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Autore: SaraJoie    26/07/2015    0 recensioni
Gabriel Hayes è un giovane come tanti, conduce una vita perfettamente normale in una piccola e tranquilla cittadina. Le uniche note stonate nella sua vita sono la morte tragica e prematura del fratello maggiore, e il complicato rapporto con la nonna, autrice pluripremiata di favole per bambini. Ma qualcosa sta per cambiare.Una serie di strani e misteriosi eventi, sembrano volergli ricordare che nella sua vita non c'è proprio niente di normale...
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- C’era una volta una foresta magica. E c’è ancora. È abitata da folletti, elfi, spiritelli e da tutte le creature che popolano le vostre fantasie, E come in ogni regno che si rispetti, c’è un Re.Ma il Re della Foresta non è un re qualunque, non è un noioso omone con i baffi impomatati, chiuso nel suo castello, circondato da scartoffie e servitori. Il Re della foresta è un Re Bambino. La sua casa è un cespuglio ricoperto di rose bianche, grandi e profumate.Ogni notte il Re Bambino si stende all’ombra delle sue foglie, e rimane giovane per sempre. Non teme le spine che coprono i rami nodosi, perché tutta la foresta gli obbedisce. I fiori sbocciano a un suo comando, le foglie si ingialliscono per un suo capriccio. È il padrone delle stagioni. Ed è il re dei sogni.>>

Estratto da: “Le Avventure di Cecily D.”
Di Cecily Dashwood

 
 
 
 
Gabriel osservò le sue scarpe sprodonfadare nel morbido terriccio del giardino della nonna.Erano i piedi di un bambino di sei anni, piccoli , circontadi da ciuffetti di erba verde. Indossava le sua scarpe preferite: di un rosso acceso , con i lacci neri e i disegni gialli sui lati. Sapeva bene cosa stava per succedere. Tra qualche secondo sarebbe comparso Jonathan.Il suo fratellone. Ecco lì in lontananza, vicino alle sedia preferita della nonna, quella nera di ferro battutto, posizionata strategicamente sotto l’ombra del grande faggio. Nel sogno il faggio era sempre rigoglioso e pieno di foglie. Jonathan lo salutò con la mano, aveva dieci anni,ed era decisamente più alto di lui. I suoi ricci erano di una tonalità di castano più chiara, ma erano sempre indomabili e sparavano in tutte le direzioni.E poi gli occhi. Azzurri come l'acqua,allegri e ridenti.Gli occhi di un angelo. Gabriel lo chiamò, lo invitò ad avvicinarsi. Sapeva esattamente cosa avrebbe detto. Gli avrebbe chiesto di avvicinarsi allo 'stagno’. Si trovava sul fondo del giarino, quasi al confine col vecchio bosco.Era una piccola buca piena di acqua sporca, abbastanza profondo. La storia dei piccoli folletti nel fiume era in assoluto la sua preferita.I folletti erano bassi come bambini- raccontava sempre la nonna, seduta sotto l’albero- con la pelle verde, i capelli di alghe e i larghi cappelli fatti di foglie di ninfee. Si nascondevano sotto il fango,e se andavi sott'acqua e aprivi gli occhi, potevi scorgere i loro nasi a patata e i loro grandi occhi blu brillare nell’oscurità. Jonathan lo raggiunse. Senza nemmeno togliersi le scarpe entrarono in acqua. La mamma glielo probiva. Ma in quel momeno lei era dentro casa, tutta presta dal suo lavoro, mentre la nonna cullava ignara la piccola Elizabeth , raccondandogli fiabe che loro due conoscevano già a memoria.Gabriel assaporò la sensazione dell’acqua che gli lambiva le caviglie. La mamma diceva sempre di stare lontani dal fiume. Era pericoloso, non sapevano nuotare. Gabriel vide una foglia di ninfea vibrare..erano loro, erano i folletti dell’ Acqua! E poi non respirava più. C’era acqua, acqua ovunque. Gli entrava nelle narici, nella bocca. Non riusciva a respirare. C’era qualcosa sulla sua schiena, un peso che lo spingeva giù, sempre più giù. Gabriel lo sapeva che non sarebbe morto soffocato, che suo fratello lo avrebbe tirato fuori di lì. Che tra qualche secondo si sarebbe trovato bagnato dalla testa ai piedi disteso sulla riva. Eppure , in quei pochi secondi, pensava sempre che sarebbe morto. Che sarebbe soffocato lì in mezzo alle alghe e ai pesci. Due occhi gialli entrarono nel suo campo visivo. Due occhi freddi e crudeli.Non li aveva mai visti prima.
