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Autore: EsterElle    18/07/2015    0 recensioni
Era una strana situazione: essere lì, insieme, e non fare la guerra.
La Foresta del Re non è un posto sicuro e i nemici non dovrebbero condividere il pasto né le loro vite, i loro ricordi, le loro storie. Ma, al calar della notte, esiste un angolo di Foresta in cui queste regole non valgono più. Un soldato del re, un arciere misterioso, uno Spirito della terra, un ragazzo incappucciato e una donna terribilmente bella stringono un patto e decidono di fidarsi gli uni degli altri. Così, attorno al fuoco, prendono forma storie straordinarie e segreti.
Ma la pace è un sogno e la tregua non sarà che l’inizio della fine.
(Terza classificata al contest "The Anciest Tales" indetto da Tsunade e Ino;Chan sul forum di Efp).
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5
Profeta






« La mia storia è stata già raccontata e poco vi è da aggiungere; a me sta solo di rivelarne il finale.
Ormai alcuni di voi l’avranno intuito e preferisco sciogliere ogni dubbio: sono Colum, Colum Kimberly.
Ciao Brian …
Ecco … io non sa da che parte cominciare.
Mi sento a disagio quando devo parlare in pubblico.
Avrei talmente tanto da dire e sento tanta confusione che …
Credo di …
Sì, certo, risponderò alle tue domande Thea. Ti ringrazio molto.
Ho diciotto anni ormai e vivo da qualche tempo nella città di Ollgan, alla sede della più grande Comunità dei Portatori.
E sì, Brian vi ha detto la verità affermando che sono un Portatore io stesso.
Sì, posso vedere il futuro.
Per favore no, non chiedermelo. Nessuno di voi mi domandi nulla sul suo domani; ho visto uomini lasciarsi morire dopo aver ascoltato le mie parole. Posso vedere solo ciò che le Divinità mi concedono ma vi assicuro che è molto quello che conosco di questa vita e di questa terra.
No, grazie al cielo.
Lo giuro, non ho idea di quale sarà il mio destino. Per quel che mi riguarda, vedo solo buio. Le Divinità sono state clementi e non mi hanno concesso la maledizione di conoscere il mio stesso futuro.
Credo di no.
Non è facile essere il figlio del grande John Kimberly. Più che altro, è molto dura reggere il confronto con il suo carisma, la sua sicurezza, la sua forza. Lui è un leder mentre io, per la mia Comunità, resterò sempre un bambino, spaventato dallo stesso futuro che ha il dono di predire.
Qualcosa da raccontare a Brian? Molte cose, Spirito, ma nessuna che lui vorrebbe ascoltare, credo.
Va bene, ci posso provare.
Poco dopo la tua partenza, Brian, papà ha chiuso la nostra attività e mi ha portato con sé a Merkedek. Da allora, non mi sono più fermato, sempre in viaggio insieme a lui da un angolo all’altro del regno a far visita alle Comunità dei Portatori sparse ovunque. Ho perso le mie certezze, tutte quante; nessuna delle mie visioni, nemmeno le più belle, hanno saputo ridarmi quel senso di sicurezza che provavo quando tu eri al mio fianco.
Sì, questo penso di averlo capito, Thea: io non ho colpe.
Ho conosciuto altri Portatori, giovani come me eppure molto diversi dal tredicenne che ero io all’inizio. Mi disprezzavo, a quel tempo, profondamente. Odiavo il mio potere e lo consideravo la causa della mia solitudine, del dolore di Brian, delle ambizioni smisurate di papà. Continuavo, nella mia mente, a rifiutarmi di lasciarlo scorrere e questo mi faceva stare male.
Sì, hai ragione: non mi accettavo e non riuscivo a convivere con me stesso. Sono un mostro, pensavo in continuazione.
C’è stato qualcuno di importante ad aiutarmi, sì, certo. Katie prima, poi Selma e il buon Dennis sono diventati miei amici, i miei primi veri amici; insieme siamo riusciti a diventare ciò che eravamo destinati ad essere.
Portatori, ovviamente.
Perché non c’è nulla di sbagliato in me, lo so.
Come faccio ad esserne sicuro, chiedi, fratello? Perché questa notte ho ascoltato il tuo racconto ed ho capito alcune cose che ignoravo. Né io né il mio potere siamo i responsabili della tua sofferenza e, forse, lo sai anche tu.
Aspettate un momento, vi prego, e continuerò: c’è ancora molto da dire.
 

Ecco, dov’ero rimasto?
