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Autore: calock_morgenloki    17/07/2015    1 recensioni
La guardia prese il giovane per un braccio e disse:
-Signore, deve uscire, non può stare qui. Venga, la accompagno in sala d'asp...-
-Io non me ne vado.-
-Non può, deve uscire.-
-No, io resto qui, capito?!- urlò Blaine alla guardia, prima che l'uomo lo prendesse di peso e cercasse di trascinarlo fuori dalla sala operatoria, tra le imprecazioni del ragazzo. Continuava a dimenarsi, non poteva lasciare andare via Kurt, non di nuovo. Le lacrime gli offuscavano la vista, ma era ancora abbastanza combattivo da dare del filo da torcere alla guardia, che venne raggiunta e aiutata da un collega a portarlo via.
-Lasciatemi!- esclamò di nuovo Anderson, mentre i due lo portavano fuori, tenendolo per le braccia. Erano già nel corridoio e Blaine, mentre un'infermiera richiudeva le porte della sala operatoria e gli impediva definitivamente di guardare l'amore della sua vita, gridò disperato:
-KURT!-
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Finn/Rachel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mercoledì, ore 0:31

 

Correva per i corridoi dell'ospedale, senza badare a chi gli intimava di fermarsi, di non andare così veloce. Come facevano a non capire che doveva andare da lui, il più in fretta possibile? Ogni secondo poteva essere quello decisivo e non aveva intenzione di perderne nemmeno uno. Tutto ciò che lo circondava era sfocato, monocolore, le voci ovattate. Le uniche immagini nitide e definite erano i ricordi: una chioma color caramello, dolcissimi occhi azzurri, un sorriso luminoso... Il cuore gli schizzò in gola al pensiero che non avrebbe potuto rivedere mai più quel viso che tanto amava, se le cose non fossero andate bene. Al pronto soccorso gli avevano detto che lui era in sala operatoria, non era ancora possibile vederlo, ma a Blaine non interessava: per una specie di miracolo, l'impatto con il SUV non era stato fatale e Kurt era sopravvissuto. Almeno per il momento. Non gliene fregava niente se, secondo il personale, non era possibile, lui doveva vederlo. Non c'erano altre opzioni. Quando arrivò davanti alla sala operatoria, un paio di infermieri provarono a trattenerlo, ma Blaine riuscì ad evitarli e a spalancare le porte della stanza. I medici avevano le maniche e la parte frontale del camice sporchi di sangue e un paio di loro si voltarono verso di lui appena sentirono l'entrata aprirsi, permettendogli di intravedere un braccio con delle macchie color rosso ruggine e cremisi, con la manica della camicia strappata e a tratti quasi a brandelli, penzolare inerte dal tavolo operatorio. Nell'aria si sentiva un "bip" continuo, ininterrotto e il monitor che avrebbe dovuto riportare l'elettrocardiogramma mostrava solamente una devastante linea retta. Blaine impallidì di colpo, gli mancava il respiro e si avvicinò ulteriormente, mentre gli uomini della sicurezza gli dicevano di uscire, lì non poteva stare, ma lui non li sentiva. Gli sembrava di essere precipitato in un incubo, quella non poteva essere la realtà. Ma soprattutto, quello steso davanti a lui e circondato dal personale ospedaliero che tentava di rianimarlo non poteva essere Kurt. Non doveva essere lui, non era possibile. Perché lo aveva lasciato andare via, perché non lo aveva fermato e non aveva cercato di sistemare le cose? Non sarebbe finita così, se solo l'avesse fatto.-Oh mio Dio...- sussurrò inorridito, con le mani tra i capelli scuri. Un rivolo di sudore freddo gli attraversò la pelle, giù per la spina dorsale, quando finalmente lo vide per intero: Kurt era immobile, escluse le scosse elettriche trasmesse ritmicamente dagli elettrodi che lo facevano inarcare, con gli occhi chiusi, la pelle coperta di svariati tagli e ferite e macchie di liquido rosso a tratti ormai quasi secco. Aveva i capelli schiacciati, spettinati e i suoi adorati vestiti firmati erano irrecuperabilmente rovinati. "Se li vedesse in questo stato, Kurt darebbe di matto." non poté fare a meno di pensare e quella frase fu come un pugno nello stomaco. Solo in quel momento realizzò che l'unica persona con avrebbe dovuto e voluto passare il resto della sua vita era ad un passo dalla morte. E lui ne era la causa, seppur indiretta. "Oh mio Dio, che cosa ho fatto?" pensò, con un peso opprimente a gravargli sul petto. Fece per avvicinarsi ancora, ma il chirurgo fece un cenno alla guardia di sicurezza dietro Blaine di portarlo via, mentre loro continuavano ad operare. La guardia prese il giovane per un braccio e disse:
-Signore, deve uscire, non può stare qui. Venga, la accompagno in sala d'asp...-
-Io non me ne vado.-
-Non può, deve uscire.-
-No, io resto qui, capito?!- urlò Blaine alla guardia, prima che l'uomo lo prendesse di peso e cercasse di trascinarlo fuori dalla sala operatoria, tra le imprecazioni del ragazzo. Continuava a dimenarsi, non poteva lasciare andare via Kurt, non di nuovo. Le lacrime gli offuscavano la vista, ma era ancora abbastanza combattivo da dare del filo da torcere alla guardia, che venne raggiunta e aiutata da un collega a portarlo via.
-Lasciatemi!- esclamò di nuovo Anderson, mentre i due lo portavano fuori, tenendolo per le braccia. Erano già nel corridoio e Blaine, mentre un'infermiera richiudeva le porte della sala operatoria e gli impediva definitivamente di guardare l'amore della sua vita, gridò disperato:
-KURT!-
 

§§§
 

Mercoledì, ore 0:04

 