 
 
-AAAARGH!- Urlò alzandosi di colpo. Era Gabriel, era di nuovo se stesso. Aveva di nuovo diciott’anni e quello era stato il solito incubo. Cercò di liberarsi da quel groviglio di lenzuola sudate che era diventato il suo letto. Si mise la testa fra le mani ,cercando di scacciare quelle immagini che lo perseguitavano. Erano da un bel pò che non riviveva quell’incubo.Strinse gli occhi, picchiandosi i pugni sulla fronte. Due occhi gialli. I particolari del suo sogno erano sempre uguali, la sedia nell’angolo, le scarpe rosse...ma quegli occhi era sicuro di non averli mai sognati prima.Forse li aveva visti alla TV a sera precedente? E il suo cervello li aveva rielaborati? Smise di pensarci, mentre la stanza intorno a sè tornava a fuoco. L’odore del caffè proveniente dalla cucina gli solleticò le narici. Gettò le coperte di lato e scese a piedi nudi sul pavimento. Aprì le imposte , permettendo alla luce del sole di illuminare la stanza. La vista del solito profilo dei mobili, dei vestiti sulle sedie, e dei libri sul pavimento lo rincuorò. Era tutto normale, era la sua solita stanza. E quello era il suo primo giorno dell’ultimo anno di liceo. Il cuore smise di battere all’impazzata.Si stiracchiò sbadigliando. Sollevò una manciata dei libri finiti sul pavimento...doveva essersi agitato proprio parecchio nel sonno , visto che tutti e tre i volumi di fisica avanzata erano finiti per terra. La sveglia parlande sul comodino gracchiò ‘’ Sono le sette, è tardi!” ,con la solita voce stridula e inespressiva.Era un recente regalo di Melanie, per assicurarsi che si alzasse in tempo la mattina. Lo avrebbe volentieri buttato nella spazzatura, se non fosse stata lei a regalarglielo. Schiaffò una mano sulla sveglia con poca delicatezza, e quella finalmente taque. Doveva sbrigarsi,nessuno lo avrebbe giustificato, nemmeno ai bambini si permette di trascurare la vita reale per un incubo. Dopo un lungo quarto d’ora in bagno era pronto. Si infilò la divisa del suo liceo:camicia bianca, pantaloni neri, giacca nera con brodino dorato, e cravatta rosso scuro. Stupido nodo. Strattonò un paio di volte la cravatta, fino a quando non si mise apposto in modo più o meno decente. Avrebbe chiesto a Melanie di aggiustarla, come sempre. In realtà non glielo avrebbe chiesto affatto...ci avrebbe pensato lei da sola, non appena lo avesse visto. Gabriel fissò la sua immagine nello specchio. Cosa importava avere la cravatta apposto, se poi sembrava di avere un tornado in testa?! Si passò corrucciato le mani tra i capelli, pur sapendo che non c’era modo di farli stare apposto. Erano una montagna, ricci di un castano molto scuro. Odiava quell’aspetto da porco spino che aveva sempre al mattino. Anche se Melanie sosteneva che i suoi riccioli fossero “sexy”, la sua immagine nello specchio lo faceva pensare più a un barbone che si è appena alzato dal suo letto di cartone. Sbuffò e uscì finalmente dal bagno. Aperta la porta andò a sbattere contro sua sorella, che- ovviamente ancora in piagiama e con li occhi gonfi di sonno- ciondolava davanti al bagno in attesa del suo turno.
-Cretino!- sbraitò Effy. -Non potevi aprirla piano questa stupida porta?!-
Gabriel la fissò in modo ironico,sollevando un sopracciglio.Evitò –come al solito-di risponderle. Fu sicuro di sentire sua sorella borbottare qualcosa a proposito della gente ‘alta e stupida’. Scese la scale. Mamma e papà stavano già facendo colazione nella spaziosa cucina. Era una stanza ampia circondata da vetrate luminose che affacciavano sul loro piccolo il giardino. I Signori Hayes erano seduti intorno all’isola che occupava il centro della cucina. Suo padre sorseggiava una tazza di caffè scuro- rigorosamente senza zucchero- mentre la mamma mordicchiava un toast, sfogliando violentemente le pagine del giornale. Salutarono Gabriel con un sorriso.
-Buongiorno!- esclamò sua madre. SI avvicinò e lui , e si sollevò sulle punte per stampargli un bacio in testa. -Ci sono le uova belle stapazzate, e la pancetta croccante..come piace a te!-
-Grazie- rispose lui, avvicinandosi con desiderio al bricco del caffè. Non aveva il coraggio di confessare che non aveva molto appetito. Il sogno gli aveva letteralmente chiuso lo stomaco. Prese così una misera porzione di uova e di bacon, insieme a una tazza stracolma di caffè, e si accomodò vicino al padre.
-’Giorno Campione!- disse quello tirandogli un affettuoso pugno sul braccio. Gabriel sorrise, e continuò a giocherellare con le sue uova. Suo padre aveva un idea molto contorta del linguaggio giovanile, era convinto che il pugno a mò di saluto non sarebbe passato mai di moda.In quel caso servì solo a fargli percepire ancora di più il suo stomaco sotto sopra. L’odore di fritto risvegliò il suo appetito. Sua madre- Magda per i figli, per il resto della città “Avvocato Meyer”- era tornata in cucina, spostò alcuni piatti nel lavandino e osservò corrucciata la sua immagine sul bordo di un cucchiaio. Si aggiustò nervosamente il ciuffo castano che le cadeva sugli occhi azzurri. Gabriel sapeva che non era molto felice del suo nuovo taglio.
