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Autore: Shainareth    08/07/2015    6 recensioni
Ero consapevole che Ambra meritasse tutti quegli insulti, e forse anche qualcuno di più, visto il modo poco amabile in cui era solita comportarsi con gli altri – ed io per prima ne sapevo qualcosa. Tuttavia, non potevo non immedesimarmi in lei e non provare la sua sofferenza: anch’io ero innamorata, e se Kentin avesse avuto per me le stesse parole che ora stava pronunciando contro Ambra… beh, probabilmente mi sarei sentita morire.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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RIVALI - CAPITOLO TERZO




Essere in compagnia di Castiel al di fuori delle mura scolastiche faceva uno strano effetto. Il mio rapporto con lui non era mai stato propriamente idilliaco: ogni qual volta avevo provato a socializzare, le sue rispostacce o le sue battute tutt’altro che gentili mi avevano puntualmente tagliato le gambe. Per molto tempo non ero riuscita a capire cosa diamine ci fosse di sbagliato, nei miei modi di fare, da infastidirlo a tal punto; di conseguenza, anch’io mi inalberavo e avevo iniziato a non sopportarlo prima ancora di aver avuto il piacere di conoscerlo per davvero.
   Ammetto che il mio arrivo al nuovo liceo non era stato dei migliori. Tra il suo grugno perennemente offeso e le cattiverie gratuite di Ambra, avevo ringraziato il cielo che almeno non fossi sola in quella mia avventura. Certo anche Kentin era stato bersagliato, ma ci consolavamo col detto mal comune, mezzo gaudio. E quando poi, poco tempo dopo, lui era dovuto partire per la scuola militare e mi ero ritrovata da sola in mezzo a compagni ancora semisconosciuti e bulletti spocchiosi e permalosi, l’unica cosa che mi era rimasta da fare era stata rimboccarmi le maniche ed iniziare a difendermi almeno a parole. In questo, per fortuna, mi ero scoperta brava.
   Non so quante volte, alla fine di una giornata scolastica, mi ero sorpresa ad imprecare contro Castiel e Ambra, sia pure per motivi differenti. Il primo di certo non era cattivo; ciò non toglieva, però, che con i suoi modi scostanti e le sue parole taglienti era capace di fartele crescere e vorticare peggio delle lame boomerang di Daltanius. L’altra, invece, con la sua amorevole gentilezza e la sua adorabile disponibilità, aveva più volte solleticato in me l’idea di farmi crescere le unghie delle mani proprio come le sue; non per imitarne lo stile fashion, quanto perché mi dicevo che in questo modo mi sarebbe stato più facile conficcarle le dita in un occhio. E poco mi importava se qualcuno, vedendomi durante il periodo immediatamente successivo al mio arrivo al liceo, senza neanche più il mio migliore amico a sostenermi, avesse pensato che ero perennemente sotto ciclo.
   E adesso, invece, il mondo sembrava essersi quasi capovolto. Avevo passato quella nuova giornata scolastica – e a dire il vero non era stata la prima – a dispiacermi per Ambra e a sentirmi impotente dinanzi alla sua sofferenza. Non paga, ora ero in compagnia di Castiel, col quale stranamente negli ultimi mesi le cose sembravano essere migliorate; tanto che non litigavamo più come prima e, anzi, riuscivamo persino a ridere insieme. Buffa, la vita, vero?
   Alla mia ennesima occhiata furtiva, Castiel mi fissò accigliato, fermandosi a bordo strada poco prima che potessimo attraversare. «Se hai qualcosa da dirmi, parla chiaro, anziché guardarmi in quel modo. Mi dà i nervi.»
   Non gli diedi torto, per cui, arrestando il passo a mia volta, andai dritta al punto. «Posso chiederti cosa ne pensi davvero di Ambra?»
   Lo vidi inarcare un sopracciglio con aria perplessa. «Cos’è, un modo indiretto per sapere se me la intendo con qualcuna?»
   «Grazie al cielo non sono così masochista.» Eccola lì, la piccola, acida Aishilinn che era venuta a galla proprio per merito suo – e di Ambra. Era un lato di me che non avevo ancora scoperto e loro erano stati così premurosi da tirarlo fuori con gioia.
   Castiel atteggiò le labbra in un ghigno divertito. «Neanche se io fossi l’ultimo uomo rimasto sulla faccia del pianeta?»
