Teatro e Musical > Love Never Dies
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Autore: Menade Danzante    09/07/2015    1 recensioni
Questa storia si propone di riadattare e raccontare il musical "Love never dies" dal punto di vista di un personaggio che si fa odiare fino in fondo: Raoul de Chagny. Come cambiano le sue emozioni e i suoi pensieri di fronte all'inevitabile perdita della sua Christine?
Dal testo: "Ma non fa in tempo ad aggrottare la fronte che Gustave si è già issato all'interno senza nemmeno l'aiuto di sua madre, anch'ella lievemente sorpresa di vederlo così irruente.
Ha ripreso da sua madre, osserva il visconte con una nota d'amarezza. Più lo guarda, più non trova se stesso in quegli occhioni vispi, in quei capelli arruffati, in quella passione per la musica che lui non ha mai avuto. Gustave è una piccola Christine al maschile, una dolce Lotte in giacca e pantaloni.
Phantasma, pensa di nuovo prima di assecondare i capricci di madre e figlio a causa dello scroscio d'acqua che si sta impegnando a rovinare i suoi piani, il suo umore, la sua permanenza a Cony Island."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Le sensazioni di un visconte



Hearts may get broken
Love endures

Hearts may get broken
Love endures

Love never dies
Love will continue
Love keeps on beating
When you're gone

(“Love never dies”, Andrew Lloyd Webber)



Si porta un sorso di liquore alla bocca in un gesto che ormai gli appartiene. È abituale per Raoul ingollarne un po', anche quando non ne ha espressamente voglia. Lo fa e basta, con la stessa naturalezza con cui Christine canta, con la stessa casualità con cui suo figlio Gustave si siede al pianoforte e dà vita alle note ben vergate sul primo spartito che riesca a trovare.
Gustave.
Il nome gli aleggia nella mente, lasciandogli una sensazione che Raoul non sa spiegare. È come se gli sfuggisse qualcosa, qualcosa di molto ovvio che gli dà un'emicrania così poco piacevole da farlo arrabbiare con il mondo intero, suo figlio compreso – suo figlio in particolare.
Il visconte chiude gli occhi per scacciare la spiacevole immagine che gli viene riproposta dai ricordi, ma è troppo tardi perché una misera oscurità fittizia lo faccia tornare con i pensieri al suo bicchiere quasi vuoto: ricorda ancora la prima volta in cui la sua mano picchiò la guancia del piccolo Gustave senza motivo. O meglio, il bambino aveva disobbedito, si era allontanato da sua madre senza preavviso, ed andava sgridato, certo. Lo credeva con estrema convinzione, ma aveva dubitato del suo metodo punitivo non appena l'aveva messo in atto. Gli sembra di rivedere lì, di fronte a sé, nel riflesso del lucido candelabro sul camino, il volto di sua moglie sconvolto dalla delusione, dalla paura che quella mano calasse di nuovo sulla gota delicata del piccolo, dalla collera per non essere riuscita a fermarlo... Se ne era pentito subito, all'epoca; quando avvertì il formicolio d'irritazione sulla pelle già sarebbe tornato indietro nel tempo, se ce ne fosse stata l'occasione.
Quella stessa mano si stringe attorno al vetro freddo del bicchiere, mentre gli occhi di Raoul vagano per la stanza ad incontrare la figurina minuta e timida del bimbo, intento a studiare per l'ennesima volta lo strumento musicale. È un attimo e Gustave già esegue le prime misure di una partitura che lo stesso visconte non ricorda di possedere.
L'uomo non fa in tempo a cogliere appieno il movimento furtivo del collo di Christine che scatta verso il prodigio di dieci anni, ma si lascia confondere dalle dolci note del piano.
Qualcosa gli sfugge.