-Mamma, stai benissimo. Il ciuffo di ringiovanisce- disse continuando a tagliare la pancetta. Sua madre sorrise raggiante, buttando finalmente il cucchiaio nel lavabo. Si stirò la gonna nel tallieur nero con le mani.
-Si, si. Prendi pure in giro tua madre!- rispose ridendo. -Ah...il mio piccolo gentiluomo! Non sei più bravo a mentire come quando eri bambino- proseguì avvicinandosi al figlio,lisciando con la mani le spalline della giacca della divisa.Magda soleva riempire suo figlio di nomignoli dolci e zuccherosi.Lo chiamava spesso piccolo, cosa piuttosto impropria visto che suo figlio sfiorava il metro e ottanta.
-ll ciuffo ti ringiovanisce, mammina-cinguettò Effie facendogli il verso.Ancora una volta Gabriel si stupì della capacità di sua sorella di svegliarsi cinque minuti prima di uscire ...e di essere comunque perfetta. Accompagnò le sue parole scostandosi i capelli dal viso con un gesto nervoso. Ne aveva una montagna, erano lunghi fino alla vita di un bel castano scuro color cioccolata, proprio come quelli del padre. Si lamentava sempre di aver ereditato dai genitori solo il peggio.Non aveva preso gli occhi azzurri della madre, ma in compenso aveva in testa una marea di riccioli – cosa di cui quasi nessuno era a conoscenza, grazie a numerose passate di piastra al mattino- proprio come il papà. Effy rispecchiava tutto quello che Melanie,la fidanzata di Gabriel, odiava . La tipica adolescente, con abiti all’ultimo grido, il cui pensiero fisso era quello di ricevere mi-piace su Facebook e di accalappiare il ragazzo più carino della scuola. In effetti, era molto bella. Aveva il viso a forma di cuore e le labbra carnose. Oltre a un altezza esagerata per un ragazza della sua età, che riusciva comunque a dissimulare col suo portamento sensuale. Anche Effy indossava la divisa della Sant Xavier.Ma riusciva a spiccare comunque tra le sue compagne, lasciando aperto qualche bottone della camicia, e arrotolando la gonna permettondogli si salire sopra il ginocchio.
-Signorinella...abbassa quella gonna!- sbairtò Magda. Effy si limitò a toccarsi i capelli con una mano piena di anellini e braccialetti tintinnanti. Prese posto su una sedia vicino all’isola, ignorando gli sguardi severi del padre. Effy attraversava quel periodo caratteristico della giuventù in cui ci si sente in guerra con il mondo. Era in sfida con le altre ragazze della scuola per accalappiare il più ‘figo di tutti’, odiava i genitori che cervano di metterle i bastoni tra le ruote in ogni cosa che faceva, e non sopportava più suo fratello ,che era il tipico esempio di virtù e rettitudine. Qualche anno fa- il primo anno di liceo- Effy stava sempre attaccata alla giacca di Gabriel, balbettava parlando con i ragazzi più grandi e andava ancora bene a scuola. Poi aveva cominciato a trasformarsi:ora si chiudeva sempre in bagno per mettersi chili di lucidalabbra, sedeva all’ultimo banco scribacchiando bigliettini tutto il tempo,e ogni mattina ancheggiava nel corridoio davanti agli armadietti, dispensando sorrisi ai ragazzi più belli e occhiatacce agli ‘sfigati’. Gabriel si limitava a ignorare le battute acide e sprezzanti della sorella. Per quanto lo riguardava non aveva mai attraversato quella fase della vita, e l’esperienza gli aveva insegnato che risponderle a tono era semplicemente inutile...ignorare le sue battutacce era molto più efficace.La ragazza spezzettò rabbiosamente un toast con le mani, lancinado occhiatacce al fratello che si rifiutava di rispondere alla sua provocazione.
-Gabriel..quando cominciano gli allenamenti?- chiese il padre ,posando la tazza di caffè ormai vuota sul tavolo. Era da due anni che Gabriel faceva parte della squadra di basket della scuola...esattamente da quando era tornato dopo l’estate del suo sedicesimo compleanno ,cresciuto di un bel pò di centimetri. Era il ragazzo più alto della sua classe, e da quando aveva cominciato a giocare aveva messo su un bel pò di muscoli, assicurandosi un fisio decisamente piacente.
-Mmm.. ricominciamo questo giovedì.-
-Se non ti nominano capitano quest’anno non so proprio cosa passi per la testa del coatch..-
-Andrew!-lo interruppe Magda, -credevo che quest’anno avremmo parlato meno di basket! Non c’era qualcos’altro che dovresti dire a nostro figlio?!- continuò, fissando il marito con la sua tipica occhiata piena di significati sottointesi. Quando pensava a sua madre al lavoro, Gabriel la immaginava rivolgere quello sguardo di rimprovero a un vecchio giudice con la parrucca bianca e boccoluta.
-Oh si , certo!- disse Andrew riscuotendosi, pulì le briciole dalla camicia con un gesto della mano e proseguì: -Gabriel, ho parlato con professor Harris... ha detto che sarà felicissimo di darti ripetizioni di fisica! Potrete parlane proprio oggi, magari fai un salto nel suo studio più tardi. Così sceglierete le date.-
Gabriel sentì un grosso peso calargli improvvisamente sullo stomaco. Ripensò con amarezza ai libri di fisica avanzata, che aveva poco elegantemente sparso sul pavimento quella notte.
