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Autore: Phantom13    17/07/2015    4 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Dopo ere geologiche di silenzio ininterrotto, Phantom ha fatto capolino nuovamente tra le pagine di EFP.
Non proverò a dare scuse perchè un ritardo così non è giustificabile: dirò solo che l'università non mi ha concesso tregua alcuna, questo semestre, e la complessità delle scene che verranno non m'è stata affatto d'aiuto. Una volta liberatami dagli impegni accademici (cioè solo alla fine di giugno), ho comunque impiegato quasi tre setttimane a scrivere il testo qui sotto. Se tra voi c'è qualcuno che scrive o scribacchia, saprà bene quanto gli ultimi capitoli siano sempre tragicamente delicati da scrivere. Dunque, capirete se ho preferito fare le cose con calma (e ciò non garantisce comunque un finale appagante. Incrociamo le dita!). 
Ora, finalmente, siamo qui, con la prima parte dell'ultima battaglia: l'assalto all'Alpha. 
L'idea originale era quella di suddividere questa sezione finale in tre parti. Ma, se nel corso del prossimo capitolo lo riterrò opportuno, potrei anche fondere la seconda con la terza parte. Vedremo ^.^ 
Resta invariato il fatto che siamo agli sgoccioli! Evviva!
Spero di non aver reso questo capitolo noioso... Ci ho provato! Come sempre, ho fatto del mio meglio! Vi lascio alla lettura,
enjoy!  



 
Capitolo 20
- Showdown -
 

La base abbandonata sotto al bosco si stava svuotando. Knuckles, Silver e Amy erano già all’esterno, ad aspettare che gli altri li raggiungessero. Tails stava finendo di ritoccare le ultime aggiunte di Omega, nell’hangar. Il Tornado X era pronto, appena di fianco ai due. Rouge si stava avviando per raggiungere gli altri, camminava ancheggiando per il corriodio accompagnata dall’inconfondibile ticchettio dei suoi tacchi vertiginosi. Vanilla era in cucina, in preda all’ansia: lei non sarebbe venuta insiema a loro, non avendo alcuna nozione di combattimento sarebbe stata più di peso che di aiuto e avrebbe rischiato di rimanere ferita se non addirittura uccisa.
Sonic adocchiò il suo alterego a strisce, appostato in disparte in fondo alla sala e gli si avvicinò, con passo rilassato.
Negli ultimi giorni, cioè da quando il riccio blu s’era svegliato a quando avevano finalmente trovato la base dei loro nemici, non aveva avuto modo di fare quattro chiacchiere da solo con Shadow, che non si era staccato per un solo secondo dal computer e per il resto del suo tempo definibile come “libero” la banda aveva provveduto a non  concedergli nemmeno due minuti di tregua.
-Ehi, Faker.- lo salutò.
Non ottenne nemmeno il solito grugnito in risposta. Venne semplicemente, interamente ignorato.
Il blu gli si affiancò, con il suo solito sorrisetto sulle labbra. Spostò rapidamente lo sguardo per un solo istante sulle gambe della sua controparte. I due segni rossastri delle cicatrici erano ancora visibili, sulla sua pelle nera, intersecati con le due striscie naturali che Shadow aveva sulle gambe. Tutto quel tempo era passato, ma Shadow ancora portava i segni della sua ultima follia con le lastre di vetro di contenimento della fiala. La fiala con l’antidoto per Tails.
Da quel che ne sapeva Sonic, le ferite di Shadow solitamente guarivano in qualche ora. Ma quelle erano lì da giorni. Un’ombra attraversò gli occhi del riccio blu, come spesso accadeva da quando aveva ripreso conoscenza: s’era fatto male sul serio quella volta, Faker.
Siccome Shadow non sembrava neanche lontanamente intenzionato ad emettere un suono, Sonic cominciò a parlare. C’era una cosa importante che voleva dirgli. Era stata un chiodo fisso per Sonic, ed ora era giunto il momento di dirla ad alta voce.
-Ti volevo solo ringraziare per … per aver recuperato la cura per l’avvelenamento di Tails.-
Il riccio blu potè quasi percepire l’irrigidimento di Shadow.
-Non è stato solo merito mio, e lo sai.- ringhiò quello in risposta.
Sonic sollevò un sopraciglio. –L’unico che ha pensato bene di tagliarsi entrambe le gambe mi risulta sia stato tu.-
Shadow fece spallucce e non disse nient’altro.
Sonic sbuffò. –Senti, certi discorsi a me non vengono molto bene: non sono bravo con le parole, ma volevo farti capire quanto io abbia apprezzato il tuo gesto. Hai salvato il mio fratellino, amico.-
Shadow digrignò i denti alla parola “amico”, ma Sonic lo ignorò e concluse. – Non sono cose che possono passare sotto silenzio, queste. Ti sono debitore: il tuo è stato un gesto senza prezzo.-
-Adesso piantala.- mugugnò Shadow.
Sonic si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. –E credo di doverti ringraziare pure per aver salvato la mia pellaccia, ma non vorrei che tutta questa gloria ti desse alla testa proprio prima di una battaglia.-
Shadow gli scoccò un’occhiata delle sue, prima di camminare via con quel suo passo rigido, apparentemente indifferente. Eppure, Sonic potè giurare di sentirgli dire qualcosa del tipo “Tu avresti fatto lo stesso” ma che, a dir la verità, suonava più come un “Tu hai fatto lo stesso”.
 
 
Cream picchiettava a terra con un piede, sulle lastre di pietra che rivestivano la Piazza Centrale. Se il nome di quel luogo mancava completamente di originalità, lo stesso non si poteva dire per la fontana che vi svettava al centro, davanti all’entrata del museo.
Era una ballerina classica, capelli raccolti a crocchia sulla nuca, volto lievemente rivolto verso terra, le braccia alzate vero il cielo, a formare un cerchio. L’acqua le scorreva sulla gonna a sbuffo, ricadendo frusciante nella vasca triangolare sottostante come se fosse stata un prolungamento liquido dell’abito di pietra. Oltre le pieghe della piccola cascata circolare si potevano intravedere le gambe della danzatrice, ma solo indistintamente.
Cream strinse gli occhi, per cercare di capire da dove fuoriuscisse l’acqua. Tutta la parte superiore del corpo della donna era asciutto, soltanto la gonna era un fiume in piena. Ipotizzò che i tubi fossero all’altezza della vita della ballerina.
Cheese le svolazzò davanti al viso, tintinnando tutto contento. Cream gli sorrise, gli diede un buffetto sulla testa e poi lo abbracciò. Lei aveva perduto l’entusiasmo per la gita scolastica mezz’ora prima.
Erano incolonnati, tutti loro, classe e docenti, all’esterno del museo d’arte. Nemmeno erano entrati e già quella visita non prometteva gioia o avventure. Cream si sarebbe divertita moltissimo a correre per tutte le sale, con Cheese, a scorpire ogni tela, ogni quadro, lasciandosi immergere da quel torrente di colori, se solo li avessero lasciati entrare!
 
 
Shell era in piedi, davanti alla finestra nel soggiorno ad osservare con occhio attento la fiumana di automobili che ingorgavano la strada sottostante. Distrattamente si accarezzava un braccio.
Da una settimana era cominciata la sua indagine approfondita sul mistero di Shadow, da molto più tempo invece ne seguiva il caso. Aveva raccolto informazioni, molte informazioni, andandole a riesumare dagli archivi più minuti e impensabili, dove i loro nemici non avevano pensato di recarsi per ripulire da ogni memoria la storia del riccio nero.
Sospirò e si voltò. La bruna, vecchia Emma, seduta sul divano, le sorrise. Lei, la donna che l’aveva indirizzata sulla giusta strada all’inizio di tutta quella storia. –Allora, cara, cosa sei riuscita a scopire sul nostro riccio Ombra?- chiese, dolcemente.
Shell la guardò negli occhi. Non riuscì a capire che sorta di pensieri vi aleggiassero: sembrava imperturbabilmente calma. Riordinò rapidamente le paginate di ricordi, sfogliò mentalmente tutte le sue ricerce, e cominciò ad esporre i pochi dati certi che possedeva.
Ci volle meno tempo di quanto avesse pianificato.
–A grandi linee è tutto.- concluse Shell. -Ma questo già me l’avevi detto tu.- il suo sguardo color acquamarina si congelò. –E qui sta il punto!- esclamò la gabbianella, voltandosi verso Emma. –Se è davvero l’eroe che sembra essere, perché diamine tutto il mondo è convinto del contrario? Perchè hanno dimenticato? Perché un’organizzazione di biotecnica gli sta dando la caccia così spietatamente? Perché il governo di questo pianeta (come del nostro) ha una paura così folle di lui?- Shell schioccò la lingua, piegò la testa di lato. –Alcune fonti dicono che lui ha avuto a che fare con la biotecnica in passato … ma non so in che misura, in quale circostanza o in quale ruolo. Ad essere onesti, so solo quello che ha fatto, ma non chi è.- fece un'altra pausa, quasi sperando che Emma dicesse qualcosa, ma così non accadde. Il silenzio la spronò a proseguire. –Non ha famiglia. Non ha genitori. Nessuna laurea, nessuna scuola. Mai finito in ospedale, anche se di gente ce ne ha mandata molta. Si direbbe che legalmente non esista!-
Emma sorrise ancora una volta, cordiale. –Te l’avevo detto, figliola: lui è un’ombra. Vedo che hai fatto bene i tuoi compiti, mi fa piacere.-
Shell la fulminò. –Come sarebbe a dire?! Ti ho appena rivelato che non so niente di niente su di lui, tranne un elenco completo di improbabili battaglie!-
Wind, appoggiato di schiena contro lo stipite della porta, aggrottò la fronte, confuso come la sua consorte. L’aquila aveva insistito per ascoltare la conversazione: oramai era coinvolto pure lui, sebbene non proprio volontariamente. Per il bene del suo amato mucchetto di piume bianche si sarebbe tuffato in picchiata in qualunque pasticcio, tipo quello.
-Così deve essere, infatti.- disse Emma. –Non saprai mai tutto di Shadow … esattamente come lui stesso, immagino. L’essenziale, però, l’hai scoperto: le nozioni che permetteranno di diffondere la verità sulla sua innocenza e di smascherare gli impostori che lo inseguono.-
Shell e Wind si scambiarono un’occhiata.
Entrambi avevano l’impressione che lei sapesse molto più di quanto volesse dire. In particolare, sembrava perfettamente a conoscenza di quei tasselli mancanti che tanto irritavano i due alati.
Shell incrociò le braccia. –Credo sia giunto il momento in cui riveli tutta la verità. Come fa Shadow ad avere più di cinquant’anni? In che misura è stato coinvolto in ricerche biomeccaniche? Perché lo vogliono catturare, se non è un criminale come invece lo dipingono?-
Emma si alzò in piedi, annuendo.
Forse, finalmente, …
Un rimbombo li fece sobbalzare tutti e tre. Un forte rumore di legno spezzato, proveniente dall’entrata.
Shell fece giusto in tempo a realizzre che qualcuno aveva appena abbattuto la porta di casa, che una sagoma scura sfrecciò lungo il soffitto, stridendo e fischiando.
La coda dello scorpione scattò e colpì il bersaglio, sollevando Emma da terra con il contraccolpo. La donna gridò, scalciando l’aria con i piedi, afferrando con entrambe l’appendice dell’aracnide il cui pungiglione le aveva trafitto il petto.
Il mostro stridette ancora, spalancando le chele. Inclinò ancora di più la coda, rigirando il pungiglione nella piaga e lasciando che la gravità facesse il resto.
La punta accuminata, lucida di sangue e veleno, affiorò dalla schiena della donna, che smise di muoversi.
Shell aveva un grido impigliato in gola, metà della sua mente le ordinava di scappare, l’altra metà di correre da Wind, ma il suo corpo pareva pensarla a modo suo.
Lo spostamento d’aria la schiaffeggiò, arruffandole i capelli. Le ali di Wind tagliarono a metà il salotto, sfiorando con le punte sia il soffitto che il pavimento con uno schiocco secco. Lo scorpione fece scattare le chele affilate ma riuscì a tranciare solo un ciuffo di piume. L’aquila passò volando sotto la creatura vagamente metallica e la sua preda penzolante, ribaltando il tavolino che stava da anni al centro della stanza. In una frazione di secondo fu addosso a Shell, la afferrò e la spinse indietro, sempre in volo. La gabbianella, ancora stravolta dall’orrore, realizzò in ritardo che il suo futuro marito l’aveva appena buttata fuori dalla finestra. Il vuoto allo stomaco stritolò quel poco di autonomia che le rimaneva. Vide Wind scagliarsi fuori appena dopo di lei, richiudendo le ali per passare attraverso la stretta apertura per poi spalancarle una volta fuori. Il sole filtrò attraverso le lunghe penne brune, Wind piegò la testa. I suoi occhi d’oro la individuarono e l’agganciarono. Diede un lieve colpo d’ali, si stabilizzò e le richiuse di colpo, scendendo in una breve picchiata fino a lei. L’afferrò con gli artigli e frenò la caduta.
Da dentro l’appartamento provenne un ultimo stridio di rabbia. Wind girò la testa indietro, come a controllare che lo scorpione non si fosse gettato fuori per inseguirli. Così facendo distolse l’attenzione dalla direzione di volo e un mezzo grido allarmanto fece sobbalzare entrambi.
Un povero riccio bianco che passava da quelle parti sterzò di colpo per riuscire ad evitarli e andrò a sbattere contro il corpo del palazzo.
-Ehi! Guarda dove vai!- lo rimbeccò il mobiano irsuto, avvolto da una misteriosa aura azzurra.
Shell e Wind lo guardarono sorpresi, ancora sopraffatti dall’orrore. Se non avessero appena visto ciò che avevano visto nel loro appartamento, si sarebbero meravigliati di incontrare un riccio volante. –Ci scusi.- ritrovò la parola Wind.
L’aquila scese ancora di quota e in tutta fretta si allontanò da lì.
Shell, stretta nel suo abbraccio, piangeva.
 
