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Autore: Nimhlot    26/07/2015    3 recensioni
"Matthew avrebbe continuato la sua esistenza nei suoi ricordi e in quelli di sua figlia, ma non le bastava. Ricordarlo non le arrecava altro che dolore e lei odiava il dolore. Preferiva la rabbia, quella col tempo passa, spunta fuori di rado, per mano al suo amico rancore, ma il dolore è tutt'altro, una brutta bestia, restio ad andarsene, s'infiltra tra le crepe più piccole e impercettibili, aspettando l'istante perfetto per trapassare."
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Garrus Vakarian
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Londra, 22 giugno 2163.

Le prime luci dell'alba irruppero nella stanza buia, illuminando appena appena le sagome del mobilio e riflettendosi sullo specchio appeso all'anta spalancata dell'armadio. Era mattina, quella mattina. Il bagliore che le colpì il viso non la sorprese affatto, era già sveglia e vigile. La notte precedente non aveva chiuso occhio, costretta a lottare con i denti e le unghie in una battaglia all'ultimo sangue fra lei ed il dolore.

Da piccola era stata una bambina timida e molto sensibile. Piangeva spesso, per un motivo o per l'altro, e questo dava alle persone il potere di ferirla e deriderla facilmente. Alcuni compagni le affibbiarono quell'odioso soprannome che l'accompagnò per anni: Lagna. Non aveva avuto molte amicizie, qualcuna di breve durata e Matthew, un ragazzo più grande che l'aveva sempre difesa dai prepotenti. Si conoscevano da sempre, essendo cresciuti insieme. I loro genitori facevano parte della stessa guarnigione e si trasferivano nello stesso posto a seconda degli ordini, così quando arrivava il momento di ricominciare da capo, rimaneva almeno un punto di riferimento.

Anche se di cinque anni più grande, Matthew teneva molto a quella ragazzina che gli aveva sempre ricordato una donzella in pericolo. Gli piaceva vestire i panni dell'”eroe”, fungendo per lei da fratello maggiore. Ovviamente, come ogni ragazzo nell'età della pubertà, aveva avuto il suo bel da fare, ma aveva sempre trovato il tempo da dedicarle e ormai la conosceva bene.

Nei primi dodici anni di amicizia non era cambiata molto, rimase la solita bambina, fino al giorno in cui la morte prematura di sua madre fece scattare qualcosa in lei, avviando una specie di lenta trasformazione.

Poco a poco divenne inattaccabile, dura come una roccia. Solida e grezza all'apparenza, non era altro che un guscio per nasconderne un tesoro prezioso all'interno. Non aveva ucciso la sua parte sensibile, ma da allora non ne avrebbe più avuto timore, imparando a sopprimerla nel profondo di sé. Non si sarebbe mai più lasciata sopraffare da un'emozione che con il tempo associò a debolezza, diventando una fortezza impenetrabile.

Hannah aveva lo sguardo spento, fisso sull'abito nero buttato sul letto sfatto. Lo sfiorava lentamente con la mano tesa, tremante, mentre l'ennesima fitta al petto la coglieva impreparata, bagnandole gli occhi ancora gonfi e arrossati. Fissò lo sguardo sullo specchio dell'armadio, aveva un aspetto orribile, distrutto e sciatto. Le occhiaie ben visibili e le labbra screpolate le davano un'aria trasandata e la invecchiavano un po', non che tenesse troppo alla sua immagine. Un bel visetto l'avrebbe resa soltanto un bersaglio più vistoso, un bocconcino per le enormi fauci nemiche. Nonostante non fosse ancora sulla trentina ed il suo viso fosse ancora giovane, non faceva nulla per abbellirsi un po', si truccava appena e di rado, per le occasioni speciali, raccogliendo i lunghi capelli biondi in una treccia elaborata, lasciando che un ciuffo mosso le cadesse sul viso, invece di stringerli nella solita coda di cavallo alla bell'e buona.

Era una forza della natura, e si sarebbe rialzata, più forte di prima. Ormai si era munita degli anticorpi necessari, che lo squarcio fosse fisico o psicologico, lei sarebbe tornata come nuova, o almeno avrebbe dovuto. Con il lavoro che faceva non erano rare le morti ed i funerali ormai erano prassi a intervalli quasi regolari. Non aveva importanza quanto profonda e dolorosa fosse una ferita, in un modo o nell'altro, aveva ingoiato quel boccone amaro ogni volta.

Non era una persona insensibile. Si era abituata alla morte, nonostante suo padre le avesse ripetuto più volte quanto fosse sbagliato.

O questo era quello che continuava a ripetersi. Le vite perdute di compagni, colleghi e/o superiori l'avevano scalfita appena, espugnandole una lacrima o due al massimo. Con gli anni, il suo soprannome era passato da Lagna Cinica, ma non le importava mai. Il suo passato e quello che era diventata non si potevano annulare, come se niente fosse successo. La vita non è un libro, anche se si paragona ad esso e si strappano delle pagine, il finale è sempre lo stesso.

