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Autore: Heaven_Tonight    17/07/2015    12 recensioni
“Ikkunaprinsessa”. La Principessa alla Finestra.
C’era lei, Lou, in quel ritratto. C’era lei in ogni suo respiro, in ogni cellula o pensiero.
La sua anima, il suo cuore, le sue speranze mai esposte, il suo amore e la sua fiducia in esso in ogni piccola e accurata pennellata di colore vivido.
C’era lei come il suo caro Sig. Korhonen la vedeva.
Al di là della maschera inutile che si era costruita negli anni.
I capelli rossi e lunghi che diventavano un tutt’uno con il cielo stellato.
L’espressione del suo viso, mentre guardava la neve cadere attraverso la finestra, sognante, sorridente.
Lei fiduciosa e serena. Col vestito blu di Nur e la collana con il ciondolo che un tempo era stata di Maili.
Lui aveva mantenuto la sua promessa: le aveva fatto un ritratto, attingendo a ricordi lontani.
L’aveva ritratta anche senza di lei presente in carne e ossa. Meglio di quanto potesse immaginare.
Cogliendo la sua vera essenza.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo trentatrè
Leggera come la neve
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Lou alzò lo sguardo al cielo non appena mise fuori il naso dal Museo. Tornò a sorridere: la neve preannunciata quel pomeriggio ora cadeva in maniera così perfetta e armoniosa, come una danza lenta.
Lasciò che le si posasse sul viso.
Non aveva nessuna voglia di tornare al chiuso tra quattro mura, così prese a camminare senza una meta precisa.
La sensazione di felicità serena che provava dopo tanto tempo nel ritrovarsi a camminare per la città che amava e che aveva sempre portato nel cuore, la riscaldava e attutiva il freddo pungente che le si infilava sotto gli strati dei vestiti. Camminò per le strade che conosceva bene, ascoltando il rumore del traffico moderato, le voci basse e contenute dei passanti. Le sembrò così strano risentire quella lingua quasi aliena che non somigliava a nessun’altra al mondo.
Nessuno si curava di lei e del suo sorriso ebete stampato sul viso dal momento in cui aveva rimesso piede in terra finlandese: altra cosa che amava.
Infilò le mani nelle capienti tasche del suo piumino e rallentò ancora di più il passo.
Avrebbe voluto fermare il tempo.
Aveva il quadro del sig. Korhonen davanti agli occhi. Quella versione di se stessa che era un tempo e che l’uomo aveva colto, la Lou che non era più e i desideri che l’artista aveva saputo mettere su tela, le gravavano addosso: ne era schiacciata e oppressa. Eppure, ad ogni passo che faceva nella neve soffice e fresca, quel peso andava via via alleggerendosi. Come se tutti gli anni passati a tormentarsi stessero depositandosi ai suoi piedi insieme alla neve.
Si sentiva leggera come la neve.
Era curiosa e allo stesso tempo spaventata dal contenuto del pacchetto lasciatole dal sig. Korhonen: stava rimandando il momento in cui avrebbe dovuto aprirlo e scoprire cosa il suo amico aveva voluto dirle come ultima cosa.
Si fermò di colpo davanti ad una struttura in legno chiaro che lei ricordava ancora incompleta quando era andata via. Spuntava quasi dal nulla a lato della piazza Kamppi, quasi nascosta e dimessa: strideva con i centri commerciali, le insegne luminose dei negozi dell’ampio spazio commerciale.
Sembrava una gigantesca arca: Lou sorrise e si avviò all’entrata, come se i piedi prendessero decisioni per conto proprio. Il tepore improvviso all’interno la stordì, così come l’immediato silenzio che l’accolse.
La Cappella del Silenzio. Un nome più che appropriato.
