Le cadute di
cuore non sono cadute di superficie, sono di un'altra razza. Le ferite sulla
pelle
si rimarginano
in fretta, l'epidermide si rinnova di continuo, contiene molte cellule, sono
cellule pronte
a rimpiazzare
quelle morte, sono le seconde schiere di un battaglione. Il guaio è che nel
cuore di
queste cellule
miracolose non ce ne stanno. Hai una sola fila di soldati. E amen.
| Io sono di legno ♦ G. Carcasi |
Í IL SIMBOLO DEGLI AKUMA Í
prima notte
C’era un freddo da spaccare le ossa.
Hellionor immaginò le proprie costole coprirsi di brina, congelarsi e fare
crack dentro di lei. Di certo, guardarsi allo specchio in quel
modo la aiutava a stare meglio. Si tastò lo stomaco e poi mise le mani sui
fianchi, sbuffando. Sembrava stesse facendo una gara a chi rideva per prima con
il suo riflesso, di certo molto più sciupato di lei, a causa della sporcizia
sul vetro e della crepa che lo
attraversava da parte a parte. Era come osservare un dipinto di se stessi su
una cartolina gigante, letta e poi strappata a metà.
Per un momento i suoi pensieri furono
attraversati da un’idea che aggiunse brividi ai brividi. Fu tentata di portarsi
una mano sul viso per controllare che quella crepa non ci fosse davvero – anche
guardarsi sotto la maglietta e assicurarsi che il petto non fosse diviso a metà
le sembrò un’idea geniale. Trattenne il respiro e lo lasciò andare quando i
polmoni iniziarono a farle male. Non lo avrebbe mai fatto, non avrebbe mai dato
ascolto ad un pensiero così stupido. Lei stava benissimo.
Si sfiorò il collo, spostandosi i capelli dietro
le spalle.
«Maddai!» si disse,
senza una ragione precisa. Sentire la propria voce le fu di conforto: quasi si
fosse dimenticata il suono che produceva. Si sforzò di sorridere, ma la crepa
divideva anche quella smorfia a metà, dandole un aspetto sinistro. «Sarà meglio
che vada» borbottò fra se e se, rompendo quel contatto visivo con il proprio
riflesso – non era abituata a fissarsi così a lungo, tantomeno fare le smorfie
allo specchio o pensare cavolate come l’essere rotta.
Svariati colpi alla porta ed una voce da donna,
rozza e arrabbiata le tartassarono le orecchie. Non era ancora calato il sole
che la padrona della locanda aveva già perso la pazienza. «Dobbiamo pulire la
stanza, ragazzina!».
«Pulire…» mormorò, soffocando
una risata mentre si appoggiava il mantello sulle spalle, «E io sono la regina
d’Inghilterra», raccolse la propria borsa e aprì di scatto la porta, osservando
la signora corpulenta e sudaticcia scattare in avanti, come se fosse appoggiata
all’uscio per origliare e avesse perso l’equilibrio.
Trattenne il respiro mentre scivolata fuori
dalla stanza, passando tra lo stipite della porta e la vecchiaccia che la
guardava in cagnesco, tentando di farle paura.
Perché avrebbe dovuto minacciare con lo sguardo
una come lei? Era una così brava ragazza!
«Arrivederci e grazie per l’ospitalità!» disse
per cortesia, usando un tono di voce più alto e allegro del dovuto,
guadagnandosi solamente un’altra occhiata omicida e una promessa di odio
eterno.
Diede la schiena alla donna e si caricò meglio
la borsa sulle spalle, sentendo la colonna vertebrale lamentarsi. Era stufa di
camminare e di sperperare i suoi risparmi faticosamente
guadagnati per le bettole di ultima categoria come quella. Non si
sarebbe sorpresa di vedere il Jack lo Squartatore tedesco spuntarle
dall’armadio, considerando la razza di quartiere in cui era finita.
Di una qualche morte si deve pur
morire divagò, immaginando lei in piedi sul letto che teneva la sedia
tra le mani e colpiva ripetutamente il serial killer in testa, consegnando alla
Scotland Yard tedesca il delinquente.
* * *
Il vento la colpì come una frusta,
scompigliandole i capelli e seccandole le labbra all’istante. Faceva
freddissimo! Molto più di quello che sentiva dentro la camera… come avrebbe
fatto a sopravvivere? Quello era decisamente il giorno più freddo del
mondo.