Il bicchiere di scotch gli sembrava più invitante che mai, ma una vocina nella testa di Blaine gli intimava di lasciare perdere il drink: non voleva mica ubriacarsi, vero? "Ma, dopo tutto, non è questo che si fa quando si viene a notte fonda in un bar?" pensò, vagamente corrucciato. Accarezzò il bordo liscio del vetro e vide il suo riflesso: i capelli neri erano tutti scarmigliati e la pettinatura che aveva tanto faticato a replicare era andata al diavolo almeno due ore prima, dopo l'ennesimo litigio: stavolta nemmeno il gel non era servito ad impedire che la disperazione prendesse possesso dei suoi ricci; gli occhi nocciola erano stanchi e demotivati, tristi. Piegò le labbra in una smorfia seccata e si passò le mani sul viso, cercando di svegliarsi un po'. Aveva un bisogno disperato di schiarirsi le idee, soprattutto nell'ultimo periodo. Il lavoro, gli amici, Kurt... Aveva troppo su cui riflettere e pochissimo tempo per farlo. Inutile dire che, visti i precedenti, la cosa che più lo preoccupava era suo marito. Lo amava ancora? Dio, certo che sì, lo amava più di ogni altra cosa al mondo, avrebbe dato la vita, per lui. Kurt era l'unica persona con cui avrebbe voluto passare il resto della sua esistenza, non aveva il minimo dubbio. Il problema era che, da quello che vedeva, a quanto pareva per Kurt non era più lo stesso. Quel pomeriggio aveva cercato di capire se lui provasse ancora un qualche tipo di attrazione nei suoi confronti, ma... Beh, inutile dire che era stato un fiasco. Si rigirò la fede sull'anulare e si chiese se e dove stesse sbagliando con lui: prima andava tutto così bene, cos'era cambiato? Forse il troppo lavoro: le loro carriere a Broadway andavano entrambe benissimo, erano tra i più richiesti. Ma quando tornavano a casa dalle prove, da una prima, o da una tournée, erano sempre stanchi, nervosi, irritabili. Ringraziò il cielo per aver appena concluso in maniera a dir poco grandiosa il suo ruolo in Grease: ora era in pausa per ben tre settimane, un sogno. Sperava che, potendo distendere un po' i nervi, avrebbe potuto cercare di sistemare le cose con lui: detestava quella situazione e avrebbe dato un polmone purché tutto tornasse a posto. Ma Kurt avrebbe iniziato a giorni a recitare nel ruolo del giovane protagonista maschile di Mamma Mia!, Sky, e Blaine sapeva benissimo quanto il suo compagno fosse esausto ed irritabile. Quindi, almeno per il momento, il suo desiderio di pace era e restava tale: una fantasia, punto. Era una vita stressante, anche se piena di successi, non c'era alcun dubbio. In un impeto di depressione sollevò il bicchiere e fece per accostarlo alle labbra, ma venne interrotto dalla suoneria del cellulare: per quanto adorasse quella canzone, "Roar" cominciava a dargli sui nervi. Sbuffò seccato e mise giù il drink, prendendo il telefono dalla tasca: sicuramente era Kurt che voleva sapere dove diavolo era finito e quando aveva intenzione di tornare a casa, il tutto molto probabilmente con un tono di voce più velenoso di cianuro e arsenico messi insieme, come faceva sempre dopo ogni loro litigata. E la cosa non invogliava certo Blaine a rispondergli in maniera dolce e gentile, decisamente no. Rispose senza nemmeno guardare il nome del chiamante sul display e disse, passandosi una mano sul viso:
-Dimmi, Kurt, che vuoi?-
-Parlo con Blaine Anderson?- chiese una voce femminile. Blaine aprì gli occhi di colpo e appoggiò la mano sul bancone, improvvisamente allarmato. Aveva un brutto presentimento e disse, cauto:
-Sì, sono io. Desidera?-
-Chiamo dal Lower Manhattan Hospital, signore, lei il compagno di Kurt Hummel?-
-Sono il marito. Che cos'è successo?-
-Il signor Hummel ha avuto un incidente, Mr. Anderson, è appena stato portato in sala operatoria e...- spiegò la donna e Blaine si sentì mancare. "Il signor Hummel ha avuto un incidente, è appena stato portato in sala operatoria.": quelle erano le uniche parole che gli risuonavano in mente, maledettamente chiare. La donna stava ancora parlando, ma Blaine non riusciva a distinguere nemmeno una lettera: la sua mente stava rapidamente attraversando tutti i ricordi che aveva di Kurt, uno dopo l'altro e l'unica cosa a cui riusciva a pensare, suo malgrado, era la terribile e spaventosa possibilità che non avrebbe potuto avere nuovi ricordi di lui, mai più. Quel pensiero lo fece riscuotere e interruppe bruscamente la donna al telefono, chiedendole:
-Lower Manhattan Hospital, ha detto?-
-Sì, signo...- cominciò a dire lei, ma Blaine riattaccò appena ebbe la conferma che cercava. Scattò in piedi, si mise frettolosamente il leggero cappotto nero e lasciò sul bancone una banconota da dieci dollari, poi corse fuori dal locale. L'ospedale non era molto lontano e aspettando un taxi ci avrebbe messo solo più tempo. Iniziò a correre, sperando che non fosse già troppo tardi.

 

  §§§

Martedì, 23:42
 

Kurt tirò su col naso e si strinse di più nel trench beige, mentre le lacrime gli scorrevano abbondanti sul volto, offuscandogli parzialmente la vista. Nell'ultimo periodo litigare con Blaine era diventata un'abitudine, ma ogni volta faceva sempre e comunque male. Qualsiasi cosa, anche la più banale, era un buon pretesto per accendere una discussione e quindi un litigio: la macchia di caffè sul tavolo, il lenzuolo troppo stropicciato, l'asciugamano bagnato, il film in TV non particolarmente gradito... Persino la posta era diventata fonte di battibecchi. All'inizio era convinto che fosse solo un suo problema, doveva essere un po' esaurito dal lavoro e i nervi tesi non aiutavano la vita sentimentale, ma poi anche Blaine aveva iniziato ad irritarsi e prendersela per un nonnulla e avevano cominciato a litigare sempre con più frequenza. Non ricordava neanche più con chiarezza quando era stata l'ultima volta che avevano fatto l'amore: un mese prima? O forse erano due? Non lo avrebbe saputo dire con assoluta precisione e prima non era così. Prima ogni giorno era magnifico, andava tutto a meraviglia. Tra loro andava a meraviglia. Ma i tempi in cui c'era al massimo una leggera discussione ogni tanto erano bell'e finiti, almeno per il momento. C'era qualcosa di sbagliato che si intrometteva tra loro due, lo sapeva, ma cosa? "O forse siete semplicemente voi due ad essere sbagliati l'uno per l'altro." disse seccamente una vocina nella sua testa, facendo aumentare ancora di più l'afflusso di lacrime sulle guance. Blaine non era sbagliato per lui, era tutto ciò che aveva sempre desiderato. Era perfetto per lui. Ma il vero problema, quesito che lo tormentava ormai da settimane, era: e lui? Lui era perfetto per Blaine? E se fosse stato Kurt stesso l'errore che stava a poco a poco rovinando il loro rapporto? "Forse non mi ama più. Forse sono davvero io, quello sbagliato." pensò, fermandosi di colpo sul marciapiede. Si sentì mancare e dovette prendere un bel respiro profondo per cercare di calmarsi e soprattutto per evitare di rannicchiarsi a terra contro il muro a mattoni a vista lì accanto a lui e piangere a dirotto con violenti singhiozzi, esattamente come faceva di nascosto da Blaine dopo ogni loro litigio. Osservò con aria vacua gli edifici accanto a lui e lesse distrattamente il nome della strada in cui si trovava, giusto per capire se fosse ancora a New York o in qualche sorta di dimensione parallela. E invece no, sfortunatamente era a Lower Manhattan e quella era la sua vita. Cosa che, fino non molto tempo prima, non lo avrebbe urtato più di tanto, anzi. Ad un tratto gli tornò in mente una scena in particolare del suo passato: aveva una camicia nera, guanti senza dita di pelle, una giacca bianca, cilindro, una borsa a tracolla e uno di quegli accessori che si attaccavano come spille al colletto della camicia. Era quello con le chiavi, se non ricordava male. Ma la persona che ricordava meglio era un ragazzo con i riccioli scuri tenuti in ordine dal gel, un sorriso e uno sguardo entrambi un po' tristi e la divisa tipica dei Warblers e quindi dell'Accademia Dalton. Ricordava la sua voce, mentre cantava "Somewhere Only We Know", il giorno in cui il trasferimento di Kurt al McKinley era diventato ufficiale. Ricordava che entrambi stavano per mettersi a piangere, quando Kurt l'aveva abbracciato e gli aveva sussurrato: "Never say goodbye to you". Ricordava la sua stretta e il modo in cui lo aveva guardato: non era un addio, ma da ciò che traspariva dal suo viso, sembrava che Blaine temesse che lo fosse. E poi ricordò tutto ciò che avvenne dopo, dalla prima all'ultima parola, fino all'ennesimo litigio, a tutte le cattiverie che gli erano uscite di bocca senza che lui lo volesse veramente e allo sguardo ferito e furioso di Blaine. Per un attimo aveva pensato che lui lo odiasse. Kurt riprese a singhiozzare, quei ricordi facevano troppo male. Forse era davvero arrivato il momento di dirsi addio, anche se era l'ultima cosa che voleva. Avrebbe preferito morire, piuttosto che lasciare Blaine. Ma se continuare a stare con lui avrebbe lo portato a farsi odiare dalla persona che più amava al mondo... Si strinse di più nel cappotto, mentre le lacrime gli impedivano ancora una volta di vedere. Sentì qualcosa scricchiolare in tasca e quando ebbe l'oggetto incriminato tra le mani, pianse ancora di più: la polaroid. La polaroid in cui lui e Blaine sorridevano, nei tempi in cui erano ancora felici. Osservò tristemente il viso sorridente del ragazzo e lo accarezzò con le dita. Gli mancava sorridere così, gli mancava essere così felice. Gli mancava lui. Gli mancava Blaine, il suo Blaine. Strinse la foto nella mano, rimettendola in tasca e riprese a camminare, diretto chissà dove, quando ad un certo punto sentì qualcuno chiamarlo gioiosamente per nome.
-Oh mio Dio, Kurt Hummel, la star di Broadway! Non ci credo, sei davvero tu?!- esclamò una donna, mentre trascinava quello che doveva essere il marito verso di lui. Kurt si sforzò di sorridere e annuì.
-Oh santo cielo, mia sorella è venuta ad una tua prima, sai? Non è che potresti farti una foto con noi?- chiese lei, speranzosa. Normalmente Kurt ne sarebbe stato entusiasta, ma in quell'occasione... No, non lo era.
-Mi dispiace deluderla, ma no, non sono proprio in vena di fare fotografie, scusi.- rispose Kurt, cominciando ad arretrare. Sentiva in lontananza una macchina avvicinarsi, forse un SUV, ma lì per lì non ci fece caso.
-Oh andiamo! Solo un selfie!-
-No, mi dispiace, ma...-
-Dai, amico, mia moglie vuole solo una foto!- esclamò il marito, prendendo Kurt per un braccio. Il giovane si divincolò dalla stretta, senza più nascondere il suo stato d'animo e le lacrime:
-La smetta di insistere, ho detto di no! Lasciatemi in pace!- gridò, prima di voltarsi e accingersi ad attraversare di corsa la strada. Fece appena in tempo a sentire la donna urlargli di stare attento e a vedere una luce abbagliante, subito prima di venire travolto dall'auto. Sentì un dolore lancinante diffondersi per il costato, dolore che gli mozzò il respiro. Percepì la pelle di una mano tagliarsi per delle schegge di vetro, così come la manica della camicia e quella del trench e una gamba stortarsi mentre veniva colpita dal muso della macchina, tutto questo in un paio di secondi. L'impatto con il SUV lo scaraventò a terra e Kurt rotolò sull'asfalto duro, sbattendoci contro violentemente la testa. L'ultima cosa che vide fu la fotografia di due ragazzi felici e sorridenti che stringeva nella mano. "Mi dispiace tanto, Blaine. Mi dispiace..." pensò. Poi chiuse gli occhi e perse i sensi tra le grida spaventate di chi gli stava attorno e uno stridio di freni.
 