Si slacciò la sciarpa e tolse il cappello prima di iniziare a sudare e si sedette su una panca.
Oltre lei, c’era soltanto una vecchietta dai capelli candidi che sorrideva ad occhi chiusi e un ragazzo inginocchiato, intento a pregare.
Il rumore dell’esterno era totalmente annullato tanto che lei aveva quasi paura di respirare, temendo di disturbare. C’era odore di legno e cera: aveva trovato un angolo di pace in mezzo al rumore della città.
Cercò di svuotare la testa da ogni pensiero godendosi quel momento, ma una vocina le ricordava incessantemente il pacco dentro la sua borsa. Resistette ancora per un minuto o due, poi lo tirò fuori rassegnata. Lisciò la carta morbida e vellutata e slacciò il nastro che la teneva ferma.
Ancora due forme piatte e rettangolari: una la riconobbe immediatamente.
Era la scatola di velluto blu scuro con gli angoli consunti che conteneva la collana di Maili. Ne sollevò il coperchio con mani tremanti ed eccola lì: bellissima e luminosa come l’ultima volta che l’aveva vista.
Perché il Sig. Korhonen l’aveva lasciata a lei? Non la meritava affatto dopo aver deluso le aspettative che il suo amico riponeva in lei, dopo aver tradito la sua fiducia. Sfiorò con un dito la pietra blu sfaccettata e con la mente tornò al giorno in cui l’aveva indossata, nell’attesa di Ville, in quella notte tempestosa che aveva sancito l’inizio dei mille dubbi sul loro rapporto. O meglio, soltanto sulle proprie sicurezze. Sospirò rumorosamente e la signora dai capelli bianchi seduta tre panche davanti a lei, si girò.
Contrariamente a quanto si aspettava– ricordò la donna italiana in metropolitana di qualche mese prima- quella davanti a lei le rivolse uno sguardo comprensivo e dolce. Il ragazzo invece non aveva dato segno di aver notato nulla.
Affondò di nuovo gli occhi all’interno della scatola pensando con una stretta al cuore che non poteva ringraziare il Sig. Korhonen: le aveva regalato qualcosa di prezioso per lui, qualcosa che aveva un valore sentimentale anche per lei.
Quel ciondolo era un dono che non sentiva di meritare eppure in un angolo del suo cuore, sapeva anche che in qualche modo le apparteneva. Era come se il Sig. Korhonen l’avesse tenuta da parte per così tanti anni in attesa che qualcuno potesse indossarlo con lo stesso sentimento della sua amata Maili.
Richiuse con cura la scatola e passò all’altro involucro. Era molto più voluminoso ma più leggero rispetto a quello precedente. Era un sacchetto di velluto che conteneva a sua volta altro velluto intorno all’oggetto. Lo svolse con maggior curiosità. Il gemito stupefatto che le scappò quando si trovò davanti il quadro di Chagall che era stato un dono per celebrare l’amore di un caro amico, questa volta disturbò anche il ragazzo. Entrambi la guardarono preoccupati.
Lei sollevò lo sguardo chiedendo scusa silenziosamente, per poi tornare a guardare senza fiato la piccola tela. Sfiorò con un dito tremante le due figure volteggianti, il cielo, la luna.
Deglutì rumorosamente. Non riusciva ancora a credere ai suoi occhi: quel regalo era quanto di più prezioso qualcuno le avesse mai regalato in vista sua.
Probabilmente nessuno avrebbe mai potuto eguagliarlo.
Un misto di felicità per quel dono inaspettato che si alternava al rimpianto di aver deluso il suo vecchio e caro Sig. Korhonen, la stavano sopraffacendo. Sentiva il cuore rullare impazzito.
Sollevò il quadro per osservarlo meglio e così facendo le scivolò sulle gambe una piccola busta color crema, sigillata con della ceralacca rossa.
La prese immediatamente e la aprì con attenzione.