-


Phantasma.
«È una specie di scherzo?»
Ne ha sentite tante di cose strane, il visconte, ma un nome come quello associato ad un parco divertimenti è... insolito, molto insolito, più di tanti altri nomi captati nei suoi anni di esistenza. È lì da cinque minuti per seguire quello che dovrebbe essere l'unico mezzo per risollevare le sorti economiche della famiglia De Chagny e già ne è pienamente stanco.
Phantasma, ripete tra sé mentre si avvicina la carrozza nera, macabra al solo guardarsi, anche senza la presenza di quei tre saltimbanchi che avanzano con lei avvinghiati al parapetto dell'abitacolo.
«È oltraggioso!»
Non solo ha appena subito le beffe di sciocchi e rozzi americani che non comprendono la differenza tra un soprano qualunque e sua moglie,- stolti idioti! –, ma ora deve accettare di essere scortato dalla vettura di Mr. Y. L'affare non lo convince, nemmeno un po', ma deve farlo per il bene di tutta la famiglia. Lo farebbe con molta più tranquillità se non ci fosse quella fitta allo stomaco che non comprende, che non riesce a vedere chiaramente e che, ne è sicuro, mai capirà fino in fondo.
Phantasma.
«È inaccettabile! Ne risponderete di fronte al vostro capo, chiunque egli sia!»
Anche Christine sembra insospettita dal quel particolare, ma, lo sa, non se ne sta preoccupando più di tanto. Sua moglie è così, poco sospettosa, dolce, a volte ingenua, fiduciosa. Evidentemente, il suo è uno stupore bonario, il sorriso di chi ammira la fantasia altrui. Se così non fosse, non sarebbe più la sua Christine. In un certo senso, è lieto di vederla avvicinarsi cautamente alla carrozza per scrutarla con interesse, mentre i tre strani individui fanno pubblicità ai loro spettacoli. Conosce bene la sua fascinazione per il macabro, Raoul. Sa che, anche se la donna l'ha sempre negato, non è totalmente immune alle atmosfere romantiche dalle quali l'ha salvata. Non se ne cura, perciò, perché sa che non avrebbe senso.
Quello che, infatti, lo sconvolge è suo figlio.
Phantasma.
È ipnotizzato da quel mezzo di trasporto senza cavalli. Diamine, non ha i cavalli! Ma non fa in tempo ad aggrottare la fronte che Gustave si è già issato all'interno senza nemmeno l'aiuto di sua madre, anch'ella lievemente sorpresa di vederlo così irruente.
Ha ripreso da sua madre, osserva il visconte con una nota d'amarezza. Più lo guarda, più non trova se stesso in quegli occhioni vispi, in quei capelli arruffati, in quella passione per la musica che lui non ha mai avuto. Gustave è una piccola Christine al maschile, una dolce Lotte in giacca e pantaloni.
Phantasma, pensa di nuovo prima di assecondare i capricci di madre e figlio a causa dello scroscio d'acqua che si sta impegnando a rovinare i suoi piani, il suo umore, la sua permanenza a Cony Island. Sale in carrozza per ripararsi dalla pioggia battente giusto in tempo per sentire il piccolo marmocchio che, con aria trasognata, parla più a se stesso che agli astanti: «Sto sognando. È tutto come ho sempre sognato!» salta in piedi, facendo traballare appena la struttura. «I mostri, il divertimento, il mistero!»
Raoul non si trattiene: brusco, afferra il braccio del bambino e lo riporta a sedere, zittendo ulteriori repliche con un'occhiata che non lascia spazio a dubbi.
Con rammarico, osserva che Christine ha mutato espressione: da dolce e fiera di Gustave, è diventata di colpo triste e incollerita con suo marito.
Si abbandona sullo schienale di pelle, chiudendo gli occhi e ripetendosi quella parola che non lo aiuta a far luce sulla situazione.
Phantasma.

-


Non lo sopporta più. Quel dannato suono stridulo, quelle note troppo acute che solo il soprano del secolo può sfiorare, quel bambino che non fa che suonare quell'aria. Non sopporta più niente.
«Padre, venite a vedere questo giocattolo...»
Raoul sa con chiarezza che Gustave non vuole irritarlo, sa che ha scelto di condividere con lui – lui che non lo risparmia dal suo temperamento – la felicità di un momento, ma non può continuare a soffrire anche quella melodia insolita che si ripete in quell'affare da circo.
«Christine, per favore, digli che la risposta è no!» ringhia, sperando di vedersi obbedito, ma la donna non lo ascolta neppure: guarda il gioco con un misto di tenerezza e compassione, non degna lui di uno sguardo.
«Non litighiamo, ti prego» la sente mormorare con voce lievemente incrinata. Ciò non gli impedisce di avvertirne la bellezza che, tutto sommato, ha ancora un potere minimo su di lui.
«Questa città è un disastro» sentenzia. Quindi oltrepassa il bambino, noncurante dello sguardo afflitto di Gustave, e afferra il cappotto con malcelato disappunto. «Devo uscire»
Non ascolta affatto sua moglie che lo implora di non bere più: se non può capire suo figlio dopo dieci anni, tutto ciò che gli resta è sapere a memoria la strada per il pub.
Obiettivo riuscito.