Sì, giusto. Vissi molto a lungo con le Comunità dei Portatori e, in un certo senso, divennero la mia famiglia. Tutti si sentono a casa, nelle Comunità, tutti credono di far parte di un'unica grande casata; è così che funziona laggiù. Papà non è solo mio, no: lì, lo devo condividere con ognuno dei Portatori di questo regno.
Così successe che vissi tanto a lungo e tanto serenamente in mezzo ai miei simili che, paradossalmente, inizia a considerare i Portatori come la salvezza di questo nostro mondo.
Mi spiego meglio: ero convinto che la nostra Comunità fosse la chiave per la pace.
Si, ridi pure, Aster di Landbridge; sono stato tanto scioccamente ingenuo!
Me ne vergogno moltissimo, ora.
Non ricordo con precisione cosa mi portò a formulare quei pensieri folli: forse ero stanco e spaventato da questa guerra infinita, forse volevo solo ritornare a Katma e alla mia vita. Non so.
Di fatto, a quindici anni ero solo e l’unica certezza rimasta erano le Comunità: così mi aggrappai con talmente tanta forza all’idea che i Portatori fossero nati con la missione di riportare la pace nel mondo che divenni cieco a ciò che accadeva sotto il mio naso.
“Saremo terreno di incontro, rappresenteremo l’unione felice dei popoli che abitano questa terra” credevo e dicevo ai miei amici.
Figli degli Umani, con l’aspetto e la storia degli uomini, ma dotati delle straordinarie abilità delle Creature, non poteva che essere nostro il compito di restaurare gli equilibri distorti dall’odio della guerra.
Iniziai a scavare tra le righe del tempo per cercare di capire come e quando questa lotta avrebbe avuto fine e, soprattutto, per merito di chi.
Cercavo conferme, esatto. Conferme alla mia teoria folle.
Cercare di vedere il futuro più lontano, cercare di vedere il futuro che riguarda l’intera umanità, è molto difficile: ogni visione era debole, chiazzata di rosso e di fuoco, ma sempre sfocata. Infine smisi di provarci, consapevole che gli Déi non mi avrebbero concesso quella conoscenza, ma continuai a credere nella nostra missione di salvezza.
Mi comportai come un bambino: sciocco, cocciuto e sognatore.
Un giorno, poi, scrutai il futuro di mio padre.
Non dovrei raccontarvelo, a dir la verità, perchè tradirei la mia Comunità: ma ho deciso che non voglio più essere usato o manipolato  da nessuno. Ho deciso che sceglierò da solo il mio destino e da solo prenderò le mie decisioni. Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a lasciare Ollgan.
Sì, vi dirò ciò che vidi.
Ho visto John Kimberly grande, potente, ricco e importante come un re: poi, la visione è cambiata e mi sono ritrovato a fissare la sua testa rotolare in un mare di sangue e di arti, di corpi martoriati. Per molti giorni non sono stato in grado di mangiare né di guardarlo in faccia.
È da allora che mi rifiuto di spiare il domani delle persone a me care.
Avevo un rapporto complicato con mio padre a quel tempo: lo ammiravo, questo è certo, ed ero piuttosto orgoglioso di essere riconosciuto come suo figlio. Lui era gentile, con me, severo anche e, soprattutto, distante. Così, nella mia mente, divenne sempre meno un padre e sempre più un eroe, un modello da imitare. Come le Divinità, lontane nei loro Tempi, John Kimberly mi pareva l’eroe del nostro secolo, troppo impegnato a portare l’equilibrio nel mondo per dedicarsi alla nullità di figlio che gli era capitato. Prima di morire porterà pace, pensavo.
E così, il culto di mio padre non fece altro che alimentare quel folle sogno di salvezza.
Forse avevo qualcosa da dimostrare anche a te, Brian, inconsciamente: forse, volevo mostrarti quanto fosse possibile far dal bene, essere una persona giusta e onesta anche per un Portatore come me.
No, non ti odiavo; eri, sei ancora, la prima persona a questo mondo che si è presa cura di me come un padre.
Sì, mi sei mancato terribilmente in questi anni.
Senza te mi sono perso, Brian, ed ho sbagliato tutto.
Per molti anni non mi sono accorto che i grandi capi delle Comunità, compreso papà, mi stavano utilizzando per i loro sporchi scopi.
Certo, Thea, sfruttavano il mio potere.
All’inizio era un divertimento, per me, predire il futuro per loro. Poi, quando sono cresciuto, mi hanno ingannato con la promessa di usare le mie informazioni solo per aiutare, per difendere, per limitare i morti. Per proteggere le nostre Comunità, anche.
