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Autore: Amaya Lee    17/07/2015    1 recensioni
[ MikaYuu | Reincarnation/Soulmates AU | '800/'900 years ]
[ actor!Mika, orphan!Yuu ]
È egoista, è vero, ma è anche capace della più umile tra le pietà.
You and I will spin the world to make love
Mica solleva lentamente una mano, e indugia col fiato sospeso sull'attaccatura dei capelli scuri del ragazzo, sopra al collo caldo di cui sente le pulsazioni direttamente a contatto con le proprie. Esala un respiro tremolante, incontrollabile. "Non mi perderai mai."
Goodbye, my friend
Genere: Sentimentale, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'My soul is not satisfied that it has lost him'
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Pietas

 

(all i've got)

 

"Credevo che non avremmo mai finito questo puzzle, Mika..."

"Hai visto invece? Adesso mettiamo l'ultimo pezzo.

Insieme, ricordatelo."

 

I wonder how much of the day I spend just callin' after you.

Harper Lee
 

 

 

(1897)


Una luce abbagliante.

Passi incerti sulle assi di legno, un, deux, trois. Fermo. Un piccolo sorriso, anche se la luce è troppo forte per vedere a chi lo stia rivolgendo. (Se non sorride subito può scordarsi la cena.)

Poi pian piano il bianco si attenua, ritirandosi in favore dell'ombrosa folla di spettatori, ingombranti volti sfocati, sguardi sollevati verso di lui, in attesa.

Il momento arriva come se non avesse mai dovuto aspettarlo; e Mica si cala nella parte.

 

 


Le luci sulla scena di spengono quando Mica sta eseguendo il doveroso inchino, e un attimo dopo il ragazzino si affretta giù dal palcoscenico. Sente gli applausi alle sue spalle, insieme ai fischi e ai movimenti di chi se ne sta andando, e poi le sue braccia vengono avvolte da mani chiare ed affusolate– a poco più di un centimetro dal suo naso, un viso, un sorriso velatamente derisorio ma falsamente amorevole, a cui Mica ha fatto l'abitudine.

"Sei stato bravo anche oggi, tesoro" gli dice la signora, "hai recitato divinamente. La prossima volta scommetto che verranno ancora più persone!"

Mica annuisce; dischiude le labbra... ma non dice nulla.

Prende la singola fetta di pane che gli viene offerta e cerca di intiepidirla con le mani. Ma anche lui ha le mani fredde.

Escono dal teatro da quattro soldi in cui Mica si esibisce tutte le sere da quando aveva nove anni, prima con piccoli ruoli – il servetto, lo scudiero, il messaggero – a volte senza dire neanche una battuta in favore dei fratelloni, e ora che loro se ne sono andati e lui di anni ne ha quindici le parti più importanti gli toccano.

Le folle applaudono sempre; Mica non sa se alle sue performance o al suo viso.

 

 
I’m always thinking about what I’m missing. Even when I’m happy with what I have.
Alyson Noel

 

 

 

Scalcia timidamente la neve sul ciglio della strada, estraniandosi dal rumore di passanti e carrozze e zoccoli sul selciato, quando qualcosa succede.

Alza lo sguardo per rimettersi in marcia, ed allora i suoi occhi asciutti per il gelo invernale scorgono una piccola famigliola a ridosso del muro, stretta tutta insieme, per conservare il calore. Mica guarda meglio, poi; sono tutti bambini: pochi devono avere la sua età.

Dalle loro espressioni non ci mette neanche un istante a capirlo. Hanno fame, hanno freddo. Mica li conosce entrambi troppo bene. Richiama alla memoria un giorno qualsiasi prima che venisse strappato ai pietosi bassifondi dall'equipe teatrale. Perlomeno, se Mica lavora, ha quasi sempre di che mettere sotto ai denti a fine giornata.

China lo sguardo alla mezza pagnotta tra le sue mani. È mordicchiata qua e là, ed ancora fredda...

Ma Mica è certo che andrà benissimo.

Si avvicina, un passo alla volta, e non sa perché è nervoso. Certo, Mica è anche egoista; più di una volta la voce più baritona nella sua testa gli sussurra di lasciar perdere, di mangiare e che non c'è più nulla da fare per li schifosi orfani. Che non può andarsene in giro a sfamare tutti i disperati di New York. Che cosa può fare lui, alla fine? Niente, niente, niente– è soltanto un orfano  inutile anche lui, dopotutto. E quasi Mica la ascolta.

Mica è egoista, è vero, ma è anche capace della più umile tra le pietà.

Tende la pagnotta di fronte a sé, aspettando che uno dei ragazzini la afferri e la divori. Non si sorprenderebbe se non conoscessero neppure le buone maniere, e non gli importa neanche.

Però, se prima c'era il nulla e il freddo e la miseria, basta un istante perché due occhi verdi siano improvvisamente puntati nei suoi. Verdi come gli smeraldi di cui in vita sua ha solo sentito parlare, o visto di sfuggita incastonati a tiare e bracciali degli spettatori più altolocati per cui si esibisce. Mica si mordicchia la pelle secca del labbro.