-


Non c'è limite al peggio. Raoul lo sperimenta giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Lo conferma con estrema certezza quando, tra le ragazze del balletto, nota qualcosa che lo spaventa, ma non sa perché: Meg Giry.
No.
E invece sì: Meg Giry sta parlando con Christine, o meglio, sta stritolando sua moglie in un abbraccio di felicità. Care vecchie amiche che si incontrano di nuovo.
Che strana coincidenza, pensa, prima di andare a sbattere contro qualcuno nel camminare all'indietro.
«Tu!» esclama senza riuscire a contenersi nel riconoscere la figura arcigna di Madame Giry. Se Meg è cambiata, è diventata donna, una bella giovane donna degna del suo ruolo, Madame Giry è rimasta la stessa donna altera e vagamente negativa che ricordava all'Opera di Parigi.
L'Opera di Parigi...
«Non potete essere voi!» è l'urlo sconvolto di Giry, che lo guarda come se avesse visto un fantasma.
«È uno scherzo?» Raoul nota con disappunto che è la seconda volta in cui si trova a dire tali parole.
«Com'è possibile?»
L'uomo sospira spazientito: ha davvero intenzione di continuare a fare domande senza arrivare ad una santa conclusione?
«Siamo qui per lavoro» si costringe a rispondere, giusto per non sembrare troppo scortese.
«Per conto di chi?»
«Ho qui il contratto...»
«Voglio vederlo!»
Questo lo colpisce. Ha sempre captato dell'irriverenza in quella donna, ma mai avrebbe creduto di vederla così... terrorizzata. Nemmeno durante gli eventi di Parigi l'aveva vista così. Tuttavia, seguendo una sensazione, le allunga le carte.
«Mio Dio, il prezzo!» non si trattiene l'austera Madame.
«È alquanto alto»
«Perché? È assurdo!»
Ma che le importa?, eppure si ritrova ad annuire e commentare, con aria infastidita: «Oh sì, lo so. E informate il vostro capo che più tempo passa, più la quota sale, oppure ce ne andiamo»
E poi la vede, quell'espressione più sconvolta di prima ma improvvisamente conscia della situazione: che Madame Giry abbia colto ciò che a lui è sfuggito per giorni interi – o dovrebbe dire anni?
«Oh, mio caro amico, è chiaro, dunque. State tranquillo: chi deve pagare il conto... Potete esserne certo, lo farà»
«E profumatamente»
C'è qualcosa di strano in quella sua voce, qualcosa che lo mette sulla difensiva tanto da farlo sembrare più arrogante di quanto sia già.
«Oh, certo... Va tutto a meraviglia... A parte il fatto che prima di andarvene dovrete attendervi i capricci del mio capo»
O ha deciso di essere molto criptica, o Raoul è davvero poco intelligente. Si sforza di mostrarsi almeno tranquillo nel domandare: «Ah, giusto, il vostro capo. E... chi è?»
Per esperienza, sa che chi sospira prima di dare una risposta non ne è per niente sollevato. Certo non poteva prevedere che quelle brevi parole potessero raggiungerlo come l'onta di uno schiaffo, ma si maledice ugualmente per non averci pensato prima.
«È lui»
«Lui?!» inorridisce all'istante. Non aveva bisogno di pronunciare quella domanda superflua. Non ha bisogno di sentirsi dire chi sia. Non ha bisogno che Madame Giry aggiunga altro sull'identità di quel lui pronunciato con tanta semplicità da lasciarlo di stucco. Lui basta per metterlo in allarme. Basta per fargli rivedere quel volto deforme, macabro, orrido, distorto e malato quanto la mente del suo proprietario. Basta per farlo impallidire al ricordo di Christine – la sua Christine – che cadeva preda dell'ipnosi di quel mostro. Basta per fargli capire che non è al sicuro e che non lo era mai stato.
«Lavorate per lui?» riesce a chiedere, ritrovando un briciolo di autocontrollo e, insieme ad esso, la rabbia più pura.
«Da adesso anche voi»
Dritta al punto, come sempre.
«E la mia povera moglie... Lo credevamo morto! Dio, sarà sgomenta!» ansima, deglutendo a vuoto. Quindi, un dubbio lo coglie all'improvviso, ma ad esternarlo non è che Madame.
«A meno che lo sappia già»
Questo è troppo. Non si cura nemmeno di scusarsi con l'unica donna che sembra essere stata sincera con lui – sa che ha già capito: si allontana immediatamente da lei e, interrompendo beatamente la conversazione tra Meg e sua moglie, afferra Christine con una forza tale da lasciare anche lui interdetto – non ha mai toccato sua moglie, Gustave sì, ma sua moglie no.
«Tesoro, che succede? Tutto a posto?» chiede il soprano, guardandolo apprensiva e cominciando ad avvertire la stretta poderosa intorno al braccio.
«Quella musica... Chi è? Chi è il compositore? Dimmelo. Adesso»
La vede spalancare gli occhi e rabbrividire sotto il suo tocco e non può credere che lo stia facendo davvero.
Sa.
Sapeva.
Non gliel'ha detto.
«Tesoro, non stringermi così forte» soffia, supplice. Ma Raoul è troppo impegnato a farsi accecare dalla rabbia per accorgersene.
«Sta succedendo qualcosa qui, Christine. Mi occuperò di te più tardi, non temere», ma Christine lo teme, con tutta se stessa.
Si stacca da lei come per scacciare qualcosa di estremamente sgradevole dalla sua vista.
No, sta sognando. È un incubo. Non sta accadendo davvero. È solo frutto della sua immaginazione.
Christine, la sua Christine!
Ma quanto è veramente sua? Perché gli ha mentito? Perché non gli ha detto di lui? Perché?
Per sbaglio, urta Meg che lo guarda in cagnesco. Ha la netta sensazione che non sia in collera per il gesto sbadato.
«Perché siamo qui?» le chiede, furioso. Se possibile, ciò che esce dalla bocca della ragazza lo avvilisce ancora di più.
«Non fare l'ingenuo» ringhia, infatti, la vecchia piccola Meg, l'odio negli occhi e nella voce.
Non gli interessa di capire, non lei, non ora che ha aggiunto un pezzo mancante alla mappa del problema.
Sente senza ascoltare davvero la voce di Christine che parla con qualcuno, probabilmente le Giry, ma ormai vuole solo odiare tutto e tutti.
«Buona giornata, Madame» abbaia, scoccando a sua moglie uno sguardo eloquente, la quale non osa replicare niente, non davanti alle due donne. Si limita a salutare entrambe, ma qualcosa la frena all'improvviso: «Gustave. Gustave!»
Il bambino non c'è – che novità!
«Dobbiamo sempre trovare questo ragazzino? Ti giuro, donna, che non appena l'avrò trovato-»
«No!»
Raoul sente disperazione in quella sillaba. Guarda il soprano con una sorta di amore rancoroso nel cuore, ma tace.
«Lo cercherò io» e la segue con lo sguardo mentre si allontana da lui – anche fisicamente.
Ma la sua mente è altrove, pur collegata a lei: non riesce a pensare ad altro se non ad una consapevolezza schiacciante di cui non sarebbe mai voluto venire a conoscenza.
Il Fantasma dell'Opera è qui.


