Storie originali > Giallo
Segui la storia  |       
Autore: Hoshi_Rin    13/07/2015    0 recensioni
Un amore fraterno che porta al crollo della fiducia e alla costruzione di qualcosa di più profondo.
E' una storia protetta da COPYRIGHT. Qualsiasi tipo di plagio o riproduzione non autorizzata può essere punibile legalmente.
Caterina Losi©2015
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1.



Claire aprì gli occhi. Dapprima vide tutto bianco, poi sfumato ed infine tutto prese forma e colore. Faticò a riconoscere la stanza in cui si trovava, così diversa dalla sua e con un particolare odore di alcool da far venire l'emicrania. Arricciando il naso e tenendosi una mano sulla tempia, si mise a sedere.
«Claire!» Una mano tremante le accarezzò il viso. «Ciao, cara. Come ti senti?» Al lato del letto stava seduta una donna dalla chioma rossa e il corpo gracile che le sorrideva, anche se i suoi occhi mostravano segni di stanchezza e pianto.
«Chi sei?»
La felicità sul viso della donna si spense lasciando spazio ad un'espressione più preoccupata. Aggrottando la fronte, cercò di restare calma e riacquistare l'ombra di un sorriso, ma con scarso successo. «Sono la mamma, Claire. Ti senti bene?»
«Scusa, io non... Sei mia mamma?» ripeté la ragazza corrugando le sopracciglia, procurandosi un'ulteriore fitta di emicrania. «Io non ricordo. Non... Dove sono? Perché non sono nella mia stanza?»
«Non ricordi perché sei qui? Non ti ricordi di me? Mamma Margaret...?» La donna si portò una mano alle labbra che cominciarono a tremare.
Incapace di parlare, Claire scosse il capo. Le dispiaceva vedere Margaret – così aveva detto di chiamarsi – in quello stato di angoscia.
Senza dire niente, Margaret uscì dalla stanza e sparì per qualche minuto. Riapparve in seguito accompagnata da un'infermiera nera di capelli che cercava di calmarla, passando gli occhi di un azzurro glaciale da Margaret al pavimento, subito dopo a Claire.
«Insomma, non si ricorda di me. Cos'è? Una specie di perdita della memoria?» Margaret cercava di parlare a bassa voce, ma Claire sentiva tutto e una fitta la colpì allo stomaco quando sentì dire “perdita della memoria”.
L'infermiera, in tono pacato, continuava a ripetere la stessa cosa: «Non si preoccupi. Probabilmente non ricorda perché è stata incosciente per due settimane. Vedrà che continuando a venire a trovarla, piano piano le tornerà la memoria.»
«Scusate, ma io non ricordo proprio niente. Perché sono qui?» chiese Claire intervenendo nella conversazione privata. Stavano parlando di lei in sua presenza, aveva il diritto di sapere cosa succedeva.
«Non preoccuparti. Ora pensa a riposarti, cara.» Margaret aveva gli occhi lucidi, ma cercava di sorridere. Il sorriso le spuntò facilmente sulle labbra, ma probabilmente era la stanchezza che provocava allucinazioni a Claire. L'infermiera annuì a quanto detto da Margaret ed uscì dalla stanza.
La ragazza avrebbe voluto porre altre domande, ma vedendo che anche Margaret era stanca, decise di rimandare.

Il giorno dopo, Claire non ricevette visite, ad eccezione del medico e dell'infermiera dai capelli scuri, se si potevano considerare visitatori.
Si sentiva sola ma, come aveva sentito il giorno prima da Margaret, probabilmente aveva perso la memoria in modo temporaneo e non si ricordava neppure chi fossero i suoi amici, né se ne avesse qualcuno. Questo pensiero le fece accapponare la pelle. Se avesse veramente subito una perdita della memoria? Anche se in modo temporaneo, l'idea la terrorizzò. Non volendo pensarci ulteriormente, la ragazza decise di addormentarsi liberando la mente da ogni pensiero.

