscì così entrando nell’appartamento con il suo tailleur nero di chanel. La chioma bionda platino era perfetta, contrapposta alla mia accapigliatura mora, ereditata da mio padre, era come vedere una signora far l’elemosina ad una povera gitana.
«Madre, che piacevole sorpresa» mentii spudoratamente cerando di non attirarmi addosso chissà che paternale, ma il mio tentativo non andò a buon fine, infatti, mi squadrò per qualche secondo per poi storgere la bocca in segno di dissenso.
«Non fingiamo che sia un piacere e comunque ti avrò lasciato un centinaio di messaggi in segreteria che, dalla tua faccia, immagino tu abbia ignorato.» Stupida pensai, la mia abitudine a cancellare i suoi messaggi prima di sentirli mi aveva fregata questa volta, solitamente, avevo la scusa del lavoro, ma a questo giro la scusa era inefficacie, visto che, le voci giravano e lei aveva saputo del mio licenziamento.
Ero in condizioni pessime, cercai di darmi un po’ di contegno, ma era difficile nascondere la camicia da notte stropicciata e macchiata di gelato, i capelli scompigliati e le occhiaie scure.
«Cara hai una cera orribile, da quanto non ti fai un bel trattamento al viso?» Onestamente quello era uno dei miei ultimi pensieri al momento, non sapevo nemmeno se avevo abbastanza soldi per far la spesa la settimana dopo, figuriamoci un giro al salone di bellezza.
«Cara madre, come ben saprai, visto che ficchi sempre il naso nelle mie faccende, non ho più un lavoro, tanto meno un reddito, diciamo che la mia cera è solo la conseguenza naturale della mia vita che va a rotoli» Non si scomodò più di tanto si limitò ad analizzare il posto in cui era entrata. A volte pensavo che non mi ascoltasse nemmeno, che avesse un filtro spam nel cervello.
«Hai cacciato l’hippy spero» Il ricordo di Harry e della mia amica Iris mi trafisse come un coltello.
«Ovviamente» Dissi automaticamente, poi mi venne il dubbio, ma come cavolo faceva quell’arpia a sapere di Harry?
«E te come cavolo fai a saperlo?» Ero infastidita ed irritata dal fatto che le mie vicende amorose fossero di dominio pubblico, figuriamoci di quel tipo.
«Cara, ma ovviamente me l’ha detto Iris al vernissage della scorsa settimana al quale non ti sei ovviamente presentata. Che cara ragazza, sempre molto educata, si vede che è di buona famiglia, sua madre..» Non le diedi nemmeno il tempo di finire la frase che cominciai a menare le mani per aria.
«Ma certo, quella sgualdrina si fa il mio ragazzo sul mio piano cucina e mia madre pensa bene di dire che è una brava ragazza perché proviene da una famiglia ricca. Ma certo, mancava solo questo per coronare l’incubo perfetto, ti ringrazio madre»
Lei mi guardò come se fossi un alieno.
«Penso che ti abbia fatto un favore e che un uomo del genere non sia una grande perdita, mentre Iris, la tua amica, lei si che sarebbe un peccato perderla. Cara, devi capire come funziona il mondo, non puoi continuare con questi tuoi stupidi ideali, devi saper nuotare come uno squalo per non essere mangiata nel nostro mondo»
«Nostro mondo? Tuo mondo! Io odio questa vita, finché sei sulla cresta dell’onda, sei venerata, un piccolo passo falso e ti ritrovi nella fossa dei leoni a combattere per la tua vita. E’ una schifezza»
«Come vuoi, ma devi uscire da questa situazione, così facendo metti in imbarazzo la tua famiglia: me, tuo padre e tua sorella. Forse i tuoi pori dilatati ti hanno portato ad un’amnesia, ma ti rinfresco la memoria»
Amnesia data dalla dilatazione dei pori, questa era fantastica, mi mancava, come avevano potuto non parlarmene a lezione, mi chiesi schifata dalla mente contorta di mia madre che partoriva certe sciocchezze.
« Tua sorella Melody è in corsa per un seggio in senato e questo tuo atteggiamento non l’aiuterà di certo a prendere voti.»
Melody, la mia antitesi, siamo state fin dalla nascita come il sole e la luna, lei sempre diligente e brava, io la peste di casa. Mia madre la adorava, ma l’aveva anche caricata di così tante aspettative che, delle volte, a Melody pesavano profondamente, quelle attenzioni erano pericolose. Per fortuna non eravamo mai state contagiate dalle preferenze di nostra madre e ci eravamo sempre sostenute; quante volte mi aveva difesa e quante volte mi ero presa colpe non mie per non farla passare, agli occhi di mamma, come una causa persa, come me insomma.