-


Non è rientrato nella loro suite. È rimasto fuori una notte intera. Ha dormito – se così può essere definito svegliarsi con regolarità spaventosa ogni volta in cui quella faccia distorta gli si insinuava nelle immagini confuse e sfocate dei sogni – con la faccia premuta sul bancone lucido del pub. Ha provato a distrarsi, a dare un senso a quegli eventi, a giustificare Christine di fronte a quella bugia che ora gli brucia il cuore e l'anima ancor più di quando l'ha appresa.
La verità è che non ci è riuscito. Raoul è profondamente convinto che non ci riuscirà mai, ed è questo il motivo per cui continua a chiedere un drink che tarda ad arrivare – a ragione, lo direbbe anche lui se non fosse per la sua mente già completamente annebbiata dall'alcol che gli fa biascicare parole lasciate a metà in un percorso mentale che solo lui può osservare nella sua completezza.
Soltanto nelle ultime due ore di lucidità ha ammesso nella sua mente anche altri oggetti su cui concentrare l'attenzione, al di fuori del Fantasma redivivo che, nella sua fervida fantasia, aveva continuato a stringere a sé Christine in un abbraccio di mortale passione per tutta la notte. Una domanda continua ad aleggiare su di lui come a condannarlo per sempre. Non si rende conto che chiedersi per quale ragione Christine lo ami, in realtà, la discolpa quasi del tutto.
Le ha dato dolore, non le ha mai offerto la sua piena sincerità. Non le ha nemmeno mai mentito con intenzioni crudeli, ma non è mai stata troppo spontanea una sua eventuale confessione. Non le ha mai regalato un bacio che non fosse stato richiesto. L'ha amata – la ama – ma è come se Christine non lo sapesse. Eppure, gli è rimasta accanto, rendendolo felice come poteva. Aveva persino avanzato la proposta di tornare indietro, di cercare quei soldi per riparare le finanze familiari in altro modo pur di non vederlo così adirato con lei, ma soprattutto con il bambino. Sua moglie lo aveva messo al di sopra della sua passione, della sua voce, della sua musica – della musica del Fantasma. Raoul la tiene in gabbia, è questa la realtà. Christine è il suo uccellino, il suo usignolo da proteggere allontanandolo dal mondo dei pericoli, segregandolo tra sbarre di imposizioni sociali e sue manie di controllo. Ma Christine gli resta al fianco, non lo abbandona, e lo ama a modo suo.
Anch'egli la ama, certo, ma in quel bicchiere vuoto che reclama di essere riempito vede solo un uomo che non sa dare abbastanza. Vede un uomo che non è più quello che era, che non è più un marito e un padre, e che sta perdendo ciò che ama di più al mondo per i suoi stupidi capricci.
Serra gli occhi trattenendo una lacrima troppo amara perché abbia il coraggio di farla scivolare via, ma con le orecchie avverte un suono ovattato dall'ebbrezza provenire dalla sua sinistra. Non c'è bisogno che confermi con la vista che quella che è appena entrata da non sa dove sia Meg Giry: la sua voce squillante e affrettata, affannosa forse, chiede un caffè bollente e nero prima di rischiare il congelamento.
Allora la guarda incuriosito: indossa un accappatoio che le sta grande ma che, è evidente, la sta scaldando e asciugando con velocità. Se lo strofina addosso, per niente imbarazzata dalla presenza di Raoul che la scruta, anzi, ricambia l'occhiata con cipiglio compassionevole.
«Mia madre aveva detto che vi avrei trovato qui» spezza il silenzio, accompagnando le parole con un ghigno. Ora scommettono anche su dove sia andato a finire. È caduto in basso, molto in basso.
«Sapete dove siete?» continua, imperterrita, facendosi avanti.
«All'Inferno, immagino» dice il visconte, rendendosi conto con un attimo di ritardo di quanto sia roca la sua voce. Per forza all'Inferno: i morti stanno lì, no?
«Qui intorno la chiamano la sala del suicidio» precisa lei come se avesse appena detto una cosa usuale. «Ci vengono per farla finita quando non sanno dove altro andare. I disperati... Il posto perfetto per scendere già al molo e scomparire tranquillamente»
«Sembrate essere un'abituale» scherza senza nemmeno rendersene conto.
«Io?» sembra piccata. «Io vengo qui per nuotare»
L'affermazione è in grado di destare la curiosità dell'uomo come il liquore tanto desiderato. La fissa accusandola implicitamente di essere pazza. Probabile che sia questa muta colpa di cui viene tacciata che la spinge ad essere più chiara. «Questa città è troppo fredda, caotica, mediocre... Non è facile mantenere la coscienza pulita, qui... Rimanere anonimi tra la folla. È permesso di tutto. E così vengo qui all'alba ogni giorno, vengo a lavare via tutto, a sguazzare nel mare e gli permetto di purificarmi»
Raoul è sempre più curioso: non avrebbe mai detto che Meg Giry, la bambina che aveva paura del Fantasma dell'Opera, come se fosse stato il Diavolo in persona a minacciare la loro esistenza, avesse dei problemi, dei segreti da lasciare dietro di sé, del dolore da cancellare. Eppure eccola lì, a confessare ad un uomo ubriaco che non va tutto bene come sembra.
«Non sareste mai dovuto venire in America» sentenzia la ragazza, strappandolo dalle sue considerazioni. «Non è posto per gente come voi e Christine. È facile dimenticare chi si è e a dove si appartiene. È per questo che mia madre dice che dovreste andarvene. Ora. Prendete vostra moglie e il bambino e andate»
Cosa? Che c'entra?
«Andarcene? E che dire di stasera? Il concerto, i soldi! Dovrei andarmene solo per lui
Lui. Ha tralasciato quel lui per qualche minuto, ma è destinato a trovarselo davanti agli occhi nei momenti più inaspettati. Reprime uno sbuffo d'ira e sente senza attenzione.
«Quando il sole sorgerà domattina potremo ricominciare, puliti. Salpa, dimenticati di noi, fuggi, fai in modo di diventare cieco e lasciati questo posto alle spalle»
Raoul non nota nemmeno l'assente forma di cortesia: è troppo impegnato a capire cosa abbia voluto dire la piccola Meg perché il suo cervello possa elaborare più d'un pensiero per volta.