Si strinse la pancia sotto il mantello,
camminando sul ciglio della strada mentre osservava i lampioni accendersi
lentamente, colorando il paese di un arancione liquido, a vederlo così sembrava
immerso nel miele. Il sole scendeva velocemente dal suo piedistallo, e ora era
alla sua altezza e sembrava la guardasse negli occhi. Lo vedeva lì, uno
spicchio d’arancia tra due palazzi grigi che sembravano d’oro, con la luce del
tramonto e la nebbiolina invernale che era scesa.
Il sole sembrava rendere tutto migliore.
Chissà se anche lei sembrava più bella durante
il tramonto.
Sospirò, ignorando la nuvoletta bianca che si
levava dalle sue labbra screpolate. Il tessuto del vestito sfregava contro la
sua pelle d’oca e le faceva male. Definitivamente, era stata una pessima idea
spostarsi al tramonto e non aver aspettato il giorno dopo per muoversi.
Brava, brava davvero, si complimentò, cercando con gli occhi
un altro ostello in cui chiedere asilo, immaginando nuovamente i suoi soldi volare
via dalla finestra.
Considerata la sua fortuna, probabilmente erano
tutti pieni per quella maledetta fiera di paese. Che c’era di divertente
nell’andare a guardare le bancarelle di un altro posto? Tanto vendevano le
stesse cose che tutta l’Europa aveva. Non c’era niente di speciale, nessun
festival che potesse catturare davvero l’attenzione di una
persona. Perché ovunque andasse metà popolazione mondiale era nello stesso
posto?
Fu cacciata per la quarta volta da una taverna,
a momenti non la prendevano pure a calci nel culo per la sua insistenza –
insistenza dove, poi? Aveva solamente chiesto se affittavano il ripostiglio o
la soffitta, perché lei aveva davvero un gran bisogno di dormire… certo, aveva pure detto che avrebbe pagato
profumatamente. Ma i pochi spiccioli che aveva messo sul bancone la tradirono e
non sono serviti a convincere l’ennesima donna vecchia e massiccia che gestiva
la catapecchia. L’aveva apostrofata con i peggiori aggettivi e le aveva detto
pure qualcosa nel dialetto del posto che non riuscì a capire, ma non sembrava
essere un complimento.
Ormai era buio, e quello che sembrava bello e
prezioso si era trasformato in un unico organismo dormiente, e i lampioni
servivano solo a mettere in luce la solitudine di Hellionor
che, osservando le persone rincasare sotto i primi fiocchi di neve, si sentì
improvvisamente più barbona del solito, nonché sfortunata e sull’orlo della
disperazione.
Meglio andare in stazione si
disse, cercando di non perdersi d’animo, «Magari partirà un qualche treno…»
pensò a voce alta, rallentando ad un incrocio per fermarsi e capire dove
andare.
«Hai sentito cosa è successo oggi in piazza?»
era una signora a parlare, stretta al braccio del marito mentre chiacchierava
con un’altra donna.
«Sì, sì!» si sbrigò a rispondere l’altra,
agitando una mano in segno d’assenso, «Quei due delinquenti hanno pure
distrutto un palazzo!» continuò, guardandosi attorno come se avesse paura che
qualcuno la sentisse, «Sono pure scappati nella foresta, quei vigliacchi!» e
concluse sbuffando.
«Nessuno è riuscito a vederli in faccia…?»
chiese l’uomo. Mentre parlava i suoi baffi si muovevano come un piccolo
spolverino, facendola sorridere.
«No…» scosse la testa l’altra, «Erano troppo
occupati a guardare il mostro» concluse, lisciandosi i
vestiti.
«Tesoro!» rimproverò la prima, stringendo
ulteriormente la giacca al marito, «Te l’ho già detto, erano
esorcisti!».
Esorcisti?
L’uomo e l’altra donna ridacchiarono appena.
L’amica appoggiò affettuosamente la mano sul ventre della terza, sorridendole amorevole, «Mi sa che questa
gravidanza ti sta facendo delirare…». Come diavolo faceva una persona a non
credere ad una storia come quella degli esorcisti? Era ovvio
che esistessero! Chi era quel deficiente che pensava fossero solo una leggenda
metropolitana?