-Ehm..si , certo- si limitò a rispondere. Posò forchetta e coltello incapace di mangiare altro. Non riusciva a credere che i suoi avessero già cominicato a mettergli pressione! Come i suoi genitori gli avevano ricordato –circa un centinaio di volte- prendere lezioni private aggiuntive per migliorare in alcune materie sarebbe stato l’ideale. Il primo passo per l’ammissione al college, e ,successivamente, per essere ammesso alla scuola di Medicina.Gabriel sentì lo stomaco appesantirsi ancora di più. Il che era un cosa decisamente ridicola, se si pensava che era stato lui stesso a cacciarsi in quel guaio. Era da quando aveva dieci anni che andava dicendo a destra e a manca che avrebbe voluto fare il chirurgo da grande, e i suoi genitori lo avevano preso letteralmente in parola, decidendo di sostenerlo in quel percorso. Ma ora che stava per avvicinarsi alla meta si sentiva sempre più dubbioso. Non riusciva proprio a vedersi con indosso un camice bianco come quello di suo padre – che era un dentista- e gli faceva orrore il pensiero che i suoi genitori avessero già programmato tutto. Ogni volta che beccavano alla tv Grey’s Anatomy in televisione facendo zapping tra i canali la mamma costringeva tutta la famiglia a guardarlo per almeno dieci minuti, continuando a mandare occhiate colme di gioia verso il figlio.Probabilmente incollava mentalmente un camice sui suoi vestiti. Per non parlare di quegli orridi momenti in cui papà si rivolgeva a lui come al il nostro futuro dottore, facendogli puntualmente finire di traverso qualunque cosa stesse ingerendo.Avrebbe dovuto prevederlo, dopotutto. Non sta bene scegliersi il sogno di un altro, e pretendere di conviverci con tranquillità...perchè quello era il sogno di Jonathan. Jonathan Hayes. Il piccolo eroe. Il fratello defunto. Jonthan era morto nello stagno giardino della nonna, affogando nel tentativo di salvare il suo sciocco fratellino di sei anni che ,senza saper nuotare, si era calato dritto dritto nell’acqua. Nessuno se l’era mai presa con lui , nessuno gliene aveva mai fatto una colpa. Ma da quel giorno Gabriel aveva cominciato a sentirsi responsabile verso i suoi genitori. Aveva causato la morte di suo fratello, ed era suo dovere cercare di restituirglielo in qualche modo. Jonathan era un bambino perfetto:Generoso , ubbiente, col viso di un angelo. Era intelligente, e molto più coraggioso del suo piagnucoloso fratellino .Era il cocco di mamma e papà, l’idolo del fratello, la stella nascente della famiglia. Pur essendo solo un bambino aveva già deciso che da grande avrebbe seguito le orme del padre, sarebbe diventato un medico e avrebbe curato i poveri e gli ammalati. Bè, poi era morto. Gabriel non ricordava molto bene suo fratello in realtà, apparte qualche immagine frammentaria di quel giorno sul fiume. Certo aveva stamapato bene il suo volto nella mente. Era impossibile il contrario visto che le sue foto – lui con i suoi occhi azzurri e ridenti- tappezzavano le pareti di tutta la casa.Eppure aveva così pochi ricordi di quel bambino dal volto d’angelo, anche quando tutti affermavano che un tempo erano inseparabili..o meglio ,che Gabriel non sapesse fare un passo senza stare attaccato alla mano del fratello. Così , involtantariamente , era stato lui stesso a copiare Jonathan. Dopo la sua morte aveva smesso di essere un bambino piagnucolone, era diventato più forte, più determinato. Obbediva sempre ai genitori, studiava con impegno per essere il primo della classe. Era gentile con tutti, dispensava sorrisi a chiunque ..proprio come avrebbe fatto Jonathan. Eppure quella bugia cominciava a pesargli.Da quando si era reso conto di non voler fare davvero il medico, aveva cominciato a dubitare di tutta la sua vita. Se tutto fosse stato una farsa? Se ogni lato della sua personalità fosse stata solo una brutta copia di quella di Jonathan? Chi era lui davvero?
-Gabry..? Tutto bene?- chiese Magda. Mamma,papà ed Effy lo fissarono stupiti. Era rimasto con la forchetta a mezz’aria perso nei suoi pensieri. Accidenti.
-Si. Tutto bene..ero... un attimo sovrappensiero- rispose con un sorriso. Andrew continuò a fissarlo dubbioso. -Davvero...tutto bene-
-Stanotte ha fatto di nuovo gli incubi!- intervenne improvvisamente Effy tutta soddisfatta, con un sorriso maligno stampato in volto.