Prima che la figura minuta sparisca dalla sua vista, decide di dover urlare quello che spera con tutto se stesso che sia vero. Si alza dallo sgabello, barcollando verso la porta e sbraitando:
«Miss Giry! Io non ho paura di lui! Ho avuto la meglio! E se mai avesse il coraggio di incontrarmi faccia a faccia, da uomo a uomo-»
Quando si volta, ciò che vede gli gela il sangue nelle vene. Al di là del bancone, a soppesarlo con lo sguardo come un avvoltoio, ci sono due occhi parzialmente nascosti da una maschera bianca, eterea, pura, in un certo senso. Occhi di demonio, ma pur sempre occhi.
«No, no, non può essere!» esclama, immobile, mentre prova a battere le palpebre per allontanare un incubo, una fallace illusione della sua mente inebetita. Le rialza e il Fantasma è ancora lì.
«No» è un sussurro, stavolta, mentre non riesce a non pensare che non sia cambiato più di tanto, nonostante i dieci anni di distanza dall'ultimo incontro. In effetti, non sa quanto un mostro possa cambiare nell'aspetto.
«Non hai paura di me, dici?»
In un breve, impercettibile istante, Raoul capisce cosa provasse Christine di fronte al suono della sua voce. È derisoria, lo capisce, ma non può reprimere il brivido d'ansia che gli rizza i capelli sulla nuca. Avverte una distinta sensazione di freddo intorno al collo quando lo vede muoversi, spostarsi, strisciare felpato al di fuori del bancone, senza smettere quel ghigno orrido che sembra averlo ipnotizzato.
«Stai indietro o ti uccido, lo giuro!» strilla, girando attorno ad uno sgabello per evitare di farlo cadere a terra. Ma il Fantasma non l'ha nemmeno sentito.
«Certo,» parla, e ora il suo tono melodioso ha una sfumatura micidiale, «come hai detto, mi hai battuto allora; ma era tanto tempo fa, visconte, e stavamo giocando una partita differente. Guardati: pieno di debiti, ubriaco fradicio – Raoul è sicuro che, se non ci fosse quella stupida maschera a coprire il volto maciullato, vedrebbe il naso dell'interlocutore arricciarsi in maniera disgustata –, pietoso...»
«E tu?» ringhia, afferrando il legno pur di non mollare un pugno su quella faccia già distorta. «Sbagliato come il peccato, orrendo, orribile!»
Il Fantasma ride di gusto, come ad invitarlo a fare di meglio. Quante volte si sarà sentito dire quelle parole dritte in volto? Ricorda tristemente la storia di quel criminale, quella stessa storia che Madame Giry aveva rivelato a lui e lui soltanto per amore di Christine. La storia che l'aveva convinto ad intervenire pesantemente, e che non avrebbe mai scordato...
Il flusso dei pensieri si interrompe quando dalla figura rigorosamente vestita di nero proviene una frase che Raoul ha difficoltà ad interpretare.
«Che ne dici di una scommessa?»
Inarca un sopracciglio a cercare un segno di beffa sul volto del Fantasma, ritrovandosi a preferirla al posto di un'aperta dichiarazione di guerra. Ma non c'è mutamento in lui.
«Qual è la posta in gioco?»
«La nostra Christine»
Nostra.
«Non è tua»
«Infatti, sceglierà questa sera a chi appartenere»
Se possibile, il ghigno è diventato più malefico di prima. Se possibile, Raoul è ancor più accecato dall'ira.
«Dove vuoi arrivare?»
«È molto semplice, in verità, visconte. Se canta, perdi...»
«Io non perderò»
«... e te ne vai, sparisci»
Non pensa più, il visconte. Esegue gli ordini dell'istinto senza poterli controllare.
«Bene. E se non canta? Se vinco?»
Il Fantasma si stringe nelle spalle, noncurante. «Considera tutti i tuoi debiti saldati»
Ciò che lo innervosisce di più è l'atteggiamento arrogante che continua a manifestare come se gli fosse legittimo. La maschera che continua a dargli l'idea che ci sia tutto e niente al di sotto. La sicurezza di vincere, di avere già in pugno Christine – perché?
Se aveva provato a mantenere una minima quantità di autocontrollo in sua presenza, la proposta dei soldi è troppo allettante perché Raoul non allunghi una mano aperta in direzione di quel bastardo, non lo sfidi con lo sguardo e con la mente e non dica, con voce finalmente ferma: «Molto bene. Cominciamo e che vinca il migliore!»
«Che vinca il migliore» e in un tocco gelido il Fantasma stringe quel palmo, indugiando in quel contatto, quasi nostalgico. Di nuovo, il visconte e il mostro sono schierati l'uno contro l'altro, stesso prezzo – Christine –, ma regole diverse.
«Ho già vinto in passato, te l'ho già portata via» sibila Raoul, aumentando la presa sulla pelle scheletrica dell'altro. «Lo farò ancora, oggi. Pensi di avere una possibilità, certo, ma non è così. Posso scommetterci qualsiasi cosa, anche raddoppiarla...»
«Potrei prenderti sul serio»
«... perché tu perderai»
Gli si fa più vicino, intimidatorio, aggressivo, insicuro. «Abbiamo un figlio, una garanzia, non trovi?»
Ma capisce subito di aver detto qualcosa di sbagliato, qualcosa che non ha avuto l'effetto desiderato, forse l'opposto: il Fantasma ride. «Ne sei sicuro?»
«C-Cosa?»
«Ne sei così sicuro? Un tale bambino... Insolito, diverso... musicale...»
«Che vuoi dire?»
«Niente. Solo... e sii sincero... Chi di noi due ritrovi più in lui?»
Raoul sente che se non molla la morsa sul polso del Fantasma per appoggiarsi a qualcosa di più saldo, concreto e sicuro, potrebbe scivolare a terra con la testa che vortica e la vista appannata da qualcosa di molto più profondo del dubbio.
«Tu menti...» soffia, scattando all'indietro e sbattendo contro qualcosa che non ha voglia di identificare: quella morsa allo stomaco, quell'insoddisfacente sentore di non sapere chi sia suo figlio dopo dieci anni... Dieci anni.
E se l'avesse incontrato prima del matrimonio...?
No. Non poteva essere vero.
«È un bluff!» ma nella mente gli si presenta l'immagine di Gustave che suona al pianoforte un'aria di cui non ha mai sentito nemmeno il nome – di cui il padre non ricorda nemmeno l'esistenza. Rivede gli sguardi inusuali di sua moglie. Ricorda le sue perplessità.
Sta giocando con me.
Non è vero.