§§§

Martedì, 21:53

 

Blaine rivolse a Kurt un'occhiata velenosa, mentre il giovane Hummel e Rachel osservavano e commentavano con occhi adoranti il modello che stava sfilando in passerella in quel momento, praticamente mezzo nudo. Lo guardò a sua volta, senza preoccuparsi di nascondere il fastidio e il disappunto che provava: che diavolo aveva di tanto speciale quella sottospecie di manichino ambulante? Proprio non riusciva a capirlo. Rachel poi si voltò e si mise a ridere ad un commento ironico di Finn, seduto al suo fianco. Erano stati invitati ad una sfilata di beneficenza, cosa che normalmente avrebbe stuzzicato l'interesse di Blaine ed acceso l'entusiasmato Kurt, ma quella sera l'unica cosa che interessava al primo era tornare a casa e dare un taglio a quella pagliacciata: fingere di essere felice, contento e rilassato invece che essere profondamente innervosito e con la luna storta, ovvero il suo attuale stato d'animo, era profondamente irritante. E di ancora più irritante c'era solo lo sguardo nemmeno troppo velatamente interessato verso il modello che aveva Kurt.
-Accidenti, guarda che addominali...- mormorò quello, facendo saltare del tutto i nervi al suo compagno.
-Beh, allora perché a fine sfilata non vai da lui, vi scambiate i numeri di telefono e le e-mail e magari vai a "dormire" a casa sua? Sono certo che non ti dispiacerebbe, potresti tastare dal vivo e di tua mano tutto quel ben di Dio.- sibilò Blaine, stizzito. Kurt gli rivolse un'occhiata stanca e sbuffò esasperato, prima di dire:
-Piantala di fare il ragazzino, Blaine. Era solo un apprezzamento.-
-Oh, questo l'ho notato, insieme allo sguardo languido che gli rivolgevi, stai tranquillo.-
-Non dirmi che sei geloso.-
-Sì, sono geloso. Qualche problema al riguardo?-
-Beh, sì, dato che non ne hai alcun motivo!-
-Ah, no? E mio marito che guarda con gli occhi da pesce lesso primo bel fusto che gli passa davanti cos'è, secondo te?-
-Mio Dio, Blaine! Solo perché guardo un bel ragazzo non significa che voglia portarmelo a letto!-
-Dalla tua faccia non si sarebbe detto.-
-Adesso basta! Continuiamo fuori questa conversazione e finiamola una volta per tutte!- disse Kurt, ormai del tutto innervosito. Fu il primo ad alzarsi tra i due e Blaine lo seguì con lo sguardo fino a che il suo compagno non fu sparito del tutto dalla sua vista. Finn e Rachel lo osservavano confusi e lui, senza dare spiegazioni, si alzò a sua volta con il cappotto sotto braccio e intraprese lo stesso percorso fatto poco prima da Kurt. Lo trovò fuori all'esterno, sul marciapiede, con le braccia incrociate sul petto, un'espressione scocciata in viso e, non appena si accorse di non essere più solo, disse:
-Si può sapere che diavolo ti è preso?!-
-Ah, che diavolo è preso a me?!-
-Sì, Blaine, maledizione! Hai fatto la figura dell'isterico davanti a tutti.-
-Ah sì? Chi se ne frega! Avevo i miei buoni motivi, Hummel!- ringhiò Blaine e in quel momento entrambi capirono che aveva perso le staffe: solo in quei casi chiamava il suo compagno per cognome. Kurt fece una smorfia, evidentemente infastidito e chiese, piccato:
-Ma non mi dire! E, di grazia, Sua Maestà potrebbe gentilmente darmi qualche informazione sui suddetti motivi? O sono di un livello troppo alto affinché io possa comprenderli?-
-Beh, vediamo... Oh, ecco: mio marito stava letteralmente sbavando per un modello e temevo che da un momento all'altro gli sarebbe addirittura saltato addosso! Come ti sembra, come motivo?!-
-Per Dio, Blaine! Cos'è, hai paura che ti tradisca?! Stai tranquillo, anche nei momenti difficili resto fedele, io, non sono certo come te!- esclamò Kurt, infuriato. Blaine arretrò di qualche passo, come se gli avessero appena tirato uno schiaffo in piena faccia. Non poteva credere che Kurt l'avesse detto davvero. Eli C., nonostante tutto il tempo trascorso da quell'infausto episodio, era sempre una nota dolente per lui, che ancora oggiAggiungi un appuntamento per oggi non riusciva a perdonarsi dell'accaduto e Kurt lo sapeva. Sapeva quanto Blaine si detestasse per aver anche solo pensato di tradire la persona che amava e quanto si trovasse rivoltante per non essere stato in grado di fermarsi subito, o comunque almeno non prima di essersi reso conto di cosa stava per fare, non senza una generosa quantità di schifo misto ad orrore. Alla fine non aveva tradito il suo ragazzo, ma ci era andato maledettamente vicino e non riusciva a perdonarselo. Quindi era quella, la verità. Kurt non ci aveva mai messo sul serio una pietra sopra, per quanto glielo avesse spergiurato. E lui ci aveva anche creduto, l'idiota. Se solo fosse stato più lucido, si sarebbe accorto dell'espressione colpevole che si era materializzata sul viso di Kurt, segno che Blaine era stato perdonato eccome e quello era stato soltanto uno sfogo incoerente dovuto alle emozioni che stava provando in quel momento, ma la rabbia e il dolore per ciò che gli era stato detto impedirono al giovane Anderson di rendersene conto. Cercò di trattenere le lacrime imminenti e sibilò:
-Bene. Sono felice di aver finalmente capito come la pensi davvero. E sai che ti dico? Vai pure a cercarti un altro, sarà sicuramente meglio di me.-
-Blaine, lo sai che non lo penso davvero, io...-
-Oh no, invece tu lo pensi eccome! L'hai sempre pensato e sempre lo penserai, Kurt, perché io non sarò mai abbastanza per te! Non è così?-
-No, non è così e lo sai benissimo!-
-A volte mi chiedo cosa ci facciamo ancora insieme, sai? Perché mi hai sposato, ad esempio. E la parte peggiore è che ogni volta fatico sempre di più a rispondermi.- mormorò amaramente e stavolta fu Kurt a fissarlo sgomento.
-Ti ho sposato perché ti amo, Blaine. Pensavo di avertelo anche dimostrato più volte.-
-Mi ami? Davvero? E allora spiegami perché non facciamo altro che litigare, litigare e litigare di nuovo! E spiegami anche perché quando ritrovo nei tuoi occhi lo sguardo di cui mi ero innamorato anni fa non è quasi mai rivolto a me!-
-Di cui ti eri innamorato? Quindi ora non è più così?-
-Potrei fare a te la stessa domanda.- disse Blaine seccamente, rivolgendogli uno sguardo ferito e pieno di rabbia. Vide gli occhi di Kurt riempirsi di lacrime: di solito quando piangeva Blaine lo trovava tenero, ma solo se erano lacrime di commozione. Altrimenti avrebbe volentieri usato come sacco da boxe chiunque avesse fatto piangere il ragazzo che amava e, nei casi in cui quel qualcuno fosse lui, anche se involontariamente, si sarebbe preso a pugni da solo senza esitazione. L'avrebbe fatto con piacere anche quella volta. L'ultima cosa che voleva era farlo stare male, ma quando l'ira prendeva il sopravvento era difficile controllare le parole. E sfortunatamente nell'ultimo periodo quelle cose le pensava veramente, tutte quelle domande se le poneva come minimo una dozzina di volte al giorno. Ma di risposte... Beh, non ne trovava così tante e di frequente. Kurt abbassò lo sguardo, si voltò e cominciò ad incamminarsi per la strada, voltando le spalle a Blaine, che lo guardò senza capire.
-Kurt, dove stai andando?-
-In un posto dove non devi preoccuparti per me, Anderson, dove sicuramente non troverò modelli a cui posso sbavare dietro, così puoi stare tranquillo!- esclamò Kurt, voltandosi appena verso il compagno. Era disperato, le lacrime avevano iniziato a scendergli copiosamente sulle guance, la voce tremava ed era più acuta del solito. Blaine avrebbe voluto corrergli dietro, abbracciarlo, scusarsi e dirgli che ce l'avrebbero fatta, l'avrebbero superata. Insieme. Ma che senso aveva, dato che persino lui stesso stentava a crederlo? Così restò fermo sul marciapiede, fermo a guardare il giovane che amava allontanarsi per la strada, fino a che non sparì dal suo campo visivo. E, a quel punto, Blaine si strinse nel cappotto e iniziò a camminare, ma nella direzione opposta.