 
 
-Ehi! Guarda dove vai!-
-Silver! Cos’è successo?-
-Tutto bene?-
Shadow sbuffò. Appostato in cima ad un grattacelo qualunque, osservava con occhio annoiato le truppe di Mecha parcheggiate appena sotto di lui. Tutti loro, la banda di pazzoidi composta da Sonic, Silver, Knuckles, Tails, Omega, Amy e Rouge, avevano degli auricolari speciali, collegati via radio tra loro tramite una frequenza protetta ideata da Tails che avrebbe permesso loro di rimanere in contatto pressochè sempre e ovunque. Se già all’inizio Shadow non era stato entusiasta di dover rinunciare alla sua solitudine e alla sua tranquillità (indispensabili in una missione, specialmente se delicata come quella), dopo soli cinque minuti s’era convinto di aver avuto assolutamente, innegabilmente, inconfutabilmente, irrimediabilmente ragione.
Non stavano zitti un secondo!
Ogni singola parola che veniva detta, veniva udita dagli altri. Cosa che scatenava commenti a catena, con un fastidiosissimo effetto domino. Se uno solo apriva bocca, era assicurato un quarto d’ora buono di chiacchiere inutili.
Dunque, all’esclamazione allarmata di Silver, che probabilmente aveva avuto una qualche sorta di frontale con un mobiano di passaggio o forse con un piccione, era seguita una pioggia di commenti più o meno inutili. Shadow aveva il sospetto che la quasi totalità di essi era nata per il semplice entusiasmo di provare la nuova tecnologia fornita da Tails.
Silver non aveva emesso alcun verso di dolore, era ovvio che stava bene.
Ma Sonic, Amy e Knuckles  non sembravano pensarla allo stesso modo.
La risata di sottofondo di Rouge lasciava intendere che avesse indovinato i pensieri del riccio nero.
Shadow attese con una pazienza che non sapeva né sperava di possedere che la banda di decelebrati con cui si ritrovava a lavorare si calmasse.
La voce della saggezza li riportò all’ordine. –Ragazzi!- esclamò Tails. –Concentriamoci!-
-Ben detto!- gli fece eco Sonic. Un altro commento con alta percentuale di utilità.
-Ripassiamo il piano ancora una volta?- propose il volpino.
A quel punto, Shadow decise di averne abbastanza. –Il piano l’abbiamo già ripassato cinque volte nell’ultima mezz’ora. Adesso basta. Si entra in azione.-
-Sono d’accordo.- confermò Rouge.
-Siete tutti in posizione?- chiese Sonic. Un rumore indecifrabile composto da troppe voci seguì la domanda del riccio. Shadow lo interpretò come un sì. Lo stesso fece Sonic. –Bene! Allora si comincia!-
-Sonic, Shadow, buona fortuna!- trillò Tails.
Shadow era già in piedi e aveva smesso di ascoltare. Gettò un’altra occhiata ai mecha quarantotto piani più sotto. Calibrò con calma la distanza ancora una volta, poi prese la rincorsa e si scagliò giù. Correva contro la fiancata del palazzo, operazione che solo la sua velocità disumana poteva consentirgli. Seguendo la carezza dalla buona, vecchia gravità ottenne in una manciata di secondi un’accelerazione formidabile. Arrivato al penultimo piano di distanza dal suolo, puntò i piedi contro una sfortunata finestra e spiccò un salto. Atterrò su un mecha non troppo distante, il metallo si accartocciò come gomma, attutendo la frenata del riccio e scatenando una serie di lucine lampeggianti e suoni d’allarme tra i sensori degli altri mecha tutt’attorno. I due umani che si ritrovavano a dover sorvegliare le unità da combattimento si pietrificarono sul posto. Fissavano Shadow con occhi terrorizzati da pulcini, come se si fossero improvvisamente trovati davanti il diavolo in persona.
Shadow si rialzò in piedi (era atterrato piegando le ginocchia) e ricambiò l’occhiata dei due. Era cosciente del fuoco che stava cominciando a divampare nei circuiti del robot così come sapeva del fumo che si stava levando da esso alle sue spalle. Facendo due conti, doveva essere una scena abbastanza spaventosa per i due malcapitati.
Sentì la temperatura aumentare, più rapidamente del dovuto, sotto le suole delle sue scarpe. Shadow flettè un ginocchio e saltò a terra, slanciandosi a corsa in avanti. Sfrecciò accanto ai due soldatini e gareggiò in velocità con l’onda sonica dell’esplosione del mecha atterrato. Corse con essa per un po’ e poi decise di superarla. Una seconda onda d’urto si propagò, da lui questa volta, e il bang sonico(*) mandò a gambe all’aria l’intera sezione di mecha al limitare del campo.
-Ho visto un’esplosione!- comunicò Knuckles.
Shadow lo udì appena, rallentò la corsa per permettere alle lattine ambulanti di raggiungerlo.
-L’ho vista anch’io! Vai Shadow!- questa era Amy.
Un elicottero sferragliò nel campo visivo del riccio. Shadow sterzò a destra, guardò indietro per controllare se i mecha l’avessero effettivamente raggiunto oppure no. Niente di niente, non erano neanche vagamente visibili. Poco male, si disse, doveva sembrare un attacco convincente, rallentare troppo avrebbe causato sospetti.
L’elicottero gli rimase attaccato alla coda. Shadow si lasciò seguire per un po’, prendendo una direzione puramente casuale ma ricca di curve e pieghe, come se stesse provando a seminare l’inseguitore volante. Di colpo eseguì uno scatto che lasciò il pilota di stucco. Shadow corse, piegò di trecentottanta gradi e tornò indietro puntando dritto ad un secondo luogo di raccolta delle truppe. Accelerò e compì una mossa simile alla precedente: atterrò a piedi pari sul fusto di un carroarmato, ripiegandone il cannone come un pezzo di burro. Urla di allarme da parte dei soldati rieccheggiarono un po’ ovunque, ma Shadow era già sparito un’altra volta.
Si infilò in autostrada, correndo nella corsia d’emergenza, e puntando ad un terzo accampamento. Gli elicotteri che lo seguivano ora erano due.
Erano armati, notò il riccio, ma non sparavano. Bene, sorrise tra sé. –Confermo: la nostra supposizione era corretta. Non aprono il fuoco in territorio civile per paura di ferire i cittadini.- comunicò agli altri.
Un coro di espressioni di sollievo seguì le sue parole. –Bene, Shadow. Continua comunque a tenere gli occhi aperti, non sappiamo se cambieranno strategia o meno.- disse Tails, uno dei pochi ad avere un senso pratico, oltre a Shadow stesso e Rouge.
Sonic rise. –Ottimo! Allora entro anch’io: ingaggio!-
Un suono confuso e sfrangiato  sfarfallò nell’auricolare di Shadow, probabilmente il vento che aveva coperto le ultime parole di Sonic, che evidentemente aveva cominciato a correre.
Sorrise. C’era il ladro in azione. C’era la guardia in azione. E c’era il mondo pronto a guardare. Ci sarebbe stato da divertirsi.
-Tutti gli altri. Tenetevi pronti. Appena la pista da ballo si libera, toccherà a noi!-
In un certo senso, Shadow ancora non s’era abituato a vedere un Tails così autoritario. Tanto meglio.
Raggiunse un altro punto di raccolta di mecha, identificato da Silver e Knuckles nell’ultima settimana, trapassò da lato a lato due mecha uno dietro l’altro e poi sparì di nuovo.
Prese una strada, superò tutte le auto che incontrò, facendone quasi schiantare una, e poi curvò di colpo, infilandosi in una strada pedonale appena lì di fianco. Dovette per ovvie ragioni rallentare drasticamente l’andatura ma ottenne comunque il suo scopo: praticamente tutti coloro che si ritrovavano a fare spese in quella zona lo notarono, lo additarono, si misero a gridare in preda al panico, estrassero cellulari provando pateticamente a fare delle fotograrie, o svennero sul posto.
Gli elicotteri erano diventati quattro.
-Su dieci punti di raccolta di unità, cinque sono in movimento e altri tre lo saranno in un paio di minuti.- comunicò Silver, dall’alto.
Shadow chiese indicazioni più precise riguardo le coordinate e si diresse a “svegliare” uno dei due gruppi che ancora non s’erano accorti dell’allarme generale.
Intanto, Sonic aveva attraversato la città, aveva raggiunto la sua posizione e stava cominciando la sua recita. Prima ci fuorono un paio di semplici risposte all’indirizzo di soldati più o meno sorpresi di vederlo vivo e vegeto dopo le ultime notizie di quei giorni. –Non è questo il momento per le chiacchiere, siamo sotto attacco! Seguitemi! Vi condurrò da lui!-
-Gruppo mecha numero tre sta seguendo Sonic.- comunicò Silver. –Si dirigono verso … nord-ovest.-
-Shadow: attira le truppe verso sud-est!- la direttiva di Tails era completamente inutile. Il riccio nero stava correndo in cerchio nell’area di sud-est da almeno cinque minuti.
-Già in posizione. Tutto quello che vedo sono quattro elicotteri, un branco di giornalisti impazziti ma niente truppe.-  disse.
-Mecha della sezione uno, due, cinque e otto in avvicinamento rapido. Shadow, tieniti pronto.- avvisò Silver. –Incontro stimato tra: due minuti.-
-Ho fame.-  brontolò Knuckles.
Il rintocco della martellata di Amy fece sobbalzare Shadow. –Fa’ silenzio, idiota!- ruggì l’amabile confetto.
-Sonic, recupera le truppe dei gruppi sette e quattro al più presto e portali via: si stanno dirigendo verso Shadow.- disse ancora Silver, il loro osservatore dall’alto.
-Ricevuto!- un esitazione. -Come “Ricevuto cosa?”. È il mio informatore privato, questo qua! Miles Tails Prower! Ci dice che Shadow sta scappando verso nord! Dobbiamo muoverci o lo mancheremo! Cosa? Non me ne importa niente di cosa dicono i tuoi superiori con le radio! Chi è l’eroe che ha salvato la Terra!? Lui o io? Muoviti e non discutere! Io so dove sta andando Shadow e a cosa sta mirando, e, fidati, non è a sud! Màrche!-
Un attimo di silenzio generale. –Va bene, vedrò di far saltare la loro rete di comunicazione prima che scoprano il tranello.- borbottò Tails.
-Cosa vi pagano a fare, si può sapere? Datevi una mossa con quelle carcasse metalliche! Pure Eggman è più veloce di voi! E Shadow non resterà qui per sempre! La volete la promozione o no?!- ruggì ancora Sonic, tutto preso dall’esortare i suoi soldati.
-Tails?! Hai appena tolto la luce?- chiese Amy, irritata. –Ci hai lasciati nel buio più completo!-
-Errore mio, ci sono quasi. Un attimo di pazienza.-
-Shadow, hai i gruppi mecha otto e nove alle spalle.-
-Difficile non vederli. Penso di avere il due e il cinque di fronte. Dov’è l’uno? E il nove non doveva prenderlo Sonic?-
-Tra la quarantesima e la trentacinquestima. Vedrai l’uno tra … meno di un minuto. Sonic! Hai fatto scappare il nove! Datti una mossa!-
-Non abbiamo tutte le ere geologiche dell’universo per attraversare questa città! Forza miei brodi!-
-“Miei prodi”…-
-Miei prodi!-
-È patetica questa situazione …-
-Come sarebbe a dire che le vostre comunicazioni con il quartier generale sono saltate? Ricontrolla! … ma non smettere di guidare questa carretta, altrimenti arriveremo domani! E non mi importa se ti danno la multa per guidare e traficare con aggeggi elettronici allo stesso tempo! Conosco il presidente, farà uno strappo alla regola per te! Oh, mi dici che ora stai prendendo il canale televisivo con la pubblicità della CalzeDonna con la radio?! Che scemenza è questa?!-
