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Autore: BabaYagaIsBack    18/07/2015    1 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Chapter Thirty Four
§ I'm begging you §

 

I don't need drugs
I'm already six feet low
Wasted on you
Waiting for a miracle
I can't move on
Feels like we're frozen in time
I'm wasted on you
Just pass me the bitter truth

- Evanescence, Wasted on you

 

Londra è fredda stasera, lo è più delle altre volte. Mentre cammino svelta su dei sandali che mi pento di aver indossato, stringo le braccia al petto e cerco di ripararmi dalla brezza gelida che cerca di pizzicarmi la pelle.

Ma il problema a dire il vero non è il meteo, sono io.
Ribollo di rabbia e frustrazione, di un'esasperazione che mi porta sempre più lontana da casa e dal The Elder and the Moon. Ho bisogno di una pace che manca da tempo, forse dal giorno in cui mio fratello ha dichiarato il proprio trasferimento - credo sia stato in quel momento che il mondo idilliaco in cui vivevo ha preso a creparsi. Con l'andare del tempo poi, le fratture si sono fatte sempre più numerose, ragnatele da cui i cocci hanno iniziato a staccarsi, portando Seth a fottere la sconosciuta sbagliata e Charlie a dover affrontare un doppio dolore.

E poi ci sono io. Nel mezzo di questa pioggia di detriti mi sono ritrovata priva di ombrello, finendo inzuppata esattamente quanto loro.

Ma ho bisogno di un riparo e un focolare dove ripararmi, perché non sono in grado di sopravvivere ad alcuna tempesta.

Nuovamente una buca prova a minacciare la caviglia sinistra e, barcollando, mi ritrovo a cercare sostegno su una macchina. Gli poggio sopra le dita per evitare la caduta, però lo faccio con talmente tanta violenza che, per qualche assurdo scherzo del destino, questa inizia a suonare e lampeggiare, terrorizzandomi.
Scatto di lato soffocando un urlo, ma lo spavento è tale che il cuore mi schizza in gola.

Merda!
Merda, merda, merda!

Accelero il passo, provo ad allontanarmi il più possibile, poi finalmente trovo un vicolo in cui rintanarmi - ma anche a questo punto non riesco a fermare le gambe. Il mio corpo mi vuole condurre sempre più lontana, vuole inseguire la speranza di un rifugio che so non esserci, eppure non posso che assecondarlo in questa stupida ricerca.
Passo dopo passo, ora aggrappata alla catena della borsa, avanzo quindi fino alla traversa successiva, scoprendomi in un luogo un po' più familiare e iniziando a orientarmi.

Due fermate di bus, mi ricorda la mente, peccato che non voglia assolutamente stare in mezzo alla gente. Non voglio dover salutare l'autista, timbrare il biglietto, sedermi in un angolo e poi scoprire qualche estraneo intento a osservarmi. Non voglio rivolgere a nessuno alcuna chiacchiera di circostanza o rispondere all'ennesimo turista disperso. Desidero solo affondare la faccia in un petto familiare, ascoltare il battito del cuore che scandisce il tempo e inebriarmi del profumo di pulito - e più ci penso, più il bruciore agli occhi si fa fastidioso.

Mi guardo i piedi. Li osservo bene. I tendini guizzano sotto la pelle, la punta delle dita è arrossata e, devo ammetterlo, credo che il cinturino sia sul punto di lacerarmi la carne. Non so se mi supporteranno per tutto il tragitto; a dire il vero, lo dubito fortemente. Così esito, muovendo un passo incerto verso la pensilina e poi tornando indietro. Mi giro verso l'altra direzione, osservo i fasci luminosi dei lampioni che a intermittenza spezzano le ombre. Torno a fissare per terra.

L'unica certezza che ho è quella di non poter star ferma, perché standolo potrei essere scoperta da qualcuno che preferirei evitare e, soprattutto, mi negherei per certo la possibilità di raggiungere un po' di tranquillità, lo spazio e il tempo che mi servono per calmarmi e decidere il da farsi.

Mi mordo il labbro, lanciando ancora qualche occhiata dubbiosa verso la fermata del bus e poi la direzione che dovrei seguire. Resto ferma in attesa di un'illuminazione, ma alla fine, un po' rassegnata, capisco che non ci sarà nessuno a venire in mio soccorso - non adesso, quantomeno; così mi armo di una sigaretta, una delle poche rimaste nel pacchetto sgangherato, l'accendo e prendendo un lungo respiro dal filtro, facendomi coraggio. 
Ora vado, mi dico, adesso mi incammino.