 
§§§

Martedì, ore 18:27


 
-Blaine? Blaine, svegliati, devi cominciare a prepararti.- sussurrò Kurt, scuotendo leggermente la spalla del suo compagno addormentato. Sorrise lievemente quando Blaine mugugnò qualcosa di indefinito, seppellendo la faccia nel cuscino. La notte precedente, dopo l'ultimo spettacolo di Grease (Kurt aveva sempre trovato Blaine maledettamente sexy nel recitare la parte di Danny Zuko: aveva un'intera cartella di sue foto con il costume di scena salvate sul cellulare... Ma questo Blaine non doveva mica saperlo per forza, no?), erano rimasti al party organizzato dalla produzione fino a tarda mattinata e il caro Danny era sprofondato in un sonno catatonico appena aveva toccato il letto. Era davvero adorabile quando dormiva, con tutti i ricci scuri scompigliati sul cuscino.
-Ehi? C'è qualcuno in ascolto?- disse Kurt divertito, punzecchiando Blaine con l'indice. Lui gli lanciò un'occhiataccia e borbottò:
-Sì, ti sento... Ma che ore sono?-
-Le sei e mezza, più o meno.-
-Okay, bene... Aspetta, cosa hai detto?-
-Ho detto che sono le sei e mezza.-
-Le... L-le sei e mezza?! Sei impazzito, è tardissimo! Perché non mi hai svegliato prima?!- esclamò Blaine con aria isterica, schizzando in piedi. Kurt ridacchiò, senza alzarsi dal letto: lui era già pronto, gli doveva solo indossare il trench e le scarpe, quindi non aveva la minima fretta e poteva godersi lo spettacolo di un Blaine sull'orlo di una crisi di nervi e agitato all'inverosimile.
-Eri stanco morto, farti dormire qualche ora in più ti avrebbe fatto solo bene, mi sono detto.-
-Beh, grazie per il pensiero, però se l'avessi saputo avrei preparato i vestiti da mettermi stamattina! Maledizione, sembro medusa!- gemette l'altro con aria oltremodo orripilata davanti allo specchio della loro camera, le mani tra i capelli. Kurt si alzò e raggiunse l'armadio, poi prese un completo blu scuro con papillon abbinato e una camicia bianca, mocassini neri e passò il tutto a Blaine, che li prese esitante. Li osservò per un attimo, sotto lo sguardo divertito del compagno, poi chiese, titubante:
-Dici di mettere questi?-
-Sì, a patto che poi però ti metti il cappotto nero, quello leggero.-
-Dio, cosa farei senza di te!-
-Preferisco non pormi certi interrogativi, tesoro.- mormorò Kurt con un sospiro teatrale, mentre Blaine alzava gli occhi al cielo, divertito e rideva piano. Il giovane Hummel si perse nel suono di quella risata appena accennata: da quanto tempo non la sentiva? Sicuramente troppo e quella, con il suo sorriso e lo sguardo divertito, gli sembrò bella tanto quanto la prima. Ecco, in quel momento sembrava che non fosse cambiato nulla: nessun litigio, nessuna discussione... Per un attimo aveva davanti a sé il Blaine di cui si era innamorato e che amava ancora alla follia. Perché non poteva essere sempre così? Avrebbe tanto voluto saperlo. Sorrise a sua volta, anche se un po' più tristemente e restò fermo davanti al compagno, che nel frattempo aveva riportato lo sguardo sul suo viso. Blaine aggrottò leggermente la fronte e chiese, quasi preoccupato:
-Va tutto bene?-
-Certo, perché?-
-Perché dalla tua faccia non si direbbe.-
-Io... Va tutto benissimo. Davvero.-
-Kurt, ti conosco. Che cosa c'è?-
-Ti ho detto che sto bene, smettila di chiedermelo.- ripose Kurt, più secco di quanto volesse. Blaine si irrigidì e l'espressione rilassata di poco prima sparì dal suo volto.
-Bene. Meglio per te, allora.- disse, gelido, poi si voltò, appoggiò la giacca del completo sul letto e sparì nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle. Kurt sospirò. Perché era stato così brusco? Dopo tutto gli aveva solo chiesto se stesse bene. Si mise a sedere sul letto, passandosi le mani sul viso. Ce l'avrebbero fatta. In qualche modo, ce l'avrebbero fatta. O almeno, ci sperava. Poco dopo Blaine uscì dal bagno e Hummel perse un battito: con i capelli ancora scarmigliati, la camicia semiaperta e il papillon non ancora allacciato, avrebbe fatto perdere la testa a chiunque. Kurt represse a stento un sospiro adorante e sentì le guance colorarsi leggermente quando notò che Blaine lo stava osservando dallo specchio, anche lui con quella strana luce negli occhi. Distolsero entrambi in fretta lo sguardo, ad un tratto imbarazzati: non era certo il momento per farsi prendere dagli ormoni. "Però devi ammetterlo, Kurt: prima gli saresti saltato addosso comunque, niente e nessuno ti avrebbe fermato. E per lui valeva lo stesso." pensò. Sentì Blaine sospirare, quasi scoraggiato e quando tornò a guardarlo vide che stava finendo di sistemarsi i capelli con il gel, ma stranamente con meno cura e attenzione del solito. Sembrava piuttosto distratto, si disse Kurt, mentre l'altro passava ad allacciarsi la camicia e il papillon.
-Maledizione!- imprecò ad un certo punto, appoggiandosi con i palmi delle mani alla cassettiera posta sotto allo specchio, dopo aver fallito di nuovo nell'annodare il cravattino. Kurt lo fissò basito: Blaine non sbagliava mai. Si allacciava da solo i papillon da anni, santo cielo, non era fisicamente possibile! Si alzò dal letto e lo raggiunse lentamente, poi gli mise una mano sulla spalla. Lui lo guardò attraverso lo specchio, ancora corrucciato e aspettò che l'altro dicesse o facesse qualcosa.
-Me ne occupo io, okay?- mormorò dolcemente Kurt, facendolo voltare verso di sé. Blaine si limitò a sospirare con aria malinconica, mentre il papillon veniva annodato con calma e precisione. Dopo qualche minuto Kurt abbassò le mani e disse, stringendosi nelle spalle:
-Beh, non è perfetto come quelli che fai tu, però... Può andare, no?-
-È fantastico, Kurt. Non ti preoccupare.- rispose Blaine, cercando di sorridere. Kurt lo notò e non poté trattenersi dall'abbracciarlo forte, lasciando totalmente spiazzato il compagno.
-Promettimi che ci riusciremo, Blaine. Dimmelo, ti prego.-
-Lo spero tanto, Kurt, non ne hai la minima idea.- rispose Blaine mentre ricambiava la stretta, la voce velata di una tristezza sconcertante. Kurt dovette mordersi il labbro per impedirsi di scoppiare in lacrime, mentre si lasciava cullare dall'abbraccio dell'uomo che amava. Ad un tratto sentì Blaine inspirare più profondamente delle altre volte, subito prima che sciogliesse la stretta. Prese in fretta la giacca e si avviò verso l'altra stanza, senza staccare lo sguardo da terra.
-Dai, finisci di prepararti, che dobbiamo andare.- mormorò, subito prima di uscire. Kurt restò fermo immobile dove lui l'aveva lasciato, a fissare il punto dove fino a poco prima c'era Blaine. Avrebbe giurato che, quando gli aveva detto quella frase, prima di lasciare la stanza, avesse la voce rotta e gli occhi lucidi, nonostante cercasse di tenere lo sguardo fisso a terra. Finì di prepararsi e fece per uscire dalla stanza, quando l'occhio gli cadde sul comodino di Blaine, più precisamente sul cassetto semiaperto. Si assicurò che lui non potesse vederlo, poi lo aprì del tutto e restò sbigottito nel trovare, sopra tutti i libri, alcuni papillon, locandine di spettacoli e altre cianfrusaglie, una loro fotografia, risalente al loro primo giorno insieme a New York: era una polaroid, una di quelle vecchie istantanee. L'avevano scattata poco prima della fine di giugno di qualche anno prima, quando Blaine, appena uscito dal gate, era corso incontro a Kurt e gli era praticamente saltato in braccio. Avevano giusto fatto in tempo a farsi quello scatto che la macchina fotografica era caduta a terra, rompendosi definitivamente. Era già piuttosto malandata, ma Blaine l'aveva sempre amata. Kurt sorrise nel vederla in fondo al cassetto, proprio sopra un album pieno di loro fotografie, molte delle quali risalenti al loro periodo comune di studenti alla NYADA, iniziato proprio con il semestre del settembre di quell'anno. Avrebbe voluto sedersi a terra, sul tappeto lì accanto e mettersi a guardare ogni immagine, una alla volta. Magari insieme a Blaine.
-Kurt, sbrigati! Altrimenti facciamo tardi!- esclamò quello dal salotto e Kurt si affrettò a rimettere il cassetto in ordine. O meglio, a ricreare alla bell'e meglio il caos precedente. Però quella fotografia, quella non riuscì a metterla al suo posto. Se la rigirò un attimo tra le mani, indeciso sul da farsi.
-KURT!- tuonò di nuovo Blaine dal salotto e lui sbuffò stizzito.
-Arrivo, arrivo!- rispose, poi si mise la fotografia in tasca e uscì. Blaine gli rivolse un'occhiataccia appena entrò in salotto, poi entrambi si diressero fuori di casa. Kurt restò per tutto il viaggio con le mani in tasca, a rigirarsi tra le dita la fotografia. Lanciava di tanto in tanto uno sguardo a Blaine e lo trovava sempre con la stessa espressione: innervosito e con il broncio. La sua mente tornò inevitabilmente ai ricordi rievocati dalle fotografie e pensò, con sempre maggior convinzione: "Ce la faremo. Riusciremo a conquistare la felicità che meritiamo. Ne sono certo."
 
§§§

Mercoledì, ore 3:16

 