Questa volta a lasciarla non era stata una persona qualunque. Non amava approfondire i contatti più del dovuto. Il lavoro rimaneva lavoro e la sua vita privata consisteva in interazioni assai ridotte. Una volta cresciuta, si lasciava andare sempre più di rado con la sua famiglia, ma l'unica persona con cui non indossava i suoi segni di guerra, era Matthew. Quel ragazzo si era sempre dato da fare per lei e sin da bambini aveva deciso che l'avrebbe sposata, inizialmente per gioco. Ma lei non gli aveva creduto, nemmeno crescendo, non credeva nell'amore. Considerava le persone incapaci di amare qualcuno all'infuori di loro stessi, egoiste e avare fino al midollo. Ammirava i suoi genitori, che per lei erano solo una delle poche eccezioni che confermavano la regola. Aveva visto troppi matrimoni e coppie fallite, per accettare una proposta tanto pazza. Eppure, a ventinove anni era vedova, con una figlia di nove anni e una breccia nella corazza. Matthew Shepard era stato l'amore della sua vita, il suo salvatore, ma questa è un'altra storia, frammenti di ricordi a cui lei faceva la guerra, adesso.

La notizia ricevuta la settimana precedente l'aveva massacrata, colpendola dritto in faccia, con la potenza di un treno in corsa.

-Mamma, mamma! Quando torna papà?- la voce tenera e infantile di sua figlia la riportò alla realtà.

-Tesoro- ingoiò il tremito che le bloccava la parola e poi, facendo un respiro profondo, parlò.

-Papà.. papà non tornerà. E' andato in un posto migliore e veglierà su di noi da lassù. Adorava le stelle, sai? Amava viaggiare attraverso la galassia, ma... è morto, facendo qualcosa che amava, per proteggere altre persone. Perciò non essere triste, okay bambina mia? Papà ti amava tanto e anche io ti amo tanto. Sarà sempre con te!-

Ascoltandosi, Hannah si sentì un'ipocrita a ripetere a sua figlia le stesse parole che suo padre usò con lei allora, svegliandola definitivamente dalla sua innocenza fanciullesca. Si era incazzata, per la prima volta nella sua vita aveva reagito, spaventando suo padre, che si aspettava un (solito) pianto disperato, “curabile” con un abbraccio e del cioccolato. Ma lo sapeva, sapeve che prima o poi sarebbe successo, nella vita si cresce, l'esperienza cambia le persone, in meglio o peggio. Solo che non si sarebbe immaginato un cambiamento così brusco e radicale, e nemmeno lei. Gli aveva urlato contro e non aveva pianto per niente, aveva sbattuto le porte e rotto i piatti. E adesso, pensandoci, Hannah le ricordava pefettamente. Ti pare normale che nel secondo secolo del secondo millennio c'è ancora gente che muore di cancro?

A quindici anni l'aveva affrontata in quel modo, ma era andata avanti sulle sue gambe. E sua figlia, la piccola Lexie, come avrebbe reagito? Avrebbe pianto senza capire sul serio? Le avrebbe urlato contro? O sarebbe scattato qualcosa in lei che l'avrebbe cambiata per sempre?

-Ho capito mamma. Adesso è con il nonno, vero? -

Hannah non immaginava di sentire quelle parole, ma non era nemmeno sorpresa. Alexis era sempre stata una bambina sveglia e sua madre non aveva constatato se questo fosse un bene o un male, la cosa certa è che sotto quell'aspetto somigliava molto a suo padre. Era gentile, intelligente, bello e sicuro di se stesso, proprio come sua figlia. Non era presunzione la sua, semplicemente conosceva i suoi limiti e imparò a trarne un vantaggio.

-Adesso vai a metterti il vestito che ti ho preparato, dobbiamo andare a salutarlo- per l'ultima volta, aggiunse tra sé e sé.

***

Lexie era silenziosa, non aveva pianto, al contrario della maggior parte dei presenti e, con sua sorpresa, di sua madre. Hannah si era lasciata andare a quel pianto liberatorio, alla fine aveva perso. Aveva ceduto alla costante pressione delle lacrime, trovandosi ad affogare nel dolore che aveva sempre respinto.

Il corpo di suo marito era stato recuperato in pessime condizioni, l'esplosione di una granata nemica non gli aveva lasciato scampo. Un sottoposto, il soldato semplice Radler, aveva cercato di consolarla onorando la sua scelta di sacrificarsi nella retroguardia per permettere agli altri di mettersi in salvo. Doveva essere un'incursione dentro e fuori, ma la resistenza si era rivelata più forte del previsto e i dati sugli esperimenti con l'elemento zero erano stati recuperati per il rotto della cuffia. Un completo disastro, insomma.

-Suo marito è un eroe- continuavano a ripeterle, ma quelle parole le suonavano vuote e convenevoli, non lo avrebbero riportato indietro. Avrebbe voluto urlargli di stare zitto, che non gliene fregava un cazzo che fosse morto da eroe, che lui e l'eroe potevano andare a farsi fottere, perché il suo compagno era morto. Un eroe è altruista, una persona che si fa in quattro per gli altri, ma in quel momento lei lo odiava, odiava suo marito per non essere stato egoista. Aveva pensato alla sua squadra, ma non a lei e a sua figlia. La promessa di ritorno che le aveva fatto prima di partire per quella missione adesso le riempiva la testa, intasandola, alimentando il fuoco della sua ira.