Aster, sì: gli ho creduto!
Ho ceduto loro informazioni sul risultato di battaglie, sui tragitti degli approvvigionamenti, sul numero di uomini impiegati in un conflitto e sul luogo dello scontro, sulla morte dei pezzi grossi di Umani e Creature per anni.
Lo so, non c’è rimedio a quel che ho fatto. Ma, ve lo giuro, io non lo sapevo.
No, non conoscevo la vera natura, lo scopo delle Comunità e di John Kimberly.
Cosa credevo, mi chiedi? Credevo che i Portatori si difendessero dagli Umani e dalle Creature che avevano intenzione di attaccarli ma che non si schierassero, non appoggiassero nessuna fazione se non quella della  pace. Ve l’ho detto, ne ero fortemente convinto!
No, le mie visioni non mi hanno aperto gli occhi.
In quel periodo vedevo e prevedevo solo quello che mi era chiesto: mi era vietato scrutare il futuro per conto mio ed io obbedivo sempre, tranne per qualche sciocca trasgressione. Non avevano neanche bisogno di controllarmi con la magia: per la salvezza dell’umanità appoggiavo e sposavo ogni regola della Comunità.
Ero in un vicolo cieco, capite?
Alla fine ho aperto gli occhi, sì, Spirito.
Alla fine ho capito tutto.
È accaduto non molti giorni fa, a dirla tutta, quando mio padre mi ha fatto convocare nella Sala Grande, insieme a tutti i vertici delle Comunità.
In quella stanza conoscevo tutti: Ben dagli occhi di fuoco, Percy e i suoi poteri di telecinesi, Annabeth e il suo potere di persuadere, Frank, Woody e Ran, maestri del creare. E John, mio padre, ovviamente, che controllava il legno.
Erano tutti lì, seduti intorno ad un tavolo coperto di fogli, con una grossa cartina del regno aperta proprio nel centro. Era ovvio che si avvicinava una battaglia e loro tutti avevano bisogno dei miei servigi.
Diversamente dal solito, però, ero stato convocato con grande anticipo; la discussione intorno al tavolo era ancora accesa e io ebbi la possibilità di ascoltare ogni cosa dall’angolo in cui ero stato relegato, sorvegliato da un uomo armato.
Grazie ad una mia precedente visione la Comunità era venuta a sapere del piano di distruzione a tappeto che il generale Han dell’esercito degli Umani stava preparando contro i Villaggi delle Creature nella Foresta del Re. Ebbene, ero certo che, insieme ai Capi, avremmo potuto salvare quegli Spiriti e quei soldati destinati alla morte.
Mi accorsi ben presto, però, che mio padre e i suoi soci non la pensavano allo stesso modo.
“Se non interveniamo nemmeno questa volta perderemmo qualsiasi appoggio da parte delle Creature: se non facciamo nulla sarà automatico, per loro, credere che ci siamo definitivamente schierati con gli Umani” disse Annabeth dal suo posto, le mani sulle tempie.
“Ma se difenderemo il Villaggio cosa potrà credere il generale Han? Che abbiamo voltato bandiera! E noi non possiamo permetterci di avere contro il Re e il suo esercito” ribatté il grosso Frank.
“Siete nel giusto entrambi, colleghi: è per questo che credo sia giunto il momento di schierarsi. Se uniremo le nostre forze a quelle regie vinceremo questa guerra, lo sappiamo tutti” intervenne con forza Ran, la più anziana del gruppo.
“No, sciocca” fu il duro commento di Ben dagli occhi di fuoco. “Le nostre Comunità non sono unite: molte ci abbandonerebbero se dovessimo unirci al Re e si porteranno dalla parte delle Creature. Il risultato sarebbe una lotta alla pari e noi Portatori non avremmo nessun merito e nessuna ricompensa quando tornerà la pace”.
“Ben ha ragione. Se vogliamo essere riconosciuti e affermarci come popolo le Comunità devono restare unite” mio padre l’aveva appoggiato.
Affermarsi come popolo? Schierarsi? La verità si avvicinava sempre di più e io avrei voluto tapparmi le orecchie e fuggire via pur di non sentire. Avevo fondato la mia vita sulla missione pacificatrice di noi Portatori e, in quel momento, stavo osservando i miei sogni andare in pezzi.
“Chi ha una soluzione, allora?” chiese Ran, innervosita.
“Dobbiamo mantenere la nostra posizione neutrale, cari compagni, e, contemporaneamente, manovrare l’intera situazione” disse allora mio padre. “Se noi non interveniamo le Creature diverranno nostre nemiche e le Comunità dei Portatori si separeranno, giusto?”
