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Autore: miseichan    07/07/2015    3 recensioni
Si girò, un sogghigno pronto a piegarle le labbra e una luce malevola negli occhi, sapendo che niente avrebbe potuto fermarla.
Nemmeno la nonna.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un Magnifico Gancio Destro




La nonna sapeva la verità. 

Flavia si presentava come una ragazza pacata, dolce, sempre docile e comprensiva. Non farebbe male a una mosca, ecco cosa diceva sempre la gente. Flavia di mosche ne aveva uccise a bizzeffe e la nonna, sempre pronta a lanciarle un sorrisetto birichino, lo sapeva benissimo. 
Quando la fatidica goccia cadde, Flavia quasi tirò un sospiro di sollievo. 
Si girò, un sogghigno pronto a piegarle le labbra e una luce malevola negli occhi, sapendo che niente avrebbe potuto fermarla. Nemmeno la nonna. 

 

Dieci

“Dicono che oggi la massima sarà di quaranta gradi.”
“Mmm,” borbottò Flavia, gli occhi ancora chiusi. Il caffè non usciva mai troppo presto. 

“Ieri ho visto una molletta sciogliersi sull’asfalto,” ridacchiò Stefania.
Flavia aprì un occhio e la squadrò senza parlare: c’era un girone dell’inferno per i tipi come lei, ne era sicura. Un girone pieno zeppo di tipi mattutini. 

 

Nove

 

“Signorina, che pullman sta aspettando?”
Flavia lanciò un’occhiata veloce all’orologio e aggrottò le sopracciglia. “Il 114.”
“Oh, non passerà.”
“Andrà benissimo anche l’S14.”
“Non passerà nemmeno quello.”
“Posso chiederle come mai?” sorrise Flavia, le unghie conficcate nel palmo della mano. 
“Oh, ma naturalmente,” sorrise a sua volta l’uomo. “Oggi c’è lo sciopero.”
Flavia marciò via senza salutare, una sfilza di imprecazioni sulla punta della lingua.

 

Otto

“Saverio!”

“Dimmi tutto,” arrivò trafelato lo stagista, tamponandosi la fronte. 
“Il computer mi sta dando problemi: non riesco ad accedere al sito e non posso...”
Flavia si bloccò e rivolse una silenziosa preghiera a tutte le divinità. “Saverio, dimmi che non è come penso, ti prego.”
“Non funziona niente,” quasi singhiozzò lui. “L’intero ufficio è bloccato e apparentemente il reparto informatico non ha idea di come risolvere la situazione e...”
“Come faccio a lavorare?” 
Saverio doveva aver avvertito il pericolo perché arretrò di un passo. “A mano?”
“A mano?” ripeté scioccata Flavia, lo sguardo fisso in quello ora terrorizzato di lui.
Saverio optò per una saggia ritirata. 

 

Sette

 

“Pronto?”
“Flavia? Sei ancora al lavoro?”
“Sono solo le due, Stefi. Certo che sono ancora al lavoro.”
“Okay.”
Flavia represse un sospiro, chiuse gli occhi e cominciò a massaggiarsi la mano. “Cosa?”
“Ha chiamato Giovanni, vuole passare fra un’ora a riprendere le sue cose.”
“Va bene. Io... lo controlli tu?”
“Certo che sì!” scattò Stefania. “Posso anche malmenarlo giusto un po’, mmm? Lo sai che non mi è mai piaciuto. Giusto qualche calcio ben calcolato.”
Flavia prese in considerazione la proposta. Solo per qualche secondo. 
“No, ti ringrazio. Limitati a sbatterlo fuori da casa nostra.”

 

Sei

 

“Signorina D’Amore?”
“Sì?” 
“Potremmo parlare un attimo del suo abbigliamento?”
Flavia guardò i jeans e la maglietta a mezze maniche che stava indossando, quindi inarcò un sopracciglio in direzione del coordinatore. “Cosa c’è che non va?”
“Non crede siano un po’ troppo casual per l’ambiente di lavoro?”
“Ci sono trentadue gradi,” fece lei. “Vorrebbe che indossassi una camicia?”
“Sarebbe preferibile, sì.”
Flavia fissò incredula il collega appoggiato alla stampante in bermuda e canottiera.
“Ovviamente, signor Crocco.”