Blaine osservava tristemente la polaroid sgualcita che aveva tra le mani, seduto su una delle sedie della sala d'attesa del Lower Manhattan Hospital, quella accanto al corridoio dove si trovava Kurt: dopo essere stato portato via di peso dalla sala operatoria, le guardie lo avevano tenuto sotto controllo finché non si era apparentemente calmato. A quel punto un'infermiera gli aveva fatto compilare varie scartoffie, non ricordava nemmeno cosa fossero, poi gli aveva consegnato gli effetti personali di Kurt: il cellulare, con lo schermo rotto ma stranamente ancora funzionante, il portafoglio, qualche altra cianfrusaglia e infine quella: la polaroid. Non sapeva nemmeno come facesse ad averla avuta Kurt, era convinto che fosse nel suo cassetto, invece... "Aveva stretta in mano questa, quando è arrivata l'ambulanza. Sembrava quasi che non volesse lasciarla andare per nessun motivo al mondo." gli aveva detto l'infermiera. Lì per lì fu quasi tentato di esplodere in una risatina isterica, era tutto troppo surreale per essere vero: il suo matrimonio sembrava stesse andando a rotoli, l'uomo che amava era in fin di vita e cosa gli mettevano davanti? Ma certo, una foto del loro passato, quando erano ancora felici, giusto per ricordargli quanto fosse stato idiota a lasciar andare tutto in malora. Blaine aveva chiamato subito Burt e Carole, poi Rachel e Finn e, grazie al loro intervento, a breve il pronto soccorso sarebbe stato riempito dai ragazzi delle vecchie New Directions. Il fratellastro di Kurt e la compagna erano già lì e, a quanto pareva, sarebbero arrivati nelle ore seguenti anche Mercedes, Sam, Quinn, Artie e Tina, Santana e Brittany. Non sapevano per quanto sarebbero potuti rimanere, ma tutti loro sarebbero venuti a chiedere di persona come stesse Kurt e a sperare in un miglioramento. L'unico che non ci sarebbe stato per ovvi motivi di lavoro era Puck, ma aveva esplicitamente detto che avrebbe chiamato ogni qual volta fosse stato possibile per avere notizie di Kurt. Blaine accarezzò con il pollice il viso sorridente di Kurt nella fotografia e non poté fare a meno di chiedersi se l'avrebbe mai più rivisto di persona. Si mise le mani nei capelli, stringendo forte le palpebre, mentre ricominciava a singhiozzare: era colpa sua se Kurt era ridotto in quello stato. Se solo l'avesse fermato e avesse messo da parte il suo dannato orgoglio facendo il primo passo, lui non sarebbe stato in fin di vita. Kurt era uscito dalla sala operatoria poco dopo l'arrivo di Finn e Rachel, verso l'una meno dieci, ma l'accesso alla sua stanza era vietato persino ai parenti, per il momento: era in condizioni troppo critiche, il minimo cambiamento avrebbe potuto essergli fatale. Blaine non ricordava di aver mai pianto così tanto in vita sua, di non aver mai avuto tanta paura: anche in passato, se c'era un qualche problema, alla fine sapeva che si sarebbe sistemato tutto, perché lui e Kurt si amavano, questo andava oltre ogni dilemma che sorgeva tra loro e il legame che li univa gli avrebbe posto fine, in un modo o nell'altro. Ma stavolta era diverso. Stavolta fare affidamento sulla loro relazione e l'amore reciproco non sarebbe bastato. Non si era mai sentito più impotente di così, inutile. E poi, c'era un pensiero che lo tormentava: dov'era lui quando Kurt era stato investito? Dov'era stato lui in tutti quei mesi? A piangersi addosso, ecco dove. "E ora è Kurt a pagarne le conseguenze." si disse, senza staccare gli occhi dal pavimento in linoleum. Si era pentito di averlo lasciato andare via non appena l'aveva fatto, ma a quel punto gli sembrava di aver fatto un errore a dir poco imperdonabile. Sentiva delle voci bisbigliare attorno a sé, probabilmente erano Finn e Rachel che parlavano, o forse era arrivato qualcun altro. Si guardò attorno e incrociò lo sguardo preoccupato di Rachel, mentre Finn parlottava con qualcuno al cellulare. Lei fece per dirgli qualcosa, ma Blaine non gliene lasciò il tempo: si alzò dalla sedia e si diresse verso il piccolo terrazzo che dava sulle strade di New York. Gli mancava il fiato, aveva bisogno di respirare e riflettere a mente (quasi) lucida su ciò che era successo. L'aria fredda di fine novembre gli sferzò il viso non appena uscì all'esterno e lui uscì fuori del tutto, andando ad appoggiarsi con i gomiti alla balaustra di ferro. Prese un respiro profondo e lasciò che le luci della città gli illuminassero il viso. In quel momento gli tornò in mente una scena di qualche anno prima: lui e Kurt, una sera, sull'Empire State Building.

 

Kurt restò fermo ad ammirare le luci di Manhattan, incantato come un bambino davanti all'albero di Natale e sorrise, mentre Blaine lo osservava in silenzio, sorridendo lievemente a sua volta. Si chiedeva cosa passasse per quella testa in quel momento, il perché di quel sorriso spensierato.
-Sai, è anche per questo che amo New York: per la sua vitalità. Oltre che per Broadway, ovviamente.- disse Kurt ad un certo punto, attirando su di sé lo sguardo del fidanzato.
-Davvero?-
-Sì, davvero: la Grande Mela è una creatura viva, non dorme mai. E Manhattan... Da lontano le sue luci sembrano miliardi di lucciole colorate, non trovi?-
-Beh, senza dubbio è un modo molto romantico di vedere le cose, devo dire.-
-Già, ma noi siamo inguaribili romantici: se così non fosse, stamattina non mi avresti regalato un mazzo di rose rosse e questo.- disse Kurt sorridendo e mostrando con orgoglio la fedina d'argento che portava alla mano.
-È San Valentino: un po' di romanticismo ci vuole, no?- commentò Blaine, facendogli l'occhiolino. Kurt ridacchiò e diede un buffetto affettuoso al ragazzo, facendolo sorridere. Poi tornò a guardare le strade inondate di luci e persone, ognuna con la sua storia e la sua vita. Blaine notò lo sguardo un po' triste e malinconico del giovane al suo fianco e chiese, prendendogli la mano:
-A cosa pensi?-
-A quand'ero piccolo: ho sempre desiderato venire qui a vivere, recitare a Broadway nei grandi musical, diventare qualcuno... Il sogno di ogni adolescente che aspira al successo, immagino.-
-Beh, intanto era anche il tuo sogno. E l'hai realizzato. Ora sei qui, ti sei laureato alla NYADA a pieni voti e reciti a Broadway... Sei una star.-
-Lo so, ma... Non credo che sarebbe lo stesso, senza di te. Non sarei così felice come sono ora.-
-Nemmeno io.-
-Visto? Siamo due innegabili romanticoni, di quelli proprio senza speranza!-
-Oh, ma piantala!- esclamò Blaine ridendo, prima di zittire del tutto le deboli proteste di Kurt con un bacio. Lo sentì sorridere contro le sue labbra, la fronte appoggiata alla sua e le mani intrecciate.
-Ti amo, lo sai?-
-Sì, lo so, perché ti amo anch'io.- mormorò Kurt con un sorriso dolce. Blaine gli passò un braccio attorno alle spalle e gli diede un bacio leggero tra i capelli, mentre lui appoggiava la testa alla sua spalla. Restarono fermi così, stretti l'uno all'altro ad osservare le "lucciole" di New York.

 