Risate isteriche da parte di Amy, Knuckles e Tails. Evidentemente, il volpino stava giocando con le comunicazioni, con qualche effetto collaterale imprevisto.
-E poi non sto ridendo! Ti sembra forse che rido?-
-Tesorucci miei: l’aviazione è entrata in azione.- comunicò Rouge. –Tre aerei da combattimento.-
-Bene: cambio ruolo. Rouge, a te l’osservazione aerea. Silver: ingaggio!- anche il riccio bianco si unì alla festa.
-So che è inutile ma … Silver, ricorda che nel nostro mondo le automobili non si possono usare come proiettili. Hanno dei proprietari che potrebbero anche trovarcisi dentro. Dunque … non lanciare nessuna automobile!- disse Tails.
Ci fu un attimo di silenzio. –Ma certo! Lo so bene, cosa credi?!-
Shadow cominciava ora ad ad avere difficoltà a seguire il discorso e la strada allo stesso tempo. Aveva il suo buon daffare a tener d’occhio il numero considerevole di mecha che gli stava alle costole.
Stavano tentando di accerchiarlo, senza fare fuoco. Le due ali di volti terrorizzati e innocenti dei cittadini attorno a Shadow stavano svolgendo il loro ruolo. I mecha avevano le armi puntate ma senza proiettili in canna. Se avessero fatto fuoco e se Shadow avesse evitato il colpo (come sicuramente avrebbe fatto) una o più vite sarebbero state troncate, dietro o attorno a lui.
Dai volti contratti dei soldati, Shadow intuì che la cosa doveva dar loro un certo fastidio. Continuavano a parlare freneticamente alla radio, contattando il quartiere generale e tentando di trovare una soluzione: non si poteva combattere finchè c’erano tutte quelle persone. Se  non si può abbattere il nemico, bisogna seguirlo e tenerlo d’occhio.
E su questo Shadow aveva contato, quando lui e gli altri avevano ideato il piano: distrarre i soldati, condurli a distanza di sicurezza; lasciare che Tails e gli altri si infiltrassero, con l’aiuto di Rouge (contro il parere di Shadow) e, una volta trovato un posto sicuro, la Forma di Vita Definitiva avrebbe saputo dove direzionare il suo Chaos Control, senza far scattare allarmi o trappole; i soldati, all’esterno, sarebbero stati impegnati a sufficienza da non accorgersi che il loro obbiettivo era intento a fare a pezzi i loro mandanti.
Shadow riprese a correre, zigzagando tra cappanelli di cittadini pietrificati. Vide con la coda dell’occhio una donna di mezza età farsi il segno della croce, una lacrima di paura lungo una guancia. Tutto il corteo armato si precipitò ad inseguire il riccio.
Shadow mantenne un ritmo di corsa rapido, ma non troppo, lasciandosi seguire ma senza dare l’impressione di farlo volontariamente. E intanto la distanza tra lui e il punto in cui doveva trovarsi la base Alpha aumentava sempre di più.
-Espio a rapporto. Vector mi ha appena comunicato che tutte le scartoffie sono state consegnate alla Mobius-Earth News TV. Ora sto raggiungendo la mia posizione. Passo.- la voce del camaleonte ninja fu una piacevole sorpresa.
-Ottimo!- esclamò Tails.
-Però abbiamo perso i contatti con la nostra giornalista. Avrebbe dovuto venire con noi a consegnare i documenti ma non s’è fatta vedere. Passo.- aggiunse Espio.
Shadow ringhiò. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo che era una traditrice. Una pessima idea!
-Crediamo che sia stata scoperta e catturata. Passo.- continuò il Chaotix.
-Purtroppo non credo sia possibile organizzare una missione di salvataggio ora…- disse Tails.
-Emergenza!- la voce di Silver fece trasalire tutti, soprattutto il tono d’urgenza con cui disse quella singola parola. –Non erano tr… aerei! …. È un …. Mai visto una cos …così prim…!-
-Silver! Silver! Rispondi! Cos’è successo? Silveeeer!- la vocina di Tails tradiva il panico nascente.
Shadow realizzò di aver smesso di correre. Si costrinse a muovere le gambe e magari anche a controllarne la direzione.
-Come sarebbe “non erano tre aerei”? Io ne ho contati tre! Silver!- anche Rouge pareva essere in agitazione.
-Il terz…. Non … aereo. È qualcos’altro che … io …- l’urlo di dolore che seguì quelle parole fece sobbalzare Shadow, che finì per centrare in pieno una panchina. Ruzzolò a terra e rotolando su sé stesso si rimise in piedi sfruttando il proprio slancio. Con la rotula destra che pulsava selvaggiamente riprese a correre con meno convinzione di prima. Potè solo immaginare quali fossero i pensieri dei suoi inseguitori dopo aver visto il famigerato ricercato schiantarsi senza motivo contro una panca qualunque. Imprecò mentalmente.
Tutti, intanto, continuavano a chiamare il riccio bianco ma quello non rispondeva.
-Abbiamo perso la linea!- ruggì Tails. –Non riesco più a contattarlo!-
-Che diamine è successo?-
-Silver!- era Sonic, questo, che evidentemente aveva mandato a quel paese la sua recitazione, almeno per il momento.
Una scintilla di frustrazione intanto pizzicava la mente di Shadow. Mai una volta che si potesse compiere una missione normale senza che qualcuno si cacciasse nei guai!
Se da un lato il riccio nero era impegnato a prendersela con l’incompetenza o la sfortuna dei suoi compagni di squadra, dall’altro stava calcolando mentalmente come fare a raggiungere il suddetto compagno. Tra la sua posizione attuale e il luogo finale che avrebbe dovuto raggiungere mancavano ancora … circa dieci minuti di corsa fino al punto in cui avrebbe potuto scaricarsi di dosso le truppe. E … andando molto in fretta avrebbe potuto riattraversare tutta la città e dirigersi all’area in cui si trovava Silver in circa … quindici minuti. Ma che andava a pensare! Aveva il teletrasporto, lui! Mezzo secondo per andare da Silver, una volta scaricate le truppe. Accelerò l’andatura al massimo sostenibile dai mecha che gli stavano dietro, armi puntate. Aveva smesso di ascoltare le loro intimazioni di arrendersi urlate al megafono parecchio tempo prima.
Si trovava ora in una strada in cui, teoricamnte, avrebbero dovuto passare delle automobili. Realizzò con un certo ritardo che di automobili non ve n’erano più. Silver l’avea distratto per quei pochi minuti che erano bastati a far mutare la situazione.
Due aerei da combattimento lo superarono in volo, rombando.
Le persone che un attimo prima affollavano stupefatte i marciapiedi ora erano tutte rintanate dietro vetrine, porte e fineste. Gli ultimi ritardatari venivano trascinati dentro a forza. Alcuni soldati aiutavano le operazioni.
Stavano creando l’area per combattere, stavano facendo piazza pulita per poter aprire il fuoco a volontà. Alcune unità d’assalto, mecha con piloti umani, uscirono da alcune vie laterali. Probabilmente per rallentare il riccio.
-Hanno cominciato ad organizzarsi.- comunicò agli altri. –Stanno sgomberando le persone.-
Scavalcò il primo dei due mecha che gli si erano piazzati di fronte, schivò il secondo e … poi sentì lo sparo.
Non capì né chi avesse fatto fuoco né verso quale bersaglio, poiché lui non provò dolore e nepure vide esplosioni o altri segni che indicassero un fallito tentativo di colpire lui.
Con la coda dell’occhio colse un movimento alla sua destra. Le piastre che ricoprivano il muro di un centro commerciale alla sua sinistra si screpolarono, sbiciolandosi.
E poi Shadow perse il contatto con il suolo.
Il sottile, trasparente e praticamente invisibile cavo, teso da un lato all’altro della strada tramite la fiocina che era appena stata sparata, gli bloccò entrambe le gambe. D’istinto le mosse in avanti per prevenire la caduta, ma il cavo, fine ma duro come titanio, resistette. Non così accadde per le sue gambe. Il filo gli tagliò la pelle, i muscoli sotto e si conficcò nell’osso. La fiocina venne strappata dal muro, portandosi dietro una buona fetta di mattoni e intonaco, svellendo metà parete. Il mondo di Shadow si capovolse interamente e poi atterrò di testa, fece appena in tempo a portare le braccia davanti al viso, ben sapendo che sarebbero state inutili per parare una caduta da duecentocinquanta all’ora circa.
Riprese conoscenza un centinaio di metri dopo. Aveva la vista per metà offuscata, non si sentiva più la testa, la schiena mandava lampi, aveva le braccia spellate fino ai gomiti e delle gambe aveva perso ogni notizia. Ignorando i gemiti del collo, abbassò lo sguardo per controllare che fossero ancora tutte e due lì. Un secondo paio di tagli, parallelo al primo, si era unito alla sua collezione di segni rossi. Shadow imprecò quando realizzò che il cavo era rimasto conficcato nella ferita. Lo afferrò con entrambe le mani e lo strappò via, prima dalla gamba sinistra e poi dalla destra, stringendo i denti e sputacchiando imprecazioni. Potevano reggere il suo peso anche in quelle condizioni? C’era un solo modo per scoprirlo.
Quando si girò a pancia sotto per tentare di rialzarsi, si accorse di avere anche una costola rotta. O forse due. Riuscì comunque a rimettersi in piedi, non senza un paio di fastidiosi capogiri. Masticando un gemito e un’altra imprecazione, quando il dolore lo trafisse capo a piedi. Almeno pareva che le gambe reggessero. Si costrinse a regolarizzare il respiro. Si portò una mano alla fronte, sperando che il mondo smettesse di vorticare, e si asciugò il sangue che minacciava di colargli negli occhi.
Della ricetrasmittente non v’era più traccia.
Se l’era cavata relativamente bene, per essere inciampato a quella velocità contro il grezzo asfalto. Ma, più delle scorticature e dei tagli, gli bruciava l’essere caduto nella trappola come un principiante e di essersi fatto abbattere dal cavo per una sua stupida mancanza di attenzione. Il suo orgoglio reclamava vendetta sanguinosa e riscatto immediato.
Realizzò di avere un notevole numero di mecha e soldati piazzati ad entrambe le direzioni della strada. Una trentina a destra, una trentina a sinistra. Del resto, avevano avuto tutto il tempo di raggiungere le loro posizioni. Nell’area vuota al centro c’era solo lui. E una coppia di soldati, probabilmente avvicinatisi per controllare lo stato del riccio, ora voltati di spalle intenti a dileguarsi in tutta fretta, a ragion veduta. E poi c’era anche quell’altro, il tizio che aveva tenuto l’altra estremità della fiocina e che era stato trascinato faccia in avanti dalla spinta di Shadow insieme a gran parte della parete in cui l’uncino s’era conficcato, malconcio in egual maniera.
Il fiero riccio nero non impiegò più di un secondo a riconoscerlo e a coalizzare contro di lui il suo rinnovato malumore.
Teta ghignò, rialzandosi. Gli mostrò le zanne e ruggì, sfoderando gli artigli ricurvi, tra le dita stringeva ancora l’altra estremità del cavo.
Shadow gli resituì il sorriso, fece scrocchiare le nocche per poi unirle ostilmente nel gesto universale di “adesso te le suono!”.
–Questa sarà l’ultima volta che intralcerai la mia strada!-
 