Il gruppo si allontanò, parlottando della scelta
di un nome per quella piccola vita protetta nel corpo della donna. C’erano stati degli esorcisti, in quel paese…
forse non se n’erano ancora andati. Allora quella sosta non era stata del tutto
inutile!
Hellionor respirò a pieni polmoni, sentendo dentro di se un piccolo fuoco
nascere e scaldarle le ossa. Se sarebbe servito a trovarli, era disposta passare
la notte in bianco.
Si fece coraggio, avvicinandosi alle poche
persone ancora in strada chiedendo informazioni su strani tipi vestiti
di nero, ottenendo poche indicazioni, per giunta inutili se non
addirittura sbagliate. Probabilmente avrebbe fatto prima a camminare a vuoto,
cercando qualcuno con la faccia sospetta, o con la spilla, oppure dei finder. Ricordava bene le loro uniformi. Non
sarebbe stato difficile trovarli…
«Signorina?» era una bambina. Si era
materializzata dietro di lei e le tirava il mantello. Le spalle tenute
affettuosamente dai genitori, «Forse lei sta cercando quei due strani ragazzi
che sono volati in cielo!» disse, alzando poi le braccia, indicandole il punto
in cui riteneva fossero andati, la bambina si coprì l’occhio dentro con la
piccola manina paffuta, rivolgendosi ai genitori, «Uno aveva una benda sull’occhio,
vero mamma?».
Hellionor alzò lo sguardo verso il cielo ornato dalle prime stelle, poi
guardò i genitori, cercando di capire la vera natura di quella conversazione.
La donna le sorrise rassicurante, «Nostra figlia ha sentito che cercava gli
uomini in nero che hanno distrutto il palazzo. Sono volati davvero via,
Signorina, glielo assicuriamo» le disse, e l’uomo annuì.
«Alcune persone sono andati a cercarli con la
polizia!» aggiunse la più piccola, guardando i genitori, cercando in qualche
modo il loro consenso.
Non sapeva se credere a quella famiglia. In
realtà, quella discussione aveva tutta l’aria di essere una frottola. Era quasi
sicura che, girando le spalle alla famigliola, sarebbe successo qualcosa di
terribile. «Grazie mille» rispose cortese, facendo un passo indietro, «Mi siete
stati di grande aiuto, buonanotte!» e iniziò a camminare all’indietro,
prendendo la distanza necessaria per potersi accorgere e combattere un eventuale
pericolo.
E invece non successe nulla, la bambina le
augurò la buonanotte e, prima che lei
potesse rendersene conto, la neve aveva già coperto la strada con un sottile
strato di bianco.
* * *
Lavi inciampò nei suoi piedi, finendo con la faccia
sul terreno bagnato dalla prima neve che incominciava a tingere tutto di
bianco. Sentì Allen ridere mentre Timcanpy volava a
qualche centimetro dal suo naso, battendo lentamente le ali dorate.
«Non dovresti ridere delle disgrazie altrui!»
affermò poggiandosi sui gomiti, fissando il golem che si ostinava muoversi a
destra e a sinistra, come se lo stesse invitando a rialzarsi e a rincorrerlo
nuovamente. Ma prima che il suo compagno potesse dire qualsiasi cosa, una voce
arrivò dal suo fianco destro.
Una voce di donna con un pessimo
accento inglese.
«Finalmente vi ho trovati!», parlava come se
fosse felice di vederli, «Non ce la facevo più a rincorrervi ovunque», e
starnutì subito dopo.
Lavi si alzò, pulendosi la divisa con le mani,
osservando la ragazza che si era fatta strada fra gli alberi e che ora li
guardava come se avesse appena trovato una pentola d’oro sotto l’arcobaleno o
dei vecchi amici.
«Non è un Akuma» lo
rassicurò Allen, facendo affidamento al suo occhio appena guarito. Forse lei li
aveva semplicemente scambiati per qualcun altro, altrimenti non si spiegava il
perché di tutta quella euforia.
