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Autore: _The story at the End_    16/07/2015    2 recensioni
Uno stupido gioco: ecco come iniziava ogni avventura.
Lo sapevo più di chiunque altro, io che passavo le serate a leggere libri.
"Vediamo se hai il coraggio di entrare". La frase con cui iniziava ogni film horror e ovviamente io, che non mi do mai ascolto, sono entrata.
Perché il mio ego non se ne sta apposto ogni tanto?
Perché, se Bertold non avesse pronunciato quella frase, la solita frase su cui perdo il controllo, mi sarei sicuramente rifiutata: "è una femmina è ovvio che non ci entra! "
E io, che sono una femmina, sono stata tanto stupida da cacciarmi in questo guaio.
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Violenza
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 Tutto era cominciato quando, mentre facevo un giro in santa pace sulla mia fidata bici, vidi Bertold e gli altri che farfugliavano su una casa stregata. Subito frenai, la bici si impenò in avanti ed io mi misi a ficcanasare. "Di che parlate?"
"Quella stupida palla è finita nella casa stregata" disse Rosso, un ragazzo alto, anzi, altissimo e più magro di uno stecchino; con la pelle bianca come il latte e i capelli rossi,  da lì il soprannome.
Una palla. Una casa stregata. Tutto mi era molto familiare..
 " Quindi..?" Dissi, anche se avevo capito dove volevano andare a parare.
" quindi ora qualcuno deve prenderla... e... visto che dici di essere tanto in gamba; perché non ci fai vedere quanto sei brava,  scavalchi l'inferriata e ci vai a prendere la palla? "disse Bertold, capace di farmi imbufalire solamente sorridendo. Fece un ghigno di superiorità e io quasi non gli scoppiai a ridere in faccia. Quando rideva gli si vedevano i denti gialli, troppo distanti gli uni da gli altri e potevi star certo che, tra lo spazio chilometrico che c'era tra i due davanti, vi era rimasto incastrato qualcosa.
"Eh Clara, che ci dici?" Fece eco Rosso, visto che non rispondevo.
"Che c'è Betty -Bertold al femminile- tu hai troppa paura per andarla a prenderela?" Perché erano quelle le parole non dette e io lo sapevo.
Bertold faceva il duro, e così diceva il suo aspetto. La giacca di pelle, il coltellino svizzero (a mio parere patetico) che gli usciva dalla tasca e i capelli neri gellati all'insù davano l'impressione del duro e tutti lo rispettavano. Ma io non  mi lasciavo ingannare perché, per quanto fosse più grande di me, in fondo era solo un fifone. Ero l'unica, e anche l'unico, che gli teneva testa in quel modo e una volta lui provò anche a farmela pagare ma dopo quella volta non ci provo più. Dico solo che, per caso, quel giorno avevo un bel coltello da caccia, impugnatura in legno e lama dentellata in lega d'acciaio in mano e, dopo averlo usato, ho dovuto dissuadere Bertold dal denunciami. Prima di morire in Afghanistan, mio padre mi regalò quel coltello e mi insegnò ad usarlo e a lanciarlo quindi non vado mai in giro senza perchè mi fa sentire protetta, come se ci fosse ancora lui.
" Non credo proprio. Forse sei tu qui quella che ha paura, mia cara Clara"  la sua voce mi riportò al presente e, non riuscendo più a trattenermi, un sorriso involontario mi spuntò sulle labbra.
"Ti piacerebbe..." dissi io.
E lì fu pronunciata la fatidica frase: "Certo. È una femmina è ovvio che non ci entra. In quella catapecchia, potrebbero esserci i ragni! "Disse rivolto all'amico e tutti si misero a ridere.
Fu allora che urlai "Okay! Okay, ci vado" non per le risate. Quelle non mi toccarono minimamente. Non mi sentivo in imbarazzo di fronte a quattro idioti.  Ma per questione di orgoglio.