 
Sonic deglutì. Un’altra voce s’era spenta nei suoi auricolari. Come se l’improvviso silenzio di Silver non fosse stato sufficientemente inquietante, ora ci si metteva anche Shadow!
Il riccio blu impallidì e, deglutendo, si chiese cosa fare. Sentiva quasi le gambe prudergli dalla voglia di correre dai due amici nei guai (perché solo un cataclisma ciclopico avrebbe potuto zittire a quel modo due combattenti formidabili come Shadow e Silver).
Ma, forse per la prima volta in vita sua, invece di partire a correre alla velocità del suono, rimase fermo a pensare. La prima cosa che la sua mente gli pose davanti agli occhi, oltre all’elenco scalciante di idee, ricordi rabbiosi e angosce di passaggio, fu il viso di Tails. Considerò dunque l’incolumità dei suoi compagni di squadra, sparpagliati per tutta la città. Considerò il loro piano d’origine e le eventuali conseguenze di una sua corsa imprevista. Sentiva le loro voci allarmate che gli ronzavano nelle orecchie ma lui non vi prestava troppa attenzione. L’unico che aveva l’effettiva possibilità di fare qualcosa per Shadow e Silver (ammesso che avessero davvero bisogno di aiuto) era lui. Nessun altro nel gruppo possedeva la sua rapidità di movimento, né poteva allontanarsi dalla propria postazione senza creare sbilanciamenti irriparabili per i loro fini.
Concluse di aver portato la sua manciata di soldatini ad una distanza tale da imporre loro una considerevole quantità di tempo per tornare in centro città e prestare eventuale soccorso ai ricercatori, che a breve si sarebbero trovati in spiacevole compagnia. Per quanto lo riguardava, dunque, aveva tolto di mezzo le truppe assegnatoli, cosa che si sarebbe rivelata inutile se Shadow non fosse riuscito a fare altrettanto con le sue. Ed era necessario che tutte le singole truppe fossero a distanza di sicurezza dalla Base Alpha per far sì che Espio, Rouge, Tails, Knuckles, Amy e il resto dei Chaotix ottenessero la possibilità di entrarvi senza doversi preoccupare di sconvenienti rinforzi esterni.
Sonic prese la sua decisione.
Sfoderò ogni sua stilla di carisma e si volse verso i suoi soldatini in marcia, a bordo di mecha, carri armati e altri veicoli più o meno esotici che avrebbero fatto andare in defibrillazione Tails.
-Signori miei, è sopraggiunto un problemino.- Tutto il pubblico a portata d’orecchio, principalmente ufficiali, concentrò su di lui l’attenzione. –Pare che abbiamo bisogno di me altrove. Posso perciò affidare a voi il difficile incarico di giungere al punto che già vi avevo indicato? Posso contare sulla vostra intraprendenza e buon senso per continuare a marciare fino al punto stabilito?-
Sonic notò una qualche occhiata perplessa e qualche fronte aggrottata ma i cenni affermativi e gli sguardi d’intesa furono la maggioranza. Scambiò un ultimo cenno d’intesa, un ultimo gesto d’incoraggiamento e corse con il suono, via da lì.
Nell’animo del riccio, la fastidiosa scintilla di senso di colpa lo punzecchio ancora un poco, nel profondo della coscienza. Proprio non era abituato a mentire, e tutto il suo essere si ribellava selvaggiamente all’idea di sfruttare a quel modo la fiducia che la gente riponeva in lui.
E quella fiducia era una delle cose a cui teneva di più. C’era ben poco altro che avesse per lui un tale valore. Era per quelle persone, per quegli occhi e per quei sorrisi che lui si alzava ogni mattina. Ogni robot distrutto, ogni piano di Eggman infranto, ogni minaccia respinta a calci era per loro.
Forse per la prima volta, Sonic si trovava deliberatamente ad approfittare di quel prezioso sentimento, ingannandolo e imbrogliandolo, giocando sul fatto che quegli uomini gli avrebbero creduto nonostante tutto. Al di fuori della portata dei sistemi di comunicazione, dovevano scegliere tra le direttive dei loro capi e le parole di Sonic, tra lealtà e fiducia, avrebbero scelto fiducia. Mal riposta, in quel caso.
Ma è per il loro bene, si disse. Eppure, dopo la centesima volta quella misera frase aveva perso gran parte del suo fascino.
La sensazione di non meritare più quegli sguardi, né in quel momento né in quelli futuri, non si staccò dalla spina dorsale del riccio quando questi partì a corsa, dopo qualche ultima parola di incoraggiamento. La loro fiducia ora gli pesava nel petto, tanto da minacciare gli spiacciargli il cuore.
Eppure, nonostante tutto, lo sgomento di sentire le voci delle persone che amava spegnersi era anche cento volte più indigesta.
Come una bolla di sapone scoppiata, ridivenne cosciente della situazione all’esterno del suo cranio. Improvvisamente riprese consapevolezza dei commenti radio dei suoi compagni, quelli che restavano almeno. Udire le loro parole e le preoccupazioni per i loro due più potenti alleati e amici, diede una scossa a Sonic che riuscì a rappacificare mente e cuore: aveva fatto la cosa giusta.
Preferendo evitare l’eterno questio sul fine che giustifica i mezzi o meno, si concentrò sulla sua corsa e sull’imminente salvataggio.
Se un attimo prima s’era sentito allontanare dal suo adorato ruolo di “eroe senza macchia e senza paura”, ora vi si ritrovò avviluppato: stava andando a salvare i suoi amici, dopo tutto! …anche se uno dei due l’avrebbe accolto a suon di insulti e imprecazioni, se non a calci, per non aver seguito il piano alla lettera per l’ennesima volta.
Sperò solo di ricordarsi le sue salde motivazioni quando la Forma di Vita Definitiva l’avrebbe spedito in ospedale per davvero. E il mondo avrebbe avuto la prova lampante che chi passava sotto gli artigli di Shadow e aveva la fortuna di finire al sanatorio e non all’obitorio, non avrebbe mai e poi mai avuto la bella cera che ora Sonic poteva ostentare.
Ben presto, la velocità del riccio seminò pure i pensieri, oltre che i suoni del mondo. Ogni grammo di concentrazione di Sonic andava speso per tener sotto controllo il panorama che gli sfrecciava attorno follemente, talmente rapidamente che nemmeno il fruscio del vento nelle orecchie riusciva a raggiungere il timpano, veniva semplicemente lasciato alle spalle, insieme a tutto il resto.
Ogni sassolino, ogni radice, ogni moscerino non poteva venir ignorato se non con gravi conseguenze. Sonic correva, il mondo pareva rallentato fin quasi all’immobilità, l’unica cosa che ancora era dotata di movimento era il suono, fosse esso prodotto da Sonic stesso o dal resto del creato.
Che gli credessero o meno, sbagliare strada quando ci si spostava a quattrocento e passa all’ora era anche fin troppo facile, specialmente in città. Un battito di ciglia (perché bisognava pur batterle ad un certo punto) e l’uscita laterale che ti serviva si ritrovava ad un paio di centinaia di metri più in dietro. E buona fortuna a ritrovarla!
Un respiro e due isolati lasciati alle spalle. Un altro respiro ed erano diventati sei isolati. Una piega a destra, la pressione che lo strattonava all’infuori, come ad invitarlo ad allagare la curva, tutti gli aculei piegati da un lato … e due interi quartieri erano passati.
Zigzagò tra le automobili in strada, con conseguenti sballottamenti gravitazionali. Un inspiegabile crampo ad un muscolo con terrificante lo costrinse a vorticare follemente le braccia per non finire faccia in avanti contro l’asfalto. Ripreso l’equilibrio, schiavatò di un nulla un bidone dell’immondizia. Fece giusto in tempo a trarre un sospiro di sollievo che la strada percorsa nella durata di quel breve respiro coprì la distanza equivalente a ben tre isolati.
Realizzò con un lampo di angoscia di trovarsi decisamente fuori rotta. Ricacciò indietro l’attacco di frustrazione ed estrasse a fatica la mappa elettronica di Tails, combattendo contro il vento che voleva strapparla via e cercando al contempo di controllare la direzione di marcia. Comprese che forse era meglio fermarsi e basta: correre in pieno centro cittadino a quella velocità consultando la mappa avrebbe potuto comportare un buon numero di incidenti. 
Impiegò più tempo di quanto gli piacesse ammettere per riuscire ad orientarsi nel nugulo di linee, puntini e frecce lampeggianti della mappa. Dopo un’eternità e mezza, riuscì a localizzare la posizione di Shadow, che di certo non si stava impegnando per rendersi più raggiungibile. Non era particolarmente distante, solo un quartiere più a Nord. Il puntino rappresentante Silver scintillava ad una certa distanza rispetto alla posizione di Shadow e di Sonic.
Sonic si spalmò una mano in faccia. Si diede del cretino per non aver pensato fin da subito che gli amici da salvare erano due e che non si trovavano nello stesso punto. Altro attacco di panico e frustrazione. Dovette fronteggiare LA scelta: da chi andare? Non v’era dilemma più lacerante di quello, per lui.
Con la consapevolezza dei prezioni secondi che scivolavano via inesorabilmente, la pressione sui suoi pensieri si decuplicò. Una serie di ragioni più o meno inconcludenti si accavallavano tra i suoi surriscaldati neuroni, creanco ancor più confusione. Una tra queste gli sembrò più valida delle altre: Shadow era più vicino alla sua posizione, dunque era considerabile l’idea di dirigersi prima da lui e controllare se fosse effettivamente necessario un soccorso e, in caso contrario, correre da Silver il più presto possibile. Una prepotente controtesi si fece largo tra i pensieri del riccio: Shadow non aveva praticamente mai bisogno d’aiuto.
Riprese a correre con meno convinzione, sperando che la scelta fatta fosse quella corretta. Sbagliò strada di nuovo, tornò indietro e si costrinse a tornare presente a sé stesso acelerando la corsa. Svoltò l’angolo in piena velocità e senza preavviso alcuno si ritrovò improvvisamente circondato da unità da guerra. E, come sempre, non c’era lo spazio fisico per riuscire a frenare. Fece anche l’impossibile per non schiantarcisi contro: guizzi, contorsioni, capriole, rotolamenti vari, salti più o meno mortali. Riuscì miracolosamente nell’intento. Abbassò la guardia per congratularsi con sé stesso, una frazione di secondo che fu sufficiente. Travolse per poco un ringhiante riccio nero intento a prendere a pugni un lupo cyborg anche più ringhiante.
 