 
“Mia cara bambina, l’amore non ha tempo, non ha luogo, non ha scuse. L’amore è l’unica cosa che continuerà a muovere il mondo intero, a farci battere il cuore anche quando penseremo che non sarà più possibile. A farci fare le cose più folli e meravigliose. A farci rischiare di perdere tutto o al contrario, trovare tutto.
Presto sarò di nuovo con la mia Maili e vorrei che fossi tu la custode del nostro amore: so che è in buone mani.
E quando sarai pronta, riporta il tuo cuore “a casa”. È sempre stato lì ad aspettarti. Non avere paura.
Con affetto, Aappo.”
 
 
*****
 
 
Con la borsa stretta contro il petto, quasi aggrappata ad essa come se fosse una zattera di salvataggio, Lou camminava svelta da ore nella neve.
Non sentiva più il freddo riscaldata com’era dalle parole del suo Sig. Korhonen. Aveva gli stivali zuppi e il naso così ghiacciato che non lo sentiva più, ma la sua anima era in fiamme. Era uscita dalla Cappella del Silenzio in fretta, mossa da una smania che non sentiva da anni. Le mani intirizzite indovinavano i contorni del minuscolo quadro di Chagall attraverso la stoffa; ne accarezzava i bordi cercando conforto nella poesia e amore e magia così sapientemente condensate in pennellate di colore di anni e anni prima.
Aveva preso a camminare senza meta girando in tondo, presa nei pensieri e nei dubbi; nei sentimenti a lungo trattenuti e che ora risalivano in superficie tutti insieme. Si era ritrovata all’improvviso davanti alla Cattedrale Bianca ancora più bella e maestosa di quanto ricordasse, offuscata appena dai fiocchi di neve sempre più fitti.
La sovrastava eppure era come un candido abbraccio che le dava di nuovo il benvenuto. Salì rapidamente gli scalini di pietra senza prendere respiro arrivando in cima senza fiato e si girò a guardare la piazza e parte della città che si srotolava davanti ai suoi occhi.
Respirò a bocca aperta l’aria gelida, sentendosi viva dopo un tempo che le sembrava infinito.
Ogni parola scritta a mano dal suo vecchio amico apriva una nuova breccia nel suo cuore. Le sembrava che si stesse sciogliendo di minuto in minuto. Se avesse potuto esprimere a parole o a gesti la tempesta emotiva che le si stava scatenando dentro, qualcuno avrebbe potuto prenderla per pazza.
Non che la sua faccia stravolta facesse meno effetto, del resto. Non le importava. Non le importava di quello che la gente poteva pensare e credere di lei.
A quel punto non le importava più di nulla tranne che i tonfi del suo cuore impazzito.
Con un ultimo sguardo alla città scese con decisione gli scalini, incurante della neve mista a ghiaccio che li ricoprivano.
“Lou, vedi di non romperti l’osso del collo proprio ora!”, si disse in un impeto d’ironia.
I suoi piedi avevano deciso di seguire il suggerimento del cuore questa volta.
Cinque chilometri a piedi, quasi un’ora. 
Avrebbe avuto tutto il tempo per trovare le parole giuste da dire, prepararsi a qualsiasi cosa avesse trovato.
Un rifiuto, indifferenza, il vuoto. Era pronta a tutto ormai.
Lo doveva al Sig. Korhonen che aveva avuto una fiducia incrollabile in lei, lo doveva alla giovane donna dipinta del suo quadro.
Lo doveva a Mara che le aveva detto fino alla fine di correre a riprendersi il proprio cuore.
Lo doveva a se stessa.
Lo doveva alla Lou di quasi cinque anni prima.
Alla bambina di tre anni con la bocca sporca di marmellata alle ciliegie, imbronciata e con la palla in mano, che sognava l’amore vero ballando con i piccoli piedini sopra quelli del papà.
Era pronta a tutto. Non aveva più senso avere paura.
 
 
 
*****
 
 
 