-Vaffanculo Effy!- esclamò Gabriel, sferrando un pugno sul tavolo. Effy si limitò a sorridere con un’aria molto poco innocente.Andrew e Magda si scambiarono degli sguardi preoccupati. O no, eccoli che ricominciano. Da quando era avvenuta la tragedia 12 anni prima ,c’era sempre un momento in cui i suoi genitori si scambiavano quello sguardo preoccupato e ansioso. Dalla morte di Jonathan, erano diventati molto apprensivi nei suoi confronti...forse anche troppo. Quello era lo sguardo che riservavano verso il bambino-che-ha-sensi-di-colpa-che-non-dovrebbe-avere. Odiava quando lo guardavano in quel modo.Pieni di compassione per la sua psiche, come se Gabriel potesse rompersi da un momento all’altro ,come un oggetto fragile e delicato.
-E’ vero! L’ho sentito urlare!- continuò a gongolare Effy.
-Chiudi quella cazzo di bocca Effy!- sbaritò Gabriel che aveva ormai perso il controllo. Stai calmo.
-Elizabeth!- tuonò suo padre, -smettila... e vai a scuola che è tardi. E tu Gabriel, modera il linguaggio- Effy non se lo fece ripetere due volte, con un toast ancora tra i denti uscì dalla cucina , facendo sbattere volutamente la porta.Quello era il suo numero preferito.
-Gabry- disse sua madre in piedi dietro di lui , posandogli una mano sulla spalla . -Tesoro, credo che sia normale fare qualche brutto sogno. Ti sarai ricordato inconsciamente che oggi..bè...è l’anniversario-
Anniversario. In realtà Gabriel se l’era completamente dimenticato. Era il 12 settembre, ed erano dodici anni che suo fratello era morto. Forse sua madre aveva ragione, quel sogno glielo aveva mandato il suo subconscio per ricordarglielo. E gli occhi gialli.. che cosa significavano?
Gabriel si alzò di scatto. Il ricordo del sogno gli fece venire un brivido lungo la schiena.-Ho detto che è tutto okay ,mamma. Ora vado, tra un pò passa l’autobus.- Tagliò corto.
-Vuoi prendere la macchina oggi?- chiese il padre.
-No non c’è bisogno..preferisco l’autobus.-
Si mise in spalla lo zaino e uscì senza dire una parola. Scorse Effy ancheggiare in lontananza, con la borsa elegantemente posato sulla  spalla. Altro che indifferenza.L’avrebbe uccisa prima della fine dell’anno se avesse continuato a fare la stronza in quel modo. Preferiva che nessuno sapesse degli incubi che ogni tanto lo tormentavano, voleva fare credere a tutti di stare bene. Tu stai bene ,Gabriel.
 
-Buongiorno spilungone- esclamò Melanie sbucando improvvisamente da dietro le loro spalle. Stampò un bacio in bocca al suo fidanzato e lo prese sotto braccio. Effy-qualche metro più in là- alzò gli occhi al cielo, e si scostò i capelli dal viso. Gabriel aveva finalmente raggiunto la fermata dell’autobus a qualche metro da casa sua. Nessuno riusciva a capire perchè - sebbene i Hayess possedessero ben tre costosissime macchine chiuse nel garage-Gabriel si ostinasse ad andare a scuola in autobus. Lui trovava ridicolo pavoneggiarsi con la sua automobile nuova di zecca, quando aveva la scuola a pochi isolati da casa.Prendeva l’autobus solo per Melanie, altrimenti sarebbe andato felicemente a piedi . Lei approvava la sua decisione, lo trovava un atteggiamento maturo ed equilibrato. ‘Maturo’ ed ‘equilibrato’ erano gli aggettivi preferiti di Melanie per descrivere il proprio fidanzato...con grande gioia per Effy, che non faceva che ricordargli quanto questa descrizione calzasse perfettamente anche al Professor Harris, o peggio al Preside.