   Rimasi in silenzio per qualche istante, facendomi un sano esame di coscienza. «Forse in quel caso potrei darti una possibilità», gli concessi, pur con un sospiro sofferto. Non che Castiel fosse da buttare, tutt’altro; solo… avrei gradito avere un compagno di vita con cui andare d’accordo almeno riguardo alle basi fondamentali di un rapporto di coppia, cosa che, nel mio caso, non era neanche lontanamente pensabile con uno come lui.
   «Ma sentila…» ridacchiò fra sé, riprendendo a camminare per giungere dall’altro lato della strada.
   «Invece di pensare a queste idiozie», tornai alla carica, tallonandolo da vicino, «risponderesti alla mia domanda?»
   «Mi pareva fosse chiaro che non è certo la mia donna ideale», brontolò, infastidito dalla mia insistenza e, con tutta probabilità, da quella mia curiosità che andava a toccare la sua sfera personale.
   Non volli sentir ragioni. «E se fosse più… amabile?» Ormai giunto sul marciapiede opposto, Castiel rallentò nuovamente l’andatura e mi scoccò un’occhiata scettica. «Beh», continuai io, approfittando del suo silenzio, «non puoi negare che sia molto bella, perciò magari se tu le dessi una possibilità…»
   Si fermò di colpo e incrociò le braccia al petto, piantando nei miei due occhi severi. Ecco, pensai, sicuramente adesso mi abbaierà contro. Invece mi smentì, prendendomi in contropiede. «Dici che se glielo do, potrebbe finalmente darsi una calmata?» Strabuzzai gli occhi e quel disgraziato, incurante del rossore diffuso sulle mie guance, aggiunse con fare pensoso: «In effetti, sono parecchie le donne acide che hanno solo bisogno di una sana…»
   «N-No…» lo fermai in tempo, cercando di contenere l’imbarazzo. Perché quel mandrillone sembrava avere un chiodo fisso nella testa?! «Non intendevo questo.»
   «Spiegati, allora.»
   Presi fiato. «Mi chiedevo solo se, vedendosi trattata in modo meno sgradevole, magari di riflesso anche lei potrebbe mostrarsi più disponibile nei confronti degli altri.»
   «Quante volte ci hai già provato, da quando sei arrivata a scuola?» mi ritorse immediatamente. «Non mi pare abbia mai funzionato.»
   Aveva ragione lui. In passato avevo già cercato di approcciarmi in modo più gentile verso Ambra; sfortunatamente, lei non aveva mai avuto la medesima disponibilità nei miei riguardi. Mi ero chiesta e richiesta per quale dannato motivo ce l’avesse tanto con me, perché si divertisse a tormentarmi con le sue cattiverie, ma non ero riuscita mai a giungere ad una conclusione sensata.
   Cercai una scappatoia. «Però io non sono un ragazzone fico e gagliardo.»
   «Credi che ti basti adularmi, per farmi cambiare idea?»
   «Ammetti però che, quand’era piccola, Ambra era adorabile.»
   «Cosa ne sai, tu?»
   Domanda legittima. Diverso tempo prima, Nathaniel mi aveva raccontato che, quand’erano bambini, lui, Ambra e Castiel erano soliti trascorrere il tempo nello stesso parco giochi. Era stato lì che si erano conosciuti ed era stato sempre lì che Castiel aveva inavvertitamente fatto breccia nel cuore di Ambra. Avevo promesso a Nathaniel di non farne parola con nessuno perché sua sorella si vergognava di quella vecchia storia – che invece io trovavo piuttosto tenera – e così l’avevo tenuta solo per me; ora però era saltata di nuovo fuori e poiché stavo parlando con Castiel, che l’aveva vissuta in prima persona, non mi feci scrupoli a dirgli ogni cosa.
   «Nath mi ha raccontato di quando lui e Ambra erano piccoli», spiegai con calma, «e mi ha anche detto che in un’occasione aiutasti lei ad aggiustare la bambola che lui le aveva rotto per farle un dispetto. Fu molto carino, da parte tua.»
   Castiel fece una smorfia. «Mi sentii obbligato a farlo», si difese, spostando lo sguardo altrove. «Mi fece pena. Soprattutto, non hai idea di quanto frignasse… Era una mocciosa piagnucolosa.»
   «Ma di sicuro era anche dolce», gli feci notare. «Forse di base lo è davvero.»