Per un mese le visite si susseguirono regolarmente alla solita ora: dalle tre del pomeriggio alle sei. A trovarla furono i genitori e qualche amico. Come detto dall'infermiera, lentamente i ricordi cominciarono a riaffiorare e Claire ne fu veramente sollevata. Si ricordava di Laurel, la sua migliore amica, altri compagni di classe, che le raccontavano le cose successe a scuola da quando lei aveva avuto l'incidente – il medico le aveva spiegato cos'era successo. L'unica stranezza che Claire aveva colto del suo incidente era che quando qualcuno citava l'accaduto, si cercava subito di cambiare argomento o se ne parlava in modo pacato e attento, ma non diede molto peso alla situazione. Anzi, Claire era felice che non si parlasse dell'incidente. Parlarne la faceva sentire diversa dagli altri.

Un giorno in particolare, in cui a trovarla erano andati solo i suoi genitori, Claire ammise di aver sognato un bambino coi capelli scuri e gli occhi verdi – gli unici particolari a livello fisico che ricordava – che le diceva di andare a giocare con lui e i loro genitori.
Margaret lanciò uno sguardo a suo marito – Alfred – e gli fece un cenno di intesa. Claire stava per domandare se qualcosa non andava, ma la madre la precedette. «Non è venuto a trovarti, mai. Troppo impegnato con l'università. È uscito di casa a quindici anni, circa; non voleva più stare con noi, ma a te voleva molto bene. Così quando gli abbiamo chiesto di venirti a prendere domani, ci ha detto che lo farà volentieri.»
«Cosa? Di chi state parlando? E perché non venite a prendermi voi, domani?» Claire scossa il capo confusa, passando lo sguardo dalla madre al padre, e viceversa.
Questa volta fu il padre a rispondere, la voce profonda e roca. «Tuo fratello, Claire, Thomas. Vedi, noi partiamo per lavoro. Dobbiamo andare all'estero, ancora a tempo indefinito, perciò verrà a prenderti lui e ti porterà nella nuova casa – dopo l'incidente abbiamo cambiato casa. Ci è più comodo vivere in campagna.» Fece una pausa pensando Claire volesse dire qualcosa, ma lei rimase in silenzio ad ascoltare. «In questo modo avrete modo di riunirvi e, chissà, magari deciderà di tornare a vivere con noi.» aggiunse con un sorriso triste.
«Ho capito. In questo caso, non vedo l'ora di incontrarlo!» esclamò Claire sentendosi prima abbattuta e poi eccitata all'idea di riformare il nucleo familiare.