Sorrise poggiando la mano sul fianco. Non era
molto alta – era carina, certo, ma non aveva molto seno. Cosa che non giocava a
suo favore. Ad occhio e croce avrebbe detto una seconda scarsa, ma non si può
avere tutto dalla vita. «STRIKE ♡» affermò avanzando verso la sconosciuta, poggiandosi al tronco di
un albero con il braccio, «Perché ci stavi cercando, signorina?» le chiese con
il sorriso sulle labbra, cercando di essere affascinante mentre Allen
sospirava. Non era un Akuma, quindi se parlava un po’
con una rappresentante del gentil sesso non succedeva nulla, no? Prima che Lavi potesse avvicinarsi troppo la ragazza fece un passo
indietro, raccogliendosi i capelli esageratamente lunghi su una spalla.
«Fai sul serio?» domandò, inarcando un
sopracciglio, «Io giro mezza Europa cercando un esorcista e mi ritrovo voi
due?».
Allen si avvicinò a Lavi mentre Timcanpy svolazzava attorno alla ragazza, «Voi due?»
domandò retorico.
«Sai, credo che fosse un insulto, Allen» gli
suggerì Lavi, rivolgendosi poi nuovamente alla ragazza «Perché cercavi un
esorcista?» le chiese nuovamente, questa volta più serio, osservando il piccolo
pentacolo nero che le sporcava la guancia sinistra. Beh, anche quella volta gli
era andata male.
Il simbolo degli Akuma…,
eppure Allen aveva detto che non era un giocattolo del Conte.
La osservò sospirare e scrollarsi un peso
invisibile dalle spalle, «Non ho intenzione di dirvi perché cerco gli
esorcisti» iniziò, calciando un mucchietto di neve, «Non c’è qualcuno di più
serio con cui posso parlare?».
«Lo ha fatto di nuovo…» mormorò Lavi – giusto
perché fosse chiaro anche ad Allen che anche quello era un inisulto
– e il più piccolo si allungò a recuperare il golem prima che potesse iniziare
a mangiare i capelli della ragazza.
«Il Supervisore è in città, possiamo
accompagnarti da lui, anche se è tardi» suggerì il più piccolo, spostando poi
lo sguardo su Lavi, che sembrava ripetergli che non sempre era il caso di
fidarsi ciecamente di tutti quanti.
«Fantastico!» esultò lei, unendo le mani,
sembrava essere ritornata quella straniera apparentemente solare di prima, «Mi
fate strada?» domandò, come se si fosse dimenticata di averli insultati per
tutto quel tempo, ed Allen non esitò a sorriderle e ad incamminarsi, mentre
Lavi li affiancava ancora dubbioso.
Non era una cosa tanto furba portarsela dietro,
non quando lei non voleva dire perché stava cercando degli esorcisti.
Forse era un Noah, e
loro erano stati così stupidi da assecondarla.
«Non ci hai nemmeno detto come ti chiami»
suggerì, mentre gli altri due camminavano a qualche metro da lui.
La sconosciuta girò appena lo sguardo,
fissandolo nel suo unico occhio prima di rallentare il passo per affiancarlo,
«So cosa stai pensando» disse, annuendo, «Pensi che sia un’impostora e che
voglia uccidervi tutti» continuò, parlando con la stessa semplicità con cui si
racconta una favola, «Ti giuro che non voglio farlo, davvero» e si mise una
mano sul cuore, «Ho solo bisogno di parlare con il vostro Supervisore, poi vi dirò
il mio nome» concluse regalandogli un sorriso.
Lavi la guardò attentamente, e per una frazione
di secondo gli sembrò di vedere la sua unica iride riflessa in quella di lei,
come davanti ad uno specchio.
«Io sono Allen Walker,
piacere» si presentò comunque Allen, risvegliandolo da quella visione
solipsistica.
Possibile che lui non avesse notato la stella
sul suo viso? Era pure in evidenza, scura sulla pelle chiarissima, solo un
cieco non l’avrebbe vista! O forse la stava semplicemente assecondando, pronto
ad intervenire se qualcosa fosse andato storto. Rimase a guardare mentre lei
sorrideva al più piccolo, allungando l’esile mano dal cappotto per stringere
quella di lui, senza rispondere con il proprio nome. Accidenti! Nel profondo,
Lavi sperava che se lo facesse scappare. Magari non aveva un nome e si
vergognava, oppure non se lo ricordava. Di solito le persone che si rivolgono
all’Ordine hanno tutti una brutta storia. Prima che potesse formulare una
domanda concreta cercando di incastrarla e di farle sputare il rospo, sentì una
leggera pressione colpirgli il bicipite, data dal gomito della ragazza che
premeva contro il suo braccio.
