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Autore: moira78    24/01/2009    1 recensioni
Una storia che sognai e scrissi mentre stavo al lavoro, tanto mi aveva fulminato con la sua trama e bramava di uscire dalle mie mani. Ve la propongo così come mi venne, terribile e bruciante come la sentivo. Sempre per la serie: almeno tento di farmi perdonare per Koshitagi. XD
Edit del 26/1/2009: ff interamente riveduta e corretta da Tiger eyes.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III

Una vita innocente




La donna le avvicinò un piatto fumante di minestra calda, ma Akane scostò il viso.
"Ragazza mia, non puoi stare a digiuno tutto il giorno, ti farà male!"
Lei si limitò a tacere e le indicò con un dito la tinozza dell’acqua, rivolgendole uno sguardo supplichevole.
"Vuoi fare un altro bagno, tesoro? Ma sai che è il quinto oggi?"
Akane si morse il labbro, sul punto di piangere.
"Dai mamma lasciaglielo fare! Si vede che ne ha voglia!" Intervenne la ragazza dai capelli rossi alle sue spalle.
"Ma Kurumi, le farà male alla pelle!"
Lei scosse la testa. "Non vedi che è catatonica? Cosa vuoi che le importi della sua pelle?"
"Kurumi!"
Ma Akane non parve sentirla, si alzò e cominciò a spogliarsi e a riempire la vasca. Era come se intorno a lei non ci fosse nessuno. Si immerse e cominciò a insaponarsi la pelle nivea e già più volte strofinata, in più punti si era screpolata per il troppo sapone, ma lei non ci badava e continuava a strofinare con lamenti bassi e disperati, come se avesse addosso qualcosa che doveva togliersi assolutamente.
"Kurumi…"
"Sì, mamma?"
"Hai detto che quando l’hai trovata aveva i vestiti tutti strappati?"
"Sì ed era spaventata a morte."
La donna annuì lentamente. "Credo di capire cosa le sia successo: il fatto che continui a lavarsi…"
"Oh mamma, vuoi dire… proprio quello?"
"Temo proprio di sì, figliola."


"A Kyoto?! Hai idea di dove sia?! Ma sei proprio sicura, Nabiki?"
La ragazza diede un piccolo morso al pasticcino di riso e annuì. “È la sua descrizione perfetta. Ho raccolto informazioni, sai?"
Ranma si alzò dal tavolo.
"Vado da lei!"
"Frena Ranma, non così in fretta."
"E perché, scusa?"
"Non sono sicura che ti voglia rivedere. Lascia che vada io, ho solo un biglietto per il treno."
"Me ne comprerò un altro, ho dei risparmi…"
"No! Ma ci senti quando ti parlo?! Ho detto che devo vederla prima io! Dopo un anno non so se vorrà avere più a che fare con te. È dura da accettare, ma è così. Abbi pazienza."
Ranma grugnì, impotente.
"E dovrei starmene qua, buono buono, in attesa di notizie?!"
"Esattamente." Disse lei con un sorriso, alzandosi in piedi e cominciando ad allontanarsi.
"Do… dove vai Nabiki?"
"A casa a fare i bagagli, no? Parto tra due giorni e non provare a seguirmi!"
"Ma…"
"Niente ma, Saotome, ho già fatto troppo per te, dopo quello che hai combinato." Si girò nuovamente, poi parve ricordarsi di una cosa. "Ah, dimenticavo…"
"Cosa?" Fece Ranma speranzoso.
"Il conto. Pagalo tu." Concluse aprendo la porta e sparendo tra la folla.

