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Autore: Flami Destrangis    22/01/2009    8 recensioni
E se Romolo scoprisse di non esser stato lui a fondare Roma, secoli e secoli dopo il fatidico anno 753 a.C. ? Cosa pensate che farebbe? Realtà o solo un clamoroso equivoco? Leggete e lo scospirete!
Genere: Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti

Ciao a tutti! Questa storia mi è passata di mente un giorno, e l’ho scritta tutta d’un fiato.

Spero che vi piaccia, buona lettura a tutti!!!

 

 

ROMOLO CHE NON FONDO’ ROMA

 

Il più grande equivoco della storia

 

 

Erano passati secoli e secoli dalla fondazione della città di Roma e ormai l’impero romano

 

appariva come il più grande e magnifico impero del mondo allora conosciuto.

 

Un bel giorno il sole splendeva alto nel cielo limpido e illuminava la città, in una calda

 

giornata estiva: tutto sembrava apparentemente normale agli occhi dei mortali. Ma in

 

realtà quello era un giorno particolare: infatti, dopo anni, decenni, secoli di attesa,

 

finalmente gli dei avevano accordato il permesso di visitare Roma allo spirito del suo

 

eccelso fondatore, Romolo.

 

Questi, d’altro canto, non desiderava altro: era rimasto anni e anni a domandarsi se la città

 

che aveva fondato si fosse veramente meritata la fatica che gli era costata; e così, erano

 

trascorsi secoli, senza che la sua anima si reincarnasse in alcun corpo.

 

Felice e compiaciuto per l’ obiettivo raggiunto, lo spirito, invisibile agli occhi degli uomini,

 

si avvicinò, fluttuando nel cielo, alla città.

 

Arrivato, rimase stupito da  ciò che gli si prospettò davanti: si ritrovò fra le vie di una

 

città viva e splendente, fra piazze, anfiteatri, teatri, circhi.

 

Muovendosi estasiato intorno agli edifici adibiti a funzione di terme e vedendo l’ alta

 

tecnologia  degli acquedotti sorrise tra sé e sé: era lui il fondatore di tutto quello splendore,

 

il capostipite dei Romani. Molto probabilmente sarebbe tornato ai Campi Elisi felice e

 

contento, se la sua visita si fosse limitata solo a quel breve giro turistico. Invece volle

 

spingersi oltre.

 

Verso la fine della giornata che gli dei gli avevano concesso nel mondo dei vivi, Romolo

 

decise di addentrarsi dentro una casa, ma non una povera insula, bensì una domus.

 

Anche qui rimase stupito e affascinato: era una dimora lussuosa e confortevole. In inverno,

 

per esempio, le pareti e i pavimenti cavi permettevano di far circolare aria calda aspirata da

 

un forno acceso e di riscaldare l’acqua per il bagno. Una vasca permetteva di raccogliere l’

 

acqua piovana e i giardini interni erano popolati da varie specie di piante.

 

Anche davanti a tutto ciò lo spirito non poté non sentirsi pieno d’orgoglio. Ma ecco che

 

sentì alcune voci provenire dal fondo del corridoio, anzi no, la voce era una sola, una voce

 

maschile e proveniva da una delle stanze che si affacciano sul giardino.

 

Incuriosito, Romolo si addentrò fluttuando nella stanza. Un uomo era seduto al centro

 

della sala, attorniato da una piccola folla: stava leggendo qualcosa ad alta voce. Dal suono

 

melodioso che le parole avevano all’ interno di quei versi, Romolo intuì che doveva trattarsi

 

di un poema. Infatti, quel qualcosa, non era altro che l’ Eneide. Decise quindi di ascoltare

 

anche lui e scoprire ciò che la mente dei suoi geniali discendenti poeti era riuscita a creare.

 

Sicuramente apprese che la mente dei poeti era proprio geniale, ma scoprì anche che quei

 

poeti non erano solo suoi discendenti. Seguiva interessato la narrazione e, inizialmente,

 

credette che il poeta stesse parlando di lui, quando alludeva alla fondazione di Roma da

 

parte di un uomo pio e valoroso. L’orgoglio crebbe nel suo animo finché non si rese conto

 

che l’ opera non cantava le sue imprese, bensì quelle di un certo Enea.

 

In un primo momento pensò di aver capito male, ma poi l’ evidenza dei fatti divenne

 

innegabile: la narrazione parlava proprio di Enea, un eroe troiano scampato all’ incendio di

 

Ilio, che vaga per mare con alcuni suoi compagni esuli dalla guerra e cerca il luogo

 

prescritto dal Fato per fondare una nuova Troia, cioè Roma stessa, dove risiederanno gli

 

dei Penati, che egli aveva portato via dalla città in fiamme.

 

A sentir narrare le vicissitudini di quel personaggio si sentì improvvisamente sminuito: chi

 

era lui a confronto? Cosa aveva fatto di più importante rispetto a questo Enea?

 

No, la verità era una sola: quell’uomo era solo un’invenzione di un poeta, non era mai

 

esistito.

 

Eppure sentiva il dubbio rodergli la mente: e se in realtà la città da lui fondata non fosse

 

stata Roma, ma solo una cittadina minore, poi conquistata e inglobata da Roma stessa?

 

Non restava che tornare ai Campi Elisi: se veramente Enea era esistito, se era stato un

 

uomo pio e giusto, l’avrebbe trovato lì.

 

La sua giornata di libertà non si era ancora conclusa, ma la curiosità era troppo grande e

 

non avrebbe potuto resistervi oltre.

 

Tornato nell’Ade e arrivato ai Campi Elisi incominciò a chiedere ad ogni anima che gli

 

capitava vicino se avesse mai sentito parlare di un certo Enea: alcuni rispondevano in

 

modo evasivo, altri erano invece stupiti del fatto che Romolo non avesse mai sentito il suo

 

nome.

 

Finalmente, incontrò lo spirito di un guerriero ( forse anch’ egli troiano) che si offrì di

 

condurlo da Enea. Romolo accettò, ma quando arrivò nei pressi di un grande albero dove,

 

sotto la chioma, all’ ombra, Enea e Anchise discorrevano, si arrestò.

 

L’ eroe emanava un’aura luminosa e il solo vederlo trasmetteva un senso di tranquillità.

 

Circondato da quella luce splendente, Enea sembrava altissimo, intoccabile da comuni

 

mortali, un qualcosa, insomma, che parola umana non può spiegare.

 

Romolo si  riconobbe improvvisamente  piccolo e incapace davanti ad un essere simile

 

e, quasi spaventato, si allontanò, ringraziando comunque il guerriero che l’aveva

 

accompagnato.

 

Non molto lontano, si sedette, sospirando: le illusioni di secoli e secoli si erano ora rivelate

 

come fasulle: non era lui il vero fondatore di Roma.

 

Romolo non venne mai a conoscenza della verità: era stato lui a fondare Roma, in qualità

 

di discendente di Enea.

 

Lo spirito passa tuttora l’eternità che gli si prospetta davanti sconsolato e triste per ciò che

 

crede solo un’ illusione: tendi l’orecchio e forse riuscirai a sentire il suo sospiro.

 

 

  
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