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Autore: _Mikan_    17/07/2015    0 recensioni
Capelli neri come la pece ed occhi azzurri come il ghiaccio. Questo caratterizza Margaret, oltre ad una passione smisurata per la natura. Ed è proprio in mezzo al verde che questa drammatica storia si apre, ricordando i bei momenti passati col padre defunto, accanto al proprio cane Calzino.
*Dal testo*
Mamma si avvicinò alla scura scrivania "da lavoro" o così la definivo io.
Era ancora in disordine con mille fogli sparsi un po' dappertutto.
Delicatamente sfiorò dei disegni con le dita.
Si soffermò su uno in particolare: raffigurava una donna seduta su una grande pietra.
Lo sfondo era un meraviglioso giardino con rose di ogni tipo. C'era perfino una fontana.
Ma le vere protagoniste erano delle ali bianche con piume candide e morbide.
Mamma prese il foglio e lo avvicinò per osservarlo meglio.
Ciò che più la ammutolì furono dei bellissimi capelli lunghi, lisci come la seta e di un nero come il carbone.
Si portò la mano alla bocca.
"Non è possibile."-Disse perplessa-"Non può averlo scoperto."
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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||Riassunto Capitolo Precedente||
Visto che è passato un millenio, vi riassumo brevemente qua sotto il capitolo. MOLTO brevemente:

Finalmente anche Luv ha scoperto che Margaret è la Dea di cui il regno ha bisogno da molto tempo.
Quindi non perde tempo ed inizia subito i preparativi per la parata: la nostra sfortunata protagonista
è costretta a salutare nel modo più aggrazziato possibile tutto il regno, passando fra la gente con
una bellissima carrozza. Ad accompagnarla ci sono anche Luv, Clarence e Livius al suo fianco che 
non tarderà a confortarla come può.
Finita la parata, Margaret sale su un palco in legno ben allestito con il suo magnifico vestito elegante 
appartenente alla madre naturale.
Qui fa dei giuramenti per rinascere come Dea. Rimane un po' perplessa quando scopre di non 
potersi innamorare di nessun umano. Ma, titubante, decide di andare avanti. 
Il suo coraggio va in frantumi quando capisce di dover dare alla nascita la prossima Dea e quindi morire. 
Si ribella, urla e schernisce quell'ignorante regno che si affida solo a qualcuno per vivere.
"Distruggete l'immagine della Dea, proprio come ho fatto io con questa coroncina!" 
Il popolo si arrabbia e, prendendo alla lettera le sue parole, la insegue con l'intento di ucciderla.
FINE. Ops. Ho parlato troppo comunque! Vi lascio a questo capitolo! Bye <3


  Il respiro irregolare era l'unica cosa che sentivo oltre ai miei rapidi passi e al cuore che pareva
potesse esplodere da un momento all'altro. 
Riuscii a seminare la folla arrabbiata entrando negli irriconoscibili corridoi del palazzo, senza fine.
Mi fermai per riposare, appoggiando le mani alle ginocchia piegate. Ci vollero interminabili minuti per far
tornare il respiro alla norma.

Quando rialzai il capo fu come se qualcuno mi avesse scagliato un pugno a tutta forza nello stomaco, 
carico di tristezza,stupore e sensi di colpa:
mi trovai davanti il giardino in cui i miei poteri si svelarono per la prima volta. 
Non riuscì a restare immobile a guardare il mio orgoglio distruggersi lentamente, perciò ricominciai a correre
con le lacrime agli occhi. 

Non potevo credere a ciò che successe qualche minuto prima. 
Quella folla furiosa era capace di uccidermi senza esistazione. Non volevo morire. 
Volevo vivere e tornare a casa mia. 

In quegli istanti che sembrarono interminabili odiai con tutto il cuore quel regno in cui ero capitata.
Mi aveva sconvolto la vita, in tutti i sensi. E ciò stava portando solo sofferenze e paure. 

La mia infanzia fu un masso enorme da portare sulle spalle e onestamente mi bastò. 
Non ne avrei mai voluto un altro, figuriamoci se più pesante.

Ridacchiai amaramente mentre il vento provocato dalla mia incessante fuga mi asciugò le guance. 

Avrei voluto soltanto cantare; nulla di più. Non mi pare di aver chiesto chissà che cosa.
Avrei voluto farlo con tutta sicurezza, senza dover badare ad un regno, partorire una figlia e morire.
Domandavo troppo? Chiunque poteva usare la propria voce, anche i più stonati. 
Io no. 
Non potevo. 

Sono proprio un'egoista. Una grande ed indiscussa egoista.
Ma infondo è essere egoista voler soltanto riuscire a fare una cosa comune e banale come tutti gli altri?

Iniziarono a farmi male le gambe ed il fianco destro non smetteva di pulsare. 
Rallentai per sbirciare alle mie spalle: nessuno mi seguiva. 
Potevo fermarmi. Ma non fermai le mie convinzioni. 

"Devo tornare a casa."-Mormorai sconsolata. 
Però non sapevo come fare. E solo una persona poteva donarmi aiuto. 