Prendere sonno fu un'impresa, quella sera. Claire continuava a pensare al giorno dopo, quando sarebbe finalmente tornata a casa. Avrebbe ripreso le sue vecchie abitudini, tra cui scrivere e disegnare. Sarebbe uscita nuovamente coi suoi amici. Avrebbe fatto giri infiniti per il centro della città. Certo, ogni tanto sarebbe dovuta tornare in ospedale per delle visite, ma avrebbe riavuto la sua vita. Quando i pensieri andarono scemando lentamente, Claire riuscì ad addormentarsi, e la notte passò velocemente, talmente tanto che la mattina dopo le sembrò di aver dormito solo mezz'ora, ma era così contenta che scese in fretta dal letto e si preparò. Aveva appena finito di riempire la borsa da viaggio che le avevano lasciato i genitori con i pochi averi che aveva all'ospedale quando la porta si aprì. Claire si ricordò che sarebbe venuto suo fratello a prenderla, così si voltò in fretta per vederlo, ritrovandoselo alle spalle. La ragazza sussultò facendo cadere il borsone ai suoi piedi e rise imbarazzata.
«Caspita! Sei silenzioso.» disse cercando di calmare il battito cardiaco.
Thomas la guardò dall'alto dei suoi dieci centimetri più di lei serio. «Questo è quello che mi insegnano nella gilda degli assassini.»
Claire strabuzzò gli occhi e si fece piccola sotto lo sguardo accusatorio del ragazzo. «A-assassini, hai detto?»
«Sto scherzando!» esclamò Thomas scoppiando a ridere. «Ciao, sorellina!» La prese in braccio e fece un paio di giri su se stesso. Quando la rimise giù, Claire emise un debole sorriso incerto e tornò a guardare il fratello, fissandolo con occhi diversi. Quando era entrato non l'aveva visto bene perché si trovava in controluce, ma ora che la luce che entrava dalla finestra lo inondò, Claire si rese conto di quanto affascinante fosse. Gli occhi illuminati dal sole, e nascosti da una montatura di occhiali nera, erano di un castano tendente al verde, con una chioma castana ad incorniciare il viso dai tratti precisi e perfetti.
«Sei sicuro di essere mio fratello?» chiese lei all'improvviso.
«Scusa?» Il sorriso di Thomas ora era più enigmatico e la guardava accigliato.
«Insomma, sembri un dio greco, io invece... beh...» Claire abbassò lo sguardo sul proprio corpo, poi tornò a fissare il fratello.
«Claire, sei la ragazza più bella che io abbia mai visto. E parlo sul serio!» la riprese lui ridendo. «Dico, hai mai visto le ragazze della mia università? No, no, sei di gran lunga meglio. Anche se ammetto di essere un figo da paura.» aggiunse improvvisando uno sguardo di conquista al quale lei non resistette e scoppiò a ridere. Soddisfatto, Thomas prese da terra il borsone di Claire e si diresse verso la porta. «Andiamo?»

Appena furono nel parcheggio dell'ospedale, Claire seguì Thomas fino alla sua macchina: un'appariscente Audi A7 nera. Il ragazzo aprì il bagagliaio e vi posò il borsone, passando poi alla portiera anteriore. «Prego.» Claire indugiò un attimo prima di salire sull'auto. Come diamine aveva fatto a comprarla, se era uscito di casa senza avere un lavoro né altro che potesse garantirgli di vivere? E dove aveva vissuto per tutto quel tempo, fino ad arrivare all'università?
«Qualcosa non va?» chiese Thomas dal posto del conducente affacciandosi per guardarla negli occhi. Claire scosse il capo sorridendo e salì sull'auto. Gli avrebbe chiesto qualcosa sulla sua vita una volta a casa.
Thomas accese il motore e aprì il portaoggetti davanti a Claire. «Qualche preferenza musicale?»
Claire osservò i vari cd di fronte a sé, finché ne estrasse uno a caso. Il ragazzo sorrise. «Linkin Park? Vedo che i tuoi gusti non sono stati intaccati dall'incidente.»
Uscirono dal parcheggio con i finestrini oscurati chiusi, l'aria condizionata accesa e la musica ad alto volume, mentre fuori cominciavano a vedersi gli alberi alti e verdi e le panchine del giardino dell'ospedale. Claire era eccitata al pensiero di tornare finalmente a casa, e le venne in mente subito la sua stanza di un giallo pastello, la sua libreria così colma di libri che non sapeva più dove mettere quelli nuovi, la sua mensola con i peluche e le bambole di quando era piccola... Non vedeva l'ora di riappropriarsi del suo comodo letto e dimenticarsi di quello duro dell'ospedale. Poi si ricordò che in realtà avevano cambiato casa e si rabbuiò. «Com'è la nuova casa?» chiese guardando il fratello che batteva le mani sul volante a ritmo della musica.
«Grande, spaziosa, isolata... Te ne innamorerai.»
«Ci sei già stato?»
«Oh, sì.» rispose lui con un ghigno. Si voltò per dire altro, ma notò l'espressione confusa di Claire. «Oh, ehm... Sono dovuto andare lì per imparare la strada.» La ragazza sorrise e tornò a guardare fuori dal finestrino, mentre le note di When they come for me le consigliavano il sonno. In poco tempo, Claire si addormentò.