Tutto era come lo ricordava.
Immutato nel tempo. Ogni pietra, vicolo, albero.
Era come se non se ne fosse mai andata, ed era tutto ciò che aveva sempre sognato. Per quasi cinque anni, non aveva fatto altro che desiderare di tornarvi.
Sentiva caldo ora, dopo poco meno di un’ora di cammino a passo spedito. Era sudata e non le importava.
Girò l’angolo ed ecco la casa del Sig. Korhonen.
Non c’era nessuna luce accesa. La tristezza dell’assenza tangibile dell’uomo la colpì in pieno.
Strinse a sé la borsa col quadro.
Sentiva dietro di sé la presenza incombente della Torre, ma non era ancora pronta ad affrontarla.
Lentamente volse lo sguardo alla casa che un tempo divideva con Nur. Le luci erano tutte accese e nel silenzio della sera riusciva a sentire chiaramente le inconfondibili risa acute di un bambino piccolo.
Tutto cambia e nulla cambia.
Si girò senza esitazioni e alzò gli occhi sulla Torre.
Aveva quasi avuto timore di trovarla disabitata e ostile.
L’ultimo piano era illuminato da una luce calda.
Ville c’era e forse non era solo. Non le importava neanche se Amy era presente: se solo osava guardarla storto l’avrebbe scaraventata giù per le scale, in mezzo alla neve.
Si avviò lungo il vialetto, salì le scale e scavalcò con un ghigno il basso cancello che fungeva da ostacolo.
A circa cinque metri c’era la porta di legno d’entrata alla Torre.
Mosse un passo e si fermò subito. La sicurezza iniziale si alternava alla paura.
“Calmati. Respira. Puoi farcela. Ville è oltre quella porta.”
Fece ancora un passo.
Un tonfo attutito e subito dopo un leggero scampanellio attirò la sua attenzione.
Una macchia nera si profilò all’improvviso a pochi passi di distanza, davanti a lei, spiccando nettamente sulla coltre immacolata.
Il gatto la fissava immobile. Gli occhi verde chiaro si strinsero.
Katty.
Non poteva che essere la sua Katty quella elegante felina dal manto nero e lucido, con un nastro rosso scarlatto intorno al collo.
«Katty…», sussurrò a mezza voce per paura di spaventare l’animale facendola scappare via.
La gatta si mosse all’indietro senza staccare gli occhi da lei.
Lou si accovacciò cauta e allungò la mano.
«Vieni qui, piccolina… sono io…», bisbigliò con un groppo in gola.
La felina era ancora cauta ma si avvicinò lentamente continuando a girarsi all’indietro, forse nella speranza di veder apparire un aiuto.
Il campanellino che era attaccato al collarino rosso tintinnava ad ogni passo.
Lei continuò a tenere tese le dita verso Katty che girava in tondo, facendo l’indifferente senza perderla di vista.
Le sembrò che passasse un’eternità prima che la gatta le arrivasse vicina a sfiorarle la mano col muso morbido. Lasciò che le odorasse la mano con calma, prima allontanandosi con un salto all’indietro poi tornando a sfiorarla, fino a che Katty prese a zampettarle le dita con le unghiette affilate.
«Piccola stronzetta, non sei cambiata per nulla!», disse divertita Lou lasciandosi mordicchiare e graffiare.
Katty alla fine si strofinò con la testolina sotto il suo palmo, accettandola definitivamente.
Lou rimase calma, grattandole lentamente il muso, senza fretta. La felina alzò gli occhi a guardarla fissa, con un’espressione altera e quasi di rimprovero.
«Hai ragione ad essere severa: sono stata cattiva con te.», sussurrò a bassa voce.
«Maooooaoo!», miagolò indispettita la gatta a confermare le sue parole.
«Sei proprio bella, lo sai? Sei diventata proprio una pantera in miniatura…», le parlò dolcemente coccolandola, lisciandole il pelo lucidissimo color della pece.
Katty le faceva le fusa socchiudendo gli occhi.
La neve cadeva sottilissima e così lenta che le sembrava di essere all’interno di in una di quelle sfere di vetro che tanto amava da bambina.
La porta di legno si aprì inaspettatamente facendola sobbalzare.
La figura inconfondibile di Ville si profilò nel fascio di luce proveniente dall’interno della casa.
Non aveva il coraggio di alzare gli occhi a guardarlo: non ancora.
L’uomo fece un passo in avanti per poi bloccarsi immediatamente, rigido.
Lou gli fissò la punta degli anfibi neri, risalendo pian piano lungo le gambe snelle. Teneva una mano infilata nella tasca dei jeans neri stinti e l’altra lungo il corpo.
Vide le sue lunghe dita stringere la sigaretta che stava fumando qualche istante prima.