«Tu non hai un nome?» gli domandò, «O ti chiami
“Strike”?» evidentemente credeva di essere divertente.
Lavi accennò ad una leggera risata guardandola
dall’alto, «Mi chiamo Lavi» le rispose sforzandosi di sorridere come sempre, «È
un piacere conoscerti, carota» aggiunse, riferendosi al
colore dei capelli della ragazza, di un arancione pallido tipico degli
irlandesi.
«Non sono una carota…»
borbottò lei come se fosse offesa, prendendosi i capelli tra le mani,
pettinandoli con le dita, «Non mi piacciono nemmeno, le carote» commentò prima
di alzare il viso verso di lui e riprendere a parlare, «E poi se io sono una
carota tu sei un pomodoro. Ti sei visto allo specchio?» domandò retorica ,
indicando poi Allen, «E lui è un ravanello bianco, o un cavolfiore».
«Ehy!» Allen si toccò
i capelli mentre Lavi rideva.
«Io avrei detto più un fagiolo, ma anche un
cavolfiore va bene» replicò portando le mani dietro la nuca, uscendo finalmente
dal bosco e rientrando in città.
Era simpatica, in fondo. Ma poteva benissimo
mentire, poteva essere tutta una bella farsa. Il suo pentacolo lo affascinava,
doveva ammetterlo. Poteva essere un semplice tatuaggio di pessimo gusto, o
l’indizio di qualcosa di più complicato.
Dopotutto, anche Allen ne aveva uno.
* * *
La porta della camera in cui dormiva Lenalee si chiuse con un cigolio, lasciando Allen e Lavi
fuori.
Hellionor sospirò, come se potesse finalmente rilassarsi. Senza fretta, si
tolse da dosso la borsa e poi il mantello, lasciando cadere tutto a terra, si lisciò
la gonna del vestito malconcio e poi si sedette su l’unica sedia libera, mentre
il Supervisore Komui Lee ed il vecchio Bookman aspettavano che parlasse.
«È morta?» domandò, indicando con il mento la
ragazza sul letto – sembrava non respirasse.
«Ovvio che no!» si sbrigò a rispondere il
Supervisore, agitandosi. Che aveva detto di male?
Annuì, mordicchiandosi il labbro, cercando di
scorgere il titolo sulle copertine di tutti quei libri. Non si vedeva nemmeno
il pavimento della stanza! Certo che erano dei tipi strani, questi esorcisti.
«Allora?» la voce roca del vecchio la fece
rabbrividire. Va bene, le dispiaceva essere piombata nel loro quartier generale
improvvisato con infermeria, ma non le sembrava il caso di parlarle con quel
tono. Certo, non era stato carino nemmeno pensare che quella ragazza fosse
morta ma… «Chi sei?» continuò Bookman.
Inspirò l’odore di carta e chiuso, battendosi le
mani sulle cosce, «Giusto, giusto» disse a bassa voce, chinandosi a prendere il
borsone con cui viaggiava. Lo aprì, togliendo dal suo interno un paio di
asciugamani e dei barattoli contenenti della carne secca, e infine afferrò
soddisfatta un blocchetto di documenti stropicciati ed ingialliti, i bordi
erano rovinati dall’umidità o strappati. «Ho dei documenti che vi potrebbero
interessare…» iniziò a dire, appoggiandosi i fogli sulle gambe a testa in giù,
in modo che nessuno dei due potessero leggere la prima pagina.
«Il tuo nome?» fu Komui
Lee a parlare, con una serietà che non aveva dimostrato mezz’ora prima, quando
Allen lo aveva svegliato dicendo di avere una persona (lei, nella fattispecie) che
aveva assolutamente bisogno di parlargli. Nonostante
l’identità del Supervisore dovesse rimanere più o meno segreta, e il
vecchiaccio avesse cercato di convincerlo a rifiutare un colloquio preso in
modo così poco ortodosso, Komui aveva accettato.
Se lui si fidava di lei, allora lei non vedeva
il motivo per cui non doveva fare altrettanto.
Inspirò profondamente, giocando con il bordo di
una pagina, «Hellionor» disse, e sentì un peso
liberarle il cuore. Prima che potessero chiederle qualcos’altro, allungò i
documenti verso il Supervisore che, dopo aver scambiato un breve sguardo con il
Bookman, si allungò a prenderli.