Tutti annuirono.
“Ma se l’attacco dell’esercito del Re dovesse fallire noi manterremmo la nostra assoluta neutralità e le Creature non avrebbero un motivo valido per ripudiarci, dico bene?” continuò John.
“No, Kimberly, non sarebbe garantita la neutralità. Che ne sarà degli Umani? Diverranno nostri nemici se agiremmo contro l’esercito boicottando le loro operazioni” disse Percy, posato e ragionevole.
“Molto bene, molto bene” mio padre sorrise, vittorioso. “Non agiremo allo scoperto, mio sembra ovvio”.
“Cosa intendi fare?”
“Nulla di complicato, amici: organizzeremo una rete di sicari per ogni operazione che gli Umani organizzeranno nella Foresta. Assumeremo uomini col compito specifico di eliminare i principali condottieri di ogni spedizione rendendo così vano l’attacco” spiegò mio padre, con gelida felicità.
Io non riuscivo a formulare un pensiero coerente, nel mio angolo. Allo stesso modo, non potevo e non volevo smettere di ascoltare.
“Molto astuto, Kimberly! Così gli attacchi falliranno e le Creature non riporteranno abbastanza danni da rivoltarsi contro di noi e accusarci di non essere intervenuti. Allo stesso modo gli Umani non potranno dire  con certezza chi ha mandato all’aria l’intera operazione!” esultò Frank.
“Sospetteranno tutti ma, senza prove, non potranno incolparci” aggiunse Annabeth, già convinta.
“Dovremmo assumere i migliori sicari sulla piazza, ovviamente, e ricompensarli adeguatamente” rifletté Percy, pensoso.
“Ovviamente. I nostri forzieri sono pieni e l’oro non ci manca. Inoltre, se i nostri assassini dovessero essere catturati dall’esercito del re noi potremmo facilmente dissociarci dalle loro accuse. Senza prove scritte, è la parola della feccia contro la potente Comunità dei Portatori” specificò John.
Fu in quel momento che mio padre si ricordò di me.
Si voltò, mio guardò e sorrise. Si rendeva conto di quanto ero sconvolto? Si rendeva conto che, in pochi minuti, aveva distrutto il mio mondo e la mia idea di lui? Io non lo so.
Sostenni il suo sguardo e, finalmente, arrivai al nocciolo della verità: John Kimberly non era un eroe.
Né era giusta la sua causa.
Capii che le Comunità dei Portatori aspiravano solamente a prendere il posto del Re alla fine della guerra; capii che non avrebbero mai promosso la pace se andava contro i loro interessi. La mia Comunità faceva abilmente il doppio gioco da trent’anni e io non me ne ero mai accorto. Non solo, il mio potere, il mio contributo, era stato fondamentale per quella loro politica subdola. 
Capisci, Brian, quanto ero disperato?
E non fu tutto.
Mio padre mi chiamò e mi pregò di individuare quale sarebbe stato il prossimo Villaggio che l’esercito reale avrebbe attaccato. Stupidamente, non riuscii a rifiutarmi: io per primo volevo saperlo.
Ed ecco, qui si chiudono i giochi: perché il Villaggio sotto attacco risultò essere il Villaggio di Fenice e a comandare la spedizione un giovane soldato di nome Brian Callhan.
Ovviamente mio padre sapeva che io costituivo un pericolo per la riuscita del suo piano e, così, mi fece rinchiudere.
Voleva ucciderti, Brian, capisci?
Voleva uccidere te, il figlio di suo moglie, il fratello di suo figlio, l’uomo che aveva conosciuto fin da bambino!
Oh, no, non può essere umano John Kimberly!
L’uomo alto e dagli occhi sorprendentemente verdi con cui hai parlato, Aster, era lui.
Nulla l’avrebbe fermato, nessuno ne aveva il potere.
Chiuso nella mia stanza, passai alcuni giorni d’inferno: mi sentivo impotente e inutile, una marionetta nella mani di chi aveva saputo abilmente raggirarmi. Sapevo che non avrei potuto fare niente per evitare la morte di mio fratello; mai, in tutta la mia vita, ero stato padrone del mio destino.
Come vi ho già detto, non posso prevedere il mio futuro; com’era crudele, in quei giorni, sopportare quella limitazione! Avevo bisogno, spasmodicamente e angosciosamente bisogno, di spiare gli eventi, di conoscere, di sperare in un lieto fine che sembrava impossibile.