Uscendo dalla casa si Laurel, Leonard passò il casco a Claire e montò in moto. Lei lo seguì e subito dopo partirono ritrovandosi in una strada buia e deserta. Stavano parlando, forse litigando, ma il vento forte le impediva di sentire quello che lui diceva. Non sentiva nemmeno le proprie, di parole. Una luce bianca accecò la vista a Claire, che sbatté violentemente a terra. Un rumore di vetri infranti attirò la sua attenzione, ma non riuscì a voltarsi e rimase immobile. Con la coda dell'occhio intravide un'auto, ma ciò che attirò la sua attenzione fu il rivolo di sangue che scivolava lungo la carrozzeria. Leonard...

Claire sobbalzò sul sedile spalancando gli occhi, il respiro affannato. «Leonard!» gridò.
«Claire! Cos'è successo?» Thomas teneva le mani sul volante e alternava la visuale dalla strada a lei e viceversa. Sul suo volto si leggeva la preoccupazione che lo assaliva. Doveva aver gridato forte, se la guardava in quel modo.
«Leonard è... È colpa mia! Devo chiamarlo e sentire come sta.» disse lei tastando le tasche in cerca del cellulare. «Dove...? Accidenti, è nella borsa!»
Thomas, vedendo l'espressione sconfitta di Claire mista alla preoccupazione per Leonard, le passò titubante il suo. «Chiamalo.» La ragazza prese il telefono e compose il numero avidamente. Mentre aspettava una risposta, fissava suo fratello che teneva lo sguardo fisso sulla strada, la mascella serrata e la preoccupazione e lo spavento impressi sul volto.
«Segreteria telefonica. Chiamo Laurel.» Compose il numero dell'amica e dopo qualche squillo sentì una voce dolce dall'altra parte del telefono. «Pronto?»
«Laurel! Ciao, sono Claire.» Dall'altro capo arrivava un brusio confuso. Claire alzò il volume del telefono, ma non capiva lo stesso cosa diceva l'amica. «Non si sente niente.»
«Mettilo in viva-voce.» le suggerì Thomas. Claire eseguì e finalmente la voce di Laurel risuonava forte e chiara.
«Claire, come stai?»
«Bene, grazie. Sono uscita oggi dall'ospedale e sto andando a casa.» disse frettolosa. Le dispiaceva troncare così la conversazione, ma doveva sapere come stava Leonard. «Senti, non voglio parlare di me ora. Piuttosto, ho chiamato Leonard, ma mi risponde la sua segreteria telefonica. Volevo sapere come sta. Sai, dopo l'incidente non ho saputo più niente di lui, né l'ho visto da qualche parte.» Dall'altra parte del telefono giunse un silenzio surreale. Claire guardò Thomas con uno sguardo severo, come a chiedere che problemi avesse il suo telefono. «Laurel? Sei ancora lì?»
All'improvviso la voce di Laurel riprese a parlare, più cauta e incrinata di prima. «Non l'hai saputo? Leonard è... Beh, lui non è riuscito a...» Non finì la frase perché Claire chiuse la chiamata, capendo cosa voleva dire l'amica. Se ne stava ferma con il telefono in mano a fissare davanti a sé, senza alcuna espressione. Non sapeva cosa fare. Piangere? Urlare? Le mancavano le lacrime e non trovava la voce per gridare il suo disappunto. Non le restava che assorbire quel duro colpo in silenzio.
Thomas deglutì. «Io... Mi dispiace.»
«Quanto manca?» chiese lei con indifferenza, come se non avesse sentito il fratello.
«Ancora poco.»

