Sei forte, Re dell’Argento, più di chiunque altro nella tua generazione, nessuno riusciva a stare al tuo passo: uno dopo l’altro li guardavi risvegliarsi, quegli uomini che così spesso avevi chiamato compagni, inerme, incapace di aiutarli.
La fine arriva per tutti, ti ripetevi: perché, in tal caso, la tua tardava così tanto?
Inducesti volutamente il tuo risveglio, perché un numero uno ha il dovere di proteggere i suoi sottoposti, e mai avresti rinunciato a tale dovere.
 
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Sei imbattuto, Re dell’Argento, mai nessuno a osato rivolgere la spada contro di te.
Ora, però, ti prostri davanti all’esile figura di quella ragazzina che è stata in grado di battere te, il potente Re del Nord.
La userai, ti dici, potrai sfruttare quel così devastante potere per impadronirti della nazione.
Perché è così che sei diventato, o forse lo sei sempre stato.
 
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Sei indifeso, Re dell’Argento, di fronte a questi esseri che lentamente divorano la tua carne.
Esausto, o forse auspicando una fine meno lenta, hai ripreso la tua forma umana.
Denti e unghie graffiano il terreno che ti sarà tomba, mentre contempli la tua miseria.
La fine peggiore, pensi, perché ti permette di riflettere.
Chiedi solo che ti sia concesso un secondo di più, un attimo in più con quella così improbabile famiglia che avevi costruito, quella improbabile famiglia che avevi imparato ad amare.
Ridi, ridi di quanto tu sia sciocco a desiderare qualcosa di così futile.
Giace ora inerme su quel suolo, il Re dell’Argento, privo di lapide come gli sconosciuti.
Non piangeranno lacrime per te, non urleranno il tuo nome.
Solo sospiri di sollievo alla tua morte, sollievo per un pericolo oramai scampato.