Continuavo a cercarti, Brian, e a leggere il tuo di futuro. Tutte le volte che ti vedevo morire con una freccia conficcata tra le scapole gridavo e venivo rimproverato dai miei carcerieri.
Smisi di magiare e di dormire ma non riuscii a smettere di richiamare immagini dal domani. Se io non potevo fare nulla, volevo tanto che qualcosa, qualunque cosa, intervenisse e cambiasse quelle scene di morte!
Ero talmente circondato dalle mie visioni, talmente immerso nel futuro, in quei giorni, che col passare del tempo ebbi la chiara e involontaria percezione di come sarebbe proseguita la vita nella Foresta del Re, a Ollgan e persino nel palazzo della Comunità. Fu così, quasi per sbaglio, che una sera uno scorcio di visione mi ridiede speranza.
Prestai maggiore attenzione a quei frammenti di immagini: si trattava del futuro prossimo di Sean Mool, il ragazzo che ogni sera mi portava da mangiare, e del mal di testa che lo affliggeva e che gli avrebbe impedito leggermi nella mente con la stessa efficacia di sempre.
Ritrovai un po’ di lucidità in quel momento.
Compresi che nonostante non avessi idea di quale sarebbe stato il mio destino, questo non mi impediva di agire. Potevo provare a fuggire anche senza una visione che confermasse la riuscita del mio piano, senza l’approvazione di mio padre, senza il sostegno della Comunità. Era arrivato il momento di lottare per costruire il mio futuro con le mie stesse mani.
Nessuno altro avrebbe più approfittato di me per i suoi scopi, promisi a me stesso.
Sarei vissuto libero, finalmente.
Avrei salvato mio fratello.
Avrei perseguito per davvero il mio desiderio di pace e di armonia per questa terra.
Era possibile ed io ne ero capace, dovevo crederci.
Lottai, nel vero senso della parola: contro Sean Mool, prevedendo le sue mosse, schivando i suoi colpi, fino a guadagnare la strada per l’uscita. Da lì correre via dal Palazzo fu facile: il mio potere guidava i miei passi.
Io potevo badare a me stesso e compiere le mie scelte per conto mio, compresi una volta fuori dal’influenza nefasta di mio padre e delle sue Comunità.
Potevo fare la differenza.
Avevo il terrore di arrivare troppo tardi: ma il futuro di Brian era già cambiato.
Io avevo permesso che cambiasse.
Forte di questa consapevolezza riuscii a non farmi sopraffare dalla paura e a portarlo in salvo, in questo angolo di bosco. Non potevo farmi riconoscere, però, non ero ancora pronto per un confronto diretto con te, Brian: forse non ho mai smesso di credere di averti deluso, in un modo o nell’altro »
 
 

Colum aveva parlato con forza e con ardore e i suoi occhi dorati sembravano contenere tutta la conoscenza e il dolore del mondo. Era uno sguardo molto strano, il suo, incastonato nel volto giovane, dalla pelle chiara, cosparso di lentiggini.
Non aveva più parole, ormai, e Thea e Brian e Aster restarono muti davanti alla sua personale lotta. Colum aveva sconfitto l’autorità del padre e l’intera Comunità dei Portatori e aveva salvato la vita di tutti loro.
Di Thea, che sarebbe morta per mano di Brian.
Di Brian, che sarebbe morto per mano di Aster.
Di Aster, che non avrebbe mai trovato la via per la vita.
“Sei stato molto coraggioso, Colum” gli disse Thea con un sorriso triste.
“Hai scelto da solo la tua strada: ora non ti resta che percorrerla” lo spronò Aster.
Colum annuì: aveva scelto di portare pace e di usare il suo dono per farla finita con la guerra.
Brian non disse nulla ma lo guardò a lungo. Pianse, in silenzio.
Quando il soldato si sfiorò la testa in un gesto strano, veloce, Colum seppe che l’aveva finalmente perdonato.
In quel momento nessuna faceva caso alla Bella e lei si alzò in piedi.
“Amici, non vi sarete dimenticati di me, spero!” sorrise.
“Ho anch’io una storia da raccontarvi”.
Thea fece per parlare ma qualcosa la bloccò, la bocca semiaperta, la mano rigida tra quella di Aster.
“Oh no, no dolce Spirito. Non ho bisogno del tuo incoraggiamento; ho aspettato questo momento molto a lungo. Quindi taci, per cortesia” disse la donna, con un sorriso sempre più grande.
Nessuno sembrò essere in grado di intervenire ancora.
 

“La mia storia sarà breve e sarà l’ultima …” cantilenò.








 

 
  
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