-Gabry! La cravatta!- esclamò Melanie con una eccessiva nota di stupore. Gabriel si limitò ad alzare passivamente il mento, mentre lei provvedeva a scioglierla e ad annodargliela elegantemente sotto il colletto.Melanie Peterson – o ‘suor Melanie’ a detta di Effy- e Gabriel Hayess erano fidanzati da ben quattro anni. Era prevedibile che si mettessero insieme. La ragazza carina, diligente e studiosa, col ragazzo più assennato di tutto il quartiere.Melanie aveva la stessa età di Gabriel,ed era abbastanza alta da non sfigurare accanto al suo fidanzato. Il viso era incorniciato da lucidi capelli rossi ,e reso ancora più dolce da due grandi occhi azzurri e da un leggera spolverata di lentiggini. Melanie era capoclasse, era iscritta a numerosi club, ed era anche una campionessa di equitazione. Quella mattina indossava una divisa nuova di zecca –con la gonna della lunghezza giusta, e i bottoni tutti al loro posto- e aveva i capelli legati in una coda alta. Si era passata un velo di lucidalabbra e un pò di mascara...lo faceva sempre quando c’era Gabriel nelle vicinanze. Per tutti erano la coppia perfetta.Lui era un bocconcino niente male , e, al contrario di quasi tutti i suoi coetanei,non era un perfetto idiota. I ragazzi furono presto raggiunti da Eddy e Mark - amici di Gabriel- e da tre amiche di Effy, che suo fratello riusciva difficilmente a distinguere, visto che scimmiottavano sua sorella sotto ogni aspetto, anche nella pettinatura. Effy e le sue amiche –con le loro scrime dei capelli rigorosamente a sinistra-si allontanarono dal gruppo parlottando sotto voce (l’argmomento verteva sulle orrende scarpe di Melanie) ,mentre Gabriel fu costretto a sorbirsi un resoconto molto dettagliato della partita di regby della sera prima, con la sua ragazza che continuava a tenerlo sottobraccio. Quello giornata non era per niente normale. Gabriel non riusciva a seguire la conversazione dei suoi amici, e cosa ancora più importante, cominciava a percepire con un notevole fastidio le attenzioni di Melanie. Aveva l’impressione che quel giorni volessero tutti stargli addosso. Si sentiva soffocare. Non capiva perchè, ma avrebbe tanto voluto sciogliersi quella stupida cravatta , mettersi a urlare e correre via lasciandosi tutto quel chiacchericcio inutile alle spalle. Al gruppo si aggiunse Liv Wilson, una loro compagna di scuola. Liv aveva la loro stessa età, e decisamente qualche chilo di troppo. Appena si avvicinò Mark e Eddy cominciarono a darsi gomitate e lanciarle sguardi di scherno. Gabriel odiava quando facevano così. Melanie si staccò (finalmente) dal braccio del suo ragazzo, rivolgendosi, come faceva tutte le mattine, con gentilezza a Liv, chiedendole come stava e come avesse passato il weekend. Tanto ti conosco, lo so che non te ne frega niente di Liv Wilson, lo fai solo perchè vuoi che tutti pensino che sei una ragazza buona e matura. Gabriel si stupì di se stesso. Era un pensiero veramente cattivo...e anche inguisto. Non c’ era niente di male ad essere buoni con qualcuno, e Melanie lo faceva perchè era veramente quello il suo carattere. Per un attimo si sentì disgustato da se stesso. Lanciò a Liv un largo sorriso , sperando di rimuovere così la sua colpa. Liv arrossì e distolse lo sguardo, continuando a rispondere timidamente alle domande di Melanie. Ma che cos’ho oggi?! Gabriel cercò di concentrarsi su qualcosa, una cosa qualsiasi. Mark e Eddy continuavano a chiccherare tra loro.Qualcuno sbattè violentemente contro la sua spalla. Dovette abbassare lo sguardo per scorgere chi era stato, incontrò due occhi neri che lo fissavano con disprezzo.  Gabriel si irrigidì, la ragazza che lo aveva spinto (senza scusarsi minimamente) continuò a camminare ignorandolo. La fissò per qualche secondo. Si era propio Morticia. Oddio, quello non era di certo il suo vero nome. Aveva un cappuccio nero calato sulla testa, e stava per attraversare la strada con un passo decisamente incerto. Era leggermente traballante , come se fosse sul punto di svenire.La Strada. Gabriel si staccò dai suoi amici continuando a tenere gli occhi fissi sulla ragazza.
-Diana!DIANA!-gridò, ma quella sembrava non ascoltaro.Diana si portò un mano alla fronte confusa, e fu proprio lì lì per finire sotto un’auto che correva a tutta velocità lungo la strada. Gabriel corse da lei appena in tempo, le afferrò per un braccio attirandola verso di se. Proprio quando la macchina  passava sopra il punto esatto in cui qualche secondo prima si trovava la testa della ragazza. La macchina proseguì nella sua corsa, strombazzando col clacson.
-Ehi...tutto okay?- chiese con la voce affannata, mentre teneva la ragazza per le spalle. Diana continuava a portarsi una mano alla tempia, dopo qualche secondo sembrò tornare in sè. Era incredibile quanto fosse forte pur essendo un tale scricciolo. Diede un fortissimo spintone a Gabriel, costringendolo ad arretrare.
-Toglimi le mani di dosso!- urlò, guardandolo con rabbia. -Sto benissimo...pensa agli affaracci tuoi Superman.- mormorò. Gabriel sollevò le sopracciglia stupito. Sembrava un animale selvaggio più che una ragazza in cerca di aiuto. Fu quasi tentato di darle uno spintone e ributtarla lì sull'asfalto. Ma Diana non sembrava per niente in forma, si portò di nuovo una mano alla tempia e traballò perdendo l'equilibrio. Melanie e gli altri si avvicinarono, parlottando eccitati alle loro spalle.
-Ehi!- esclamò Gabriel riafferrandola dalle spalle, questa volta con maggior delicatezza.Più per la paura di ricevere un pugno in faccia, che per premura.
-Gabry che succede?- chise Melania. Si erano avvicinati quasi tutti , comprese Effy e le sue amiche pettegole. Melanie lo osservava con gli occhi azzurri colmi di preoccupazione. Fece guizzare ripetutamente lo sguardo da Gabriel a Diana. -Forse ha bevuto? Ha preso qualcosa?- chiese con una leggera nota di panico. Diana , che aveva reclinatò la testa inerme la spalla sulla testa del ragazzo, gli sussurrò all'orecchio : -Dì alla tua ragazza , che può prendere qualcosa e infilarselo su per i...-
-La accompagno a casa!- esclamò Gabriel interrompendola. -Voi andate. Ci penso io.-
-Ma, Gabriel la scuola..-
-Mel vai! L'autobus sta ripartendo!- tagliò corto Gabriel , indicando con lo sguarod l’autobus fermo alla fermata in attesa.