Più o meno nello stesso momento in cui Nabiki affibbiava il conto della sala da tè a un esterrefatto Ranma, Akane stava discutendo animatamente con un’infermiera.
"No, mi rifiuto, non posso allattarlo io! Trovategli una balia!"
"Ma Akane, è figlio tuo!"
"Non l’ho voluto io! E poi se ne occupi la sua madre adottiva!"
"Ma Akane…"
"BASTA PER FAVORE, LASCIAMI SOLA!"
La donna scomparve mogiamente dietro la porta e Akane si prese la testa fra le mani. Per un attimo aveva provato amore per quel bambino, ma ora aveva deciso che era sbagliato. All’epoca si era lasciata dissuadere dall’abortire, lo avrebbe dato in adozione come già stabilito. Non voleva che quel bambino le ricordasse ogni momento della sua vita come l’aveva avuto. Amare provocava solo del male, ora lo sapeva. Si sarebbe imposta di dimenticarlo
(È sangue del tuo sangue)
pur di passare finalmente oltre quell’incubo durato quasi un anno.
Il problema era che non poteva tornare a casa come nulla fosse dopo tutto quel tempo e dire: Ciao, sono tornata! Scusate il ritardo, ma ho avuto parecchio da fare! A proposito Kasumi, cosa c’è per cena?
Probabilmente la credevano addirittura morta e poi… sarebbe riuscita a tenere per sé un segreto enorme come quello? E se Ranma l’avesse cercata? Come lo avrebbe affrontato? Le avevano detto che prima di svenire lo aveva chiamato a gran voce. Per nove mesi si era preoccupata solo di liberarsi di quel fardello e trovargli una sistemazione, ma ora non sapeva cosa avrebbe effettivamente fatto.
Fuori dalla sua stanza, una donna si aggirava per i corridoi dell’ospedale cercando la nursery e mormorando frasi incomprensibili.

Nabiki mise in valigia un altro paio di pantaloni e chiuse zip e bottoni. Poteva bastare, non sarebbe stata via molto. Se era veramente sua sorella l’avrebbe riportata a casa in un baleno, che lei lo volesse o no. Doveva dare delle spiegazioni alla sua famiglia, era scomparsa per quasi un anno e non poteva rifiutarsi di tornare.
Era convinta che fosse lei, nonostante la stranezza che le avevano riferito.
(Ha i capelli scuri, corti, una bella ragazza, sembra che il suo cognome sia Kendo o Tendo e…)
Sicuramente c’era stato un errore.
(Sembra essere in attesa di un bambino.)
Akane aveva spesso indossato vestiti larghi, magari era ingrassata un po’, ma sicuramente non era incinta, Nabiki ne era convinta. Chi avrebbe osato avvicinarsi tanto a sua sorella tanto da…? No, non era possibile.
Mise il biglietto del treno nel cassetto e aprì il suo libro di economia politica. Fuori, era imminente un temporale.

Erano stati mesi duri per Akane. A poco a poco era uscita dalla catatonia in cui si era rinchiusa, ma aprire la mente e la consapevolezza a quello che era accaduto era stato anche peggio. La madre di Kurumi le era stata vicina come fosse la sua e aveva ascoltato il suo sfogo piangendo con lei, condividendo il suo dolore. Kurumi, dal canto suo, era come la sorellina minore che non aveva mai avuto e spesso le ricordava Ranma, per via dei suoi capelli rossi. Un giorno l’aveva vista con i capelli raccolti in una treccia ed era scoppiata a piangere. Non se l’era sentita di spiegare a Kurumi del suo fidanzato e della sua strana maledizione, così aveva tergiversato parlandole di una sua cugina.
"Ma se ti manca tanto la tua famiglia perché non torni a casa?"
Akane era diventata pensierosa. Certo, tornare era facile, ma che avrebbe raccontato? Dopo un mese di assenza doveva dare una spiegazione plausibile, ma non voleva dare quella spiegazione. Così aveva indugiato. Dopo qualche giorno aveva scoperto di essere incinta ed era stato l’inizio della fine. Akane credé di toccare il fondo, di impazzire, e si era lasciata convincere solo in extremis a non abortire. Una notte aveva tentato addirittura di uccidersi, ma non appena aveva visto il sangue stillare dal suo polso le era venuto meno il coraggio e aveva accettato il seppur difficile richiamo alla vita. Era partita il mese successivo.
"Ho una zia a Kyoto, è anziana ma molto buona.” Le aveva detto la mamma di Kurumi. “Finché non ti senti di tornare a casa stai pure da lei. In quella città c’è un ottimo ospedale, ci lavora una mia amica, puoi avere il bambino là e farti aiutare da lei per l’adozione, se non cambi idea."
Akane le era stata immensamente grata e quando era partita le era dispiaciuto come se avesse abbandonato di nuovo la sua vera famiglia. Ma aveva bisogno di allontanarsi, non voleva che qualcuno la trovasse ora, gravida e disperata.
I nove mesi erano passati, ma Akane non riusciva ancora a trovare il coraggio di tornare.