«Stai mentendo...» ansima, ma il Fantasma non sembra intenzionato a proseguire il tracciato.
«Che vinca il migliore, visconte! Fate del vostro meglio!»
L'ultimo suono che Raoul ascolta prima di abbandonarsi contro la superficie liscia del bancone è la risata agghiacciante del suo peggior nemico.
Che cosa ho fatto?
Si copre il volto con le mani, schermandosi la vista nel timore di vedere apparire di nuovo il Fantasma.
Christine.
Non si torna indietro, lo sa.
Gustave.
Piange.


-


È bellissimo. Finalmente, dopo tanto tempo, Raoul sembra l'uomo di sempre, il giovane audace che ha sfidato il Fantasma nei sotterranei dell'Opera, che ha rischiato la vita per la sua Christine, che l'ha amata senza riserve. È bello, sicuro di sé mentre bussa alla porta del camerino del soprano, la mano che gli trema come ad un ragazzino alla prima cotta. Ha quasi paura di interrompere la quiete della stanza, nella quale sente giocare allegre le voci delle persone che più ama al mondo – una delle quali potrebbe non essere più sua di lì a pochi minuti, l'altra forse non lo è mai stata.
È solo un bluff.
Sarebbe bello crederlo anche di fronte a quella testolina paffuta e acuta, così curiosa, bisognosa di affetto che lo guarda una volta entrato come a domandarsi cosa voglia fare suo padre, se rivolgerglisi con tono immeritatamente imperioso o se accarezzargli amorevolmente il cuoio capelluto. Quel bimbo è rimasto dieci anni ad aspettare che suo padre gli volesse bene, ha aspettato che lo mostrasse. Ha aspettato il suo genitore come il Fantasma ha aspettato Christine.
Famiglia.
Si costringe a focalizzarsi sulla situazione presente, allungando una mano a sfiorare con timidezza la testa del piccolo, abbozzando quello che a lui sembra un sorriso di scuse – come se un sorriso potesse cancellare dieci anni di mancanze.
«Padre, non sembra bellissima la mamma stasera?» chiede Gustave, e non potrebbe porre domanda più appropriata: Christine è semplicemente radiosa. Soltanto una volta l'ha vista così bella, soltanto quando era entrato nel suo camerino senza troppe cerimonie, invitandola a cena e ignorando quello che l'allora ingenua signorina Daaè chiamava Angelo della Musica.
«Infatti lo è» e Christine sembra leggergli nella mente il pensiero che ha appena formulato.
«E guardati, Raoul!» esclama, dunque, osservandolo ammirata. «Somigli a quel bel ragazzo nel palco dell'Opera che era solito lasciarmi solo una rosa rossa»
Ogni ricordo di loro è legato a quel teatro, a quell'odiosa vicenda che è tornata a farsi sentire come non più una semplice presenza trascurabile, ma come un presente che non deve – non può, non è giusto – diventare futuro.
«Gustave, ti dispiace aspettare di fuori per un attimo?» domanda educatamente a suo figlio – ma non è certo di poterlo chiamare tale.
«Posso dare un'occhiata in giro? Da solo?»
«Sì, tesoro» interviene sua madre, un pizzico di severità nella voce. «Ma resta dietro le quinte e alla fine dello spettacolo torna qui»
«Va bene»
Non fa in tempo a sentire il bambino pronunciare quell'assenso che il piccoletto è già sparito. Sorride, il visconte, si prende quel breve momento di serenità prima di esternare il peso che gli grava sullo stomaco da troppo tempo.
Lo sguardo che rivolge a sua moglie è in grado di preoccupare anche lei, ma non se ne cura troppo: sente di dover dire ciò che ha intenzione di dire.
«Christine...» esala, mentre la donna allunga una mano a sfiorargli il viso, in un gesto compassionevole. Ma Raoul non ha bisogno di compassione, non ora. «Da quando siamo sposati, le cose non vanno bene...»
«Raoul-»
«Non provo orgoglio per come mi sono comportato...»
«Raoul, entrambi abbiamo-» vorrebbe dire sbagliato, lo sa, ma l'uomo avverte comunque una nauseante fitta all'addome, non riesce ad eludere dalla mente che, ammessa la verità delle parole del Fantasma, Christine l'ha tradito, l'ha tradito con un mostro, un mostro che le ha dato un figlio.