In questi ultimi due mesi, purtroppo era rimasta bloccata nei suoi impegni lavorativi per la campagna e non eravamo ancora riuscite a vederci, mi aveva pregata di raggiungerla per potermi dedicare un po’ di tempo, ma ero così a terra da non riuscire a varcare la soglia di casa, mi sentivo brutta e sconfitta dalla vita. Ogni giorno, la sera, ricevevo una sua chiamata , l’unica voce che poteva tirarmi un po’ su, la mia sorellona, la mia unica amica.
«Non tirare in ballo Mel, madre!»
«lei non te lo dirà mai, perché ti vuole bene, ma io non starò con la bocca cucita, sei una piaga Emily, te e il tuo carattere siete una disgrazia per questa famiglia, quindi vedi bene di trovare una soluzione, o non mi rimarrà che prendere la situazione in mano e fidati non ci sarà un epilogo felice per te» Cuor di mamma pensai, non avevo mai ricevuto una buona parola da quella serpe, mi aveva sempre odiata, eppure ero sua figlia, sangue del suo sangue, possibile che questo non contasse niente per lei?
«Alla prossima minaccia giuro su dio che ti sbatto fuori da casa mia e dalla mia vita»
Un ghigno le si apostrofò sul viso ancora tirato e senza rughe, sospettavo da tempo che si facesse qualche punturina della giovinezza e quando vidi la fronte inespressiva ebbi la conferma, quella vecchiaccia pensava solo alle apparenze.
«Tua vita? Tuo appartamento?» Quell’affermazione mi fece vacillare.
«Noto con piacere che la mia visita non sarà l’unica sorpresa che riceverai oggi.» Che mi stavo perdendo? Odiavo le sue visite, mai niente di buono, mai.
«Sputa il rospo e facciamola finita»
«Ovviamente, oltre che alla segreteria, non hai prestato attenzione nemmeno alla posta. Ti è stato notificato lo sfratto una settimana fa, per mancati pagamenti e ovviamente, una mia amica, che sta dietro a queste cose, me l’ha fatto sapere all’istante. Ho comprato il tuo appartamento, è mio, come lo sei te, se non vuoi finire sotto un ponte e fidati, conciata così ti adatteresti subito alle altre povere vittime della società, ti conviene fare come dico io.»
Come vi avevo accennato prima, i guai non vengono mai soli, satana mi aveva messo con le spalle al muro, finalmente pensavo di essere fuori dalle sue grinfie, ma in nemmeno di due mesi ero tornata sotto il suo controllo e in una maniera che non avrei mai potuto immaginare.
Prima che potessi anche solo pensare qualcosa da dire continuò il suo discorso:
«Ho un accordo da proporti. Ascoltami bene, ti darò due giorni per accettare o rifiutare. Un’amica di vecchia data è diventata di recente direttrice e capo amministratore di un vecchio ospedale che ha bisogno di essere rimesso in sesto, una clinica per metà privata che cerca nuovi medici per riavviarlo. Cercano un chirurgo generale e ho proposto te. Le ho spiegato la tua situazione e farà in modo di non divulgare il tuo dossier.»
«Fino a quando non saranno finiti gli accertamenti della commissione sanitaria sul mio ruolo in quella “faccenda” non ho il permesso nemmeno di starnutire vicino ad un paziente, figuriamoci operare»
«Ho fatto in modo che fino alla decisione tu possa operare, a patto che tu cambi momentaneamente cognome all’interno della clinica. E’ una grande opportunità e un grande rischio per la mia amica. La decisione è tua» E poi ci si chiedeva perché la società non funzionava, gente come mia madre con il suo favoritismo, rovinava la meritocrazia.
«Rifiuto. Inaccettabile. Ho sbagliato e pagherò le conseguenze del mio errore» Sicuramente quel fatto, la matrice di tutte le mie disavventure, era un grosso fardello, purtroppo anche solo ripensarci mi faceva venire il magone, un nodo stretto alla bocca dello stomaco. Quel che accadde ve lo racconterò quando me la sentirò.
Sentii una risata maligna, mentre con passo pesante mi stavo allontanando dalla donnaccia.
«Forse non hai capito, tu non accetti? Io ti tolgo tutto. Non sfidarmi Emily sai come può finire. Sai che potresti non tornare ad operare anche se ti dichiarassero innocente e sappiamo entrambe che ci sono scarse possibilità che ti assolvano.» Ricatti, ricatti, non ce la facevo più, davvero ero esausta, non la sopportavo, come si poteva fare una cosa del genere ad una figlia, come si poteva voler affossare una persona che stava già a pezzi. Non avevo altra scelta, avrei dovuto accettare per poi trovare una mia indipendenza e dire addio per sempre a quella megera platinata.