La donna indossava un kimono largo decorato da strani simboli arcaici. Non appena fu davanti alla nursery i suoi occhi si illuminarono.
"Eccolo! È lui, il prescelto!" Mormorò in preda a una sorta di illuminazione mistica. Abile come un gatto scivolò dentro la stanza e fissò gli occhi blu del neonato. "Tu farai rinascere Aruku, il Sommo, e la Terra… oh la Terra finalmente sarà governata dai sudditi del nostro padrone supremo!"
In un attimo il bimbo fu nelle pieghe del suo kimono, silenzioso e tranquillo come se sapesse che quello era il suo destino. La donna scomparve in un fumo denso e acre senza lasciare traccia.
Un’ora dopo si sarebbe scoperto che il figlio di Akane era stato rapito.

Akane stava sognando sua madre. La vedeva su un sentiero opaco, l’erba di un verde cristallino e pulito.
"Mamma?"
Nulla, la donna la guardava con espressione triste e non parlava.
"Mamma, perché sono qui? Sto forse…"
La donna fece un gesto negativo.
"Allora, perché?"
Lei parlò con voce triste. "Quel bambino non ha colpa."
Akane spalancò gli occhi colmi di comprensione.
"Ma mamma… io…"
"Come te, neanche lui ha colpa di quello che ti è accaduto. Non rifiutare qualcosa che fa parte di te. Quel bambino è in pericolo ora, salvalo figliola, non merita ciò che gli vogliono fare."
Akane tentò di parlare, ma nessun suono le uscì dalle labbra. Si formò invece un’immagine davanti a lei:
(sacrificio)
delle donne con strani kimono neri stavano sorreggendo
(sacrificando)
suo figlio su un altare dove strane figure di marmo
(demoni)
sogghignavano come in attesa del suo sangue.
(resurrezione)
Si svegliò gridando e qualcosa le colpì il petto come una spada. Amore. Amore smisurato verso quegli occhi blu
(come… oh proprio come…)
quelle manine minuscole, quelle labbra rosee. Rivide se stessa lottare per farlo nascere dal suo grembo gonfio (sangue del mio sangue)
e la sua testolina minuscola
(come te non ha colpa)
uscire nel mondo inconsapevole
(è in pericolo)
che sua madre avrebbe voluto odiarlo.

Quando la rivide, era passato quasi un anno. Quell’idiota di Ranma doveva averle fatto qualcosa di terribile per tenerla lontana tutto quel tempo. E pensare che l’avevano cercata insieme il giorno in cui la vide nel bosco con quella donna! Ranma gli aveva lanciato contro le più svariate maledizioni, quando si era reso conto che lui non ricordava la strada come al solito. Poi era finita lì. Si era messo a girovagare ovunque nelle vana speranza di ritrovarla, viaggiando verso nord senza saperlo. E oggi era proprio a Kyoto e la stava vedendo di nuovo. Si strofinò gli occhi credendo di avere le traveggole. Akane indossava una camicia da notte bianca, era scalza e sembrava pallida da morire. Ancora un po’ e sarebbe svenuta.
Ryoga prese a correre come un pazzo e l’afferrò appena in tempo, prima che cadesse.
"Akane! Kami del cielo che ti è successo?!"
"Mio… ti prego… trova…"
"Cosa? Akane non capisco!"
"Ti prego… trova… mio figlio…"
E svenne.