E i piedi in effetti riprendono a muoversi uno dopo l'altro, fin quando senza rendermene conto mi ritrovo già troppo lontana per tornare indietro. Nella brezza gelida avanzo al pari di un pesce controcorrente. Mi sforzo di avanzare, di combattere il moto che vorrebbe vedermi arresa, sconfitta di fronte al caos che è la mia vita - eppure non succede. Non ancora, per lo meno. E se devo essere del tutto sincera, mi auguro che non accada proprio stasera: perché ho bisogno di conforto, non dell'ennesimo scontro.
Così proseguo tra le prime, pungenti fitte di dolore, tra un tock del tacco sull'asfalto e quello successivo. Mi ripeto che non c'è altra soluzione, che sarà una passeggiata degna dello sforzo, che ne ho bisogno, ma quando infine arrivo a destinazione, con le vesciche ormai gonfie in più punti, le luci spente e il parcheggio vuoto mi tirano uno schiaffo ancor più violento e lo sento, mi avverto vacillare. Perché il corpo forse è forte, ma il cuore è sempre più sensibile, ferito, debole - e perisce sotto questa nuova ed evitabile delusione.

Lo sconforto mi attanaglia la gola, mentre il vuoto inizia a risalire dallo stomaco al petto e, più mi spingo verso alla soglia di una casa inanimata, più lo avverto spalancare le fauci come una bestia e prepararsi a inghiottire ciò che vi è custodito all'interno - preda inerme delle conseguenze delle mie azioni.
Quindi, quando le nocche incontrano per tre volte il legno della porta, ricevendo in cambio solo assordante silenzio, le lacrime prendono a rigarmi il viso. Calde, le sento scorrere sulla pelle gelida delle guance. Scivolano giù lentamente, accarezzando la carne nel vano tentativo di darmi conforto.

Non è qui.
Nessuno lo è.
Eppure sul calendario in cucina c'era segnata una stupida data, un giorno speciale - lo sapevi, cristiddio!

Lo sapevi...

Le ginocchia cedono e involontariamente mi ritrovo accucciata su me stessa, a un passo dal tracollo. 
I tacchi fanno da palafitte, restano ancorati sul vialetto mentre la costruzione di ossa, legamenti, organi, muscoli e carne prova a crollare.

Mi copro il viso con le mani. Pigio forte i palmi sugli occhi, ma di smettere di piangere, questi, proprio non ne voglio sapere. Un singulto dopo l'altro mi faccio sopraffare da un turbinio di nauseanti emozioni - perché non gli chiedevo altro che esserci, eppure lui non è ancora tornato; ed io ho bisogno della sua presenza. L'ho avuto sin dal principio, ma mi sono ostinata a credere di poter affrontare la favola con Seth senza un compagno di viaggio che sapesse aiutarmi nei momenti di buio.

E questo è uno.
Quindi perché cazzo non sei quiPerché hai scritto quella data se alla fine non l'hai resa speciale?

Rantolo il suo nome, come un'invocazione, ma nuovamente non ricevo risposta. Così stacco una mano dal volto, la porto alla tasca e ne tiro fuori il cellulare. Digito svelta ciò che ricordo, poi l'inoltro di chiamata si attiva.

Tuh
Uno.
Tuh
Due.
Tuh
Tre. 
Perchè non mi rispondi?
Tuh
Quattro.

Segreteria telefonica. Il cliente da lei desiderato non è al momento raggiungibile. La preghiamo di riprovare più tardi o attendere in linea per lasciare un messaggio. 
Passano giusto pochi istanti, ma a me paiono un'eternità. I singulti non diminuiscono e avverto in bocca il sapore salato delle lacrime.
Dopo il segnale acustico, registri il suo messaggio.

Beep!

«Charlie?» ho la voce rotta dal pianto, roca. Ogni lettera graffia le corde vocali ed esce di bocca al pari di un lamento: «Charlie, ho bisogno di te» singhiozzo. Mi sento una bambina che supplica, un fedele che chiede la misericordia.
Tirò su con il naso: «Sono una stupida, lo so. Sono una persona orribile, la peggiore che potessi incontrare, ma ti prego... Charlie, ti prego... torna.» Un nuovo rantolo spezza le mie parole, lacera la gola. Piango senza alcun ritegno, conscia di star compiendo qualcosa di sbagliato, di spregevole. Sto pregando Benton di venire da me, di sostenermi e cullarmi con la stessa arroganza con cui l'ho messo in disparte nel momento in cui le labbra di Seth hanno sfiorato le mie - perché era facile farsi ammaliare, sciogliersi al passare delle sue dita sulla pelle o tremare nel momento in cui i suoi sussurri accarezzavano i timpani. Offuscata dal mio personale piacere, dalla sfacciata fantasia di essere la metà di Morgenstern, ho scacciato il sole che era Charlie, ritrovandomi al buio - peccato che nelle ombre così peste io non sappia orientarmi.