 

Cinque

“Dove ti sei fatta la doccia, tesorino?”

Flavia si asciugò il collo e si voltò verso la macchina alla sua sinistra. Strinse le mani sul manubrio della bici, fulminò il tizio al volante e aprì la bocca per rispondere. 
Il semaforo, però, diventò verde e quello sgommò via, una risata sguaiata unico suo lascito. 
Flavia prese un bel respiro e cominciò a pedalare. 

 

Quattro

“Ti prego, ti prego, no.”

Premette il pulsante ancora una volta, contraria a darsi per vinta. 
Il piccolo Marco si fermò al suo fianco e le porse un fazzoletto. “Flavia?” mormorò il bambino, un ghiacciolo allegramente stretto in mano.
“Sì?”
“L’ascensore non funziona.”
“Proprio quello che temevo, sì.”
“Si è rotto intorno alle dieci stamattina.”
“Capisco.”
Marco succhiò il ghiacciolo e le sorrise. “Devi arrivare all’ultimo piano, eh?”
Flavia contemplò l’idea di rubargli il gelato. Solo per qualche secondo. 

 

Tre

Aprì la porta pregustando l’ondata di aria fresca. 
Mise piede in casa e pietrificò. Una goccia di sudore cominciò a scivolarle sul naso. 
“Stefania?” chiamò con un filo di voce, accasciandosi contro il muro. 
“Oh, ehi,” la salutò la sua coinquilina, saltellando sul posto. “Non funziona l’aria condizionata, guarda un po’. Non so cos’è successo. Ho anche chiamato il tipo, sai, quello che potrebbe aggiustarla, ma dice che non può passare prima di domani e...”
Flavia sollevò lo sguardo, imponendosi di non piangere. 
“Sei zuppa, tesoro, lo sai? Neanche fossi appena uscita dalla doccia.”

 

Due

 

“Il frigorifero funziona, vero?”
“Certo, che domande. Vuoi un po’ d’acqua? Birra? Hai la faccia di chi ha bisogno di alcol, eh? Tanto alcol e di buona qualità.”
Flavia fece per aprire il freezer. 
“Ah.” Stefania non si limitava mai a una sillaba, tremò internamente Flavia. 
“Ah?”
“Tu mi hai chiesto del frigorifero, tesoro. Quello è il freezer. Il freezer sta dando problemi: apparentemente funziona, ma non gela nulla. Il ghiaccio ad esempio? Ecco, non è che arrivi al punto di ghiacciarsi, mettiamola così.”
Flavia aprì la finestra del balcone e prese in considerazione l’idea di farla finita. 
Solo per poco più di qualche secondo.


Uno

 

“Ehi, dirimpettaia!”
Flavia sollevò lo sguardo e incrociò quello del loro vicino di casa. 
“Mmm?” 
“La bicicletta rossa è tua?” chiese lui, sporgendosi appena dalla finestra. 
“Sì, perché?”
“Non ti hanno insegnato a parcheggiarla come si deve?”
Flavia sentì Stefania trattenere il respiro e si girò, incuriosita. Stefania la stava guardando, gli occhi spalancati: “Conta fino a dieci,” sussurrò. “Prendi un bel respiro e conta fino a dieci, mi raccomando.”
Flavia le sorrise, ricordando che Stefania aveva conosciuto la nonna. 
La nonna sì che sapeva la verità. 
Tornò a fissare il dirimpettaio, una sensazione di pace che pian piano la pervadeva. 
Prese fiato, lentamente, e mandò tutto al diavolo. 

