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Autore: sabdoesntcare    23/07/2015    1 recensioni
Jim Moriarty si perde nei suoi pensieri durante un viaggio verso qualcosa che non c'è più, ma che lo rende quel che è oggi.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jim Moriarty
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sei arrivato fin qui.
Tutto questo potere, tutto questo sangue.
Sei felice, Jim?
Lo sei?


I tuoi pensieri corrono frenetici dietro gli occhi vuoti, mentre ti guardi riflesso nel vetro del finestrino.
Il taxi macina km e km, hai fatto così tante cose orribili, eppure passi inosservato.
Come un uomo qualunque, come una brava persona, per alcuni sei un volto anonimo, per altri il terribile Moriarty, il potentissimo, l’intoccabile. Ma per te?
Questo semplice ragionamento fa scattare qualcosa nella tua testa.
Chi diavolo sei? CHI SEI!?
Un’espressione di disgusto e rabbia investe improvvisamente il tuo viso. Stupide voci, non l’avrete mai vinta.
Il senso di colpa è inutile, un semplice intralcio nella nostra già breve vita.
In realtà, c’è una cosa che non ha mai smesso di farti sentire in colpa.
Ti ricordi i suoi occhi, Jim?
Erano così grandi, limpidi e azzurri.
Dicevi sempre che ti ricordavano il cielo azzurro la domenica mattina, quando eri piccolo e ti alzavi solo per correre fuori a giocare.
Eri pazzo, pazzo di quella ragazza.
Eravate entrambi pazzi.

Il ricordo di lei e te insieme ti riporta indietro di decenni.
Una giovane studentessa squattrinata affetta da depressione e un giovane figlio d’industriale, con tanto denaro e così poco amore ricevuto.
L’hai vista un pomeriggio uscire dall’università e hai sentito un brivido attraversarti la schiena.
Quello sguardo così intelligente e allo stesso tempo triste ti aveva portato in un altro mondo.
Ti avvicinasti con i tuoi soliti modi, inusuali e allo stesso tempo seducenti.

“Jim Moriarty. E tu, principessa?”
“Eh?.. ah.. io.. Clara. Ciao.”

Sembrava non essere per niente abituata ai complimenti, ma quel suo timido sorriso era il modo più ovvio di dirti che avevi fatto colpo.
Continuaste a parlare per tutto il pomeriggio, e a vedervi come amici, e poi come fidanzati, per altri due anni.
Finalmente si decise a venire a vivere in un appartamento con te. Non sopportavi che vivesse in quella casa, con quella famiglia così disastrata, che non faceva che peggiorare il suo stato mentale.

Aveva una mente inarrestabile, e purtroppo la sua eccessiva intelligenza le faceva mantenere un pessimismo di fondo, alimentato dalle tragedie personali. La depressione l’accompagnava dai primi anni delle medie, ma tu l’amavi nonostante i suoi lati bui.
Spesso quando era in crisi tu facevi di tutto per farla ridere, amava i Bee Gees e tutta la musica vecchia scuola, e tu ogni volta che la sentivi fare discorsi suicidi cercavi di essere ironico, mettendo Stayin’ Alive al massimo volume e trascinandola a ballare in salotto.
Spesso funzionava, e lei ti premiava col sorriso più bello che una persona possa vedere in vita sua.
Ci fu però quella volta in cui il suo momento di crisi era più forte degli altri, ed erano quasi 4 ore che cercavi di consolarla inutilmente. Non aveva attacchi di panico o altro quel giorno, era solo... spenta.
Non parlava di suicidio né di altre cose, in realtà parlava molto poco. Ti diceva solo che era molto, molto avvilita.
Guardava fisso contro il muro, probabilmente tormentata da qualche flashback dell’infanzia, e tu non potevi farci nulla. In ogni caso ti fidavi di lei e della sua forza d’animo, sapevi che anche quel giorno ce l’avreste fatta.

“Tesoro, vuoi venire con me dalla signora al piano di sotto? prima mi ha detto che ha problemi col forno, ma non si fida a chiamare il tecnico quindi le ho promesso di dargli un’occhiata. Magari mentre vedo cosa non va potete fare due chiacchiere.”
“Non me la sento. Ti aspetto qui.”
“Va bene. Cerca di distrarti, guarda un film, mangia del gelato se vuoi, sono subito da te. Ti amo.”

Tornasti dopo 15 minuti, avevi aggiustato il forno ed eri certo che la tua principessa era riuscita a ritornare in sé, forte come sempre.

“Amore eccomi, che hai fatto di bello?” la tua voce riecheggia nell’appartamento, c’è uno strano silenzio.
Il tuo lato paranoico inizia a bisbigliarti qualcosa ma tu ti imponi di non crederci, in ogni caso aumenti drasticamente il passo verso la vostra stanza.
Vai in camera vostra.
Finestra aperta.


Piangi, senza nemmeno sporgerti a guardare.
Cominci ad urlare, picchiando la testa contro il muro.
Provi così tanto dolore emotivo che la testa è solo un rumore sordo su quella superficie biancastra.
Il muro si sporca del tuo sangue.
Cominci a sentirti intorpidito, svieni.

Tutti quelli del piano di sotto, inclusa la signora del forno, salgono a vedere cos’è successo.
Ti trovano steso per terra, con la testa ferita e il viso pieno di lacrime.
Viene chiamata l’ambulanza e la polizia.
Ti risveglierai quella sera, in ospedale, ed inizierà il tuo incubo.
La sognerai tutte le notti per un anno. E ogni notte ti dirà “non dovevi andartene, è colpa tua, mi hai uccisa tu”.
Ti convincerai che è vero. Entrerai anche tu in depressione, amerai la morte perché in essa vedi lei.
La sfiorerai tante volte, finirai tante volte in ospedale per aver tentato di tornare da Clara.             

Poi, prenderai la tua decisione.
Hai ucciso l’unica persona che tu abbia mai amato, e ora ucciderai per sempre.
Perché hai strappato l’unica rosa nel giardino del mondo, e nulla ha più senso.
Tutto deve marcire, ogni fiore bruciare.
E a questo proposito, il te del presente, ancora perso nei suoi pensieri, sta scendendo dal taxi.
Entri in un piccolo cimitero fuori Londra, con un mazzo di rose in mano, finché non raggiungi la lapide giusta.
“Clara Hensworth
23/06/76 -  12/09/98
un angelo che decise di tornare a casa”


Ti fermi a guardarla a lungo, perso nelle parole incise sulla lastra.
Infine poggi i fiori delicatamente sulla tomba di marmo, dandogli fuoco.
Chi sei, Jim?
Nessuno, ora che lei è morta.
   
 
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