"Tieni" dice semplicemente.

Il ragazzo con gli occhi verdi continua a fissarlo intensamente, come se non avesse mai visto qualcosa come Mica – forse è così? Ma non fa altro che cambiare debolmente posizione nel leggero cappotto che lo avvolge. Deve essere più grande di lui, solo di qualche anno. Mica si accorge che una bambina coi capelli castani gli si è accoccolata addosso, e le sue labbra assungono una tinta bluastra verso il centro. Mica si chiede se resterà viva ancora per molto.

Di persone morire per il freddo ne ha viste.

L'orfano mugugna qualcosa che Mica non riesce a udire.

"Chi sei" ripete, dopo diversi colpi di tosse.

Mica scrolla le spalle. Inspira, espira, e il gelo gli entra nei polmoni. "Un amico. Prendi questa", e gesticola con il pezzo di pane, "per favore."

L'orfano non se lo fa ripetere un'altra volta. Tasta la pagnotta con le dita, la guarda... come se fosse un miracolo, e i grandi occhi verdi improvvisamente a Mica piacciono un po' di più.

Forse, se li guarda meglio, ha la sensazione di averli già visti prima. Non sa dove. Non sa quando. È familiare, rassicurante.

Non è che abbia bisogno di ulteriori ragioni. Mica per una volta sorride a qualcuno.

 

 

Time is the longest distance between two places.
Tennesse Williams

 

 

(1899)

 

New York è la città d'ardesia, che si diluisce con il cielo nei nembi di fumo delle ciminiere chissà dove; l'orizzonte che non esiste si nasconde coi palazzi dai piani alti ove gracidano i ricchi a quelle loro festicciole kitsch.

"Mic! Non sporgerti così tanto, Mic!" Il tono di rimprovero si trascina via nel forte vento, oltre il bordo del tetto e nell'aerea brughiera di grattacieli che si espande da ogni parte. È un posto a metà tra paradiso e inferno, e se simili cose esistono Mica non lo sa, ma non giocherà al disilluso.

Per ora gli bastano gli occhi verdi che Mica non si stancherà mai di cercare in qualsiasi posto, tutto il tempo.

"E tu non essere così noioso" lo apostrofa. Per frenare il dibattersi burrascoso delle proprie ciocche chiare se le infila risolutamente dietro l'orecchio, poi si issa sul parapetto con la curiosa scioltezza di un bambino.

"Mi– Che stai facendo?"

Mica apre le braccia a ventaglio. Il vento è più forte qui; è come ricevere un centinaio di schiaffi in ogni parte del corpo. "Rilassati", sorride immaginando la faccia dell'amico, ad appena qualche metro alle sue spalle.

"Scendi subito. Non voglio neanche pensare di dover raccogliere le tue interiora spappolate sulla strada."

"Quanto sei pessimista!" Mica ride, un po' tra sè, perché l'adrenalina gli scorre nel collo e nelle braccia con un formicolio eccitante. "Guarda, Eric. Adesso mi metto anche a camminare." E Mica si mette davvero a camminare, sul filo di una caduta di venti metri.

 

Sembra di volare.

 

Resta senza respiro quando una mano si aggrappa fermamente al suo cappotto e lo strattona giù dal parapetto, e geme –non troppo deluso– finendo dritto tra le braccia dell'amico.

"Sei terrificante" afferma Eric contro la pelle della sua clavicola – deve chinare il capo e tendere il collo verso il basso, perché è più alto di Mica. Ma è una posizione confortevole.

Mica solleva lentamente una mano, e indugia col fiato sospeso sull'attaccatura dei capelli scuri del ragazzo, sopra al collo caldo di cui sente le pulsazioni direttamente a contatto con le proprie. Esala un respiro tremolante, incontrollabile. "Non mi perderai mai."

"Non fare queste schifo di promesse" lo riprende, ma i suoi occhi verdi –  più splendidi ed avvincenti di qualunque cosa Mica abbia mai visto – trovano quelli di colui che soleva essere un attore per il pane; fermano la sua vita, cercano un consenso.

E quello arriva. Arriva nel momento in cui Mica fa sfiorare i loro nasi – solo sfiorare; e con l'elementare intensità di occhi che si scrutano a vicenda, innamorandosi più a fondo con ogni istante. Hanno i pensieri talmente leggeri che non servono parole – quassù se lo possono permettere. Si baciano timidamente mentre, nello sfondo, la città d'ardesia vive e muta con il proprio male, rimanendo sempre la stessa.

 

You and I will spin the world to make love
Goodbye my friend
Avril Lavigne

 

 

(1900)


Chiama il suo nome. Solo il suo.

Molte parole snocciolano dalla sua lingua, rapide e fragorose quanto spari a vuoto nella notte. E Mica piange, alza la voce, implora. Ogni nome che chiama è differente dal precedente. Non sa da dove vengano, non se lo spiega.

Però ciascuno di essi si rivolge a una persona soltanto.