Solo che ... quella persona credette in me ed io la delusi amaramente. 
Luv, così come Clarence e Livius, non mi avrebbero mai e poi mai perdonato.
Forse. 

Se solo non ci fosse stato il rischio di farmi scoprire, avrei sicuramente urlato a perdi fiato per sfogarmi
da tutta la rabbia e lo stress accumulato in quell'ultima ventina di minuti. 

Ma qualcos'altro attirò la mia vigile (in quel momento sì) attenzione. 
Un violino. Ma non uno qualsiasi: era di Livius.
Avrei riconosciuto quel dolce suono anche da un altro mondo.

Suonava una melodia così triste, malinconica. Forse delusa, ma non ne sono certa.
Mi attirava a se come un'apetta in cerca di miele. Il mio cuore batteva ancora più forte e fremevo dalla
voglia di andare da lui e cantare come l'ultima volta. Ma non potevo. 

Il suono si fece sempre più vicino, mi rimbombava nelle orecchie e nella testa.
Sbatteva in ogni singolo punto del mio corpo e mi sussurrava: "Avanti, Margaret. Canta. Canta."
"No, NO!"-Urlai. 

Ora che ci penso, perché il canto era così importante per me?
Al nostro primo incontro Livius mi parlò del suo violino. Quella luce nei suoi occhi mi fece sognare ad
occhi aperti. Pensai che forse anch'io un giorno avrei potuto parlare della mia passione allo stesso modo.
Ma in quel momento, con le mani che mi tappavano le orecchie, il tormento di una voce interiore e le mie
urla strazianti per non starla ad ascoltare, pensavo che fosse davvero impossibile avverare il mio sogno.

Più il suono si avvicinava, più gemevo dalla rabbia. 
Arrivai perfino a sentire il rumore dei passi di Livius. 
Perché lo faceva? Gli piaceva torturarmi forse? 
Quel suo sorriso gentile era tutta una scena che sarebbe poi crollata una volta accettato, come una
brava cagnolina, tutti i giuramenti per rinascere come Dea.

"Margaret."-Mi chiamò.

Era a pochi passi da me. Smise di suonare il violino, ma io rimasi nella medesima posizione; con le
orecchie tappate, le ginocchia a terra e un'espressione orribile sul volto. 

"Margaret!"-Gridò. 
Il mio cuore sobbalzò urlando aiuto, ma il corpo ... rifiutava di muoversi.

Livius perse la pazienza e cercò di liberarmi con la forza da quella posizione che sembrava quasi 
una morsa di pura sofferenza. Non volevo mai più ascoltare neanche una nota. Mi faceva ricordare
i miei fallimenti, i miei sogni andati in fumo ... le mie orribili responsabilità dalle quali preferivo 
scappare. Eppure, nonostante pareva chiaro tutto ciò, Livius non si arrese.

"Ti prego, non fare così!" 

Il suo tono di voce mi sorprese. Era un misto di dolore, preoccupazione e compassione.
Sembrava quasi che stesse per mettersi a piangere. Io facevo già da moltissimo tempo.
Quei goccioloni mi rigavano il viso senza sosta, mentre non volevo assolutamente guardare
in faccia il ragazzo che si preoccupava tanto per me. 

Avevo paura. Paura che fosse tutta un'altra farsa per convincermi nuovamente ad adempire
ai mei doveri da Dea. In me la disperazione dilagava cercando invano delle risposte.
Livius era mio amico? Potevo fidarmi di lui, si o no? E se mi stava mentendo? Forse anche lui
era deluso dal mio comportamento e voleva liberarsi di me. 

"Margaret..."-Sussurrò lui. 

"Cosa c'è..?"-Chiesi sconfitta. 

"Canta, ti prego."

Guardai la mia mano. Era diventata rossa. 
Anche la guancia di Livius era del medesimo colore.
Mi pentii pochi secondi dopo di avergli dato uno schiaffo. 
Agii di stinto. A quelle parole mi sono sentita tradita, umiliata e presa in giro. Proprio da lui.

"Io ci speravo davvero, che tu fossi diverso."-Spiegai arrabbiata, con il volto afflitto e le lacrime 
che mi bagnavano il collo. 
"Tutti in questo schifoso mondo mi trattano come se fossi un oggetto! Non sono vostra! Non
potete dirmi cosa devo fare!"-Urlai sfogando tutto lo stress accumulato.

"Questo lo so."-Rispose lui.

"QUINDI E' PER QUESTO CHE CERCATE DI DOMARMI CON I VOSTRI SORRISI GENTILI?!"

Non ci vedevo più. I perfetti lineamenti di Livius diventarono sempre più sfogati per le lacrime. 
Tutta quella rabbia esplose con una singola frase. Mi sentivo sfinita, come se mi avessero
letteralmente torturato per ore. Non ce la facevo più. Le gambe cedettero e mi ritrovai in ginocchio
con le mani a coprire gli occhi. E piangevo, come mai avevo fatto. 

