Dove siamo finiti?
Casa mia, ora, che se ne sono andati via tutti, che ho guidato fino a casa, ora a casa mia, proprio ora, in questo anno, io
che vivo in un monolocale ingombro di musica e libri,
di cd e vasi di gerani, che salgo le scale di corsa. Non ho nemmeno un animale
da compagnia ad aspettarmi, sono sola.
Mi chiudo la porta alle spalle e calcio via i miei stupidi
tacchi. Stupidi, stupidi sandali, pure privi di colpa, stupida io che li ho
indossati stanotte per non pensare, per illudermi di slanciare le mie gambe, di
esaltare in loro quello che ti era piaciuto.
Stupida, stupida io, che non sapevo di te quello che era
accaduto. Otto anni senza vedersi sono tanti per chiunque, da quando si era
freschi di gioventù e sogni, farfalle dorate a cui la
vita ha strappato le ali, per ridurle a frinire nel vento, come cicale bruciate
dal sole. Ora siamo bruciati, completamente.
Così, mi sono messa un push-up,
anche se mi dicevi che non avrei avuto benefici nemmeno se mi fossi messa due
meloni finti, tanto ero piatta, anche quando giacevo, avvolta in una vestaglia
dorata sotto gli ultimi raggi di sole, in quelle nuvole di luce di cui
sfruttavi le ombre, la mia pelle lievemente abbronzata e la mia pazienza nel
rimanere immobile mentre mi fotografavi.
Era così che capitava, quando io sognavo di fare direzione
d'orchestra e mi ammazzavo di studio, tu che cercavi ancora di capire cosa fare
con io che lo avevo compreso prima di te... Non sono
diventata la nuova Toscanini, la prima donna direttrice d'orchestra il cui nome
sappiano anche quelli che la classica proprio non l'ascoltano, anche se ti ho lasciato andare, ed
è buffo che stasera:- Capisce di musica anche lei?- mentre ti guardo al tavolo
vicino e un gruppo di ragazzini canta. - Qualcosa- è l'unica risposta che mi
cavano, continuo a guardarti con lo sguardo assente che mi riesce tanto bene.
Mi vedi anche tu, mentre mi stringo con le mani le braccia,
quelle braccia che hai baciato alla fine
dell'adolescenza e all'inizio dell'età adulta per dieci anni.
Vorrei avvicinarmi, ma non lo faccio, mentre tu continui a
guardare nella macchinetta fotografica e io vorrei
parlarti.
Non mi avvicino però, rimango ferma al mio posto, in
silenzio.
Mi guardi, io guardo te, mi
rifletto nei tuoi occhi, ma facciamo come se lo sguardo sparisse. Imbarazzo.
Sollevi solo il viso verso di me, mentre bevi, come a dedicarmi un brindisi, a
quella che ti ha lasciato otto anni fa, dopo dieci anni
d'amore e di odio e di disperazione e di gioia, anni difficili e splendidi,
anni di compromessi e assoluto, anni di noi e solo noi. Mi somiglio ancora,
fisicamente, ma non sono più io, sono un'altra, sei un altro.
Finisco il mio bicchiere di porto, mentre mio fratello si
beve una birra. Sono così scema, dopo un matrimonio fallito, da vedere dove è e
come è diventato il mio amore di gioventù, al punto di
essere andata in un pub dove c'è il compleanno di una dei pochi amici comuni.
Saluto lei, le do il regalo, siedo accanto a mio fratello, ma te, no, non
scambiamo nemmeno un saluto. Ci guardiamo e lo so che ci siamo riconosciuti, ancora
prima di quanto sembri logico, perché c'è chi si riconosce subito, chi si è
visto nudo, nell'animo, non può non riconoscersi, anche dopo mille vite.
Non porti più la barba lunga, hai un taglio regolare e
porti una polo azzurra su dei jeans scuri, tu che eri alternativo. Non ci sono
donne con te, anche se mi sono arrivate mille voci e
mille abbandoni. Sei ancora più ricco di quando mi frequentavi, anche se la
prima volta ancora non lo sapevo. Ho ancora qualcuno dei tuoi regali, gli unici
che non ho buttato, un anello e un addio.
Stupida, io che ora suono per modo di dire con qualche
posto locale e soprattutto mi arrangio con una laurea in matematica a scuola. Potrei
essere la tua signora, ma un giorno mi sono alzata e me ne sono andata, senza
girarmi indietro, senza voltarmi. Ho provato a dirigere, talvolta lo faccio, ma
devo anche arrivare a fine mese. A volte mi pento di
non essere rimasta, non fosse stato per la stabilità economica.
TI guardo: non fai il fotografo, anche tu hai optato per la laurea in ingegneria e la ditta di babbo, e
cerco di capire se sei felice. Vedo lo sguardo, triste, come il mio, come se
anche tu avessi ucciso una parte di te.
Forse è solo questo diventare grandi e capirlo. Non si può
tornare indietro, no, mai, ma si può andare avanti, pacificarsi, ma non è
questo il momento, non questo mentre rimango solo nella stanza e mi chiedo solo dove sia andato il nostro amore, dove sia andato
l'affetto, il legame, il sesso e il desiderio, i nostri sogni e piango per me
stessa e piango per te, per ciò che è stato e ciò che poteva, ma ho rifiutato,
perché anche se non scambierei mai la mia vita con quella che ho deciso di non
costruire, a volte, mi piace sognare di avere avuto altre possibilità, il
motivo per cui amo tanto i libri, per vivere vite non mie, non immergermi in
quello che non potrò mai essere né pensare in alcun modo, solo per essere altro
da me e diversa da tutto. Il modo per sentirsi speciali e
unici, pur essendo tutti da manuale. Scrivo, scrivo di noi
e piango per noi, per il fatto di essere rimasta qui, in silenzio, per tutto
questo tempo. Sono andata avanti, anche quando avrei dovuto guardare indietro,
solo per orgoglio e abbiamo pagato in due. Dovrei chiederti scusa, ma so che
hai capito.
In fondo,
non cantavamo insieme:
"Don't look back, I won't be standing here... I'm lost, but not afraid, marching
on beyond the sun, you've gotta free your mind, you
are the master or the slave"?
E ora che andrò a sentirmeli i Queensr˙che, non ci sei più tu, forse, perché
dovevo solo trovare me stessa e basta. Forse non la vita più soddisfacente al
mondo, ma forse ci sono troppi forse e devo superare l'empasse, senza rifugiarmi
nel passato, senza più scappare. Per
cui prendo il telefono e ti chiamo e ti chiedo scusa e sei stupito, fin
nel profondo, di sentire la mia voce, dopo che non ti ho parlato per tutta la
serata e confesso che c'è solo una cosa davvero difficile ed è chiedere
"scusa" e dire "grazie", figurati se devi dirlo insieme.
Tu scherzi al
telefono e mi dici che devi dirmi lo stesso.
Ora sì, possiamo
ricominciare, potremo anche prenderci un caffè come
due compagni del liceo con cui ci si è voluto bene, perché il cerchio è chiuso.
Solo i cerchi chiusi consentono la libertà.
Grazie.
Scusa.
Grazie.