Blaine si strinse di più nel cappotto, ad un tratto ancora più infreddolito. Che fine aveva fatto tutta quella tenerezza? Dove si era andata a cacciare? Avrebbe tanto voluto saperlo per andarla a recuperare e farla ritornare nelle loro vite a calci nel sedere. Sospirò e non poté evitare di chiedersi come avessero fatto ad arrivare fino a quel punto.
-Freddino, eh?- disse una voce alle sue spalle e qualche secondo dopo Blaine vide Rachel sistemarsi accanto a lui.
-È quasi dicembre. È normale.-
-Già... Che sta succedendo, Blaine?-
-Nel caso non l'avessi notato, Kurt è stato appena investito, Rachel.-
-Non intendevo quello e lo sai. Cosa sta succedendo tra voi due?-
-Perché lo chiedi?-
-Beh, alla sfilata stavate per scannarvi, poi siete spariti e dopo ci hai chiamati in lacrime dicendo che Kurt aveva avuto un incidente ed era tutta colpa tua. Qualche dubbio sorge spontaneo, non trovi?-
-...È un periodo un po' difficile, Rachel. Non saprei dirti perché, ma ultimamente non facevamo altro che litigare. Credo che non mi ami più.-
-Non dire cavolate, Anderson. Kurt è ancora pazzo di te e lo sarà finché vivrà.-
-Il problema è che probabilmente non lo farà ancora per molto tempo, allora.-
-Non dire così. Conosci Kurt meglio di chiunque altro: lui è forte, un combattente con i fiocchi. Diciamo che il McKinley è stata una buona palestra, per lui. Sono certa che troverà il modo di tornare da noi e soprattutto da te. Deve solo trovare la mappa giusta, diciamo.- disse Rachel, cercando di rassicurarlo. Blaine sospirò e mormorò:
-È colpa mia se lui è là dentro. È a causa mia se quella macchina lo ha... Hai capito, no?-
-Blaine, non è affatto colpa tua: non sei stato tu a spingerlo sotto quel SUV, né sei stato tu a tirarlo sotto.-
-Ma lui era lì perché avevamo litigato e io l'ho lasciato andare via! Mi sono fatto prendere dalle emozioni, ho smesso di ragionare e... L'ho ferito. E queste sono le conseguenze.-
-Hai ragione. Lui stava attraversando quella strada a causa tua.- cominciò Rachel dopo un attimo di pausa e un sospiro, attirando su di sé lo sguardo attonito di Blaine.
-Pensavo che...-
-Zitto. Non avevo finito. Lui era laggiù a causa tua così come l'anno scorso ad Halloween è inciampato nel mio tappeto, perché tu stavi per portargli un bicchiere di vino.-
-...ma quello non è dipeso da me.-
-Esatto e nemmeno il fatto che fosse a Lower Manhattan dipendeva da te. Avete litigato, è vero, ma non sei stato tu a dirgli: "Vai lì e fatti investire!". Non darti colpe che non hai, Blaine.-
-Non ho mai avuto tanta paura di perderlo in vita mia, mai. Temo che da un momento all'altro possa scivolarmi via dalle dita.-
-Non lo farà. Kurt è troppo competitivo per lasciarti vincere così tutte le vostre future sfide, proprio a tavolino. Non è nel suo stile.-
-Già...- commentò Blaine con un sorriso triste. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime per l'ennesima volta e si lasciò abbracciare da Rachel, sperando che tutte le sue rassicurazioni sarebbero diventate la realtà.

  §§§

Lunedì, ore 15:24
 

I giorni passavano e, anche se lentamente, sembrava che Kurt stesse migliorando. Dopo quasi una settimana, le possibilità che si riprendesse erano sempre maggiori. Nemmeno ventiquattr'ore dopo il suo ricovero New Directions e non solo erano già riuniti nella sala d'attesa, tutti con i nervi a fior di pelle. Burt e Carole erano stati i primi ad arrivare e il signor Hummel sembrava devastato dall'accaduto: gli era già stata portata via la donna che amava, anche suo figlio sarebbe stato troppo. Ognuno di loro andava e veniva dall'ospedale: c'erano momenti in cui erano tutti riuniti lì, altri in cui non c'era quasi nessuno e di solito si trattava delle ore notturne. L'unico a restare in ospedale praticamente ventiquattr'ore su ventiquattro era Blaine: non avrebbe lasciato Kurt mai più, se lo potevano scordare. Andava a casa esclusivamente una volta al giorno, solo per cambiarsi e per non più di mezz'ora e la sua ansia per il futuro del compagno era visibile ad occhio nudo e non solo dai suoi atteggiamenti. Per quasi una settimana il rasoio era diventato una specie di sconosciuto, aveva smesso di mettersi il gel e non curava più di tanto gli abbinamenti tra i suoi vestiti, o almeno non come prima. La verità era che in quel momento non gli interessava più di tanto dei capelli e dei vestiti, avrebbe solo perso tempo prezioso, tempo che avrebbe potuto passare accanto a Kurt e non voleva perdersi per nessun motivo al mondo il momento in cui lui si sarebbe svegliato. Perché si sarebbe svegliato, punto. Secondo i medici, le possibilità erano quattro: uno, si sarebbe svegliato e avrebbe ripreso ogni facoltà, tornando esattamente quello di prima, esclusa qualche piccola cicatrice; due, si sarebbe svegliato, sì, ma avrebbe riscontrato dei danni permanenti e non sarebbe mai tornato il vecchio Kurt Hummel; tre, non si sarebbe svegliato, ma avrebbe continuato a vivere, però praticamente in stato vegetativo; e quattro... Kurt non avrebbe mai più aperto gli occhi e a breve il suo cuore avrebbe ceduto. Blaine sperava con tutto il cuore in una delle prime due: voleva risentire la risata allegra di lui, rivedere il suo sguardo, sempre un po' ingenuo, spaurito e maledettamente dolce. Lo rivoleva indietro, non gli importava cosa avrebbe dovuto sacrificare di sé stesso. La stanza di Kurt era troppo vuota, troppo... asettica. Non era da lui, l'avrebbe odiata. Non c'erano poster di musical, locandine, fotografie e tutti quegli oggetti che sembravano urlare: "KURT HUMMEL È STATO QUI, GENTE!". Come quella lampada fucsia che Blaine trovava ridicola, nonostante Kurt ne andasse matto, per esempio. Avevano speso fin troppi soldi per quell'affare, ne era sempre stato convinto. Però in quel momento avrebbe preferito che Kurt comprasse decine di altre lampade come quella, piuttosto di vederlo in un letto d'ospedale, totalmente inerte.