-Mel l'accompagno a casa e poi arrivo.Ci penso io .-
La ragazza girò i tacchi riluttante , seguita presto da tutti gli altri. Mark ed Eddy ridacchiavano, lanciando verso Diana sguardi derisori. Mentre saliva sull’autobus Melanie gli fece segno di richiamarlo appena poteva.
Gabriel si chinò verso la ragazza, dicendole che andava tutto bene e che l'avrebbe riaccompagnata a casa lui.
 
La ragazza sembrò ridestarsi, e lo allontanò via con un nuovo gesto seccato. Si levò il cappuccio rivelando una cascata di lucidi e lisci capelli neri. Guardò Gabriel con gli occhi ancora un pò vitrei.
 
-Ti ho detto che sto bene maledizione! Va tu a casa! Io so benissimo dove sta la mia!- esclamò , biascicando un pò le parole.
-Hai preso qualcosa?- chiese Gabriel con tono incerto. Cercò di non far trasparire la rabbia, ma l'atteggiamento della ragazza cominciava veramente a dargli sui nervi. Un grazie verso chi aveva appena evitato che ti spiaccicassi sull’asfalto era quantomeno gradito. Ma lei non la pensava certo allo stesso modo.
-Devo ripeterti dove puoi metteri questo qualcosa?!- urlò lei per quanto il suo stato glielo permettesse. Arretrò di qualche passo. Gabriel aggrottò le sopracciglia, limitandosi a fissarla con rabbia.
-Senti Superman- cominciò a dire Diana, togliendosi con la mano della polvere immaginaria dal braccio che Gabriel aveva afferrato per sorreggerla. -Non ho preso proprio un bel niente!E se proprio tu e Anna-dai-Capelli Rossi volete saperlo, è fottutamente legale dire la parola DROGA, in questo paese! Dire qualcosa non ti salva mica dalla tossicodipenden..- non riuscì a finire la frase. Diana rovesciò gli occhi indietro e si accasciò al suolo. Una malefica vocina interiore suggerì a Gabriel di lasciarla cadere per terra, sperando che la botta in testa le insegnasse un pò di educazione. Ma l’istinto inziale fu quella di prenderla in braccio, prima che si spaccasse il cranio al suolo. La afferrò appena in tempo (per la seconda volta in quella giornata) e si stupì di quanto fosse leggera. Girava sempre con felpone di tre taglie più grandi che nascondevano quanto fosse magra.L’attenzione di Gabriel fu catturata da un braccio di lei che pendeva inerme. La felpa nera si era tirata su, lasciando scoperto il suo polso sottile e bianco. Se la sistemò meglio tra le braccia. Aveva avuto un collasso ? Era ubriaca? Sei un futuro medico, cazzo. Avrebbe potuto portarla a casa e liberarsi di lei. Gabriel, come tutti i membri della sua famiglia, sapeva perfettamente dove abitasse Diana Forrest. Ma se avesse ingerito qualcosa di pericoloso? Senza pensarci due volte si diresse verso casa. Avrebbe reso felice sua madre, quella mattina per una volta avrebbe usato la macchina.
 
 
Che diavolo ci faccio qui.
-Allora, sembra tutto a posto- disse la giovane dottoressa, sfogliando velocemente i fogli della cartella. -La tua amica non ha preso niente. Si sarà trattato solo di stress.-Concluse, chiuse la penna che aveva appena usato per scrivere con un tic e se la infilò nel taschino del camice. -Appena si sveglia potete andare...e assicurati che metta qualcosa sotto i denti.- disse e uscì dalla stanza. Gabriel Hayes rimase fermo ai piedi del letto. Aveva avuto solo un capogiro, e lui e Melanie erano stati così idioti da chiederle se si fosse appena drogata. Gabriel rivolse lo sguardo sulla figura nel letto. Diana Forrest . L’avevano adagiata su un lettino dietro una tenda bianca. Era distesa su un fianco. I capelli neri formavano una corona scura intorno al suo viso. Gabriel stringeva la sua felpa in mano. La ragazza indossava una canotta scura, anche questa troppo grande per lei, dei jeans strappati e dei pesanti anfibi bodeaux scuro. Lo sguardo di Gabriel indugiò sulle spalle magre e bianche , sotto la canotta si scorgeva la bretella nera del reggiseno. Distolse lo sguardo, sentendosi un pò colpevole. Non portava gioielli,solo una sottile catenina d’oro intorno al collo,da cui pendeva un ciondolo un pò barocco, una grossa pietra verde incastonata in una cornice dorata.Diana era l’unica figlia di Amanda Forrest, la pecora nera della loro bella e tranquilla comunità. Amanda era una tossica e un ubriacona,che passava il suo tempo a sonnecchiare sui banconi dei bar davanti a una bottiglia di birra, o in compagnia di soggetti discutibili con cui si rinchiudeva nei bagni pubblici. Per quanto ne sapesse Gabriel, Diana