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Autore: sabdoesntcare    26/07/2015    0 recensioni
I'm giving up on you.
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“SHERLOCK!”         
Un nome, un urlo che squarcia il cielo grigio di quel maledetto giorno a Londra.
E’ strano perdere qualcuno, ancora più strano perdere il tuo tutto.
John era lì, guardando il cielo solo per vedere tutti i suoi sogni frantumarsi su un marciapiede ricoperto di sangue. L’aria era fredda, pungente come le spine che andavano conficcandosi nell’animo del dottore, passo dopo passo, nella sua corsa verso di lui. Sherlock era andato. Per sempre.

Say something, I’m giving up on you 
I’ll be the one, if you want me to 
Anywhere, I would’ve followed you 
Say something, I’m giving up on you


Il sangue scorreva scarlatto tra quei capelli corvini, quei capelli che avrebbe voluto tirare a sé almeno una volta, per un unico, sconsiderato bacio prima che si macchiassero dello stesso colore del suo sentimento per l’uomo che ora giaceva lì, tranquillo, dormiente di un sonno eterno, quasi come se la violenza dell’impatto avesse ucciso John, e non lui. Le persone, tutt’attorno, erano come un vortice di urla e domande volte al niente, a qualcuno che alle domande non poteva più rispondere.
“Fatemi passare” dice il dottore con un fil di voce, per poi sentire la propria testa girare come una giostra infinita in quella pozza di dolore e incomunicabilità d’esso che lo stava facendo bruciare, marcire, sfaldare dall’interno.
Improvvisamente la giostra si ferma, tutto si fa buio.
Improvvisamente sviene, e vivere non fa più così male.
 
And I am feeling so small 
It was over my head 
I know nothing at all
And I will stumble and fall 
I’m still learning to love 
Just starting to crawl

 
Anche oggi, lui passa le ore guardando alla finestra.
Anche oggi, tutto quello che vede è una pioggia gelida, scrosciante, un canto funerario che non vuole acquietarsi ma anzi, tormentarlo nel profondo dei pensieri, giorno dopo giorno.
Parla con amici e conoscenti, parla alla sua terapeuta, ma la nota più dolorosa in quella composizione dissonante che sono i suoi discorsi è proprio quella che manca: quelle due parole che a lui non aveva mai detto e che vorrebbe urlare a qualcuno solo per liberarsi. Parla incessantemente dell’accaduto, nei suoi racconti, nei suoi incubi ripercorre senza fine quella strada, correndo ogni volta, sperando che ci sia un finale diverso a quella tragedia, pregando, piangendo affinché per una volta sia lui stesso a morire, invece del suo amato detective. Quello che sfugge alle persone però, è che tutto quel maledirsi non è pura ossessione, irrazionale senso di colpa; esso è il sintomo di una malattia strisciante, un amore soffocato così a lungo da non poter mai più avere voce e che ora sta lì, chiuso nel profondo, silenziosamente urlante e dolcemente letale, fino all’ultimo respiro.

Say something, I’m giving up on you 
I’m sorry that I couldn’t get to you 
Anywhere, I would’ve followed you 
Say something, I’m giving up on you



La lapide nera e lucida, chiusa nella sua eleganza austera e nella sua triste funzione, crea uno strano ma romantico contrasto con l’erba che la circonda, verde di vita e incurante di nascere e crescere dalla morte di padri, madri, sorelle, vite brevi e lunghe, vite tristi e gioiose. Quando lui arriva, si ferma e aspetta; non che arrivi qualcuno, ma che arrivi qualcosa. Il dottore aspetta sempre, prima di parlare di fronte a quel nome dalle lettere dorate.
Quando sa che quel qualcosa, quella specie di sensazione di essere osservato, ascoltato, percepito è arrivata, si siede e parla.
Stanno lì interi pomeriggi, lui e il detective.
John sull’erba seduto, Sherlock sulla lapide inciso.
Uno parla, l’altro ascolta.
Uno piange, l’altro guarda.
Uno urla, l’altro promette amore in silenzio.
Creano un romantico contrasto anche loro.
Così tristi e lontani ma innamorati e legati indissolubilmente.

“Legati” penso proprio che sia il termine esatto.
Secondo una leggenda giapponese, ognuno di noi è legato alla propria anima gemella da un filo rosso.
Non possiamo vederlo, né toccarlo, ma è legato al nostro mignolo sinistro: esso si allunga, si accorcia, ma niente e nessuno può tagliare o rompere il filo. Esso ci ricondurrà sempre dal nostro vero amore, incurante dello spazio e del tempo. Probabilmente, incurante anche della morte.
Quel filo rosso si attorcigliava tra gli alberi del cimitero, inarrestabile ed eterno, partendo dal mignolo di John e giungendo a quello di Sherlock che lo spiava nascosto dietro un tronco, con le lacrime agli occhi.
Magari, quel filo rosso visto dall’alto, albero dopo albero, nodo dopo nodo, rendeva il cimitero un’enorme rosa.
Ma il filo del destino è invisibile, si sa.
E come il loro amore, quella immensa rosa rimane lì immobile, silenziosa, impercettibile ma reale più del mondo, più della vita stessa.


And I will swallow my pride 
You’re the one that I love 
And I’m saying goodbye



Le strade di Londra sembrano meno difficili da attraversare, il caffè meno amaro, le canzoni meno irritanti e lontane dal suo sentire. La vita sembra quasi avere un senso per il dottore, dopo così tanto tempo. A volte riguarda i video, le foto, persino i buchi nella parete, e si chiede dove siano finiti quegli occhi azzurri, anche se la risposta la conosce. A volte piange, a volte è forte, a volte non ci pensa.
Eppure, il filo è ancora lì, legato al suo mignolo e a quello dell’uomo che non ha mai smesso d’amare.
Il rosso del filo si confonde col rosso del sangue, delle cicatrici e delle ferite aperte.
Il suo muoversi sinuoso ed infinito ricorda talvolta quello di una frusta, quella che sta marchiando a vita la schiena del detective. Quella che lo sta torturando, mentre prega di rivedere il suo amore al più presto.
Sherlock aspetta, conta i giorni, piange perché gli fanno male, troppo male perché il suo corpo regga, ma lo fa per lui.
Il liquido scarlatto delle sue vene si mischia alle lacrime di John, creando il filo rosso.
Invisibile come l’acqua, rosso come il sangue.
Esso li unisce nella vita e nella morte,
per sempre.


Say something, I’m giving up on you 
And I’m sorry that I couldn’t get to you 
And anywhere, I would’ve followed you
Say something, I’m giving up on you
Say something, I’m giving up on you 
Say something
   
 
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