Tenne lo sguardo fermo al centro del petto di Ville il tempo necessario per prendere respiro.
Le venne da sorridere notando che addosso aveva solo una t-shirt a maniche corte.
Non riusciva ancora a vederlo in viso ma la sua postura faceva intuire chiaramente di essere sorpreso.
Immaginò la sua pelle calda sotto le proprie mani.
Le punte dei capelli mossi. Li aveva tagliati e gli davano un’aria da ragazzino.
Ecco il collo liscio, il mento con un accenno di barba.
Le labbra strette fra loro.
Il naso piccolo e dritto.
Lou prese ancora un lungo respiro prima di incrociare il suo sguardo dopo un tempo troppo lungo, un tempo infinito. Cinque anni.
Cinque anni in cui si era negata ogni possibilità di essere felice o almeno provare ad esserlo.
Il verde chiaro degli occhi dell’uomo la trafisse da parte a parte.
Tra loro c’erano poco più di una decina di passi.
E la neve.
Che continuava a cadere pigra, silenziosa.
“Tutto cambia e nulla cambia.”, pensò Lou.
Era così che si erano incontrati la prima volta.
Il bianco dei fiocchi di neve, un gatto nero davanti alla porta e due persone intente a fissarsi in silenzio.
Si rimise in piedi lentamente dopo aver dato un’ulteriore carezza a Katty.
Durante le ultime ore si era chiesta se lui l’avrebbe mai riconosciuta.
Era chiaro che Ville sapeva benissimo chi aveva di fronte.
Lo sguardo sorpreso e disarmato dei primi istanti aveva preso il posto di un’espressione dura.
Lo capiva bene: aveva tutte le ragioni per guardarla in quel modo. Se lo meritava.
E col passare degli istanti si disse che avrebbe fatto qualsiasi cosa per farsi perdonare.
Nel frattempo doveva tornare a respirare in modo normale, però.
L’uomo si riscosse d’un tratto: portò alle labbra la sigaretta quasi consumata e diede un tiro.
La scena sarebbe stata perfetta se la sua mano non avesse tremato leggermente.
Lou provò un impeto di amore incondizionato per quell’uomo.
Un uomo dal quale era stata lontana per un tempo dieci, cento volte maggiore di quello che avevano passato insieme.
Eppure non era cambiato nulla: lo amava con la stessa intensità del giorno in cui era partita.
Aveva voglia di fare quei dieci passi e stringerlo forte.
Aveva voglia di sentire se la sua pelle aveva ancora lo stesso odore.
Ville non aveva abbassato gli occhi neanche per un istante: la sua espressione era sempre dura, distaccata.
Ma la sua mano aveva tremato. Non gli era indifferente. L’aveva riconosciuta.
E tutte queste cose insieme le davano un briciolo di sicurezza in più.
Cosa poteva dirgli?
Come si fa a chiedere perdono a qualcuno che forse non ha voglia di accettarti di nuovo?
Aveva la bocca arida e le mani sudate.
Le tremavano le gambe come quando da piccola ne aveva combinato una grossa e aspettava che sua madre la punisse.
Infilò le mani nelle tasche del giaccone bianco, tanto per fare qualcosa e muoversi.
Ville la guardava senza proferire parola. E non sembrava per nulla intenzionato a farlo.
Rimaneva rigido e immobile, fumando la sua sigaretta con finto disinteresse.
E più gli istanti passavano, più Lou non sapeva cosa dirgli e come iniziare.
Probabilmente lui si stava chiedendo cosa diavolo volesse dopo tutto quel tempo, cosa ci facesse nel suo giardino.
Forse avrebbe potuto iniziare con un “ciao”… sarebbe stato già qualcosa.
Ma per uno come Ville ogni parola sembrava superflua e stupida.
Si rilassò e anche lei prese ad studiarlo con calma, cercando di non trattenere il respiro e rischiare di stramazzare al suolo svenuta. Le sembrava assurdo di essere lì, davanti a lui.
Era ancora più bello di quanto ricordasse. Più bello di quanto immaginasse.
Il tempo per Ville sembrava andare al contrario.
Era solo un po’ più magro di cinque anni prima e aveva profonde occhiaie da stanchezza che su chiunque altro al mondo avrebbero stonato, ma su di lui risultavano affascinanti.
Lou mosse un passo in avanti, accennando un mezzo sorriso.
L’uomo strinse gli occhi, diffidente come poco prima lo era stata la gatta.
Se non fosse stato così orgoglioso, probabilmente avrebbe anche  fatto un balzo all’indietro come Katty.
Le venne da ridere istericamente.
“Ville mi butterà giù in strada a calci fra un po’.”
Prese un respiro e fece un passo in avanti. Poi un altro respiro. Un altro passo verso Ville.
 