 
 
Sull’ala destra c’era scritto: IOTA597. Da quel che ne capiva lui, doveva essere una delle creature degli scienziati. Silver trattenne a stento un’imprecazione mentre l’esperimento genetico batteva le poderose ali, volandogli attorno a cerchio, tenendolo sott’occhio e sotto tiro.
Se del rapace aveva l’atteggiamento, del rapace aveva anche l’aspetto. Lunghe penne lanceolate di color oro screziato gli ricoprivano quasi l’intero corpo, fatta eccezione per le zampe, gli occhi, il becco accuminato e l’ossatura delle ali, che scintillavano di freddo metallo.
Gli avevano prolungato gli artigli, rendendoli un set di sciabole pronte ad affettare. Gli occhi erano schermati da una mascherina, o forse da occhiali da pilota, appoggiata sul becco tagliente, con tutta una serie di lucine intermittenti oltre le lenti. Gli avevano rinforzato le ali, corazzandole con piccole placche metalliche che parevano essere state affilate come rasoi, conferendo ad esse la dupplice funzione difesa-offesa, oltre che di semplice propulsione.
Per un qualche strano motivo, l’uccello cibernetico non sembrava risentire del peso. Continuava a muoversi con eleganza, frustando l’aria con le penne.
Aveva una lunga coda biforcuta, come quella di una rondine. Forse, Iota597 era un nibbio.
Silver ancora cercava di identificare la strana massa grigiastra che il pennuto aveva ancorata sulla schiena ma non ebbe tempo di perdersi in altre osservazioni perché il rapace decise di averne abbastanza. Spalancò il rostro e cacciò un grido tremento, aprì le ali e attivò la componente meccanica che portava sulla schiena.
Silver non era pronto per quello. Non si aspettò dunque il vertigginoso scatto da parte del nibbio attuato grazie al jet-pack. Come se le ali non fossero state sufficienti!
Il cyborg direzionò con maestria il volo, spalancò la coda biforcuta come un ventaglio e pilotò con agilità il proprio movimento. Compì davanti al riccio una curva in verticale da centottanta gradi per poi rigirarsi di schiena e piombargli addosso dall’alto, in picchiata, artigli protratti.
Silver evocò il suo scudo più lentamente di quanto gli sarebbe piaciuto. Quello scatto incredibile pareva avergli negato per qualche secondo l’abilità di reagire. Così si ritrovò con otto lame conficcate nella sua barriera, a pochi centimetri dal suo naso.
Il nibbio gridò ancora, frustrato. Sfilò le lame dalla barriera e riprese le distanze per preparare un nuovo assalto. Attivò di nuovo il jet-pack e saltò nuovamente addosso al riccio da sopra. Silver lo afferrò con la sua aura azzurra, strattonandolo di lato, ma l’avversario non si lasciò demoralizzare dallo sbalzo di quota. Utilizzò lo slancio infertogli dal riccio per riacquistare velocità e sgusciare via dalla presa luminescente di Silver. Piegò verso l’alto, si rivoltò a mezz’aria e ridiscese in picchiata. Silver schivò, spostandosi di lato. Il nibbio direzionò le ali e la coda per flettere la propria direzione e finirgli addosso un’altra volta, da dietro, ma il riccio non glielo lasciò fare. L’aura azzurra si condensò sul dorso di Iota e Silver giocò con la gravità acelerando ancor di più il volo del cyborg e facendolo precipitare ben più in basso della propria altitudine, togliendo sé stesso dalla traiettoria del falco.
Il nibbio, diversi piani di grattacielo più in basso, lanciò un altro grido belligerante e sbattè le ali, risalendo a cerchi verso Silver che intanto si spremeva le meningi per cercare un modo di toglierselo di torno. Iota lo raggiunse a breve ma mantenne stranamente le distanze. Rimase a galleggiare attorno al riccio per poi cominciare a volargli attorno, studiandolo. O così almeno credeva Silver.
Dalla punta delle ali, dove il metallo lasciava il posto alle penne, uno strano gas rosso venne emesso, come una polvere fine o come una nube. Il nibbio battè le ali e quella sostanza ne seguì il movimento, spandendosi tutt’attorno in volute sanguigne. Iota terminò il giro per poi compierne un secondo in verticale e intrappolando Silver al centro della sfera cremisi.
Tutto ad un tratto, al riccio pareva di dover fronteggiare una fenice dalle ali infuocate, più che un falco cibernetico. Per ogni evenienza, tenne lo scudo pronto visto lo spiacevole aspetto della misteriosa sostanza appena rilasciata. Non attivò immediatamente la barriera, la serie di scontri precedenti lo aveva stancato più di quanto fosse opportuno. Sperava di riposare per qualche secondo, visto che la situazione sembrava più statica rispetto a poco prima.
Iota gracchiò prima di sbattere freneticamente le lunghe ali scatenando il caos più assoluto nelle particelle scarlatte che aveva liberato. Silver, osservando sgomento quel vortice sanguigno tutto attorno a lui, eresse all’istante la sua barriera, senza più tergiversare. Una particella, più rapida delle altre, fece a tempo a superare la guardia del riccio e a posarglisi su di un braccio. Se del fuoco aveva l’aspetto, del fuoco ne aveva le caratteristiche.
Silver urlò, afferrandosi il braccio con la mano, stordito dall’inspiegabile e improvviso dolore. Sembrava che una brace incandescete gli fosse stata messa sulla pelle, o se una goccia d’olio bollente lo avesse ustionato. Quello era l’effetto di una singola particella?! E lui ne aveva attorno a milioni! Stringendo i denti, non osò pensare a cosa gli sarebbe successo se avesse inalato quella roba.  
Oltre la coltre di rosso dolore gassoso, intravide Iota, il nibbio, che ghignava soddisfatto, come se avesse appena cominciato a giocare.
Capì di essere in guai più seri del previsto. E di doverli affrontare completamente da solo, visto che la ricetrasmittente andata perduta nel prmo assalto del nibbio e che con essa s’era dileguata ogni possibilità di soccorso.
Strinse i denti.
Il riccio solidificò lo scudo e con uno scatto schizzò fuori dalla nube rossa. Sentì la sostanza chimica premere e ustionare le sue difese, logorandole poco a poco, ma non ebbe particolari difficoltà a librarsi oltre la coltre cremisi. Lasciò crollare lo scudo, ormai danneggiato e ne preparò un secondo seppur lasciandolo inattivato. La quantità di sforzi che quel combattimento gli stava richiedendo diventava sempre più ingente. Continuando con quel ritmo, Silver avrebbe dovuto ben presto cercare un tetto di un palazzo su cui posarsi e riprendere fiato. Con un certo orrore, osservò il vento dissipare le particelle ustionanti, seminandole tra i palazzi e soffiandole ovunque. Silver sperò che la gente in strada non ne rimanesse troppo intossicata. Ma non era il momento delle distrazioni, quello. Era opportuno tenere lo sguardo fisso sull’infido volatile.
Il nibbio accennò a ricominciare il suo volo circolare ma Silver ne aveva abbastanza. –Vuoi il dolore, eh? Bene, ne avrai!-
Era un movimento regolare, quello di Iota, e il riccio bianco non fece fatica ad ipotizzarne la traiettoria. Così gli evocò davanti al becco una solida barriera. Invisibile, ovviamente.
Il pennuto vi si schiantò contro con un gemito, completamente preso alla sprovvista. Una nuvola di piume e penne si liberò dal rapace, la cui posizione non avrebbe potuto essere più scomposta e comica di quella.
Silver gli puntò un dito contro. –Più che un falco mi sembri un piccione, amico mio. O forse un pollo. Ma sei proprio sicuro di saper volare?- Spalancò le braccia. –Meglio che tu tenga gli occhi ben aperti, se hai intenzione di svolazzarmi attorno come una mosca. L’aria non sarà tua alleata.-
Finì la frase e capì nello stesso istante dove stava il punto debole di quella strategia: la nube rossa di Iota, sembre unita alle sue ali, era premuta contro la barriera invisibile rivelandone con fin troppa lampanza la posizione e la forma. Il riccio sgretolò il muro d’aura, lasciando cadere il nibbio stordito. Bene, si disse. Avrebbe puntato tutto sulla rapidità del “crea e distruggi”, la sua personale modalità della più comune tattica “tappa e fuggi”. Avrebbe creato e distrutto barriere, mai lasciandone due nello stesso punto.
Poco più sotto, Iota si riprese dalla botta. Gridò rabbioso e si stabilizzò, arrestando la caduta.
L’entusiasmo di Silver per aver trovato una strategia efficace andò a farsi benedire quando dalle ali del cyborg, diversi metri più in basso, vide uscire altro fumo, verde acido questa volta.
Il sorriso gli morì sulle labbra. –Sei pieno di sorprese, vedo …-
 
 
 