-Tu lo detesteresti, questo posto. Diresti che sprizza aria d'ospedale da tutti i pori, talmente è deprimente. È tutto bianco e verde, hai presente quel verde chiaro, quasi pastello? Ecco, quello. Ti ricordi quando era venuto a trovarci Coop con quella ragazza, come si chiamava... Darla, forse. E lei aveva quel vestito orrendo, tutto balze e fiocchi. "Sembra una meringa", avevi detto. Ecco, i muri qui sono più o meno dello stesso colore. Per non parlare delle lenzuola dei letti: sono blu, santo cielo, fanno a pugni con tutto... Terribile, eh?- mormorò Blaine, sorridendo debolmente. Guardò Kurt e per un attimo sperò quasi che gli rivolgesse il suo solito sguardo di quando era indispettito da qualcosa. Di solito lo usava quando vedeva Sebastian, anni prima e con il tempo era diventata la sua espressione ufficiale quando qualcosa non gli piaceva per niente. Probabilmente l'avrebbe usata anche quei giorni, nel vedere il colore delle pareti di quel posto. Blaine gli teneva la mano, ma sembrava che Kurt non avvertisse il minimo contatto. "Coraggio, Anderson, pensa positivo! Non sarà così per sempre, si sveglierà e tornerà tutto come prima." pensò, cercando di farsi forza. Osservò il viso immobile del ragazzo, le palpebre chiuse e dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non piangere ancora. Quella situazione lo stava trasformando in una specie di fontana dalle sembianze umane, non passava un giorno senza che versasse qualche lacrima, possibilmente da solo. Gli strinse più forte la mano, accarezzandogli le nocche con il pollice.
-Mi dispiace tanto, Kurt, scusami... E non solo per questo, ma per tutto quello che ti ho fatto passare, per tutti i litigi e le discussioni. Se avessi cercato di sistemare le cose tra noi subito, tu non... Non saresti qui. Vorrei poter riavvolgere il tempo e riportarti qui, mi manchi troppo per fare finta di niente. Mi manca il tuo sorriso timido quando ti bacio davanti alle nostre famiglie, il tuo sguardo sempre attento ai dettagli, le tue occhiate sgomente quando vedi qualcosa che trovi orrendo e resti sbigottito, il tuo sorriso e la tua risata, i tuoi vani tentativi di insegnarmi a cucinare qualcosa di più elaborato di un piatto di pasta, la sensazione che solo i tuoi baci mi danno, fare l'amore con te... Mi manca tutto, ogni piccola cosa. Ti prometto che lascerò Broadway per starti accanto in ogni singolo momento, se lo vorrai. Farò tutto ciò che mi chiederai, se questo sarà sufficiente a riaverti qui. Persino comprarti quegli stivali di Versace che ti piacciono tanto, anche se io continuo a trovarli orribili. Quindi, ti prego, ti scongiuro: torna da noi. Torna da me, Kurt.- sussurrò, la voce rotta dall'emozione. Osservò Kurt per qualche attimo, con il cuore in gola, per poi serrare la mascella e distogliere lo sguardo, colmo di delusione. Sospirò e chiuse gli occhi, passandosi una mano sul viso: che cosa si aspettava? Che lui si sarebbe svegliato di colpo, proprio in quel momento? "Stupido." si disse tristemente, ma in quel momento sentì la mano venire stretta a sua volta, anche se debolmente. Alzò lo sguardo e incontrò un paio di occhi chiari, circondati da profonde occhiaie scure, che lo guardavano con dolcezza e la bocca curvata in un lieve sorriso.
-Kurt...?-
-Non voglio che lasci Broadway, però... Quegli stivali non mi dispiacerebbero.- mormorò Kurt, con la voce bassa e un po' rauca. Blaine sorrise, mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime, ma stavolta di felicità. Abbracciò di slancio il giovane davanti a lui, cercando di non fargli male ma allo stesso tempo di stringerlo a sé il più forte possibile. Kurt ricambiò la stretta sorridendo, mentre Blaine singhiozzava contro la sua spalla.
-Mi dispiace, Kurt, mi dispiace tanto...-
-Sshh, tranquillo. Va tutto bene, Blaine, non ti preoccupare.-
-Credevo che ti avrei perso, avevo paura che non ti saresti più svegliato.-
-Beh, invece eccomi qui. Che cos'è successo?-
-Non te lo ricordi?-
-Non del tutto: ricordo una luce bianca e male ovunque nel corpo. Poi ho sbattuto la testa e... Basta.-
-Un... Un SUV ti ha investito mentre attraversavi la strada di corsa a Lower Manhattan, nella notte tra martedì e mercoledì scorso. Quasi una settimana fa.-
-Sono stato privo di coscienza per una settimana?-
-Sì e non sai che spavento mi hai fatto prendere. Quando sono arrivato qui eri coperto di sangue e... Stavi per morire, eri in arresto cardiaco.- sussurrò Blaine, rimettendosi a sedere sul materasso, ma senza lasciare la mano di Kurt. Lui lo notò e osservò rapito le loro dita intrecciate, prima di guardare di nuovo il marito e dire:
-Blaine, mi dispiace, io non pensavo davvero quello che ti ho detto quando abbiamo litigato, non so cosa mi sia preso, non...-
-Sai che ti dico? Basta litigare, sono stanco di continuare così.-
-Quindi cosa... Cosa proponi di fare per risolvere la questione?- chiese Kurt, spaventato dalla possibile risposta del suo compagno. Blaine gli lasciò la mano e lui si sentì mancare: oddio, voleva lasciarlo. Tutte le sue paure di quei mesi si stavano concretizzando proprio davanti a lui, pensò con un certo orrore. Mai poi Anderson gli sfiorò delicatamente la guancia con il pollice e sorrise dolcemente.
-Se sei d'accordo, direi di ricominciare da qui.- mormorò, dando a Kurt la loro polaroid. Lui guardò la fotografia, poi alzò lo sguardo su Blaine e sorrise, commosso e felice allo stesso tempo. Annuì con sempre maggior convinzione e gli occhi lucidi, subito prima che lui lo stringesse a sé. Kurt appoggiò la fronte a quella di Blaine e sussurrò:
-Ti amo, lo sai?-
-Sì, lo so, perché ti amo anch'io.- rispose Blaine, facendo sorridere entrambi. Le labbra dell'uno trovarono rifugio in quelle dell'altro e, durante quel bacio, entrambi si sentirono di nuovo felici come un tempo: era tutto tornato come prima, lo sentivano nelle ossa. L'unica differenza era che, da quel momento in poi, non avrebbero più permesso a niente e nessuno di cambiare la situazione al loro posto.