Otto passi più vicino.
Non riusciva a decifrarne l’espressione: ora che la distanza tra loro diminuiva, notava una luce diversa negli occhi verdi dell’uomo.
Vedeva la fragilità attraverso la scorza dura dell’indifferenza.
I capelli di Ville si ricoprivano di neve sottilissima e lei si preoccupò improvvisamente del fatto che potesse beccarsi un raffreddore coi fiocchi se rimaneva ancora lì fuori, al freddo.
Lui sembrava insensibile anche al gelo esterno.
E continuava a tenerle gli occhi puntati addosso.
Si avvicinava lentamente, cauta; quasi timorosa di vederlo fare dietrofront e tornare dentro la sua Torre, chiudendola fuori anche dalla sua vita.
 
Sei passi.
Cinque anni le avevano insegnato qualcosa? A capire quello che a volte le parole non possono spiegare? O era solo il suo desiderio di tornare a “casa” fra le braccia di Ville, a farle vedere, a farle credere di vedere negli occhi dell’uomo immobile di fronte a lei, quella luce che vedeva un tempo?
La voglia di stringersi a lui era diventata un bisogno struggente.
 
Quattro passi.
Eccola ancora quella scintilla nella giada. Nonostante la rabbia e il rancore a stento trattenuti, c’era la luce di un tempo.
L’eco del sentimento che c’era stato tra loro.
Avrebbe preso freddo, pensò di nuovo Lou.
Si fermò davanti a lui, alzando la testa a fissarlo.
Ora riusciva a vedere le pagliuzze dorate negli occhi.
E anche l’odore della sua pelle, misto a legno e fumo di sigaretta.
Soltanto la sua mascella che si serrava a ritmi regolari poteva farle intuire che Ville non era così impassibile come voleva far credere.
 
“Non avere paura.”
La lettera del Sig. Korhonen che aveva imparato a memoria le risuonava nella testa, accompagnandola per tutto il tempo, nel tragitto mentre tornava a casa.  
A casa.

Tra le braccia di Ville.


******





"Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti! Siamo arrivati alla fine di questo viaggio. E direte voi: "Menomale!"
E avete ragione...
Che cosa posso dirvi se non un enorme, immenso, infinito GRAZIE?
Grazie a questa storia ho conosciuto tantissima gente, amiche ora.
E insieme a me, Lou e Ville, Andrea, così come Nur e Simone, Mara, Karl e la piccola Lily... e il nostro amato sig. K., sono diventati vostri.
Li avete amati e odiati insieme a me.
Questa avventura per me è stata bellissima e spero possa rimanere nei ricordi di qualcuno di voi.
Prima che diventi tutto un piagnisteo, la finisco qui. E vi dico arrivederci... forse torneranno con qualche OS.
Chissà?
Io vi ringrazio tutte, non mi metterò a fare nomi: ne dimenticherei più di uno e non voglio far torto a nessuna di voi.
Grazie a chi non ha mai mancato una recensione, chi mi ha detto in privato quel che ne pensava, chi non si è mai palesato ma ha seguito, un grazie a tutti voi. Nessuno escluso!

Per cui, beccatevi un grazie e un abbraccio virtuale.
Siete belli! :D
E poi se proprio vorreste ritrovare Lou e i nostri, vi segnalo che... ehm... avrei pubblicato su Amazon la trasposizione di Ikkunaprinsessa, col il titolo: Come miele e neve, con un finale aggiuntivo che qui non ci sarà. :D

Ci ho messo tanto per decidermi a fare questo passo. Molte di voi mi hanno spronato, per non dire obbligato a farlo!
Qualcuna anche in via abbastanza minatoria... :D
E quindi niente.
Sappiate che c'è questa cosa.

Non c'è Ville... ma qualcuno di cui non ricordo il nome, un inglese mi pare... un tale
Shakespeare scriveva:
"Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo."
Per cui anche se ha un altro nome, noi in cuor nostro sappiamo che sarà sempre lui. :D


Vi aspetto nel Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e Ville!

Siete le benvenute.
Alla prossima avventura.
Baci baci,

*H_T*




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