   «Come in realtà, sotto sotto, suo fratello è un teppista che si nasconde sotto le mentite spoglie di alunno modello?» fu la sua più che giustificabile osservazione.
   Non riuscii a ribattere come avrei voluto, perciò fui costretta a dargli parzialmente ragione. «Qualcosa del genere…» balbettai. Non che Nathaniel fosse davvero il teppista di cui lui parlava, ma in alcune occasioni avevo assistito in prima persona a degli atteggiamenti che non mi sarei mai aspettata dal serioso delegato degli studenti che avevo conosciuto al mio ingresso al liceo.
   «Quindi si ritorna alla mia supposizione di prima», riprese Castiel. «Se per farla calmare, da bambina bisognava darle una bambola, ora sicuramente vorrà cambiare tipo di giocattolo.» Apprezzavo la sua mancanza di ipocrisia, sul serio; eppure, in tutta onestà, avrei gradito che fosse meno diretto nell’esporre i propri pensieri riguardo certi argomenti. Di colpo, la sua voce si fece più dura. «E se mi hai chiesto di riaccompagnarti a casa con la scusa delle sigarette, quando invece il tuo unico proposito è quello di spezzare una lancia in favore di quell’arpia… beh, credo tu abbia preso un abbaglio colossale: non sono io quello che può aiutarti.»
   Abbassai lo sguardo, sentendomi un’idiota. Era ovvio che sarebbe andata finire così. Di che mi illudevo? Che Castiel cambiasse opinione su qualcuno nel giro di poche ore? Sarebbe stato più semplice chiedere ad Armin di uscire a fare una lunga passeggiata nel parco o a Lysandre di ricordarsi quale fosse la password del suo profilo di uno qualsiasi dei social network a cui era iscritto – ammesso che lo fosse per davvero.
   «Perché tutto d’un tratto ti metti a difenderla?»
   Fu più che logica, come curiosità. Sarebbe apparso strano a chiunque, dopo tutto quello che era successo fra me e Ambra, vedermi schierata al suo fianco. Si era già sollevato un bel polverone, a scuola, quando si era saputo che avevo dormito a casa sua, ma almeno con Kentin e Castiel avevo chiarito la faccenda, spiegando sinceramente le mie ragioni. Adesso, tuttavia, quali motivazioni avrei potuto fornire a chi mi avesse rivolto la stessa domanda di Castiel? Di certo non che mi ero nascosta con Ambra nello spogliatoio dei ragazzi.
   «L’ho vista piangere», confessai comunque, continuando a tenere gli occhi bassi.
   «Qualcuno finalmente gliel’ha fatta pagare?» chiese il mio compagno di classe, in tono vagamente divertito.
   «No, ma…» Esitai. Infine, vuotai il sacco. «Stamattina presto, mentre ci cambiavamo nello spogliatoio, nel silenzio della stanza deserta, abbiamo sentito le vostre voci dall’altra parte della parete.» Una realtà modificata, certo, ma comunque rispondente al vero almeno nel succo del discorso. «Non siete stati molto gentili nei suoi riguardi.»
   Castiel tacque per una manciata di attimi, durante i quali mi convinsi che non mi avrebbe esposto i propri pensieri in proposito. Tornai perciò ad alzare gli occhi nella sua direzione: l’espressione del suo volto era dura, ma non mi sembrava davvero arrabbiato. «Sei un’imbecille», mi disse anzitutto. Risentita, sollevai il capo con fare orgoglioso. Prima ancora che potessi ribattere, però, lui aggiunse: «Il fatto che lei ti abbia fatto pena, non giustifica il suo pessimo comportamento.» Richiusi con uno scatto secco la mascella che avevo aperto per parlare e mi resi subito conto che non aveva torto. «Se lei è un’oca con manie di grandezza, non è un problema tuo. Così come non lo sono le sue lacrime di coccodrillo», volle chiarire, nel caso non mi fosse stato chiaro. «E ora, siccome ne ho abbastanza di tutta questa faccenda, sbrighiamoci a comprare quelle dannate sigarette e torniamo a casa.»
   Senza osare replicare, chinai nuovamente lo sguardo e lo seguii, lasciando che mi precedesse lungo la strada di un paio di passi. Castiel era stato brusco come al solito, nell’esporre il proprio punto di vista, ma la cosa che mi seccava di più era che avesse dannatamente ragione. Se avessi dovuto dare retta alla logica, le parole di lui sarebbero dovute divenire il mio nuovo vangelo. E allora perché sentivo ancora il cuore pesante come un macigno?