Nei restanti minuti che li separavano dall'arrivo alla nuova casa, né Thomas né Claire dissero niente. Lui batteva nervosamente le dita sul volante, mentre Claire, ancora sotto shock, se ne stava rigida al suo posto. Il paesaggio cambiò: la strada sterrata venne sostituita da una via ciottolata ed i campi di campagna vennero sostituiti da una fila di alberi disposti a distanza calcolata gli uni dagli altri, formando così un viale ben curato e fresco. Invece delle fattorie, in fondo al viale, ora si vedeva una casa signorile di due piani. Thomas parcheggiò di fianco all'edificio e, dopo aver spento il motore e lanciato un'occhiata a Claire, uscì dall'auto. La ragazza sentì sbattere il bagagliaio e poco dopo Thomas era lì vicino a lei, tenendole la portiera aperta con una mano, mentre nell'altra teneva il suo borsone.
«Signorina.» disse Thomas cercando di farla sorridere, ma lei, restando impassibile, uscì dall'auto e prese il borsone dalla mano del fratello, avviandosi verso la parte anteriore della casa. Thomas la seguì titubante, incerto su come comportarsi, ma quando svoltò l'angolo vide Claire ferma davanti alla casa, intenta a fissare la facciata con un grande sorriso stampato in volto.
«È semplicemente fantastica!» esclamò, come se fino a pochi secondi prima non si trovasse in un silenzio di lutto irreale. Thomas seguì il suo sguardo e vide che stava guardando il balconcino pieno di piante sul portico, con l'edera che scendeva sinuosa tra le piccole colonne componenti la balaustra.
«Già. Pensa che dentro c'è anche più fresco.» rispose il fratello facendosi aria con la mano e mimando uno svenimento. «Vogliamo entrare?» Claire rise e lo seguì all'interno della casa.
Appena dentro, lo sguardo della ragazza si posò sul pianerottolo in cui le due scalinate poste ai lati della stanza si univano al primo piano, sovrastato da un alto soffitto a volta bianco. Sotto alle scale si trovava una porta di vetro che conduceva ad un giardino verde e fresco piuttosto ben curato, in mezzo al quale si ergeva una bellissima statua in stile classico che fungeva da fontana in una vasca piena di ninfee.
«D'accordo. Tu somigli ad un dio greco e questa casa è veramente... veramente...»
«Spettacolare?» concluse la frase Thomas. Claire posò lo sguardo su di lui e vide che anche lui osservava la cura con la quale era stato tenuto il giardino. «Le persone che ci vivevano prima ci tenevano molto all'apparenza esteriore, evidentemente.»
«Non si può trascurare una casa del genere.» rispose Claire con indifferenza. «E noi vivremo qui? Davvero?»
«No, ho picchiato l'anziano che ci viveva prima per farmi dare le chiavi.»
Claire gli lanciò uno sguardo di rimprovero, mentre cercava inutilmente di nascondere un sorriso. All'improvviso si ricordò di quello che le aveva detto il padre il giorno prima, di come lei rappresentava per i suoi genitori l'unica speranza perché Thomas tornasse a vivere con loro. «Tu... Rimarrai qui, vero?»
«Che razza di domanda è? Certo! Non penserai di restare qui da sola essendo ancora minorenne!» esclamò lui, indignato.
«Intendevo se rimarrai qui anche quando papà e mamma saranno tornati.» precisò lei, abbassando la voce in modo innocente.
Thomas rimase spiazzato. Sollevò una mano e aprì la bocca aperta per dire qualcosa, ma non ne uscì suono. «Ti faccio vedere la tua stanza.» disse infine in tono asciutto. Improvvisamente era diventato rigido e rude, come aveva notato Claire mentre il fratello le toglieva con forza il borsone dalle mani.