Hellionor aveva sempre immaginato quel momento: l’incontro con l’Ordine
Oscuro, la grande rivelazione. Stava consegnando nelle mani
del Vaticano un documento che loro credevano scomparso, dal contenuto
assolutamente folle. Komui si soffermò un paio di
secondi sui fogli, prima di passargli al Bookman.
Erano quattro occhi che la fissavano, spogliandola di tutto. Non si era mai
mostrata così a qualcun altro.
«Non è possibile» affermò Komui,
scuotendo la testa, riafferrando i fogli dalle mani di Bookman,
«Questo tipo di esperimenti sono stati esplicitamente vietati dall’Ordine. Sono
stato io a vietarli» continuò, spostandosi i fogli dal
grembo per lasciarli su una pila di libri, come se non volesse toccarli, «È
sicuramente un falso, ci stai prendendo in giro».
Hellionor scosse la testa, spostandosi i capelli dietro alle orecchie. «Non
vi sto prendendo in giro, Supervisore Lee, quello che c’è scritto in quei fogli
è la pura verità» ribatté, alzando gli occhi per incontrare quelli dell’altro,
attraversando il vetro degli occhiali, «E lo sa che è vero. Ha riconosciuto le
firme, sa che sono autentiche».
«No» s’imputò Komui,
raddrizzando la schiena.
«Supervisore» lo chiamò Bookman,
«Non menta a se stesso» gli suggerì, e i
ditali che indossava si sfiorarono, tintinnando, «Si tratta di un esperimento
importante».
«Fallimentare» lo corresse, «Come lo sono stati
tutti gli altri di questo genere. Non potremmo trarre nessun vantaggio da uno
di questi esemplari».
«Non sono un esemplare
fallimentare!» disse lei, a voce fin troppo alta. Quando si accorse di quello
che disse, Hellionor si sentì gelare il sangue nel
corpo, mentre il volto diventava improvvisamente caldo e le guance – ne era
sicura – assumevano quella buffa sfumatura rossastra.
Komui non rispose, limitandosi ad assottigliare lo sguardo, «Abbiamo distrutto tutti i documenti di
Takahashi, perché tu hai questo
progetto?».
Hellionor si allungò a prendere i fogli, sfogliandoli delicatamente, come
se avesse paura di romperli, come se stesse toccando la sua stessa vita.
Sospirò appena, estraendo dalle pagine una piccola fotografia, allungandola
agli altri due, di quelle che vengono messe in una cornice e usate come
soprammobile. Madre, padre, e figlia. Anche se era in bianco e nero, rovinata e
bruciacchiata agli angoli, anche se Komui non aveva
conosciuto di persona l’uomo di quel quadretto familiare, sapeva perfettamente
di chi si trattasse.
«Dopo la fuga lo avevano dato per morto» disse.
«Disperso» lo corresse Bookman.
«Evidentemente voi dell’Ordine non siete stati
così bravi a distruggere i vostri errori» continuò lei. Aveva una tristezza nella
voce che presto diventò rabbia, amara alle orecchie di Hellionor
stessa, «Ha portato questo progetto con se ed è andato avanti» accennò ad un
sorriso, un piccolo spasmo all’angolo delle labbra. «E la cosa più
divertente è che ha funzionato… più o
meno» si guardò le mani, la linea della vita di entrambi i palmi era
ricalcata da una più spessa, rossa, una cicatrice appena richiusa.
«Questo non è un gioco, ragazzina» la ammonì il
vecchio, e lei alzò lo sguardo, allargando il sorriso.
«So benissimo che non è un gioco» gli rispose,
piano, come se si fosse improvvisamente ricordata della ragazza che dormiva nel
letto lì vicino e non volesse svegliarla, «Non è mai stato un gioco, per me».
Abbassò gli occhi sul fascicolo, leggendo alcune
parole che ormai erano impresse nella sua mente con il fuoco: innocence artificiale,
vittoria, compatibilità,
esorcisti… le sembravano solo parti di una favola, una
storiella impossibile.
«Per favore» li pregò, «Non so più cosa fare…»
pigolò piano, rimettendo i documenti nella borsa, «Non vi sto chiedendo di
perdonare mio padre…».
«Nessuno ha intenzione di perdonare Takahashi. È stato condannato, il suo
nome, per l’Ordine, non esiste più».