«Char-»

Per riascoltare il messaggio, premere uno.
Per registrare un nuovo messaggio, premere due
Per eliminare, premere tre.

Con l'altra mano mi tappo la bocca, cerco di tenere per me la nuova ondata di lamenti.
Merda.

E non sento dolore, mentre piango - o almeno non in questo momento. Ciò che avverto è solo nostalgia, amarezza, frustrazione; e desiderio di lui, dei suoi abbracci.

Interrompo la telefonata. O qualsiasi cosa questo sfogo sia stato.
Resto accovacciata sulle mie stesse ginocchia, stringendo con sempre maggior rabbia le dita sulla faccia.
Vorrei alzarmi, afferrare il pomello della porta e scoprirla aperta, ora. Mi piacerebbe varcare la soglia nel silenzio dell'assenza, salire le scale, girare a sinistra e incontrare il volto sbiadito di Syd Vicious che annoiato mi saluta da un poster - come sempre. Bramo il cigolio dei cardini, l'odore di sapone di Marsiglia mischiato con quello della carta e la traccia lieve di tabacco nella stanza. Ambisco al suo letto, quello sempre sfatto, quello dove l'ultima volta l'ho trovato sdraiato e dove si è lasciato ammirare, per poi aprire gli occhi e tirarmi a sé, nel calore della spensieratezza e dell'affetto, quelli veri, puri.

Vorrei tornare a quel giorno.

Mi spingo in avanti sulle punte dei sandali, abbandonando per qualche istante la sicurezza dell'equilibrio. La testa cozza contro il legno, ma l'anta non si spalanca.

Non c'è nessuno ed io sono sola, è questa la verità. Potrei sbraitare e picchiare i pugni, ma nulla cambierebbe - forse dovrei quindi tornarmene a casa, guardare Jace in faccia e dirgli semplicemente... non lo so. A dire il vero non ho la più pallida idea di cosa dire, di che scelta fare; mi pare che tutto sia così sbagliato, fragile. Sto camminando sul ghiaccio e ogni passo che compio lo fa crepare e scricchiolare sotto di me. Sento il suono minaccioso della frattura, avverto il pericolo, mi preparo alla caduta - ma quando avverrà?

Già una volta sono scivolata, sbucciandomi le ginocchia. Il bruciore mi ha ferita, mi ha messa in guardia, mi ha detto "Jay, non giocare a fare l'equilibrista", ed io per lo spavento ancora non sono riuscita a rialzarmi, per questo sono qui, anche se il desiderio di toccare il cielo è forte, mi formicola dentro. E mentre io vagheggio su cosa sia meglio fare, per queste membra stanche, gli altri mi impongono di riprendere a camminare, di trovare la strada giusta su questa lastra di ghiaccio sottile. C'è chi mi vuole tirare da un lato e chi dall'altro, ma la paura mi attanaglia insieme alla curiosità, mi fanno muovere e poi ritrarre in un movimento perpetuo e pericoloso - sento che mi è rimasto poco tempo, che se non avanzo finirò di sotto, eppure cosa devo aspettarmi da questo nuovo capitombolo? Alla prossima caduta il dolore sarà uguale?

Me lo domando più volte, alzando infine gli occhi sulla facciata di casa Benton.

Basteresti tu, Charlie, a farmi sentire un po' più sicura. 
Ma ancora non ci sei... e chissà se tornerai mai.

I minuti intanto passano lenti, eppure vanno avanti senza mai fermarsi, ma ciò non cambia il fatto che nulla stia accadendo e nulla accadrà attendendo. Le luci stasera resteranno spente fino al ritorno di Molly e suo marito, forse fuori per una cena o qualche evento di cui non riesco a immaginare la natura. Si accenderanno per poco, poi nuovamente lasceranno posto al buio e con esso anche il sonno - ed io non posso farmi trovare qui, anche se vorrei. Sarebbe comunque meglio che tornare a casa mia, ma temo quali conseguenze questa scelta potrebbe avere.

Così mordo la lingua. Mi faccio coraggio.