   Ora c’è Nathaniel, con lei, mi dissi, cercando di tornare in me. Sicuramente lui saprà cosa dire e cosa fare per consolarla.
   Fu armandomi di questa convinzione che affrontai il resto della giornata e cominciai quella successiva, benché di tanto in tanto alla mia coscienza tornasse a bussare il ricordo degli occhi lucidi di Ambra e della sua voce rotta dai singhiozzi.
   Riposai male, quella notte. Mi svegliai più volte, inquieta, con la vaga sensazione di aver mancato in qualcosa. Il che era illogico, dal momento che, anzi, avevo fatto più del necessario, dando a Nathaniel notizie di sua sorella e cercando di persuadere Castiel, sia pure invano, ad essere meno duro nei confronti di Ambra.
   Ogni dubbio o intontimento al riguardo, comunque, venne spazzato via da un fulmine a ciel sereno.
   «Degna amica di Ambra.» Fu con questo borbottio infastidito che Kentin mi diede il buongiorno davanti all’ingresso della scuola. Al mio sguardo interrogativo, decise di spiegarmi. «Poco fa Capucine è venuta da me per malignare sul tuo conto.»
   «Cos…?» annaspai, cadendo dalle nuvole. Mi ripresi subito e sospirai, varcando con lui il portone e proseguendo lungo il corridoio. «Mi chiedo perché debba essere sempre così gentile nei miei confronti.»
   «L’ho mandata a quel paese anche da parte tua, non preoccuparti», mi rassicurò lui, strappandomi un sorriso. «Anche se stavolta l’ha sparata proprio grossa.»
   Mi venne da ridere. «Perché? Che t’ha detto? Che in realtà sono un alieno bitorzoluto venuto dallo spazio siderale?»
   «Magari», mi stupì Kentin, accigliandosi. «Ha avuto il fegato di insinuare che tu sia uscita con Castiel, ieri, dopo la scuola.» Arrestai il passo così di colpo che lui avanzò di un paio di metri prima di accorgersene e voltarsi con sorpresa nella mia direzione. «Te l’avevo detto che l’ha sparata grossa», sottolineò poi, tornando indietro e fermandosi davanti a me.
   Capucine, dunque, doveva avermi vista con Castiel, il pomeriggio addietro. Quando, esattamente? E dove? A scuola no, perché ero quasi del tutto sicura che, quando avevamo lasciato il liceo, non ci avesse notati nessuno, dal momento che era già tardi. Forse ci aveva scorti da lontano mentre andavamo a comprare le sigarette o, peggio ancora, quando eravamo a due passi da casa mia, magari mentre attraversavamo il parco. La domanda successiva fu: perché andare subito a raccontarlo a Kentin? Era ovvio: Capucine aveva origliato una vecchia conversazione fra me, Alexy e Rosalya, e sapeva perciò che, a volte, uscivo con lui. Era quindi corsa a spifferarlo a Peggy, che per fortuna non si era interessata alla faccenda, reputando la mia vita personale un affare di poco conto per essere pubblicata sul giornale della scuola, e perciò la voce non si era diffusa più del necessario. E adesso quell’intrigante di Capucine, fatta tesoro dell’informazione che fra me e Kentin ci fosse una complicità particolare, non aveva perso tempo a mettermi in cattiva luce con lui, insinuando che mi vedessi anche con qualcun altro. Con Castiel, oltretutto.
   Kentin era stato un tesoro a non credere a quel pettegolezzo, dimostrando nei miei confronti una fiducia che mi fece sciogliere il cuore; tuttavia, la coscienza tornò a rimordermi. Non volevo mentirgli, ma se gli avessi detto che questa volta Capucine aveva ragione…
   «Che hai?»
   Ritornai con i piedi per terra e mi resi conto che Kentin mi stava fissando con occhi preoccupati. Oh, i suoi bellissimi occhi verdi, così pieni di tenerezza e d’amore… Sarebbero diventati tempestosi non appena avessi aperto bocca, ne ero consapevole, ma tant’è…
   «Giurami che non ti arrabbierai», esordii con voce strozzata.