***

E fu così che mi ritrovai, prima arrampicata al cancello di ferro arrugginito che scavalcai con agilità, e poi davanti all'entrata di quello che doveva essere un vecchio negozio. La palla era riuscita ad infilarsi nell'unico posto in cui il vetro era rotto. Il buco era troppo piccolo per passarci...
"Non ci passo..." dissi a Bertold che mi osservava da dietro il cancello.
"Troverai un  modo " disse con cattiveria.
In realtà c'era più di un modo ma non erano dei bei modi...
Avrei potuto rompere il vetro allargando il buco: troppo rumore e i vetri avrebbero potuto ferirmi.
Oppure dovevo scassinare la porta.
Provai con la seconda opzione. Presi la tipica forcina dai capelli e il chiavemastro (un fil di ferro abbastanza resistente da non piegarsi, fatto apposta per scassinare, lo avevo rubato, cioè, preso in prestito ad un fabbro) e mi misi a lavoro ma dopo 10 minuti gettai la spugna, esasperata. Come diceva sempre mia nonna: " le cose vecchie sono sempre quelle di qualità migliore. Se sono ancora qui a funzionare, vuol dire che fanno bene il loro lavoro."
L'unico modo per entrare era rompere il vetro. Presi il coltello, lo girai dalla parte del manico e iniziai a colpire i bordi del buco. Appena si fu allargato abbastanza per passate posai il coltello e mi infila dentro.
Prima le braccia. Spostai con le mani i pezzi di vetro e appoggiai i palmi per terra. Infilai  anche il busto ma, data la mia avventatezza non feci in tempo ad entrare completamente che sentii un acuto dolore alla schiena. Abbassai la spina dorsale e feci entrare anche le gambe. Finalmente ero dentro.
Aspettai qualche momento seduta sul pavimento per far abituare gli occhi al buio e rimasi in ascolto di rumori sospetti. Non perché mi aspettavo uscisse un fantasma da dietro l'angolo ma per evitare spiacevoli incontri con ratti e animali vari. Ero troppo agitata per concentrarmi e captare i più piccoli rumori così mi alzai facendo attenzione ai vetri rotti e controlli la ferita alla schiena. Bruciava ma visto che quando ritirai la mano era solo leggermente macchiata da una lacrima rosso chiaro mi dissi che era una sciocchezza. Il giubbotto non era neanche lacerato.
Doveva essere un vecchio negozio di oggetti di seconda mano oppure una scecie di mercatino dell'usato perchè, tra gli scaffali impolverati, si poteva trovare qualsiasi stranezza immaginabile; da vecchi olorogi a bambole di poscellana, fino ad arrivare a servizi da te e mobili che profumavano di muffa. Dopo una breve passeggita tra le stranezze di quel posto mi concentai sulla palla. Guardai per terra ma non vidi niente poi la mia attenzione fu rapita da una parete interamente coperta di armi. Utensili atrugginiti ed inutilizzabili, balestre ancora cariche puntate nel nulla, giavellotti che sembravano aver messo radici, spade che davano l'aria di aver combattuto tante battaglie...
La cosa cosa strana era che vi erano esposte "armi" di ogni epoca, tutte divise in settori: denti enormi e artigli, pietre levigate e clave, lance primitive, spade e balestre, baionette e palle di cannone fino ad arrivare alle pistole, ai fucili di precisione e ai più moderni  M 16.
Poi alla fine della stanza li vidi. Se fossimo stati in un film sarebbe partita una colonna sonora tipo what i've done  dei Linkin park.
Una fila di specchi vecchi e impolverati. Non riflettevano la luce perché c'è n'era troppo poca e, a causa dello strato di polvere, non riuscivo a vedere neanche il riflesso di me stessa. Ci passai la mano sopra e mezzo metro di polvere volo via facendomi lacrimare gli occhi.
Era un'intera fila di specchi che occupava la parete. Uno accanto all'altro, da parte a parte del muro. Erano specchi deformanti,  come quelli che si vedevano al luna park.  Di tutte le stramberie che avevo visto era quella che mi attirava di più.
Non so perché ma mi venne l'impulso di pulire la superficie degli specchi,  cosa assolutamente assurda, come tutto li, del resto. La mia camera era il regno del caos. Vestiti per terra, polvere da vendere, resti di cibo e mai una volta mi venne in mente di pulire. eppure presi una pezza e inizi a passarla sul vetro coprendomi  la bocca e chiudendo gli occhi.
 Appena arrivai all'ultimo specchio successe la cosa più assurda e terrificante che mi fosse mai capitata. E di cose assurde e terrificante me ne erano capitate molte...

   
 
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