 

 

Note dell'autrice:

Come prima cosa, vorrei chiedere perdono per la lughezza chilometrica di quella che doveva essere una one shot di 5000 parole, ma che alla fine è arrivata a quota 8000 e più. Nei miei piani vi assicuro che era molto più corta, davvero, ma poi “Il Morbo Dello Scrittore” mi ha infettata (di nuovo) e in questi casi la storia deve finire quando, dove e come lo dico io, anche a costo di scrivere una shot lunga quanto Guerra e Pace. Questo scritto è nato durante una visita ad altissimo tasso calorico a casa della nonna (non micidiale quanto il Natale, ma sicuramente capace di far piangere lacrime amare a qualsiasi dieta.) e, per evitare l'ennesima portata, mi sono rifugiata bel mio mondo: cuffie e tablet. Ad un certo punto ho cominciato ad ascoltare la mia adorata Maps, una delle mie canzoni preferite in assoluto: adoro il video, il testo, la melodia, il cantante... Tutto. Ora, complici queste profonde considerazioni e la lettura di una fanfiction Klaine, la mia mente contorta ha partorito la malsana idea di scrivere questa storia. Spero sia venuta bene. Ho cercato di restare fedele al videoclip della canzone, quindi descrivendo gli eventi a ritroso nel tempo, ma, a differenza dell'originale, ho cambiato il “tradimento” di Adam con una crisi di coppia e ho aggiunto un happy ending: ogni Klaine dovrebbe averlo, a mio parere. Ho anche cambiato qualche fatto dalla serie TV: Finn e quindi Cory non è morto, sta ancora con Lea/Rachel ed è andato con lei a NY; Blaine non ha tradito Kurt, con Eli C. c'è stata solo una scena lime, giusto per dirla nel linguaggio di EFP. Ora che ci penso, teoricamente, se qualcuno sta leggendo questo delirio mascherato da note, significa che ha terminato la storia! Ti ringrazio per essere arrivato fin qui, ipotetico lettore, spero che ciò che hai letto sia stato di tuo gradimento. Nel caso ti andasse, fammi sapere cosa ne pensi, le recensioni sono sempre ben accette, positive, neutre, o negative che siano. Insegnano sempre qualcosa di buono. Bene, dovrebbe essere tutto. Oh, quasi dimenticavo: ringrazio di cuore la mia soul sister (da tradurre letteralmente come “Anima Sorella”, perché io può XD) Minerv per avermi supportato e sopportato in ogni momento, per avermi dato consigli e aiuato nei momenti di di indecisione, per avermi fatto entrare nel fandom di Glee praticamente a calci in culo (metaforicamente parlando, ovvio: nessun animale è stato maltrattato, qui) ed esserci sempre, qualsiasi cosa succeda. Ti voglio bene, sista. Ringrazio anche Silvia, alias trovpic, per tutti i suoi scleri da fangirl ogni volta che le chiedevo un parere o le davo notizie su una storia in fase di sviluppo e per avermi aiutata ad orientarmi nell'impervio mondo delle fanfiction. Vi voglio bene, ragazze <3

Bene, direi che è arrivato il momento di chiudere qui, altrimenti faccio un'altra OS XD

Un bacione a tutti!

Cami
 

   
 
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