-Ma dove stai andando?- più che una domanda pareva un ringhio. Wind si accostò al volo della gabbianella, guardandola a metà tra il preoccupato, lo spaventato e il frustrato.
Era ancora scossa, ovviamente. Sbatteva le ali in modo irregolare, talvolta addirittura asimmetrico. Tra un singhiozzo e l’altro perdeva quota per poi riguadagnarla, tagliando o scontrandosi con le correnti invece di cavalcarle.
Lei si voltò ancora una volta verso il basso, con occhi angosciati, a controllare. Lo scorpione li stava ancora inseguendo, correva sulle facciate dei palazzi e dei grattacieli, talvolta saltando da uno all’altro sfruttando cavi del telefondo, stendini o insegne. Teneva quegli occhiacci senza anima puntati su di loro e le otto zampe gli fornivano senza dubbio un ottimo servizio motorio.
Aveva ancora la coda sudicia di sangue.
L’unica tattica che aquila e gabbiano erano riusciti ad escogitare era quella di rimanere in alta quota, senza mai posarsi o scendere. Ed ora le forze, già decimate dallo spavento e dall’orrore, cominciavano a venir meno in modo sempre più lampante. Tragicamente, lo scorpione pareva averlo notato e i suoi sforzi si erano triplicati.
Shell tirò su con il naso e guardò il suo fidanzato. –Da Sonic e gli altri.- rispose. –Sono gli unici che possano sconfiggere quel …coso!-
Wind scrollò il capo. –Ma non hai idea di dove si trovino! Stiamo girando a vuoto!-
-Hai forse idee migliori?-
Il fatto che loro, i ricercatori, avessero appena deliberatamente messo a tacere la buona, vecchia Emma non era un dubbio. L’unica incognita era chi fosse, o meglio, cosa fosse il sicario. Uno scorpione … per metà meccanico?
Centro di ricerca biotecnica … Shell continuava a chiedersi se davvero esistevano persone che volontariamente si rinchiudevano in un laboratorio per dar vita ad abomini del genere. Se davvero quella gente fosse arrivata a tanto. Quale mente malata aveva ideato ciò? Per qualche scopo? E, soprattutto, ora il loro nemico senza volto aveva assunto un’identità tutta nuova: non più solo la “malvagia associazione che giocava con la genetica”, come aveva letto e imparato nelle sue ricerche con i Chaotix, bensì una “fabbrica di soldati e assassini più o meno sotto controllo”.
Abbassò lo sguardo verso l’aracnide. Chi aveva deciso di distorcere così la vita e creare un essere destinato ad un’esistenza di dolore e oscurità?
Ancora una volta, si domandò cosa volesse gente del genere da Shadow.
L’immagine del corpo penzolante di Emma le balzò davanti agli occhi, facendola rabbrividire di nuovo. Il volto contratto della donna, lo sgomento e il dolore che le avevano stravolto gli occhi, la bocca spalancata che annaspava in cerca d’aria, ormai inutile per un paio di polmoni squarciati, la rossa vita che le gocciolava via di dosso ... Rabbrividì e serrò con forza gli occhi. Avrebbe dovuto convivere con quello spettro per il resto dei suoi giorni? Sì, probabilmente sì. Emma cara, riposa in pace … Altre lacrime le inzupparono le piume già bagnate delle guance.
-Shell, guarda là!- richiamò la sua attenzione Wind. La gabbianella dall’animo ghiacciato alzò faticosamente gli occhi, puntati da troppo tempo sulle strade sottostanti nella remota possibilità di vedervi passare un riccio blu, o forse nero.
L’aquila le fece cenno con la testa. Alla loro sinistra, in lontananza, tra i palazzi e sopra i tetti una bizzarra nube rossa faceva capolino nel grigiore della città. Una seconda chiazza, verde questa volta, si poteva intravvedere appena sotto. Da essa provenne un guizzo, una scia verde limone si staccò dalla massa e si avventò verso un puntolino azzurro, che scartò di lato per poi perdere quota all’improvviso.
I due si scambiarono un’occhiata.
-Cos’è quello?- domandarono entrambi. Osservarono ancora un po’ la nube verde che si rivoltava come una vipera, tagliando e smembrando la coltre rossa nel tentativo di agguantare il puntolino azzurro.
Valutando cosa fare, controllarono la posizione del sicario semi-meccanico. Lo trovarono in cima ad un palazzo, completamente immobile, come in ascolto. Lo videro fremersi, guardarsi attorno, per poi girare sui tacchi e invertire la marcia, scomparendo dalla loro vista.
Di nuovo, i due volatili si guardarono, anche più confusi di prima. –Se … se n’è andato?- osò domandare Shell.
Nessuno dei due, però, si azzardò a posarsi su un tetto. La prudenza non è mai troppa.
A cavalcioni di una corrente ascenzionale, rimasero a galleggiare e osservare il bizzarro fenomeno che si stava svolgendo a qualche isolato di distanza da loro, valutando se scappare o rimanere. Se una stranezza come quella sbucava improvvisamente dal nulla, c’era una buona possibilità che nei dintorni ci fosse Sonic e banda. E loro due in quel momento avevano un disperato bisogno di avere dei combattenti validi dalla loro parte. Non avere più sott’occhio l’aracnide di metallo era fin quasi peggio di prima. Eppure, l’idea di avvicinarsi a quella nuvola innaturale e rimanere magari immischiati in una qualche battaglia non era poi molto più allettante.
-Non ci avviciniamo, vero?- sussurrò Shel, come spaventata all’idea di distrarre la nube e il puntolino azzurro ed attirare così l’attenzione su di loro. Non avevano la certezza che Sonic o gli altri fossero là, e lo spettaccolo, per quanto variopinto, non era rassicurante. Affatto.
-Neanche per sogno!-
-Dici … che quella cosa laggiù c’entri con … lo scorpione? Con l’associazione di ingegneria genetica?-
Wind ci pensò su, con i muscoli che ormai gli dolevano per esser rimasto in aria tanto a lungo trasportando la sua consorte per quasi tutto il tempo. –Non saprei. Forse. Anzi. Sicuro.-
C’erano dei colpi di luce azzurra, bagliori intermittenti tra le spire della nube verde. A Shell tornò in mente il riccio bianco azzurro che avevano incontrato poco prima. Che fosse…?
Un guizzo verde scattò verso il cielo, ricadde in picchiata e quel verde innaturale divenne blu.
-Ha cambiato colore.- osservò Wind. –Chissà perché non sembra un buon segno …- ringhiò.
E la scia blu parve colpire in pieno il puntolino azzurro che annaspò e perse quota. Il verbe e il blu intrecciarono le loro spire e il puntolino decise bene che era giunto il momento di togliersi di mezzo. Con un notevole scatto, l’aura azzurra sfrecciò via, lasciandosi alle spalle la nube arcobaleno. Del rosso non rimanevano che rari batuffoli, il vede stava lentamente sfumando via e il blu stava conquistando il campo di battaglia. La nube color mare si gettò all’inseguimento del puntolino, quello cambiò improvvisamente direzione e venne incontro a Shell e Wind.
I due fecero per richiudere le ali e lanciarsi in picchiata per togliersi dalla sua traiettoria ma l’aura azzurra, ora visibilmente con un mobiano all’interno, cambiò repentinamente direzione senza nessuna ragione particolare, sempre con la scia di gas blu all’inseguimento. Schizzò via, si piegò verso destra escludendo i due volatili dalla sua traiettoria. Se quello era stato per caso un tentativo di seminare la creatura alata che creava la nube non fu affatto efficace, poiché la curva eseguita non fece altro che rallentare il volo del mobiano con gli aculei e accorciare la distanza con l’inseguitore. Era una mossa palesemente stupida e difatti il mobiano alato raggiunse e superò il puntolino azzurro. E la nube blu era diventata viola.
Shell vide per certo due cose. Primo, il mobiano con l’aura, che era sicuramente il riccio bianco di prima, aveva entrambe le mani premute sugli occhi, cosa che avrebbe spiegato il suo movimento erratico. Secondo, il mobiano della nube era fatto per metà di metallo, come lo scorpione, e lei lo vide chiaramente chiudere le ali ricoperte di viola e sfregarne insieme le estremità fino a generare una scintilla.
Tutto il gas color prugna si incendiò come benzina, il fuoco inghiottì il riccio bianco e il cielo. E proprio per via dell’improvviso rosso, il blu della nube precedente venne messo in risalto, e Shell realizzò che era dannatamente vicino. Troppo vicino.
Mimetizzata contro il cielo, la coltre blu li aveva raggiunti, sospinta dal vento e dall’inerzia, mentre loro due erano distratti a guardare il resto della battaglia. Li aveva raggiunti, e la brezza l’aveva sparsa sopra le loro teste, come le maglie di una rete granulata.
Una seconda scintilla incendiò un’altra scia viola, la detonazione scaraventò il riccio bianco verso il bassso. Il fuoco fece risaltare ancora di più il blu del gas. Shell, tra i boati delle vampate, udì appena Wind che urlava. –Giù!-
Lo vide chiudere le ali e gettarsi in picchiata, con le prime particelle blu che gli si attaccavano alle penne del dorso e della coda, ma lei non fu altrettanto fulminea. Lo seguì, certo, ma un secondo di ritardo fu sufficiente. L’ondata di calore la sbilanciò a tradimento, la fece rallentare leggermente e il gas blu la colpì agli occhi.
La reazione fu istantanea: una bruciante irritazione le accecò entrami gli occhi e un mare di lacrime le annegò la vista. Un … lacrimogeno?
E lei stava scendendo in picchiata! La sola idea le fece perdere definitivamente ogni orientamento.
Senza avere la più pallida idea di dove fosse, a che altitudine, e di quali ostacoli si parassero davanti a lei, Shell spalancò le ali e rallentò la caduta. Sbattè le ali freneticamente, tanto forte da strapparsi perfino alcune penne, ma almeno ora era ferma. Si asciugò gli occhi, provò a asciugare le lacrime con la manica ma altre sopraggiunsero e annacquarono il volto agonizzante di Emma. Singhiozzò, mentre la paura le stritolava lo stomaco.
Shell si ritrovava a galleggiare a mezz’aria, volando sul posto, soggetta ad uno sforzo alare non indifferente, accecata e senza la più pallida idea di cosa o chi la circondasse né dell’altitudine a cui si trovava, dunque dove fosse il suolo né quanti semafori, cartelli e automobili la separavano dalla salvezza. Il panico le azzannò la gola e, per la prima volta in vita sua, le vennero quasi le vertigini. –Wind!- urlò con tutto il fiato che aveva in gola. –Wind!-
 
