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Autore: LammermoorLace    22/07/2015    0 recensioni
[La Favorita (Donizetti)]
La Favorita è una misconosciuta opera di Donizetti, di cui sono famose principalmente le due arie O Mio Fernando e la dolcissima Spirto Gentil.
Questa one shot vuole riportare le ultime lettere che io ho immaginato scritte da un'abbandonata Leonore al suo Fernando.
Non serve conoscere l'opera per apprezzare la fic, ma dare uno sguardo alla pagina Wikipedia relativa all'opera e alla trama potrebbe facilitarne di molto la comprensione.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi ero innamorata di lui credendolo migliore; migliore, rispetto a tutti gli altri uomini che che mi avevano, per così dire, amata fino ad allora.
Avevo visto in lui, dal primo istante, l’anima gentile di un uomo giovane, semplice, fedele, sincero, privo di ombre. L’avevo creduto un angelo fattomi avere per pietà dal Paradiso, una medicina per le mie ferite, un amore puro e, come un bocciolo di Maggio, pieno di promesse.
Sciocchezze! Follie…
La sua innocenza non gli ha impedito di fare ciò che ha fatto, di parlarmi come mi ha parlato, di guardami… di guardarmi in quel modo, come se l’avessi deluso e tradito oltre ogni immaginazione e capacità umana.
Fernando non era l’angelo che avevo sognato – e realizzandolo in piena coscienza, capendo che questa mia ultima, beata illusione della mia vita è svanita, sono anche arrivata a confessare a me stessa che l’ho fatto troppo tardi; il mio cuore, senza condizioni, appartiene a lui.
E lui ieri, di fronte all’intera corte, ha scelto di spezzarlo.
 
Ho saputo dal primo istante di dovergli mentire. La versione di lui che mi ero immaginata era troppo perfetta perché potesse confrontarsi subito con le mie vergognose verità senza impallidire d’orrore.
Temevo un rifiuto – e così, così ho nascosto le mie tenebre ai suoi occhi. Non volevo che mi allontanasse da sé, non prima di poter capire.
Sono stata una stolta. Sarebbe stato meglio dirgli tutto alla prima occasione – ma non ho mai trovato la forza di farlo. L’ho sempre allontanato, sviato, ingannato con delle scuse, che lui ha interpretato nel modo più benevolo possibile.
Dopotutto, se per mantenere quell’illusione avessi dovuto illuderlo a mia volta, ero disposta a farlo; perché quell’illusione era per me sinonimo di speranza – l’unica. L’ultima.
E’ stato tutto un mio errore, quindi, alla fine dei conti; solo a poche ore dalla fine, quando ho inviato Ines, in uno slancio molto simile al martirio, a portargli la verità… io ho tentato di confessargli tutto, ma poi…  
Ho mentito, sempre: ho mentito a lui sulla mia vera natura, mentendo inoltre a me stessa sulla sua.
In un certo senso, lui è stato una vittima!  La colpa è mia.
Ma l’ho fatto per amore.
Ah, l’ho amato per l’angelo che credevo fosse e poi anche per ciò che, invece, si è rivelato essere; e mai, per mio male, smetterò di amarlo.
 
Il suo amore… il suo amore era differente dal mio.
Il suo amore aveva condizioni e aspettative, e limiti; il mio, invece, era incondizionato, disinteressato, illimitato, assoluto. Forse è stato il suo essere uomo e il mio essere donna, che ci ha fatto amare così diversamente. O forse era destino.
Quale maledizione! Esssere amata da due uomini, l’uno che ha il più bel viso angelico di questa terra, l’altro che è potente e ricco come pochissimi altri: il Re. Eppure, da nessuno dei due, essere amata abbastanza.
E che crudele condanna, l’amare con tutta me stessa il primo, che, però, scoperto il mio segreto, ora mi disprezza e mi aborre come la più immonda donna che ha da vivere su questa terra! …
 
Ogni cosa che è accaduta è plausibile, giusta forse, certamente prevedibile.
Ma ho meritato ciò?
Dipende dal metro che si usa per determinare il verdetto.
E se misuriamo in amore, neanche gli avessi nascosto chissà quali altri delitti e misfatti, neanche mi fossi macchiata della più bassa infamia si potrebbe dire che io abbia pienamente meritato questa punizione.
Quello che mi chiedo è… Dio!! … Il destino. Se non fossi stata l’amante segreta del Re, se non avessi fatto ciò che ho fatto, allora corrisponderei perfettamente alla versione di me che avevo offerto agli occhi di Fernando, e che Fernando ha amato. E’ vero, dunque? Fernando mi ha  amata. Una volta, un tempo mi amava, mi adorava come la sua stessa vita.
E’ solo che mi pare di non avere mai consociuto il suo amore, in certi momenti. Un breve sogno stintosi in fretta, uno spettro fasullo, uno scherzo della mia mente; ecco cosa mi sembra, in certi momenti simili a incubi, il ricordo di quando Fernando mi amava.
 