Matthew avrebbe continuato la sua esistenza nei suoi ricordi e in quelli di sua figlia, ma non le bastava. Ricordarlo non le arrecava altro che dolore e lei odiava il dolore. Preferiva la rabbia, quella col tempo passa, spunta fuori di rado, per mano al suo amico rancore, ma il dolore è tutt'altro, una brutta bestia, restio ad andarsene, s'infiltra tra le crepe più piccole e impercettibili, aspettando l'istante perfetto per trapassare. E allora non c'è scampo, impari a nuotare o muori. Doveva trovare una distrazione, forse avrebbe potuto lasciare l'esercito, tornare nell'Alleanza, nei panni della lei di un tempo, forte e fiera.

La piccola Lexie era timida come sua madre alla sua età. Il copione durante gli eventi pubblici era sempre lo stesso: inizialmente si nascondeva dietro la gonna di Hannah, per poi sgattaiolare via alla prima occasione e isolarsi da qualche parte. Questa volta aveva scelto di arrampicarsi sull'enorme albero di ciliegio appena fuori dalla saletta che accoglieva il corpo di suo padre e un viavai indefinito di persone. Il ramo su cui si era appollaita le regalava un panorama che forse non avrebbe più rivisto. La vita stanziale che avevano vissuto negli ultimi anni sarebbe stato solo un lontano ricordo e lei lo sapeva bene, conosceva sua madre, sapeva quanto le mancassero le navi dell'Alleanza e l'azione vera. Al momento ricopriva incarichi di semplice sorveglianza, per lo più azioni tranquille, ma gli imprevisti non mancavano mai e lei non era un supereroe, nessuno dei suoi colleghi lo era o era stato. Ma non erano così egoisti, né codardi. Il gioco di squadra li aveva quasi sempre tenuti in vita, quasi tutti.

Aveva servito per soli due anni, congedandosi per maternità al quarto mese di gravidanza ed entrando nell'esercito locale un anno dopo. Lexie non era nata per caso come molti pensavano, visto la giovane età di Hannah. Era stata una scelta maturata, nata dall'amore che condivideva con Matthew e che voleva donare al bambino che avrebbe dato alla vita. Eppure, nonostante le ripetessero quanto l'amavano, spesso le era capitato di provare dei sensi di colpa, quando sorprendeva sua madre ad osservare il cielo con fare nostalgico. Era intuitiva Lexie, ed un'ottima osservatrice, caratteristiche che aveva ereditato da lei e che aveva affinato in fretta, forse troppo. Sapeva che un giorno sua madre sarebbe tornata a volare, e probabilmente lei avrebbe fatto lo stesso, affascinata dai racconti dei suoi genitori. Certo, era già salita a bordo di navette e navi civili, aveva persino visitato la Cittadella, ma era curiosa di come fosse una nave militare e forse, di lì a breve, sua madre gliene avrebbe mostrata una.

Alexis fu esposta all'elemento zero mentre era ancora in grembo di sua madre, in quel periodo si verificavano molte esplosioni in svariate colonie umane. Era stata fortunata, mentre molti bambini nascevano morti o con gravi malformazioni, casi rari come lei mantenevano dei parametri vitali nella norma e qualche volta acquisivano capacità biotiche.

Appena nata non aveva dimostrano anomalie, era una bambina sana e normale, almeno all'apparenza.

La prima volta che il suo corpo s'illuminò della classica aura azzurrina, si trovava a scuola. Non aveva mai amato andarci, non che non le interessasse studiare. Aveva ottimi voti in quasi tutte le materie, soprattutto quelle in cui prevalevano la logica e l'attività fisica. Suo padre le aveva insegnato fin da piccola le nozioni di base del corpo a corpo e le assegnava spesso esercizi mentali, ti saranno utili in futuro, le ripeteva gentilemente quando si lasciava cadere a terra sfinita e spesso sbuffando.

-Sei troppo duro, papà- gli ripeteva ogni volta.

Hannah non l'aveva mai rimproverato di calcare la mano, sapeva che gli allenamenti fossero duri per Lexie, ma era evidente che sotto sotto si divertiva, soprattutto perché il tempo a disposizione era sempre limitato e in quei momenti erano solo loro due, padre e figlia.

La carriera militare era sempre stata una tradizione in famiglia e Matthew aveva passato le stesse fasi, che gli piacesse o meno. Per quanto riguardava Hannah, suo padre non le aveva mai imposto l'arruolamento, non ci aveva mai nemmeno accennato, ma per qualche motivo non le aveva fatto mancare una sana dose di duri esercizi. Prassi che aveva odiato e maledetto per anni, ma ora, da donna adulta qual era, gli era grata.

***

-Ehi bambina, perché piangi?-

Lexie non si era nemmeno accorta di avere le guance bagnate, non le piaceva piangere, preferiva arrabbiarsi e "spaccare tutto”.


   
 
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