 
-Razza d’idiota! Cosa ci fai qui?!-
Sonic non fu sicuro se il calcio che seguì fosse davvero indirizzato a Teta, che era balzato prontamente di lato, lasciando la testa di Sonic in piena traiettoria. Di sicuro, Shadow non fece niente per provare a fermare il proprio attacco, lasciò beatamente che Sonic saltellasse via come una gazzella.
Altrettanto certo era che Shadow si stava trattenendo dal ricoprirlo d’insulti solo per via dei Mecha e dei soldati che avrebbero potuto accidentalmente sentire qualcosa, o capire parte del loro piano.
Spostatosi a distanza di sicurezza, controllando le mosse del lupo-cyborg, il riccio blu fece spallucce. –Mi eri sembrato un pochetto in difficoltà, prima, e aiutarti a “finire i preparativi” mi sembrava buona cos…-
-Io non ho bisogno di aiuto! Men che meno del tuo.- ringhiò tra i denti Shadow, scattando avanti verso Teta. Il lupo sfoderò gli artigli e corse incontro al riccio nero. Gli artigli tagliarono l’aria pochi centimetri sopra la sfera rotante di spine che era diventato Shadow. Il riccio rimbalzò, atterrò alle spalle del lupo e gli assestò un calcio alla nuca con precisione allarmante.
Sonic piegò la testa di lato. –Sicuro? Non mi sembri … in ottima forma, se posso permettermi.- poi aggiunse sussurrando. –E mi riferisco a tutto quel sangue, sai...- L’imprecazione furiosa di Shadow lo zittì.
Teta rotolò a terra con un uggiolio, rotolò su sé stesso come un gatto e fece per rialzarsi. Incrociò le braccia e parò un secondo attacco di Shadow, torse i propri polsi e tentò nuovamente di graffiare il riccio.
-E cosa ti fa pensare di “poterti permettere”?-
Sonic spostò il peso da una gamba all’altra, con fare scherzosamente pensoso. –Evidentemente, ho fatto male i conti … e io che avrei anche potuto andare ad aiutare Silver e invece sto sprecando il mio tempo con la tua ingratitudine!-
Shadow s’era dovuto flettere all’indietro per evitare il fendente di Teta. Il lupo ruggì, spostandosi in avanti approfittando dell’invisibile sbilanciamento di Shadow. I denti del cyborg schioccarono ad un niente dal petto del riccio. Shadow si diede una spina con le gambe, volò indietro in capovolta, atterrando con le mani e con un ultimo colpo di reni riportò i piedi saldamente a terra. Teta era già alla carica un’altra volta.
Sonic si controllò le unghie di una mano, con fare annoiato. –Dunque, se proprio non hai bisogno di me io andrei da Silver…-
Intanto, una seconda ondata di Mecha si avvicinava lentamente ai due combattenti, caricando le armi e scavalcando con cautela gli ammassi ferrosi dei robot precedenti, toccati da un triste destino prima che il riccio blu facesse capolino sulla scena.
Sonic si guardò intorno con disinvoltura, e quando incrociò quasi casualmente lo sguardo furente di Shadow un sorriso gli piegò le labbra. Punzecchiò alla sua controparte a strisce un’ultima volta. –Allora?-
Il riccio nero sferrò un altro calcio a Teta, che lo fece volare indietro. –Non mi sentirai dire quelle parole. Puoi anche arrenderti e andare da Silver.-
Il ghigno di Sonic si allargò, facendo scrocchiare le nocche. –Bene, allora!-
Dopo essersi concesso esattamente due minuti di inattività, spesi per convincere la Forma Definitiva che l’intervendo dell’Eroe era stato spiacevolmente necessario, Sonic entrò definitivamente in azione.
Forse, quello era il momento che aveva davvero aspettato dall’inizio di tutta quella faccenda: combattere apertamente al fianco di Shadow. Lasciar che il mondo vedesse che loro due erano alleati. Per Sonic, quello fu come il primo passo verso la rivelazione della verità.
Dalla fronte corrucciata di Shadow, però, si poteva intendere che il momento tanto atteso da Sonic non possedeva lo stesso fascino per lui. I suoi occhi s’erano oscurati, una sorda preoccupazione si agitava sotto la superficie. Le iridi di rubino volarono dai soldati, ansiosi di verificare le loro reazioni.
Lo sbalordimento aveva paralizzato tutte le unità: il loro amato Eroe e il loro odiato Nemico che combattevano insieme, con un terzo incomodo, sconosciuto, mai visto prima ma che aveva quasi steso la Forma di Vita Definitiva. Ma, si chiese Shadow, … quanto “sconosciuto”?
 
La serenità era una delle caratteristiche primarie di Sonic, al pari dell’ironia e della lingua tagliente. La serenità, a braccetto con l’ottimismo, non abbandonavano la peste blu nemmeno nelle battaglie più difficli. Mai Shadow la vide disintegrarsi così in fretta.
Sonic fece giusto in tempo a scagliarsi una volta contro Teta con un solido Spin Dash, ma poi lo scorpione bionico gli saltò addosso dall’alto, chele protratte in avanti per afferrare e tranciare. Sonic aveva reagito anche prima di capire cosa fosse successo, era rotolato via e, quando si voltò per identificare l’assalitore, Shadow gli vide morire in volto tutta la sua serenità, il suo ottimismo e la sua benevolenza in un colpo solo. Il mutamento repentino lo preoccupò tanto da fargli quasi scordare il risentimento per l’avventatezza della sua egocentrica controparte blu.
Zeta si stiracchiò sulle zampe, fece schioccare le chele e le mandibole e poi assunse la sua posizione di battaglia, sventolando il pungiglione. Grondande di sangue per metà secco.
Il mostro che aveva quasi ucciso Tails ora si trovava esattamente di fronte a Sonic, con un rosso ricordo in bella mostra lungo la coda sudicia.
Shadow potè vedere la lucidità abbandonare la mente di Sonic con la chiarezza con cui avrebbe potuto vedere calare il sole, e potè anche ipotizzarne il motivo: l’ultima volta che avevano visto quella coda, c’era il sangue di Tails sopra. Anche se probabilmente quello che vedevano ora non apparteneva al volpino, per Sonic non faceva alcuna differenza.
Shadow imprecò a mezza voce: quello non era affatto il momento adatto per la vendetta … ironico che fosse proprio lui a dirlo. Avevano un piano, avevano poco tempo, erano già in ritardo (per colpa dell’intervento di Teta) e fermarsi per fare a pugni non era senza dubbio il modo migliore per completare il loro obiettivo primario, cioè distrarre e allontanare le unità militari. Dopo il chaos interplanetario che si sarebbe scatenato quel giorno, non v’era certezza di una seconda occasione per colpire al cuore i ricercatori e smascherarli.
Shadow sbuffò. Finiva sempre così, nel lavoro di squadra: l’efficienza andava a farsi benedire regolarmente. E lui stava facendo quasi l’abitudine a rimediare ai disastri o ai rallentamenti degli altri, specialmente nelle ultime settimane. Non che la cosa gli facesse piacere, tutt’altro.
Scoccando un’occhiata ai Mecha attorno a loro, immobili e in attesa di ordini, pronti ad intervenire, Shadow teletrasportò sé stesso, i due cyborg e il riccio blu a qualche via di distanza dal luogo esatto in cui avrebbe dovuto condurre le truppe, fornendo così a Sonic la privacy per il suo scontro e dando alle unità belliche tutto il tempo necessario per solcare con le proprie gambe la distanza rimanente e giungere in posizione, completando così la sua parte di responsabilità nel loro piano originario.
Filamenti di spazio e tempo scivolarono addosso a loro e ai due cyborg, per poi riprendere forma condensandosi in una piccola piazza secondaria, incassata tra tristi vetrine di negozietti dimenticati da tutti. L’unico passante corse via, terrorizzato dalla luce abbagliante del Chaos Control.
Sonic, denti serrati, non si accorse quasi nemmeno del cambio di scenario. Con un ringhio in gola, scatto contrò lo scorpione. –Tu! Tu hai quasi ucciso il mio fratellino!-
Teta fece per sfrecciare a sua volta verso il riccio blu ma un calcio di Shadow lo placcò. Non avrebbe interferito.
Mentre Teta rotolò indietro e Shadow assumeva la sua posizione d’attacco, il riccio nero pensò che fosse buona cosa prendere la radiolina di Sonic e comunicare agli altri gli sviluppi. Informarli che due delle cavie da laboratorio erano state sguinzagliate, in pieno centro cittadino, assetate di sangue. E che le truppe affidate a Shadow sarebbero state in posizione in una manciata di minuti.
Tre svolte dopo, dietro l’angolo, una piazza tre volte più grande di quella scintillava al sole, con la sua fontana a forma di ballerina in pietra.
 
 
 
 
 
Silver atterrò di schiena. L’urto gli svuotò completamente i polmoni e sgretolò gran parte dell’asfalto, sotto la sua spina dorsale. Il dolore gli esplose dentro il cranio e con estrema fatica riuscì appena a riprendere contatto con le proprie membra. La pelle bruciata formicolava terribilmente, ogni osso tremava e i muscoli sembravano come essersi ridotti ad un budino.
L’ultima esplosione causata dal fumo viola lo aveva scaraventato con violenza inaudita a terra, le sue forze psichiche prosciugate non avevano potuto aiutarlo in alcun modo. Era stata una gara di resistenza, più che un duello aereo: le ali e il jet-pack del cyborg erano state decisamente più efficaci e meno stancanti del metodo di Silver per volare. Ogni singolo attacco del nibbio era stato vibrato con lo scopo di sfinire e indebolire l’avversario, che si era ritrovato ben presto senza forze, dunque inerme.
Gli occhi di Silver erano ancora accecati dal gas blu lacrimogeno, il mondo si presentava a lui come una distesa di macchie nere e grigie intermittenti. La disperata urgenza di alzarsi per controllare dove fosse il suo nemico fece a pugni con il dolore lancinante che lo costringeva all’immobilità.
Respirando a fatica, con le costole troppo vicine ai polmoni, riuscì a raggranellare l’energia sufficiente per uno scudo.
La barriera vibrò, nell’aria. Silver sentì palpitare una sensazione di sicurezza, una magra difesa che …
Dieci artigli lunghi come spade trafissero l’aura azzurra, sbriciolandola come vetro.
Tutti i muscoli di Silver si contrassero, l’angoscia stritolò ciò che rimaneva del suo stomaco e d’insinto portò entrambe le braccia doloranti davanti al volto, inutile tentativo di farsi scudo.
Le dieci spade proseguirono la loro corsa e si conficcarono a terra, tra gli arti di Silver, senza però ferirlo. Dieci lame avevano imprigionato il riccio argenteo a terra, come un lanciatore di coltelli avrebbe potuto immobilizzare la sua aiutante contro un muro, costringendola in un’area dettata dal metallo tagliente. Iota era appollaiato sui suoi artigli a spada concentrati attorno al torace della sua preda accecata. Le penne frusciavano dolcemente al vento.
Poi Silver udì il sibilo del gas che fuoriusciva dalle ali del suo avversario e il mondo, per lui, si fermò. Il panico gli congelò il cervello, l’angoscia gli serrò la gola e ogni singola fibra del suo essere parve rivoltarsi ferocemente. Tentò disperatamente di attivare i propri poteri ma non gli rimaneva in corpo neanche una goccia di scintillante aura. Per quanto si sforzasse, in lui regnava solo il vuoto, energetico, mentale, fisico e psichico. Ginocchia e braccia scattarono verso l’alto nel vano tentativo di trovare Iota alla cieca e disarcionarlo, scacciarlo, toglierselo di dosso e fuggire da lì prima che il gas velenoso facesse quello che era stato progettato per fare, ma i suoi arti incontrarono solo l’affilato acciacio delle spade-artiglio. Il sangue caldo gli colò lungo gli avambracci e i polpacci, che ricaddero mollemente a terra.
Che gas era? Che gas era quello?! Rosso dolore? Blu ciecità? O viola infiammabile? Il terrore gli strisciava sotto pelle, come mai gli era successo prima. Sarebbe davvero morto così? Dopo una misera battaglia come quella? Avrebbe deluso Sonic e gli altri. Non avrebbe concluso nulla, non li avrebbe aiutati! Sarebbe morto inutilmente e…
E poi troppo tempo passò e il riccio capì che non sarebbe esploso in mille pezzi così come non sarebbe morto dal dolore straziante. Qualunque fosse stato l’effetto, avrebbe già dovuto manifestarsi. Il gas gli si era innocuamente posato addosso. Possibile?
Rimase sdraiato, in balia del proprio cuore pulsante e della propria paura mordente, aspettando un colpo di grazia che però non voleva arrivare.
I suoi occhi non gli trasmettevano alcuna informazione, non potevano dirgli di che colore fosse quel gas appena lanciato. Le lacrime causate dalla polvere blu gli bagnavano le guance, il suo respiro era l’unico rumore che si potesse udire, oltre il vento tra le penne dell’avversario.
Ad ogni secondo che passava in estenuante attesa, le sue energie si solidificavano, sebbene di pochissimo per volta. Ebbe anche l’impressione che la sua temporanea cecità si stesse riducendo. Qualche spiraglio colorato gli fece identificare la posizione del volatile accovacciato sopra di lui. Forse … forse aveva le forze per un piccolo scudo, o una debole spinta psichica.
-Allora? Non mi finisci?- domandò, la voce che gli uscì di gola fu però irricoloscibile. Rimase sconcertato dell’immensa fatica che gli costò muovere le labbra e la bocca. E così capì. Provò a muovere le braccia, per accertarsene. La sua pelle aveva la consistenza di cuoio, i muscoli erano come scollegati dalla sua volontà. Realizzò in breve che l’unica cosa che poteva ancora muovere erano i polmoni, il cuore, gli occhi (accecati) e la lingua.
L’ultima novità di Iota era un gas paralizzante.
Provò sia sollievo che disperazione. Non sarebbe morto nell’immediato futuro, ma non poteva nemmeno scappare o controbattere. Si sentì rodere dalla rabbia e dalla frustrazione: possibile che si era fatto stendere in quel modo? Lui, un combattente sommato tutto esperto?
I suoi pensieri erano partiti in quarta e la domanda che aveva posto ad alta voce al suo aguzzino non prevedeva una risposta. Fu per quello che rimase profondamente sorpreso quando Iota gli rispose per davvero. –Direttiva molto specifica. Non uccidere soggetto Argento01.-
Quattro cose colpirono Silver. Primo, il cyborg parlava e lui aveva stupidamente dato per scontato che non sapesse farlo, come un animale o un robot da guerra poco avanzato. Secondo, i ricercatori avevano appositamente mandato un loro … “agente” per sistemare lui. Terzo, avevano osato dargli un nome! Quarto, e più sorprendente, Iota era una femmina.
La voce, per quanto meccanica e stranamente metallica, era indiscutibilmente quella di una donna. Anzi, di una ragazzina.
Constatò un altro fatto: ora aveva nuovamente le energie per un contrattacco psichico di una certa portata. Peccato che non sarebbe potuto andare da nessuna parte in ogni caso, per via della polvere paralizzante, anche scaraventando via la ragazza-nibbio.
Perfetto, Silver: congratulazioni!
Una punta di rammarico gli pizzicò la gola. Non ti stai rivelando particolarmente utile per i tuoi amici … cerca di tirarti insieme!
 