Salirono al primo piano da una delle due scalinate e svoltarono a destra, in un corridoio con una serie di porte chiuse, tranne l'ultima, nella quale entrarono. I raggi del sole che filtravano dalle tende azzurre illuminavano di una luce fredda il letto dalle lenzuola arancioni che poggiava contro la parete opposta alla finestra, di fianco alla quale si trovava una scrivania bianca con sopra una lampada ed il portatile di Claire. Voltandosi verso il letto, la ragazza notò due porte: una portava al bagno, la seconda era una cabina armadio.
«Ti piace?» chiese Thomas standosene appoggiato allo stipite della porta della stanza con un sorriso compiaciuto sulle labbra, come se poco prima non fosse stato di un umore più nero del carbone. «Ho scelto io di darti questa stanza. È la più grande.»
Claire non sapeva cosa dire. Si sedette sul letto tastando la morbidezza del materasso. «Mi piace, sì. E riguardo a prima...»
«Poi penserai tu ad arredarla.» riprese Thomas interrompendo Claire, che si morse il labbro inferiore. «Io non ho gusti da ragazza. Però ho già messo tutti i tuoi vestiti nell'armadio, quindi almeno di quelli non devi preoccuparti – visto che erano un bel po'...» Sorrise di nuovo e si staccò dallo stipite. «Beh, ti lascio alle tue cose. A che ore ti va di cenare?»
La ragazza sospirò, poi rispose con un sorriso poco convincente al quale Thomas non fece caso. «Alle otto va bene?»
«Ottimo! Per quell'ora la pizza sarà qui. Spero non ti dispiaccia se oggi non preparo niente.»
«No, la pizza va benissimo.»
«Bene. Io vado a farmi la doccia. Se ti serve qualcosa, la mia stanza è nell'altro corridoio, ultima porta a sinistra.» Detto ciò, Thomas uscì dalla stanza. Per un breve attimo, Claire notò che era tornato scuro in volto. Quali problemi doveva aver avuto coi loro genitori? Non gli piaceva proprio parlare di loro due, così la ragazza decise di non indagare oltre. O almeno, non in modo così diretto.
Quando non sentì più i passi del fratello nel corridoio, Claire si diresse verso la sua borsa e la svuotò sul letto. Vestiti di ricambio, regali da parte di amici mentre era in ospedale, caramelle e il cellulare. Scarico, ovviamente, pensò dopo aver provato ad accenderlo. Non trovando il caricabatterie, buttò il telefono sul letto e si diresse verso la scrivania, dove accese il PC. Effettuò l'accesso alla sua mail, piena di posta in arrivo contenente messaggi come “Ho saputo oggi cos'è successo! Mi dispiace.”, oppure “Come stai?”, o anche “Guarisci presto.”
Chiuse il computer e uscì dalla stanza, un po' per il caldo, un po' perché era curiosa di sapere cosa si trovava dietro quelle numerose porte di legno chiuse. Dopo aver provato ad aprirne inutilmente sei, ruotò il pomello dell'ultima del corridoio. La porta si aprì cigolando, mostrando una stanza completamente buia. Claire cercò l'interruttore tastando la parete alla sua destra e poi a sinistra, e finalmente un lampadario immenso illuminò la stanza enorme e piena di libri, alcuni scritti dai suoi genitori – che ricordava essere due scrittori –, altri di letteratura di tutto il mondo. In mezzo alla stanza si trovava una scrivania ampia e robusta in mogano con alcuni libri aperti e carte sparse su di essa. La sua attenzione fu improvvisamente catturata da un luccichio proveniente da una libreria opposta alla finestra da cui entrava l'accecante sole del pomeriggio. Claire si stava avvicinando allo scaffale da cui proveniva quel riflesso di luce, quando sentì il rumore dello sciacquone dall'altra parte del corridoio. Sobbalzò e, spaventata, uscì velocemente dalla biblioteca, maledicendosi per non essere riuscita a dare un'occhiata all'oggetto nascosto nella libreria.


 

Caterina Losi©2015-All rights reserved
Questa storia è protetta da COPYRIGHT. Ogni tipo di plagio o riproduzione senza autorizzazione è punibile legalmente.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Giallo / Vai alla pagina dell'autore: Hoshi_Rin