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Autore: Luciano1966    09/07/2015    4 recensioni
Un ragazzo sul tram in orario di punta. Un extracomunitario insignificante in mezzo a gente più che significante ... Spesso i diseredati sono i più meritevoli, e chi ha conosciuto la paura il più coraggioso ...
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Abdul Ammar stava, come ogni mattina, recandosi al suo consueto lavoro.
Il numero 4 era pieno, e la pioggia battente non aiutava i passeggeri a stare comodi. Si precipitò ad obliterare il suo ultimo settimanale, perché tanto sarebbe durato il suo contratto da manovale, per evitare che la partenza del tram lo scaraventasse sulla graziosa signorina che stava dietro di lui e lo guardava con aria disgustata. Poi sedette sull’ultimo sedile a destra e cominciò a guardare fuori dal finestrino.
I suoi abiti zuppi di acqua lo rendevano inavvicinabile, ma non gli faceva effetto; troppo spesso era stato abituato a stare da solo, con le sue domande, accentuate dalla sfortuna di essere l’unico libanese cristiano della comunità dei libanesi di quella città.
Perso tra le copiose volute d’acqua che come lacrime scendevano sul grande finestrino, a tutto pensava tranne che alla sua giornata. Gli occhi, come attraverso un vetro opaco, guardavano la sua casa.
Guardavano la grande terrazza, coperta in estate dal pergolato di vite, di cui suo padre andava fiero; i palazzi di fronte, i mattoni nudi come pelle e forati dalle bombe ma ancora ospitali, pronti a ricevere altre famiglie di sfollati in cerca di un tetto.
Ma il sibilo del tram non era un sibilo, era la voce stridula dei suoi fratelli e delle sue sorelle che giocavano insieme e riempivano di cori allegri la grande terrazza.
Il sibilo del tram non era un sibilo. Era il maledetto fischio del proiettile che era partito dal Barrett M-82 quattro isolati più avanti. Dopo l’interminabile sibilo, il proiettile aveva raggiunto la fronte di Samia, la più piccola delle sue sorelle, mentre festeggiando i suoi sette anni rincorreva la palla di pezza che lui le aveva confezionato.
Il cecchino non guardava né chi né perché. Per lui era come tirare ad un tabellone a punti, come giocare con la mitraglietta che aveva marchiato e macchiato la sua esistenza del sangue di sua madre.
Il sibilo del proiettile aveva raggiunto il suo cuore, e l’urlo sconnesso di sua madre che era andata ad abbracciare la piccola, ormai esangue, sulle mattonelle in cemento colorate di rosso, l’aveva definitivamente indurito come vetro e spezzato in mille frammenti. Gli aveva lasciato solo la solitudine dell’essere profugo.
Il 4 procedeva con sussulti e scossoni. La graziosa signorina in piedi accanto al suo trolley sarebbe scesa a Porta Nuova; quattro chiassosi giovani ciarlavano seduti poco distante da lui, troppo occupati per lasciare sedere quella vecchietta appena salita sul tram. Abdul si alzò per cedere il posto, ma l’anziana signora guardò disgustata il sedile fradicio di pioggia e stette immobile, scansandosi appena. Ogni gesto è troppo collegato all’aspetto di chi lo compie; un atto di generosità compiuto da una nullità è nullo esso stesso.
All’ultima fermata di via Sacchi l’orda dei pendolari si riversò sul tram. L’anziana signora fu quasi travolta da una folla di ventiquattrore che si riversavano negli uffici del centro. Tutta questa gente si guardava bene dal percepire la vita attorno a sé. Tutti chiusi dentro i loro vestiti e i loro tailleurs, impermeabili come scafandri, stavano attentissimi a che nulla della loro vita trasparisse al di fuori; unica preoccupazione era non perdere il contatto con la maniglia alla quale erano appesi, assecondare le oscillazioni del tram per esercitare la minore forza ed ottenere la massima stabilità nelle curve. Fu allora che l’anziana signora perse il contatto con la maniglia e rimase in piedi, sola e sperduta in mezzo al tram, senza un appoggio che non fosse la marea di persone in piedi strette al loro appiglio.
Tutto avvenne in un attimo.
La curva tra via XX settembre e via Pietro Micca è l’incubo di ogni passeggero; l’unica possibilità per rimanere in piedi è aggrapparsi e contemporaneamente inclinarsi dalla parte opposta della curva, per bilanciare la forza centrifuga.
Il 4 si avventò sulla curva fischiando e gemendo sulle rotaie rese viscide dalla pioggia. Tutti i passeggeri, stretti alle loro maniglie, erano pronti ad affrontare la curva. Tutti tranne uno.
Appena superata la metà della curva, al culmine della forza centrifuga, la vecchia signora perse l’equilibrio. Nel tentativo di aggrapparsi al tubo più vicino roteò su se stessa, mentre il braccio, ormai ancorato al nuovo appiglio, rimase immobile. Un urlo disperato superò il volume del ciarlare dei ragazzi, sordi per i loro mp3, superò il sommesso bisbigliare degli uomini in grigio e delle donne in tailleur. Nessuno stava ad ascoltare. Solo Abdul ascoltò e vide, i suoi occhi umidi come i finestrini e le sue orecchie aperte come le cateratte del cielo. Si gettò verso l’anziana signora e, subito dopo il crac della sua spalla, realizzò che avrebbe battuto la testa contro la macchinetta obliteratrice. Fece scudo col suo corpo e l’anziana signora cadde su di lui. Il dolore lancinante alla scapola, nella quale si era conficcato lo spigolo della macchinetta, fu bilanciato dalla violenta testata dell’anziana signora, che cadde su di lui, morbido e umido.
Per la prima volta l’anziana signora vide e sentì. Lentamente si girò su se stessa e, la spalla ancora dolorante, guardò Abdul negli occhi, vedendolo per la prima volta.
“Grazie” gli disse “senza di lei mi sarei rotta la spalla oppure sarei finita all’ospedale”.
 
   
 
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