Vede solo le fiamme, e chiama quei nomi con lo stesso affanno. Si accorge, nel retroscena della propria mente, che alcuni sono più rigidi e complicati, ma non per questo formulati dalla sua voce con esitazione. Alcuni contengono sopratutto vocali, invece altri appartengono a culture che non conosce.

Uno dei nomi è "John", ma è sicuro di non conoscere nessun John. E altri sono "Yaël"; "Tristen"; "Viktor"; "Ant'oìne".

Gli scoppia la testa e i polmoni vanno a fuoco per tutto il fumo che gli scende nella trachea in bolle scottanti. Attorno a lui l'orfanotrofio sta bruciando.

Una trave cade dal soffitto, alla sua destra. Mica sobbalza e non inciampa per poco. Si preme una mano alla bocca e continua a salire le scale dell'edificio.

Al secondo piano lo trova. È coperto da bruciature, ceneri e pulviscolo, e sembra già passato all'altro mondo. Mica prende il suo viso tra le mani. La pelle scotta sotto lo strato viscoso di sudore freddo.

E rallenta tutto. Gli occhi verdi semi-aperti sul viso di Mica, le assi che tremano e stridono sotto le ginocchia. La bocca di Eric che si apre e Mica non può trattenersi dal toccarla con le dita– è tenera e tiepida e viva e lo inonda di un immenso sollievo. Produce una voce rauca, troppo, ma non importa. "Vai via da qui", non se ne parla, "Mica, ho detto...", "Insieme!"

Non ce la fa a sorridere, Mica non ce la fa, e per una volta non gli importa; afferra il polso del ragazzo e lo scuote, e forse è isterico ma non è certo il suo equilibrio mentale la priorità al momento, "Usciamo di qui insieme."

Una trave precipita. Rischia di distruggere le scale, ma cedono solo un paio di gradini. C'è una richiesta in quegli occhi verdi, che così, socchiusi, bisbigliano Perdonami, perdonami, perdonami. Mica vuole proteggerlo.

Cerca di sollevarlo, di trascinarlo via da quell'inferno. In parte ci riesce. Tossisce, forte, gli tremano le ginocchia– non importa. E poi avanza verso le scale–

Ma dalle scale sta salendo una figura, qualcuno,  e la vista di Mica si appanna. Magari riusciranno davvero a salvarsi. Oppure qualcosa crollerà sulle loro teste e per loro sarà la fine, insieme.

Mica si sente egoista. Mica è egoista.

Sempre insieme.

Realizza allora che in soccorso è venuto solo un uomo. Basterà. Può portare Eric.

Deve proteggerlo.


Usciremo di qui. Insieme.


"Prenda lui" dice. Prega.

 


Insieme.

 

 

 

Quando l'attore riapre gli occhi ci sono lividi sulla sua pelle, ha talmente tanta nausea che sembra di trovarsi sul filo di un volo di venti metri, ma con lui non c'è nessuno ad impedirgli di cadere.

 

 

 

 

(Il quotidiano dice che un solo ragazzo è sopravvissuto all'incendio che ha raso al suolo il Thousand Nights Orphanage.

L'eroe che l'ha tratto in salvo afferma che ce ne fosse un altro, ma già morto per i fumi al momento del suo arrivo. Il moccioso vivo cercava di trascinarlo via. "Prenda lui!"

In certe situazioni bisogna salvare ciò che resta da salvare.)

 

 

 

"Yuu-chan, io non permetterò mai che ti accada nulla di male."

"...Insieme, Mika."

 






NA: 'Sera fellas! Grazie per essere arrivati in fondo a questa one-shot, spero vi sia piaciuta. Ebbene sì, anche questo è un Soulmates/Reincarnation AU, ambientato stavolta nella New York a cavallo tra l'800 e il '900. A mio parere si tratta di una bellissima epoca, nella quale non ci vedo mai ambientate abbastanza storie! Un paio noticine e poi sparisco; - il giapponese "Hyakuya" significa letteralmente "Mille Notti", ho trovato giusto inserirlo anche in questa one-shot. - Purtroppo stavolta i nomi con cui sostituire Yuu e Mika sono scelti un po' secondo il mio gusto personale, e, se non l'ho reso chiaro, tutti i nomi che il nostro angioletto urla nell'edificio in fiamme non sono altro che i nomi di Yuu-chan in vite precedenti. Suppongo che la cosa sia dovuta ad un sentimento talmente forte (la paura) da sfiorare tasti nascosti, specialmente se provato nel corso di più vite *cough cough*. Ah, inoltre, non ho finito con questa serie. Spero che abbiate ancora la voglia di seguirla e che non stia esasperando la sezione, ops. Per questa storia consiglio (vivamente) l'ascolto delle canzoni: Run - Daughter che è MikaYuu as hell, e See you Again - cover by Madilyn Bailey.
Se avete apprezzato questa one-shot non abbiate paura a dirmi che ne pensate (le recensioni mi rendono felicissima)! E se avete delle idee o degli headcanon per delle MikaYuu storiche, da inserire in questa serie, sentitevi liberi di mandarmele e non escluderò la possibilità di svilupparle. Detto questo, un abbraccio e alla prossima!
-Amaya 

  
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