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Autore: Conodioeamore    10/07/2015    2 recensioni
Non è facile vivere in una famiglia che ti guarda ogni giorno come se fossi un pericolo. Un fratellastro talmente odioso che ti bullizza sempre. Una madre che ogni volta che posa lo sguardo su di te è per ricordarti che sei frutto di una notte passata con un angelo nero. Eppure, questa è la mia famiglia. Sono angeli dalle bianche e candide ali, hanno successo in qualsiasi cosa facciano, mentre io no. Per questo motivo, verrò sempre guardata con disprezzo da loro, perché non sarò mai quello che sono loro: un angelo bianco.
Il mio nome è Senja, che in greco antico sta a significare un'estraneo. Ed è proprio quello che sono io: un'estranea in una famiglia di angeli. In un certo senso è ironico, non siete forse d'accordo con me?
© (Copyright 2015 by Martina Carlucci)
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Ombra silente specchio della mia anima vuota, persa nel desiderio di una luce che cancelli quest'opaco riflesso. Visioni di un passaggio di luce, oscurato da mura nella mia mente, pochi bagliori che rischiarano la mia via per brevi tratti, presto i miei occhi non percepiranno più luce accecati dalla paura, paura che ancora una volta la luce tanto sognata si riveli solo un gioco del fato il quale ghignando poggia sul mio sentiero una candela, che al mio passaggio spegne con un soffio di malinconia, lasciandomi ancora una volta nell'ombra. Guardando avanti una valle di ombra si prospetta come un interminabile distesa di lacrime, è il momento che tanto attendevo. Il nulla assalirà ogni speranza. Tutto ciò che sono imploderà su se stesso in un fragore di pensieri, né una lacrima, né un momento di rimorso solo la delusione di un fallimento. Del mio io non resterà nulla e la mia anima si oscurerà in un mare di nera luce.

(OMBRA - DI LA MORTE)

 

«Non succederà mai e poi mai!» sono queste le parole che gli avevo urlato, in risposta ad un'affermazione che il solo pensarci mi faceva salire i brividi per tutto il corpo. Eppure dovetti ricredermi. Ma non avrei mai pensato che sarebbe successo, insomma è sbagliata come cosa. Ma nessuno può decidere di chi ti innamori. Così, dovetti rinunciare al fatto di rinunciarci e accettare quello che provavo.

Mentre stavo finendo di indossare la divisa dell'accademia che frequentavo, la porta si aprì di colpo. «Ehi, hai finito d'incipriarti?» mi domandò una voce alquanto familiare. Mi voltai di scatto e lo vidi lì, sull'uscio della porta con una totale disinvoltura che mi faceva tanto incazzare. Mio fratello, Mickael. Non aveva niente che non andasse. Aveva tutto: bellezza, intelligenza, portamento, fisico atletico, ottimi voti. Insomma, il contrario di me. Poi senza tralasciare il fatto che è alto, ha i capelli biondi e due occhi blu come il cielo. Tutte le ragazze dell'accademia gli vanno dietro. Insomma, la perfezione fatta persona, dato che ha tutto quello che un ragazzo della sua età può desiderare.

Io... sono il suo esatto contrario: capelli rosso scuro, occhi marroni, di altezza media. Non sono mai stata una cima né nello sport e nemmeno nello studio. Una bellezza nella norma, non ho ripreso nulla dal mio fratellone. Visto che non siamo fratelli di sangue, ma fratellastri. Abbiamo i padri diversi, e poi quasi sempre nelle famiglie di angeli i fratelli non nascono con gli stessi geni.

Io sono frutto di una nottata passata con un angelo nero. Quattordici anni fa, mia madre venne sedotta da un angelo oscuro, e rimase incinta. Suo marito, il padre di Mickael, si era rifiutato categoricamente di farla abortire così decisero di tenermi. Ovviamente lui mi ha sempre trattata come se fossi sua figlia, però io non l'ho mai visto proprio come un padre. Inoltre, sapevo benissimo che lei non mi ha mai visto come sua figlia, ma come un abominio. Riuscivo ad accorgermene ogni volta che mi guardava negli occhi, perché vedeva i suoi. Gli occhi del mio vero padre. Qualche volta avevo provato a chiederle il suo nome, però tutto quello che ottenni furono interminabili silenzi, seguiti da risposte del tipo: «Meglio non saperlo» oppure, «Non lo conoscevo abbastanza.»

In verità credo che nemmeno lei lo ha veramente conosciuto, però almeno il nome avrebbe potuto dirmelo. Avevo tutto il diritto di saperlo. Credo che avesse paura che sarei andata a cercarlo. Sarebbe stato molto meglio vivere con lui che con una donna che odia la bambina che ha partorito. Ero sicurissima che lui mi avrebbe accettata per come ero. Anzi, sarebbe di sicuro stato entusiasta dell'idea di avere una figlia. Perché lei non gli aveva detto nulla della gravidanza.

«Taci, e fatti gli affari tuoi!» gli risposi, aggrottando le sopracciglia. Finii di sistemarmi il fiocco della divisa, andai a prendere la cartella e mi avvicinai alla porta. Mi fermai difronte a mio fratello, che intanto mi stava studiando silenziosamente. Incredibile, non si può mai sapere che cosa passa per la testa di un angelo bianco. «Che cosa stai guardando?» gli domandai, portandomi un dito sulle labbra. Lui rimase per un secondo a fissarmi poi, come se ritornasse alla realtà, mi rispose: «Ehi, dove sono finiti i due metri di distanza?»