   Come previsto, lo sguardo di lui cominciò a rabbuiarsi. «Con questa allarmante premessa, non credo di riuscire a mantenere alcun giuramento», puntualizzò deciso, forse iniziando a dubitare della verità nascosta dietro al pallore del mio viso. Esitai, cercando di trovare le parole adatte per cominciare il mio discorso, ma lui mi precedette, arrivando subito al dunque. «Sei davvero uscita con lui?!»
   Arrossii di colpo, pregandolo di fare silenzio. «Abbassa la voce, ti prego!»
   Kentin mi fissò allibito. La cosa che mi fece più male, però, fu scorgere la delusione nei suoi occhi. «Ieri mi hai davvero dato buca per… Castiel?!»
   «No!» esclamai stizzita, sperando che tanto bastasse per farlo calmare. E poiché avevamo già attirato l’attenzione di diversi studenti, lo afferrai per un braccio e me lo trascinai dietro, fino in fondo al corridoio, in prossimità delle scale dove, forse, avremmo potuto parlare senza dare troppo nell’occhio.
   Mi seguì in silenzio, ma sapevo che dentro di sé doveva essere un vulcano in piena eruzione. Benché avesse di base un’indole calma e pacifica, Kentin aveva sempre avuto problemi nel controllare le proprie emozioni, esternandole più del dovuto. Era il classico tipo spontaneo e sanguigno e, nonostante tutto, lo adoravo anche per questo. Pertanto, ciò che avrei dovuto fare, prima ancora di raccontargli la verità, era farlo calmare e dirgli a chiare lettere che di Castiel non me ne importava un fico secco – di certo, non in quel senso.
   «Non ti darei buca per nessuno al mondo», fui ulteriormente chiara, quando ormai ci eravamo rintanati nei pressi del sottoscala. «Ti pare che poi ti avrei chiesto di uscire questo fine settimana, altrimenti?» gli ricordai ancora, cercando di ignorare il calore che sentivo salirmi alle guance. «Non sono capace di dire bugie, figurati di fare il doppio gioco…» borbottai poi, abbassando il capo con aria imbronciata e imbarazzata insieme. Stavo indirettamente ammettendo i miei sentimenti per lui, ma giunti a quel punto che senso aveva tacerli ancora? Tanto più che ormai dovevano essergli piuttosto chiari: non ero mai uscita con nessun ragazzo per un appuntamento vero e proprio, a parte lui, e Kentin ne era consapevole – anche e soprattutto perché se questo fosse accaduto, ero certa che qualcuno ci avesse spettegolato su per farmi dispetto, proprio come avevano fatto con noi due e, adesso, anche con me e Castiel.
   «Fammi indovinare», iniziò Kentin dopo diversi attimi, scrutando nei miei occhi in cerca della verità. «Sta per arrivare una di quelle tue storie assurde che sono capitate per puro caso?»
   Corrucciai la fronte, indignata. «Quando mai ti avrei raccontat…»
   La mia protesta fu interrotta sul nascere. «Non me la sono certo inventata, quella faccenda di te che, chiusa nel nostro spogliatoio per vedere il tatuaggio di Lysandre, alla fine ti sei invece ritrovata a sbirciare i lividi sulla schiena di Nathaniel.»
   Mi costrinsi a tacere, abbassando ulteriormente lo sguardo con aria colpevole. «Ecco…» pigolai mortificata. E ora come diavolo gli avrei spiegato che era successo una seconda volta, sia pure non per colpa mia?
   Di nuovo il mio tentennamento mi fu fatale, perché qualcuno piombò fra noi come un fulmine. Il secondo di quella mattinata, che si prospettava tutt’altro che migliore della precedente. «Lo sapevo!» tuonò la voce di Ambra, che caracollò giù dalle scale con espressione inferocita. Per lo meno, mi sarei consolata successivamente, non piangeva più. In quel momento, però, l’unica cosa che fui in grado di fare fu sobbalzare e indietreggiare di un passo, andando quasi a scontrarmi contro Kentin che, d’istinto, mi sorresse con una mano, posandola dietro la mia schiena. «Hai una gran bella faccia tosta!» strillò ancora Ambra, fermandosi a pochi gradini dal pian terreno e serrando la balaustra di cemento fra le mani. Mi divorava con occhi accesi per la collera e dal modo in cui stringeva le labbra, facendole quasi diventare livide, compresi che doveva essere furibonda perché anche a lei era giunta la voce della mia presunta uscita con Castiel. Spostai lo sguardo verso l’alto e, difatti, scorsi Capucine che, alle spalle dell’amica, sorrideva malignamente.