 
Cream, con la testa reclinata di lato, cercava con tutto il suo impegno di dare una senso all’ammasso di colori e sagome rappresentate sulla tela, senza risultati particolarmente felici.
Cheese le stava posato sulla spalla, privato di ogni energia.
Per puro caso, l’occhio di Cream intravvide una sagoma muoversi rapidamente oltre la finestra. Incuriosità zampettò fino al vetro, per controllare.
Un’aquila dall’aria stremata e dalle ali private di qualche penna, stava trasportando in volo una gabbianella piangente. I due atterrarono proprio davanti alla statua della ballerina, attirando gli sguardi preoccupati di tutti i passanti.
Cream fece appena in tempo a domandarsi cosa fosse successo a quei due che la prima esplosione fece tremare tutto l’edificio. La coniglietta si paralizzò sul posto, occhi sgranati. Delle briciole di intonaco si staccarono dal soffitto, cadendo ai suoi piedi. I vetri delle finestre tremarono nelle loro intelaiature, così come i quadri dietro le teche a muro.
I suoi compagni, sparpagliati nella sala, cominciarono a gridare, spaventati. Le insegnanti li chiamarono a raccolta, contandoli e provando a calmarli, tenendo contemporaneamente sott’occhio il soffitto. Il museo era un edificio relativamente nuovo, moderno, che non sarebbe crollato per così poco … probabilmente.  
Cream non si mosse dalla sua posizione, stringendo il suo Cheese. Tornò a guardare fuori dalla finestra. Osservò la gente nella piazza, smarrita e spaventata, talvolta appiattita a terra, talaltra intenta a correre o a guardarsi intorno. In particolare, lo sguardo di Cream si concentrò sulla fetta di cielo oltre i tetti, dall’altro lato della piazza, dove le era sembrato di vedere un bagliore …e forse anche una fiammata, al momento della scossa.
Per quanto giovane e ingenua, Cream era stata insieme a Sonic e banda per tanto, tanto tempo: sapeva che le fiamme non erano un incidente naturale causato dalla scossa di terremoto. Piuttosto era stata la fiammata e il bagliore a dare origine alla scossa. Non che ciò fosse meno preoccupante …
Ci furono altri due scossoni in rapida successione, preceduti da altrettanti bagliori.
Una mano la afferrò per la spalla. Cream si voltò, era solo la sua insegnante che la riportava verso la classe. –Cosa fai lì, Cream? Forza, è meglio scendere al piano terra finchè la situazione non si sarà calmata un po’.-
-Signorina?- pigolò piano Cream. –Io …. Io credo sia meglio non uscire.-
Negli occhi dell’insegnante umana, Cream lesse preoccupazione sorda per la sorte di tutti loro e incomprensione per le parole della mobiana. –Ma cosa dici, Cream? È più sicuro se scendiamo.- Alla mobiana, però, non sfuggirono le parole trattenute dall’insegnante, non dette ma chiaramente pensate: “questo posto potrebbe anche crollarci addosso”.
Eppure, là fuori c’era qualcosa di assai più …pericoloso. Cream lo sapeva, tutti gli altri no.
Alla piccola era stato detto, la sera prima, cosa avevano in programma di fare Sonic e gli altri, quel giorno. E sapeva anche che Sonic. Le era stato spiegato altrettanto chiaramente che non avevano previsto sparatorie o esplosioni in pieno centro cittadino, la probabilità di ferire qualcuno era troppo alta. Perciò, Cream ipotizzò che qualcosa doveva essere andato storto, fuori controllo.
Deglutì.
Le due insegnanti e il vociare dei suoi compagni la strapparono dai suoi pensieri. Stringendo Cheese, Cream seguì tutti gli altri verso le scale che li avrebbero portati tutti al piano terra, al “sicuro”. Ad ogni passo, ad ogni gradino verso il basso, il suo malumore si inspessiva e le sue ipotesi si consolidavano in certezze.
Uscirono, e la coniglietta seppe di aver avuto ragione.
Ogni singola persona nella piazza, compresa l’aquila e la gabbianella, era infatti voltata verso sinistra. Volti attonici, stranamente simili ora a quello della fontana, guardavano. Il cuore di Cream mancò un colpo.
Qualcuno, lontano, urlò e tutte le persone si mossero contemporaneamtne, con la reattività di un unico essere vivente. Si aprirono in due ali, scansando i quattro combattenti.
Cream già sapeva di chi si trattava anche prima di vedere gli aculei blu e quelli neri. Fece fatica ad identificate i due avversari, c’erano troppe gambe, schiene e giacche tra lei e l’azione.
Dall’espressione tesa di Sonic, la coniglietta intuì che qualcosa lo turbava profondamente. Forse il fatto di dover combattere improvvisamente in un luogo così affollato? O forse il fatto che erano stati i due avversari a spingerli in “campo aperto”? E, come mai erano finiti a lottare in un luogo così inadatto allo scontro? Cream si agitò, al pensiero. Che tipo di avversari erano, quei due, per dettare a Shadow e Sonic il ritmo e la direzione del combattimento?
La gente parlava a bassa voce, preoccupazioni, timori e dubbi: perché Sonic stava combattendo fianco a fianco con Shadow? Cream si chiese se fosse una una cosa positiva o negativa.
Improvvisamente, l’avversario avvinghiato al riccio nero ruggì e lo spinse indietro. La gente davanti a Cream urlò correndo via, chi a destra chi a sinistra, per schivare la sfera di spine che era Shadow. Cream sentì la voce terrorizzata della docente che le intivama di allontanarsi come avevano fatto tutti gli altri. La coniglietta, inveve, non mosse neanche un passo e si ritrovò a pochi metri dall’oscura figura di Shadow, atterrato fluidamente dopo la botta incassata. Le dava la schiena, rivolto verso una mostruosità d’acciaio e pelo rosso. Probabilmente non s’era neanche accorto di lei. I Chaos Spear gli scoppiettavano scintillando lungo le braccia, più vicini di quanto la coniglietta li avesse mai visti.
Involontariamente, Cream trattenne il fiato.
Sentì l’intera classe, alle sue spalle, che la chiamava con disperata urgenza. Ai loro occhi, Shadow era la personificazione di ogni male esistente, e si trovava a due passi di distanza dalla loro Cream. Alla coniglietta, fece sia piacere che disgusto: era onorata del loro attaccamento nei suoi confronti, ma anche dispiaciuta per il suo amico spinato.
La voce meccanica di un megafono, dall’altro lato della piazza, urlò a Shadow intimandogli di allontanarsi immediatamente dai bambini. Cream allungò il collo, erano Mecha, minimo una dozzina, con le armi puntate.
Come al rallentatore, la piccola mobiana vide la creatura ringhiante balzare avanti verso Shadow, che, per schivare il fentente, fu costretto a balzare indietro, finendo di fianco a Cream. Sentì chiaramente lo spostamento d’aria frustrarle il viso.  
I compagni di Cream gridarono. Il missile decollò con la fiammata rossa che inceneriva l’aria, sfrecciò per tutta la piazza, verso di loro. Il cuore di Cream mancò un colpo, Shadow alzò la testa, occhi sgranati e increduli.
La coniglietta vide il missile correrle incontro. Pensò sinceramente che la sua vita si sarebbe interrotta quel giorno, ma l’ordigno volante non era indirizzato a Shadow, un passo di distanza da lei: il missile superò Sonic e lo scorpione per poi schiantarsi contro il selciato, perforandolo come burro. Doveva essere un avvertimento, un’intimidazione, nulla di più…
E poi accadde l’impensabile, l’imprevisto che si tramutò in tragedia.
Si udì un vago rintocco metallico, sotterraneo, e tutto il suolo esplose innaturalmente. Pezzi di pietra, asfalto, tubature del gas e terra grezza, sputate in aria dalle vampate roventi, vennero scaraventate verso il cielo, oscurando il sole.
Mentre i piedi di Cream si staccavano dal suolo, vide i soldati slanciarsi verso di loro a corsa, mani protese e occhi allucinati. Seppe che il missile non avrebbe dovuto esplodere. Non in quel modo, almeno.
Il braccio di Shadow le cinse le spalle, l’afferrò e la trascinò bruscamente verso di lui, impedendole di volare via. La strinse troppo e le fece male. Con il corpo della Forma di Vita Definitiva come scudo e la faccia schiacciata contro la sua spalla, il mondo della coniglietta si tinse di nero.
La concatenazione di detonazioni che seguì la stordirono ancor di più, trapanandole il cranio da lato a lato. Le urla della gente e dei suoi amici, sovrastate dalle esplosioni, la raggelarono anche di più.
Sentì Shadow gemere, qualcosa di bagnato e caldo le scivolò sulla testa e perse il contatto con lui.
Prima che la terra la inghiottisse definitivamente, vide il museo collassare loro addosso. Poi la roccia si richiuse e tutto tornò nuovamente nero.



 
(*) Bang sonico o Sonic boom, è l’onda d’urto che si crea quando si infrange la barriera del suono.
 
 
 
 
 
 
 
  
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