 

 

“Ti ringrazio.”
Ezechiele, il dirimpettaio, meglio noto come Lele, ebbe il buon senso di impallidire. 
“Ho lasciato la bici in fondo al garage, proprio dove non può dare fastidio ad anima viva,” continuò Flavia, le dita serrate attorno alla ringhiera del balcone. “Chiunque poteva fare qualsiasi manovra senza problemi. Tu hai quel gigantesco mostro nero per macchina, non è vero? Potrei alludere a un bisogno di compensazione ma su quello torneremo poi. Non è affar mio se non sei capace di guidare la tua stessa auto e anzi, vuoi sapere cosa? Se una piccola, piccolissima bicicletta ti era di tanto fastidio potevi anche andare a parcheggiare sotto il tuo di palazzo, che te ne pare? Invece no, voi uomini e il vostro patetico, spropositato amore per le automobili.”
Lele deglutì e fece per aprire bocca. Flavia per poco non gli rise in faccia. 
“Lasciare la mia macchina fuori?” gli fece il verso, roteando gli occhi. “Non sia mai, che idea atroce! Sarebbe in balia delle intemperie lì, poverina. Rischierebbe di prendere caldo, ci sono quaranta gradi lì fuori!”
“Flavia,” tentò con un filo di voce Stefania, poggiandole una mano sulla spalla. 
“Lo so che ci sono quaranta gradi lì fuori!” gridò Flavia, liberandosi dalla presa dell’altra. “Credi forse che mi sia divertita a girare sotto il sole in bici, eh?! Prima il fottutissimo sciopero dei pullman, poi i computer e quel bastardo del mio ex e quello stronzo del mio capo e alla fine ti ci metti anche tu? Chi cazzo ti credi di essere?! Te ne stai lì, fresco come una rosa, senza una sola goccia di sudore perché la vostra aria condizionata ovviamente funziona perfettamente e tu puoi tranquillamente andare a farti fottere!”
Lele si limitò a fissarla, senza parole. Una mano sbucò da dietro il muro, stringendosi sull’avambraccio del ragazzo e facendo per tirarlo via dalla finestra e fuori dalla linea di fuoco. Flavia assottigliò lo sguardo e si leccò le labbra: il coinquilino, perfetto. 
“Puoi tranquillamente andare a farti fottere, tu e l’idiota lì con te! Siete a conoscenza del concetto per cui se voi potete vedere noi, noi possiamo vedere voi, non è vero?” allargò le braccia per sottolineare il fatto che i balconi erano fin troppo vicini. 
“Grattarsi i gioielli di prima mattina non è accettabile, non quando chi può vedervi sta bevendo il primo caffè della giornata. Bere il latte dal cartone va bene, ruttare subito dopo non è esattamente il massimo dell’educazione. Fare pipì nel lavandino,” assottigliò le labbra, scuotendo appena la testa, “è semplicemente disgustoso.”
“Una volta!” sbottò il coinquilino, decidendosi a farsi vedere. “Una sola volta, okay? Era davvero, davvero urgente e questo cretino non si decideva ad aprire la porta del bagno e...”
“Ero sotto la doccia, come pretendevi che aprissi la porta?”
“... e non avevo idea che ci fosse qualcuno a guardare! Non che avrei potuto trattenermi un minuto di più, ma almeno ti avrei detto di girarti un secondo.”
Flavia lo squadrò, il respiro corto, e si strinse mentalmente nelle spalle. 
“Sei un costante pugno in un occhio.”
“Io?” chiesero i due in contemporanea. Stefania, dietro di lei, gemette. 
“Tu,” rispose Flavia, lo sguardo fisso sull’ultimo arrivato. Matteo? Mattia, forse. “Non c’è stata una volta, dico una, in cui ti abbia guardato e gli occhi non mi abbiano fatto male. Ci sarebbe da piangere, ti assicuro. Qualche suggerimento veloce? Il rosso e l’arancione? Non stanno bene assieme. Arancione e viola? Nemmeno. Viola e celeste? No. Rosso e lillà? No. Rosa e rosso? No. E per l’amor del cielo: il marrone e il nero, su questo prendimi in parola, non sono fatti per essere accoppiati. Mai.”
Aveva appena smesso di parlare quando successero due cose insieme. 
Stefania esclamò: “Ehi! L’aria condizionata funziona di nuovo!”
Lele diede di gomito al coinquilino e mugugnò: “È daltonico e disordinato: non è colpa mia se mischia i mucchi che gli preparo.”
Flavia sentì la rabbia defluire completamente, lasciandola svuotata. Si guardò attorno, un fischio fastidioso nelle orecchie, e ingoiò anche l’ultima maledizione. 
Borbottò quelle che solo con un grande sforzo di immaginazione avrebbero potuto essere interpretate come scuse e, senza pensarci più di tanto, si precipitò in casa. 
Si era sfogata, pensò, accasciandosi sul condizionatore. Chiuse gli occhi, cercando di dimenticare tutto; di rimuovere chirurgicamente ogni singola parola. C’era un particolare, però, che proprio non voleva saperne di scomparire: il ghigno perverso che le aveva rivolto Mattia (Matteo?) un attimo prima della sua strategica ritirata. 
Sogghigni del genere, avrebbe detto la nonna, non preannunciavano nulla di buono. 