«Ok. Accetto, ma fuori da casa m..» Merda! Non era neppure più casa mia! Ora capite perché la mia vita era tutto fuorché perfetta o lontanamente appagante?
 
Appoggiai una mano al vetro del salotto padronale, mentre il verde di Central Park si macchiava da un nascere di foglie marroni sintomo che l’autunno era alle porte. Mi mancava di già il mio appartamento, per due mesi, ci avevo vissuto giorno e notte. Prima quando lavoravo ci passavo giusto qualche ora alla settimana se andava bene. Le valigie erano già pronte davanti all’ascensore, già, ascensore che arrivava in casa, figo eh? Vabbè anche quello era un lusso che non mi potevo più permettere al momento. Infatti, quello stupido accordo con satana mi aveva costretto a far le valigie e a trasferirmi in una piccola cittadina fuori New York. Non so per quanto tempo, quello lo avrei scoperto arrivando là e capendo la situazione con i miei occhi. Considerando che si trattava di un’amica di mia madre sicuramente l’ospedale non sarebbe stato un mezzo rottame.
«Buongiorno signorina» Joffrey il portinaio del palazzo mi salutò con un gesto della testa e con eleganza si alzò il capello nero in segno di riverenza.
«Joffrey chiamami con mio nome. Ti prego!» Dissi stremata dopo due soli passi. Con la valigia a trolley non ebbi problemi, ma i due borsoni da viaggio e la borsa, quelli si, erano diventati una sfida.
Joffrey mi venne in contro notando la mia difficoltà.
«Non si preoccupi signorina, ci pensa Joffrey» Senza il minimo sforzo raccattò tutte le borse e borsoni, lasciandomi solo con la mia gucci. Lo guardai con gli occhi pieni di gratitudine. Quell’omone avrà avuto cinquant’anni, ma aveva il viso da ragazzo, un viso buono e un’altezza spaventosa, non scherzo sarà stato quanto? Due metri ? Comunque io lo chiamavo il gigante buono, perché di persone buone come lui ce ne erano davvero poche a questo mondo. Solitamente, a fine mese, gli facevo sempre trovare un extra nella busta paga: aveva due bambini e mi piaceva l’idea di poter essere d’aiuto, ma nell’ultimo mese quel bonus extra non ero stata in grado di dispensarglielo e la cosa mi turbava non poco in quel momento.
«Joffrey, per quella cosa..» Sapeva benissimo a cosa mi stavo riferendo, ma non batté ciglio, mi guardò e con il suo sorriso mi disse: «signorina, lei è sempre stata così gentile nei miei confronti, mi dispiace per la sua situazione e vorrei poterla aiutare io questa volta.» Lui per fortuna conosceva la mia situazione perché gliel’avevo raccontata io, anche se avevo il sospetto che nel palazzo lo sapessero già tutti. Joffrey spesso mi andava a comprare il gelato quando lo finivo, era stato il mio angelo in quel periodo.
«Grazie Joffrey, grazie di tutto, davvero. Saluta i bambini e tua moglie da parte mia.» Nel mentre ci incamminammo verso l’esterno.
«Le fermo un taxi?»
«Tranquillo Joffrey, ci penso io»
Armata di tacco dodici, rigorosamente louboutin nere, fermai un auto gialla rigorosamente guidata da un indiano che ascoltava musica a tutto volume.
Joffrey caricò i bagagli e mi aprì lo sportello. Con passo aggraziato saltai su quel mezzo che mi avrebbe portata lontano da tutto. Abbassai il finestrino e guardai per un altro istante il grande palazzo di vetri celesti che mi sovrastava.
«Addio Joffrey» Gli dissi con il sorriso più vero che trovai.
«Arrivederci Emily» Quel saluto che non sembrò un addio, ma un “ci rivedremo” e il fatto che per una volta usò il mio nome mi fece sorridere per davvero sta volta. Inforcai gli occhiali e detti il via al taxista.
Vidi Joffrey sventolare una mano per aria fino a quando non ci perdemmo nel traffico caotico della città.

Angolo bisbigli:
Buonasera, questa è la prima sroria che pubblico qua su EFP, spero che vi piaccia la mia idea. Mi piacerebbe farvi appassionare e affezionare a questa storia almeno la metà di quanto lo sono io!!! Che aggiungere?! Spero che mi scriviate la vostra opinione sui personaggi e il tema che ho scelto, non sarebbe male lavorarci sentendo le vostre idee in merito XD 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: Nanami92