Io l’ho amato per quello che sognavo fosse, e anche per e nonostante ciò che ha fatto e si è rivelato essere; e, dovesse cambiare ancora, lo amerei ugualmente.
Io l’ho amato in tutte le sue forme; lui, lui ha amato solo una parte di me, ma… Ma ha amato proprio quella parte che è inossidabile, forte, e può resistere al tempo e al cambiamento: la parte di me che lo ama.
Ebbene; quell’aspetto di me non è mai scomparso, cambiato, non si è mai alterato; la donna che ha visto, di cui si è innamorato, alla quale ha giurato la sua fedeltà… sono io, ancora io.
E può quel tanto grande amore essere offuscato, soffocato, spazzato via da qualsiasi altra cosa che io sia stata o che io abbia fatto? Del tutto, completamente?
Io dico e ripeto a me stessa che no, non può essere tutto spento, finito, deserto, nel suo cuore.
Mi ama ancora. Ovunque egli sia, mi ama ancora. Ho le mie colpe, l’ho ingannato, sì, ma sono sempre la stessa; la donna che lui non può far a meno di amare.
 
Fernando, perché? Perché tutto questo dolore… dove sei? Non tornerai mai più.
Non ho chiesto mai nulla di tutto questo. Non avevo chiesto al Signore che pace, e perdono, e una vita tranquilla, silente, foss’anche povera.
Ma ho avuto ben altro. Amore, sì; ma un amore forte e maledetto che m’ha trasfigurata in questo misero essere che ora, lacrime agli occhi penna malferma fra le dita, scrive questa lettera. Non so perché ho sentito l’urgenza di riversare su questi freddi fogli il dolore della mia anima. Forse, perché non so che fare, e mettendo per iscritto la tempesta dei miei pensieri e sentimenti, spero di trovare fra queste righe anche una risposta a questa domanda.
E io scrivo e scrivo, con il cuore stretto per lo strazio, e ogni volta che cerco di posare la penna e mettere un punto di fine a questo tormentato monologo, a questa descrizione fin troppo sadicamente dettagliata delle mie torture, la mano riprende con un’altra frase, e sempre nuova ispirazione per continuare mi viene da quella fonte inesauribile che è la mia pena.
 
Fernando… addio. Amore mio, addio.
Torno al letto di spine del mio Re crudele, e la notte sarà il mio giorno, e il giorno la mia notte. Non mi si vedrà mai più alla luce del sole.
La primavera ha perso tutte le sue grazie per me.
Vivrò come una serva o una mendicante, scacciata, disprezzata, ignorata da tutti. Me ne starò nascosta, invisibile agli occhi di Dio e del mondo.
Invece che essere ristorate e invigorite dai raggi del giorno, le mie membra si esporranno alla sinistra veglia della luna e al gelo della notte, e Diana mi scaverà le gote finchè i miei tratti saranno più simili a quelli di uno spettro che a quelli di una persona viva, di Leonore, la donna che non hai amato abbastanza.
Dico addio a te, e addio al mondo: io, peccatrice, io, traditrice del mio stesso sogno, mi ritiro a una vita di buio e dolore. Sono come un pellegrino stanco che, dopo una vita di cammino per questo nostro infame mondo, chiede solo una cosa al suo Dio distante: il riposo, il riposo e poi il nulla.
La dimenticanza dei miei dolori, e delle gioie che li hanno provocati. Il cessare del mio tormento…
Non ho più forza… addio.
Mia ultima fede, mio ultimo sogno, mia ultima, vana, speranza.
 
 
Sapevo di non aver scritto questi fogli invano.
Amore mio, oggi, oggi che è l’ultimo giorno della mia miserevole esistenza, ogi ti rivedrò: avrai queste lettere, che dicono cose che io non avrei il tempo di spiegarti e che, ahimè, non posso illudermi tu avresti la voglia di ascoltare.
Ma la carta è paziente e, comunque vada, dopo la mia morte queste parole giungeranno a te e allora, forse, vorrai conoscere i tormenti del mio povero cuore e allora, forse, mi accorderai il tuo perdono.
Sappi che amandoti ho perso tutto, ma ne sono stata felice; e sappi che comunque vada, se c’è un Dio… se c’è un Dio…
 Ah! Io non ne so nulla.
Il mio Dio ha i tuoi occhi.
 
 
A volte ripenso ai tuoi baci… è una delle mie piccole gioie, ricordarli: così dolci e languidi… e pensare che quelle labbra sono finite a baciare un crocifisso!
 