«Allora prendetemi con voi» continuò lei, «Posso
non portare il suo nome, posso dimenticarlo, se volete. So cosa fanno gli
esorcisti, e so farlo anche io. Se darò problemi potrete cacciarmi dall’Ordine
o uccidermi. Mi metto completamente nelle vostre mani».
Non era il genere di cose che a Komui piaceva sentire. Uccidere le
persone… non faceva per lui. Con un groppo in gola, il Supervisore si
alzò, tendendo la mano verso la ragazza. «Domani mattina parleremo meglio sul
da farsi» le disse, stupendosi della stretta poderosa con cui aveva ricambiato,
«Ora vai a chiedere al locandiere una stanza, dì di metterla sul conto
dell’Ordine»
Quando Hellionor uscì,
Lavi era appoggiato al muro di fianco alla porta. Non le disse niente, e lei
non aprì bocca, sembrava quasi non lo avesse visto.
Non importava, lui aveva sentito tutto.
† Note
d’Autrici; do you wanna see
my Mugen?
Salve a tutti i coraggiosi che sono giunti fino
a qui.
È la prima volta che approdiamo in questo fandom assieme, quindi ci sembra quanto meno il caso di
presentarci. Siamo radioactive ed yingsu, siamo in
questo fandom da così tanto tempo che nel frattempo
siamo diventate vecchie (letteralmente), ma ci siamo decise solo ora – dopo
lustri – a scrivere questa storia.
La fan fiction ripercorrerà parte del manga, e
sarà concentrata in particolare sui nostri piccoli OC (anche loro vecchi ere,
ma questi sono dettagli). Li vedrete fare la loro comparsa nel corso della
storia, ma sono fondamentalmente solo tre, e chi prima, chi dopo, arriveranno
tutti. A loro ovviamente si affiancano i personaggi dell’opera originale, ma
vedrete tutto quanto a tempo debito. ♥
Speriamo solo che il duro e faticoso lavoro di
stesura e integrazione con la trama originale possa essere apprezzato da voi
come da noi.
La meccanica del cuore, inoltre,
è una sorta di remake di una vecchia storia datata 2011 che raccontava la
storia di una certa Hellionor, quindi se ricordate di
aver letto qualcosa di simile: non preoccupatevi, non è plagio. La OC è stata
riveduta e corretta nelle sue incoerenze del vecchio 2011, e speriamo che sia
più credibile e che la si possa apprezzare di più. Proprio
perché è un remake di una vecchia storia, abbiamo deciso di mantenere la sua
vecchia struttura – forse un po’ infantile? – partendo quindi dall’inizio,
proseguendo in ordine cronologico. Non dedicheremo molti capitoli alla parte «burocratica»
della faccenda (solo i primi due), quindi speriamo che non vi annoi
particolarmente!
Preghiamo di mantenere l’IC per quanto riguarda
i personaggi dell’opera e di riuscire a mostrare la parte più
vera dei tre OC presenti.
Inoltre, abbiamo voluto riprendere le
notti dell’opera originale – tuttavia non saranno in ordine
(prima, seconda, terza e così via), ma saranno le notti del giorno in cui si
svolge la vicenda del capitolo (grossomodo), questo per dare a noi e a voi la
cognizione del tempo che passa!
Ci teniamo a informare che questa storia potrà
essere un po’… atipica per quanto riguarda la trama. Dato
che noi siamo due romanticone e molto amanti del
genere introspettivo, la storia cercherà di analizzare soprattutto gli aspetti
psicologici delle persone e le dinamiche tra di loro. Insomma, non aspettatevi
grandi battaglie o particolari colpi di scena (anche se, precisiamo, ci
saranno!) – cerchiamo di far emozionare i lettori per i dialoghi e per i
sentimenti che proviamo a far trasmettere ♥ E per questo, vorremmo
anche dire che il titolo, «La meccanica del cuore» non si
riferisce in alcun modo al cuore dell’Innocence, ma
anche questo verrà compreso poi!
Per il resto, ringraziamo chiunque si sia
fermato a leggere questo capitolo lunghissimo (purtroppo sì, i capitoli
verranno piuttosto lunghi ;__;) e vi
informiamo che la storia dovrebbe essere aggiornata ogni due settimane circa, a
meno di imprevisti.
Grazie per l’attenzione, e alla prossima!