«Non ti agitare, idiota!», lo spinsi con tutta la forza che avevo a qualche centimetro da me. Sembrava alquanto seccato, il suo sguardo mi fece capire che avevo esagerato. Aveva uno sguardo omicida, ed ero sicura al cento percento che mi avrebbe picchiata. «Riprovaci un'altra volta, e ti faccio diventare un punta spilli, lurida feccia» disse con un tono freddo come il ghiaccio. Si girò ed uscì dalla stanza, lasciandomi con il cuore stropicciato e in frantumi. Come può un fratello dire quelle cose alla propria sorellina? Lo odio, con tutta me stessa.

Presi la borsa con una tale forza, che feci cadere a terra il peluche a forma di cane che avevo sul letto. Uscii dalla mia camera chiudendola a chiave ed andai verso la cucina. Mia madre stava preparando la colazione, mentre Carl e Mickael erano seduti a tavola.

«Buongiorno» mi salutò Carl. Volsi lo sguardo verso di lui e gli accennai un sorriso mezzo irritato. È sempre stato gentile con me, non ne capisco il motivo. Anche se non sono sua figlia, mi tratta come se fossi sangue del suo sangue. Perché continui a recitare la parte dell'uomo perfetto, mi è sempre stato del tutto sconosciuto. Ho sempre fatto molta fatica a guardarlo dritta negli occhi, perché ogni volta che lo facevo rivedevo quelli del figlio. Il loro carattere è molto diverso, perché l'atteggiamento di Mickael è sempre stato da ragazzo duro con tutti, mentre Carl l'esatto contrario. Da chi abbia ripreso rimane tutt'oggi un mistero.

«Buongiorno» gli risposi secca. Posai la borsa sulla sedia ed andai a prendermi una scodella di latte e cereali. Mia madre era ai fornelli a cucinare bacon e uova. «Mamma, oggi pomeriggio vado in biblioteca a studiare con Violet.»

Non ricevetti nessuna risposta. Non le importava nulla se ci fossi stata oppure no, non sarebbe cambiata la sua vita.

«A che ora torni?» domandò una voce maschile. Carl stava origliando la conversazione che stavo facendo con la mamma. Ma dato che era l'unico a darmi retta, non mi arrabbiai nemmeno.

«Dato che domani abbiamo un test molto importante, resteremo fino a quando non ci cacceranno.»

«Fai attenzione per la strada di ritorno. Non puoi sapere in chi potresti imbatterti.» E questa frase dovevo interpretarla come una minaccia o come un avvertimento? «Stai tranquillo. Ti ricordo che sono un angelo nero, posso difendermi dagli umani...»

Il rumore della padella che cadde dal piano cottura m'impedì di continuare la frase. Al che mia madre si girò a guardarmi negli occhi, con sguardo corrucciato. «Ti vanti di essere un angelo nero?» mi domandò con un tono di voce abbastanza alto.

«Cosa c'è di sbagliato a vantarsi di essere ciò che si è? Perché non lo dovrei accettare?» La mia voce suonò un po' più incerta di quanto avessi voluto. Carl si schiarì la gola. «Avanti, adesso calmati Lucy.» Poggiò una mano sulla spalla di mia madre. «Non c'è nulla di sbagliato nell'essere un angelo nero, Senja. Conosco le tue qualità, però ti chiedo lo stesso di fare attenzione e di non tornare troppo tardi. Domani hai scuola.»

Abbassai lo sguardo, per fissare la scodella con il latte dentro. «Già... l'unica cosa che mi dà sollievo» mormorai.

«Che cosa staresti cercando di dire con ciò?» domandò furiosa mia madre. Raddrizzai le spalle ed accennai un sorriso sarcastico, prima di dirle: «Esattamente quello che ho detto: che trovo sollievo solo nell'andare a scuola. O meglio, essere fuori da questa casa!» Posai violentemente la tazza sul tavolo della cucina ed uscii di casa senza nemmeno prendere la borsa.

Iniziai ad avviarmi verso scuola a grandi passi che man mano diventavano sempre più affrettati fino a che iniziai a correre. Ogni volta che qualcosa non mi andava a genio, andavo a correre. Non importa dove andassi o cosa avevo indosso. La cosa che più contava era fuggire per un po' da tutto.

Non appena svoltai un angolo, andai a sbattere contro il corpo di un ragazzo. Quello di mio fratello, Mickael. Aveva un'espressione accigliata, mista a disapprovazione. Ogni volta che facevo qualcosa che non gli andava a genio, mi veniva sempre a rimproverare.

Indietreggiai di qualche passo. «Non dirmi che vuoi scappare un'altra volta. Ci ho impiegato molto a localizzarti.» La sua espressione era del tutto impassibile. Ma povera stella, ha dovuto faticare per cercare la sorellina che odia. «Nessuno ti ha chiesto di farlo» gli feci notare.

Sdegnato, Mickael mi fissò. «Se proprio ci tieni a saperlo, è stato mio padre a chiedermi di seguirti. Ti ho portato anche la tua borsa» mi disse porgendomela. Mi sbrigai a riprendermela. «Grazie.»

Senza aggiungere nulla, iniziò a camminare verso l'accademia. «Muoviti, o farai tardi anche oggi» si limitò semplicemente a farmi notare.

Ripresi a camminare, stando a pochi passi dietro di lui. Sapevo quanto gli dava fastidio avermi a meno di un metro di distanza e non volevo farlo arrabbiare.

   
 
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