Mi vergogno di me stessa per non aver rispettato la promessa fatta a Clarence, perché quel
giorno ho desiderato davvero morire. Proprio lì, davanti a Livius, l'ho ammisi:
"Non ho scelta, Livius. Se divento una Dea, morirò. Se rinuncio ai miei poteri, il popolo mi ucciderà.
Tanto vale morire adesso, non trovi?"

Lo guardai con gli occhi ormai spenti, senza luce. Mi ero arresa.

"Non permetterò che ti facciano del male, Margaret. E anche Luv e Clarence la pensano allo stesso modo."

Ridacchiai amaramente. 
"Certo che non lo permetterete. Io vi servo. La vostra preziosa Dea non
può morire! Quindi mi torturerete! Con i vostri falsi, falsissimi gesti gentili, fino a quando una nuova creatura
prenderà il mio posto ed io morirò. Non sopporto tutto questo. Odio questo mondo. Vi odio tutti."

Sgranai gli occhi appena quel calore e quelle braccia forti mi avvolsero. 
Potevo benissimo uscire dal suo abbraccio, eppure qualcosa mi frenava. 
Stavo bene rannicchiata al suo petto. Mi sentivo protetta, in qualche modo.
Gli bagnai gli indumenti con le mie lacrime, ma a lui sembrava non importare granché.

"Ascoltami bene."

Io annuii obbediente, ancora frastornata dalla sua audacia e dal suo profumo travolgente.

"Tu non vuoi diventare una Dea, giusto? Perché altrimenti moriresti."

Accennai un sì con la testa: "Ma il regno è infuriato. Mi ucciderà."

"Tranquilla. Finché sei sotto la nostra protezione non potranno farti alcun male."-Spiegò con voce 
calma e paziente.-"Dunque, possiamo trovare un accordo."

"Ovvero?"-Domandai curiosa.
Intanto immersi il viso nei suoi vestiti. Ero troppo imbarazzata per guardarlo in faccia.
E, lato positivo, le mie lacrime finalmente si placarono. 

"Io posso farti tornare a casa."-Disse con voce compiaciuta.

Eh? Pensavo che solo Luv fosse a conoscenza del metodo.
In effetti mi ero sempre chiusa nella mia totale ignoranza, convinta che solo lei potesse aiutarmi.
Ma non era così. Livius conosceva il modo per salvarmi da quell'inferno. 

L'unica cosa che sapevo di certo è che per aprire il vortice e farmi tornare fra le
braccia di mia madre, serviva il mio potere.

"Come?"

"Ah, fammi finire."-Mi bacchettò-"Ti farò tornare a casa, ma noi non possiamo restare senza una Dea."

Ecco, lo sapevo. Sfruttata al massimo, imbrogliata fino alla fine.

"Il discorso che hai fatto sul palco ... sembrava interessante. Hai ragione: ci affidiamo a qualcuno
dandogli tutte le responsabilità. E mi dispiace davvero che questo destino crudele sia capitato a te, Margaret.
Quindi che ne dici di collaborare? Potresti insegnarci come si fa... insomma a mantenere la natura viva
senza il potere di una Dea. Nel tuo mondo fanno così, giusto?"

Le sue parole mi lasciarono perplessa, ma soprattutto stupita.
Non mi era passata nemmeno per la mente questa soluzione! 

"E quando finalmente avremo imparato, potrai tornare a casa. Sempre se lo desideri ovviamente."-Concluse
sorridente. 

Mi sciolsi dalla sua presa e lo guardai dritto negli occhi. 
Non stava mentendo. Voleva davvero collaborare. 

Che avevo da perdere? Infondo avrei potuto finalmente abbracciare mamma e Calzino.

"Ah, prima però dobbiamo convincere Luv ... e parlare con una folla infuriata."-Ridacchiò lui.

Non importava. Potevamo farcela, insieme.
"Mi dovrai aiutare."-Sorrisi teneramente.

"Ovviamente."

Livius si alzò in piedi, sistemandosi i vestiti.
Lo imitai. Asciugai anche le ultime tracce di lacrime sul mio collo. 

"Margaret."-Mi chiamò sorridente. 

"Sì?"

"Non sei felice?"-Domandò.
"Sì, lo sono. Perché?"

"Perché adesso puoi cantare liberamente."

Sgranai gli occhi e mi trattenni dal piangere nuovamente.
Accidenti che piagnucolona che divenni in quello strano posto.

"Canta. Fallo per me. Non per la natura, il regno o tutto quello che vuoi."-Disse Livius-"Fallo per me. E per te."

Annuii. Ero al settimo cielo. 
Quel giorno... il mio sogno si era avverato.
Cantai con tutta me stessa, accompagnata dallo splendido violino.
Durante la nostra magica esibizione, il mio potere si risvegliò ancora una volta, rivelando le mie 
splendide ali candide. Ma non mi importava più ormai. Cantavo per me, per il gusto di farlo. 
Cantavo per il mio eroe, Livius.

Ed era un sollievo sapere che non sarei morta di lì a poco. 
   
 
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