Non posso restare qui in attesa di un miracolo, di un angelo o un Santo pronti a consolare le mie pene, a lenire i miei mali.

Mi aggrappo al pomello, poi piano mi tiro su.

Vado, lo giuro. Adesso mi giro e mi allontano.

Muovo il primo passo all'indietro, gli occhi puntati sull'anta bianco latte che sembra essersi macchiata del trucco che mi è colato insieme alle lacrime. Ne muovo un altro, faticando però a girarmi e riprendere senza esitazione il cammino verso casa.

E' inutile che mi ostini, non siamo in un film.

A ritroso ripercorro la strada fatta solo una decina di minuti fa. Mi faccio largo tra i pensieri che s'intervallano a suoni a tratti inaspettati, fastidiosi. Sono le risate di chi stasera si andrà a divertire, i motori delle macchine che si dirigono velocemente nei posti più disparati; sono i miagolii dei gatti randagi e i lamenti dei cani costretti dietro a qualche cancello. Ci sono i suoni che escono dai locali, le radio che passano i brani più in voga del momento e i miei tacchi che picchiano sempre più forti sull'asfalto. C'è Londra intorno a me, piena della sua vita, però io vorrei solo allontanarmici e dimenticare quali segreti o tragedie nasconde dentro ai suoi edifici, tra le sue strade.

Mi stringo nelle spalle portandomi come un automa verso le scale della metropolitana, una qualsiasi, perché tanto non ho una meta prestabilita. Mi fermo giustappunto di fronte al cartello con le varie fermate, ponendomi solo a questo punto il problema di dove andare.
Misha e Caroline saranno occupate, forse staranno ancora bevendo al tavolo dell'Elder and the Moon, parlando dei piani futuri, dei progetti che le attendono quest'estate - o forse semplicemente questa notte. Seth potrebbe essere tornato al proprio appartamento, un luogo che al momento mi repelle; in alternativa potrebbe essersi messo sulle mie tracce - oppure, nel peggiore dei casi, potrebbe essere rimasto con Jace a parlare, confrontarsi, farsi ancora qualche livido e rivendicare il mio cuore. 
Casa Raven è, seppure il posto a me più familiare, quello più ovvio in cui cercarmi, per questo non voglio tornarci - forse, a questo punto, l'ultima e unica opzione che mi rimane è quella di andare da Josephine, in modo da poter dar pace al cuore e soprattutto alla mente. 


Scendo i gradini con pigrizia, digrignando i denti ogni volta che la scarpa fa pressione su qualche vescica: almeno ho questo dolore a distrarmi, sennò finirei con il rimettermi a piangere in qualche angolo sperduto del Brent.

Barcollo quindi tra la gente senza staccare gli occhi da terra e, quando finalmente salgo sul vagone, mi concedo il lusso di specchiarmi nel vetro sporco.
Ho la faccia tanto pallida da far sembrare gli occhi due buchi neri. Linee scure mi solcano le guance fino a sparire nei pressi della mascella, ma non possono evitarsi di raccontare la disperazione del pianto che le ha create, il bisogno mai placato di un corpo che da troppo tempo rifugge le mie mani, il mio sguardo, la mia voce. 
Percorro l'immagine che ho davanti pensando che sembro pazza, stravolta, ferita, eppure nonostante questo nessuno si accorge di me - grazie al cielo, aggiungerei contrariamente a ogni aspettativa. Come ho detto non voglio dover parlare con nessuno, men che meno sfogarmi con un estraneo. Io volevo Charlie, ma lui non si è fatto trovare.

Il metrò si ferma ed io abbandono la figura, in parte sbiadita, di me stessa.


 

Yaga:

Okay, forse non è il migliore dei capitoli proposti fino ad ora, ma fate il calcolo che l'ho riscritto da zero, viste varie problematiche nel mezzo. Quindi quelle che erano 800 parole sono diventate 2580 - un bel cambiamento, no?
Ad ogni modo, preparate i pop-corn! Ciò che vi aspetta sarà ben lontano dalle gioie che ci si potrebbe aspettare. Come si comporterà la nostra Jay di fronte alla sua totale incapacità di azione, schiacciata dal peso degli eventi? Jace e Seth si spaccheranno le mascelle a suon di cazzotti o troveranno un compromesso? Ma soprattutto, Charlie tornerà?
Al prossimo aggiornamento - che doveva essere l'ultimo secondo la versione originale, ma non lo sarà per vostro disappunto personale <3

 

   
 
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