Ma non è detto che sia la verità.
«So che non ho il diritto di chiedertelo, lo so... Ma c'è un'ultima cosa che devo fare»
Il soprano è atterrito, lo guarda come se temesse di vederlo cadere da un momento all'altro, in preda ad uno svenimento dato dall'emozione. «Qualsiasi cosa, caro»
«Se mi ami davvero, se mi ami come ti amo io...» le prende la mano, quella dolce mano calda e morbida che non lo accarezzava da troppo tempo, «Non cantare stasera»
La pelle della donna si irrigidisce di colpo mentre la padrona trasecola come di fronte ad uno schiaffo. «Cosa? Ma, Raoul-»
«Ti prego» La voce è più implorante di quanto sembrasse nella sua mente. «C'è una cosa che devi assolutamente sapere... È tutto sbagliato, amore mio! Quel-»
«Ma devo farlo, caro!» Non sa, il visconte, se sul volto di Christine ci sia più dolore che delusione. Ma alla fine si decide: sono l'orrore e il risentimento a combattere su quei lineamenti, nient'altro. «È quello che avevamo concordato» Sembra quasi una minaccia, un ricatto, un colpo al cuore che Raoul non ha previsto.
«Quel demone... Quella creatura infernale...» Non vorrebbe ringhiare, ma lo fa. «Abbiamo giocato alle sue regole per tutto questo tempo, Christine. Lo capisci?»
Sì, Christine lo capisce, glielo legge negli occhi. Ma la donna che ha di fronte non ha intenzione di negare niente. La donna che ha davanti sa e non cede. Ha come l'impressione che non sia stata manipolata, che sia felice di aver assecondato i piani di un folle, che non abbia voglia di mollare ora. Questo è il colpo peggiore, quello che gli spazza via ogni certezza, che gli suggerisce il trionfo della morte, morte che ha il volto distorto di un Fantasma in carne ed ossa.
«Ascolta, per favore» supplica il soprano, sfiorandogli il dorso della mano con la sua. «Lascia che superi questo... Ne ho bisogno»
Il respiro manca ad entrambi. Bisogno. Una fitta all'altezza dello stomaco tormenta Raoul per un attimo, riportandogli alla mente tutte le volte in cui il suo, di bisogno, è stato più forte dell'amore per la sua sposa.
Egli si domanda se una stilettata al cuore possa uccidere un uomo.
«È vero, necessiti di tante cose...» ammette, e si fa male da solo. «Tante cose che ti ho sempre negato...»
Vuole l'uomo che ero un tempo, il marito gentile e premuroso che non sono più... E lo sarei ancora, dannazione! Deve solo chiederlo, e lo sarò di nuovo.
«Se mi ami ancora... Noi dobbiamo andarcene, Christine, ora!»
Le dita della donna tremano contro le sue, ma non si ritraggono. Gli occhi lo scrutano fervidamente, e Raoul sa che stanno cercando tracce di menzogna, di scherno, ma non ne trovano: solo serietà, verità.
«Lo stai dicendo davvero?» chiede in ogni caso, carezzandogli la guancia in un gesto che sa di invito a riflettere di più. «Davvero?»
Annuisce piano l'altro, nonostante lo sguardo allucinato di Christine gli trafigga il petto. «Ho prenotato una traversata per tre sull'Atlantic Queen. Parte tra un'ora, abbiamo appena il tempo necessario... Ti prego... Per la nostra salvezza... Quella del bambino»
Gustave. L'ennesimo colpo al cuore.
«Ne sei così sicuro?»
Christine avvicina il suo viso, le lacrime agli occhi che premono per uscire ma che riesce stoicamente a frenare.
«Un tale bambino... Insolito, diverso....»
È un bacio soffice, dolce, di quelli che non si erano concessi da molto tempo. Raoul sa solo che non vorrebbe mai interrompere quel contatto, almeno lo vorrebbe appieno se non lo sentisse disperato.
«... musicale!»
Mentre spezza la magia, mentre si chiude la porta del camerino alle spalle, il visconte non si chiede quando ha perso l'amore di sua moglie, ma se l'abbia mai davvero avuto.