   «Perché non dici niente?!»
   «Cosa dovrei dire?» pretesi di sapere, cercando di recuperare la lucidità necessaria per risponderle a tono. Ed io che mi ero persino preoccupata per lei! «Non so neanche di cosa sono accusata.»
   «Bugiarda», ringhiò Ambra, sporgendosi oltre la ringhiera. «Ieri ti hanno vista in giro in compagnia di Castiel. Negalo, se hai il coraggio.»
   «Non ho alcuna intenzione di farlo», ammisi con freddezza. Avvertii la presa della mano di Kentin farsi più salda dietro la mia schiena, ma non demorsi. Dovevo la verità anche a lui e gliel’avrei data, sbattendola però in faccia alla mia nemesi senza troppi riguardi. «Ma non si trattava di un appuntamento o qualcosa del genere.» Ambra socchiuse le palpebre in due fessure, attraverso le quali i suoi occhi chiari mandavano scintille. «Semplicemente, l’ho incrociato nel corridoio, mentre si stava dirigendo verso il seminterrato; e siccome sapevo che quel posto era già occupato, ho creduto di fare cosa gradita allontanandolo da lì.» Quelle parole andarono a segno, perché lei tornò a rizzare il busto e l’espressione del suo volto si rilassò di colpo, dando l’impressione che lei stesse quasi per impallidire. «Non credere che sia stato facile sopportare la sua compagnia per un tempo sufficientemente lungo da sviarlo dai suoi propositi», aggiunsi infine, tanto per rimarcare forse per la milionesima volta il concetto che, a me, Castiel non piaceva. «E ora, se non ti spiace, stavo parlando con Kentin», conclusi con voce più dura di quanto non avessi voluto.
   Lo sguardo di Ambra vagò smarrito verso la figura del ragazzo accanto a me, come se lei si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza. Quindi, arrossendo violentemente, ci voltò le spalle e corse di nuovo su per le scale, travolgendo quasi Capucine al suo passaggio. Quest’ultima rimase per un secondo spaesata, ma poi riacquistò la compostezza e, lanciando un’occhiata in tralice a Kentin, disse con voce trionfante: «Te l’avevo detto.»
   «Sparisci, prima che ti prenda a calci!» ribatté lui, inducendola a seguire la scia di Ambra, sia pure con un sorriso dispettoso ancora dipinto sulle labbra. Avvertii il tocco sulla schiena farsi più leggero; infine, Kentin tornò a lasciar cadere la mano lungo il fianco, occhieggiando nella mia direzione con espressione indefinita. «Cosa c’era, nel sottoscala, che Castiel non doveva vedere?» mi chiese dopo qualche istante.
   Lo fissai da sotto in su, implorando con lo sguardo il suo perdono. «Giurami che non ti arrabbierai», ripetei in un guaito disperato.
   Si passò una mano fra i capelli, sospirando rassegnato. «Perché vuoi costringermi per forza a diventare uno spergiuro?» mi domandò con fare retorico. «Forza, sputa il rospo.»












Alla faccia del "non so quando potrò aggiornare"! :'D Seriamente, non so se sentirmi orgogliosa di me stessa per la rapidità o se, piuttosto, mortificata per avervi dato delle indicazioni sbagliate. D: Comunque sia, ecco qua: questo l'ho scritto di getto ieri, nei ritagli di tempo. Spero di riuscire a fare la medesima cosa domani con il quarto capitolo, ché dovrei avere pure il pomeriggio quasi libero.
Mi domando seriamente in quante avete odiato la protagonista di questa storia quando, a inizio capitolo, ha cercato di mettere una buona parola per Ambra con il vostro adorato Castiel. Gli insulti sono tollerati, ma andateci piano perché sono sensibile, grazie. ♥
Quanto al resto, chiedo scusa se non ho risposto a messaggi e recensioni prima di mettere online questo capitolo, ma lo avevo tutto in testa e mi premeva scriverlo il prima possibile. Adesso che è pronto e che sto elaborando l'input del prossimo, mi dedicherò invece a rispondere a chi ha avuto la gentilezza di contattarmi pubblicamente e/o in privato.
Un abbraccio e buona giornata a tutti! E, soprattutto, grazie per aver letto anche questo capitolo! ♥
Shainareth





  
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