Ranma non poteva mantenere fede alla promessa. L’avrebbe seguita e avrebbe rivisto Akane viva e vegeta, cascasse il mondo. Stava già preparandosi lo zaino.
"Figliolo, sei sicuro di voler…"
"Oh mamma, andiamo! Come pensi che possa rimanermene qui buono e tranquillo sapendo che lei è a pochi chilometri da me?!"
Nodoka sedette accanto a lui, piegando una camicia cinese blu e porgendogliela.
"La ami molto, vero?"
Ranma arrossì, ma non riuscì a mentire a sua madre.
"Se solo fossi stato meno vigliacco… se glielo avessi detto quella sera, ora non sarebbe così lontana da me."
La donna gli pose una mano sulla spalla. "Meglio tardi che mai, Ranma. Diglielo se puoi, ripetiglielo finché non si stancherà di sentirlo. Vedrai che non ti respingerà."
"Tu dici, mamma?"
Nodoka annuì. "Sono una donna anch’io e se un giorno tuo padre mi dovesse ripetere che mi ama fino alla noia credo che non potrei rimanere indifferente. Fallo Ranma, lei è la tua fidanzata… solo tua."
Già… pensò Ranma mentre sorrideva tra sé al pensiero di suo padre profuso in una dichiarazione d’amore. Lei mi appartiene e stavolta il destino me la dovrà ridare.
La pioggia cominciò a cadere.

Ryoga credeva di aver visto e sentito tutto nella sua seppur giovane vita. Ma ora, mentre lei giaceva nel suo sacco a pelo, al riparo nella tenda mentre fuori pioveva a dirotto, la rivide tra le sue braccia semisvenuta chiedergli di salvare suo figlio. Suo figlio. Sentiva che il cuore gli si liquefaceva nel petto. Akane aveva avuto un bambino? E chi era il padre? Se avesse scoperto che Ranma…
"Ma certo!" Esclamò piano per non svegliarla. Ranma l’aveva… l’aveva… ecco perché la povera Akane era fuggita e ora portava su di sé quella vergogna, quell’orribile marchio! Ah, ma l’avrebbe pagata carissima! Appena avesse rivisto Ranma gli avrebbe rotto le ossa una a una, quanto era vero che si chiamava Ryoga Hibiki!
Akane stava riprendendo conoscenza. Ryoga le si accostò.
"Akane…?"
Lei mise a fuoco il volto del ragazzo e un antico timore
(un uomo…)
le pervase le viscere. Gridò, allontanandosi, inconsapevole del sangue che le cominciava a fluire lento in grembo.
"Akane… Akane sono io!"
"Stai lontano! NON MI TOCCARE!"
"Akane… io… Akane stai sanguinando! Oh mio Dio!"
Lei si rannicchiò in un angolo, dondolandosi, piangendo.
"Rivoglio il mio bambino… lo rivoglio!"
Ryoga fece per avvicinarla, ma si bloccò. Akane aveva paura di lui. Non lo riconosceva, oppure aveva paura per qualcosa. Ma Akane voleva anche qualcosa da lui e anche se quel qualcosa era il figlio suo e di Ranma l’avrebbe ritrovato a costo della vita, per lei questo e altro. Tuttavia stava sanguinando, la camicia da notte era inzuppata appena all’altezza del ventre. Ryoga non era mai stato molto sveglio per quanto riguardava le donne, ma d’improvviso capì e si diede dell’idiota.
Ha appena partorito, ha camminato per chissà quanto e ora…
Arrossì. Non poteva curarle personalmente quella ferita, ma l’avrebbe portata all’ospedale immediatamente. Incurante delle proteste di lei, la prese in braccio, aprì l’ombrello e corse più che poté.
   
 
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