 
Ah, è bello qui. Freddo, ma bello. Ti sei scelto un bel posto dove fuggire dal mondo e startene in pace a contemplare Dio. Diciamo pure – “un bel posto dove fuggire da me”… Ah, sai, mi fa sorridere. Hai scelto questo tempio di pietre e preghiere per dimenticarmi, mentre io facevo l’eremita a mia volta, nelle mie notti insonni e la mia vergognosa solitudine.
Siamo stati due penitenti che speravano di allontanarsi il più possibile dal mondo, ed assieme ad esso, dalla fonte dei propri sospiri… e tutt’e due, senza saperlo, condividevamo la stessa prigionia.
 
 
Quelle notti di freddo e angoscia non mi hanno fatto bene, Fernando.
Mi sono ammalata.
Il Re mi ha finalmente scacciata dal suo letto, ed io mi sono lasciata spegnere a poco a poco, come mi ero ripromessa.
Ora sono in fin di vita. Sono sicura di sopravvivere fino a che ti rivedrò, ma poi…
Qualunque sarà la tua reazione, che tu mi perdoni o mi umili nuovamente scacciandomi come una lebbrosa, che tu mi dichiari il tuo rinnovato amore o mi allontani con le peggiori maledizioni, io non vivrò oltre.
Morirò con te, il mio ultimo, unico vero amore negli occhi.
Fernando, Fernando, non faccio che ripetermi, ma voglio che davvero tu sappia ogni cosa, che il tuo cuore sia consapevole del mio. Ti amo, ancora e per sempre.
 
La mia lettera doveva finire con quel “per sempre”, ma non riesco a convincermi a scrivere l’ultima parola a questa mia confessione. Non riesco a decidermi a lasciarmi andare. Maledetta la vita, che non vuole che l’abbandoni!
Pochi mesi fa la primavera mi ha visto risolvermi a morire; ora l’inverno mi lusinga a vivere.
Ma è tardi, ormai.
Fra meno di un’ora verrò da te.
Ti rivedrò.
E morirò.
 
Nevica! E’ magnifico…. Tutto è candido, cancellato.
Le guglie del monastero, così, coperte di neve, si confondono col cielo. Sembra davvero che qui il Paradiso non sia così distante.
Ecco… i monaci cominciano a cantare.
L’ultima goccia d’inchiostro è prosciugata, Fernand; il mio tempo finisce.
Ti dico addio ora,in questa lettera, mentre la neve cade. Ti dico addio e poi verrò a salutarti.
Addio, Fernand, amore mio, addio…
Non ho più lacrime; la mia vita è compiuta.
 
Perdonami,
 
                                            la tua Leonore.
 
Fernando terminò di leggere sentendosi pervaso da una sensazione di stremo assoluto, di logoramento e di amara, nauseabonda agonia.
Pensare che quella donna, quell’angelo che aveva scritto quelle pietose lettere, era ormai perduta per sempre, divenuta fredda fra le sue braccia solo poche ore prima, implorando, con un filo di voce, il suo perdono…
E che era stato lui la causa delle sue pene… di tutte le disumane torture, del male che s’era inflitta, del pallore mortale che le era sceso in volto una volta reso l’ultimo respiro… era stato lui che l’aveva attirata a morire, a morire così, fra le sue ingrate, vili braccia!
Fernand era commosso, eppure allo stesso tempo repulso dal pensiero di quell’amore.
Commosso, per l’essere stato l’oggetto di un’amore tanto assoluto, costante, incondizionato.
Repulso, perché non se ne sentiva degno; improvvisamente, percepiva la propria anima come un qualcosa di pesante e sporco.
Ma tutto intorno era neve, tutt’intorno era candore.
Fernand se ne stava con quei fogli in mano, lo sguardo perso davanti a sé, le vene dei polsi che si ingrossavano per lo stato della sua mente, travolta dalle emozioni. Era passata mezzanotte quando Fernand si inginocchiò davanti al crocifisso per pregare.
 
Saltò dalla finestra, e lo trovarono il giorno dopo a faccia in giù nella neve, a braccia spalancate. Gli altri monaci mormorarono a questo particolare; significava che, cadendo, non aveva tentato di proteggersi il viso con le braccia.
Ma padre Balthazar mise a tacere ogni voce di suicidio, e lo fece seppellire nella fossa che, come tutti gli altri religiosi, si era scavato in previsione della propria morte. La pellegrina sconosciuta gli fu sepolta non poco distante; sulla sua tomba senza nome si intonò un canto alla Vergine Immacolata et Casta, e si piantò una croce di legno bianco.
 
Il testamento di Leonore, che Fernando aveva lasciato sul davanzale della finestra la notte della sua morte, per merito di una colomba che vi si andò a posare cadde, e andò ad affondare nella neve. L’inchiostro colò via dai fogli a tingere i cristalli di ghiaccio, e la carta si era già dissolta al giungere della primavera seguente.
 
 
 
 






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Lou
  
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