-


È un dolore sordo quello che gli distrugge il cuore ad ogni pulsazione. Raoul lo sente distinto ogni volta che si muove, che sospira, che respira. Anche lo stomaco reagisce con lui, e sobbalza, si chiude, si stringe e non gli lascia possibilità di scampo. Persino le orecchie rombano, ronzano e riproducono note che scavano nelle già profonde ferite della sua anima. È l'eco delle note che ha appena sentito, di quelle note che ha odiato per tutto quel tempo pur senza conoscerle. Eppure, ora che le ha ascoltate, ha gli occhi gonfi di lacrime – lacrime che pizzicano e bussano con urgenza contro le palpebre semichiuse: quasi si pente di averle chiesto di non cantarle.
C'è odio e c'è amore nel suo intimo. Odia quel brano, e lo ama. Lo ama perché una poesia d'amore non può che esercitare fascino su di lui. Lo odia perché quelle parole dolci, appassionate, vere, sentite, non sono state per lui.
L'Angelo della musica, pensa, mentre una sensazione che non desiderava provare si fa strada tra le pieghe della sua mente. Improvvisamente, vorrebbe trovarsi di nuovo lì, ad un passo dal palcoscenico, da Christine, a pendere dalle sue labbra che dànno vita a suoni armoniosi e perfetti. Preferirebbe subire di nuovo, e mille volte ancora, la tortura di vederla felice grazie ad un altro uomo – anche se Raoul non è ancora certo di poterlo chiamare così.
Tornerebbe volentieri indietro di qualche minuto, il tempo di percepire distintamente il direttore che dà il segnale all'orchestra, pur di non rimanere lì, nei corridoi intricati dei camerini, a percorrere la strada in silenzio.
È questo che lo uccide: il silenzio che gli permette di capire ogni suo singolo spasmo, ogni sua singola imprecazione, ogni sua reazione del corpo e della mente.
I pensieri gli si affastellano senza che sia in grado di controllarli. Tutti convergono in un punto ben preciso, al centro di quella spirale di suoni, musica, frasi e gentili carezze di cui può captare solo un vago ricordo sfumato: Christine.
Il percorso che sta compiendo lo rimanda a qualcosa di ancora troppo vivido, quasi ha paura a nominarlo tra sé. Quella rete di stanze, vicoletti e porte sbarrate lo avvicina ancora una volta all'Opera di Parigi. Gli sembra di aver già vissuto questo momento, solo con qualche sfumatura diversa. Stava andando sempre da Christine – la sua Christine –, una rosa in mano e il nomignolo Piccola Lotte premuto sulle labbra per catturare l'attenzione di quella donna che tanto l'aveva colpito. All'epoca sapeva che l'avrebbe trovata nella sua stanza riservata, intenta a sciogliersi i capelli dall'acconciatura elaborata.
Ora qualcosa è cambiato: si dirige verso il camerino di una donna che non gli appartiene più – che non gli è mai appartenuta – con una rosa e una lettera spiegazzata dal tremito della mano, con la consapevolezza che lei non sarà lì ad aspettare lui, ma che sarà lontana, sul punto di terminare con armonia quel brano struggente e sensazionale che una mano innamorata ha scritto per lei.
Allora giungeva a corteggiarla, adesso esce dalla sua vita.
Entra nella stanzetta, constatando che non vi è nessuno, che può agire indisturbato.
Fa solo qualche passo, le gambe che tremano e minacciano di non sostenere il suo peso. Si protende teneramente sul tavolo da toeletta di sua moglie, come se ella fosse lì, pronta ad accoglierlo con un sorriso smagliante e fiero, femmineo e affettuoso. Per un attimo ha l'illusione che possa davvero vederla, toccarla, sfiorarle ancora quelle labbra con le sue, delicato, dolce, il visconte che tanto tempo fa aveva ricevuto il sentimento devoto e gentile della donna che non ha saputo amare a dovere.
Ma Christine non c'è. Al suo posto, solo una nuvola molto indefinita del suo profumo, e Raoul scopre che anche l'odore di sua moglie, ora, gli fa male, lo lacera e lo annienta.
Un altro, da adesso, riempirà il vuoto che è riuscito a creare nel cuore di una fanciulla che chiedeva solo amore.
Raoul ha scelto: pone con cura la rosa e la lettera – un regalo e una benedizione – sul ripiano, accarezzando un'ultima volta la carta bianca della missiva. Non ha la forza per rileggere quelle poche righe che ha scritto in fretta, anticipando il pianto che gli avrebbe annebbiato la vista. Sa che è stato sincero e schietto. Questo gli basta.
Lancia loro ancora uno sguardo urgente prima di conquistare la porta, chiudersela alle spalle e imboccare la strada che lo porterà fuori dal labirinto: al porto c'è una nave che lo aspetta.




FINE






Angolo dell'autrice: Salve a tutti!
Pubblico questa OS con grande emozione per due motivi: è la mia prima storia nel fandom e sono molto contenta di averla scritta! Infatti, mi ha dato l'opportunità di entrare nella psicologia di questo Raoul completamente cambiato rispetto al primo musical. Scrivere di lui mi ha permesso di capirlo un po' di più e di dare delle spiegazioni a dei comportamenti che, a primo impatto, mi spiazzarono.
Ultima cosina: la versione di riferimento è quella con l'OLC, quindi con Ramin Karimloo, Sierra Bogges e Joseph Millson. Ho cercato di raccontare la vicenda basandomi sulla loro interpretazione!
Detto ciò, vi saluto, ovviamente non senza ringraziare chi vorrà passare a leggere, chi vorrà lasciarmi un commento e chi, semplicemente, aprirà la storia! :D
Un bacione e alla prossima!

Julie_Julia

   
 
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