 

 

§

 

“Dicono che oggi la massima sarà di...”
Flavia aprì gli occhi e buttò giù un abbondante sorso di caffè. Non perché l’aggiornamento sul meteo di Stefania le interessasse più di tanto, ma perché il suo bloccarsi a mezza frase non era mai un buon segno. “Che c’è?” 
“Simone,” ansimò lei, lo sguardo fisso fuori dalla finestra. 
“Chi è Simone?” chiese Flavia, completamente persa. Il caffè ancora doveva fare effetto.
“Il coinquilino di Lele! Quello che è un costante pugno in un occhio, hai presente?”
Flavia fece una smorfia, dolorosamente memore delle proprie parole. 
“Credevo si chiamasse Matteo. O Mattia.”
“No, si chiama Simone.”
Qualcosa nella voce strozzata di Stefania la spinse a darsi una svegliata. “Okay.”
Stefania non disse più niente e quello, più di ogni altra cosa, la convinse che la questione era seria. Flavia la raggiunse al tavolo, ne seguì lo sguardo e per poco non perse la presa sulla tazza di caffè. Cazzo.
L’appena ribattezzato Simone sorrise a entrambe, salutando adorabilmente con la mano. Aprì il frigorifero e ne estrasse una bottiglia d’acqua: cominciò a bere, la bocca leggermente dischiusa. Una goccia sfuggì, scivolando lungo il mento e continuando a scendere. 
Sempre. Più. In. Giù.
Oh, nonna, pensò Flavia, incapace di distogliere lo sguardo. 
La goccia scese, seguendo il profilo del collo. Pian piano, senza fretta, arrivò al petto: quel petto completamente, totalmente, magnificamente nudo. Sembrò soffermarsi sul pettorale sinistro, ma no, non aveva intenzione di rallentare; raggiunse gli addominali e lì sì che c’era un gran bel vedere. Flavia sentì il bisogno di deglutire. O di ringraziare. 
A fermare il viaggio della goccia ci pensarono i boxer azzurri. Flavia sbatté le palpebre. 
C’era una paperella gialla disegnata sui boxer: proprio lì, lì sul... lì. La papera stava ridendo di gusto, come se non bastasse. 
Simone posò la bottiglia, sorrise nuovamente e uscì dalla cucina. 
Flavia lo guardò andare via, il capo leggermente inclinato verso destra. 
“Hai visto la rana?” gracchiò Stefania. 
“Mmm,” annuì Flavia. C’era una rana sul retro dei boxer. Una rana enorme, disegnata appositamente per avvolgere completamente il fondoschiena. E, oh, nonna, quello sì che era un sedere degno di essere avvolto come si deve. 
Flavia raddrizzò le spalle mentre il ghigno del giorno prima le tornava in mente. Oh. 
“Forse sono rimasti senza aria condizionata,” sussurrò sconsolata. 
Stefania grugnì e alzò gli occhi al cielo. 
“Almeno ora non è più un pugno in un occhio.”

 

 

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