aveva avuto un infanzia alquanto triste, sballotolata tra casefamiglia e genitori adottivi. In città davano tutti per scontato che avrebbe fatto la stessa fine della madre. In realtà non somigliava per nulla alla ad Amanda ,che portava i capelli tinti di biondo platino che facevano a pugni con le perenni occhiaie violecee, ed era magra come uno scheletro. Diana aveva un viso d’angelo, la pelle candida e liscia.Era magra , ma in maniera eterea e aggrazia, anche se cercava di nasconderlo sotto i vestiti sformati .Gli occhi erano neri quasi quanto i suoi capelli. Le labbra erano sottili e gli zigomi alti. I suoi lineamenti delicati contrastavano con la sua espressione. In città i ragazzini la chiamavano Morticia. Non era certamente un soprannome carino, ma le calzava a pennello. Non solo per i capelli lunghi e neri ( sembrava che li portasse apposta in quel modo, come due tende scure davanti agli occhi) ma anche per l’espessione, aveva sempra la bocca imbronciata, e uno sguardo indifferente, come se ogni cosa su cui posasse lo sguardo non la riguardasse. Era strano vederla dormire lì, tranquilla e rilassata sotto i suoi occhi. Forse avrebbe dovuto svegliarla. Eppure si sentiva finalmente in pace, a osservare quella ragazza dormire.Fu l’unico momento della giornata in cui Gabriel si sentì in armonia con se stesso. Diana mosse gli occhi.Si svegliò lentamente, e la prima cosa che fece fu portarsi una mano al petto per assisurarsi che la catenina fosse ancora lì. Si tirò su, guardandosi intorno con gli occhi ancora socchiusi dal sonno.
-Dove siamo?- disse con un filo di voce, continuando a stingere il ciondolo tra le lunghe dita bianche.
-In ospedale. Va tutto bene. La dottoressa ha detto che non hai niente, hai mangiato qualcosa stamattina?- chiese Gabriel. Era pronto a vederla scattare da un momento all’altro. Diana non rispose, si strofinò le mani sulle spalle, accorgendosi di essere rimasta solo in canottiera. Si guardò intorno.La catenalle dondolava frenetica al collo, mandando bagliori dorati sotto la luce al neon.
Gabriel allungò un braccio tendendola la felpa.
-Ecco prendi. Te l’ha tolta la dottoressa.- precisò lui. Diana la afferrò strappandogliela di mano, incurvò leggermente le labbra. Gabriel notò che quel sorriso riguardava solo le labbra, gli occhi continuavano a rimanere indifferenti.
-Non avevo dubbi..Superman.-
Sbuffò, fingendosi infastidito. Incrociò le braccia, cercando di rivolgere alla ragazza uno sguardo accigliato.
-Guarda che dire grazie ogni tanto non fa mica male.- disse. La ragazza lo fisso per qualche secondo in silenzio. Indossò la felpa,chiuse la zip, e si sposto i lunghi capelli di lato.
-Grazie, signorino Hayes.- disse , incurvando le labbra in una smorfia che sembrava la parodia di un sorriso. -Se non ci foste stati tu e La Sirenetta come avrei fatto ad essere trascinata senza motivo in ospedale? Grazie infinite, Clarke Kent. La prossima volta lasciami sul ciglio della strada, so cavarmela benissimo da sola. -
Gabriel sorrise.Era combatutto.Da un lato trovava quella ragazza fin troppo indisponente, dall’altro si sentiva come stuzzicato. Si sedette sul bordo del letto, a distanza di sicurezza. Non voleva ricevere un anfibio dritto in faccia.
-Stavi per finire sotto una macchina.- disse serio, avrebbe voluto affibbiargli pure lui un qualche soprannome, ma gli veniva in mente solo Morticia.
-Non è vero.-
-Si che è vero.-
-NO-
-Si.-
-E va bene! GRAZIE!...contento?!- esclamò lei esasperata. Si strinse le ginocchia al petto, infischiandosene che le scarpe fossero sulle lenzuola. Cominciò a fissare la tenda che la separava dal letto vicino, facendo calare il silenzio tra i due.
-Dovrò prendere l’autobus per tornare.- disse Diana dopo un pò, come se stesse rivolgendosi a se stessa.
-Posso accompagnarti io. Siamo venui qui con la mia macchina. - La ragazza si girò ,cominciando a fissarlo con i suoi occhi neri.
-Ti ringrazio, ma ne ho abbastanza di te per oggi. E poi, credi davvero che vorrei andare in macchina con un tizio che non sa nemmeno come mi chiamo? Lo so che continuai a chiamarmi Morticia , nella tua bella testolina!-
Gabriel deglutì, sembrava che l’avesse letto nel pensiero.Non era mica colpa sua se tutti la chiamavano così.
-Stavi così bene prima, da non accorgerti che ti ho chiamao ‘Diana’ quando ti ho salvato da quella maledetta macchina.- rispose, soddisfato di riuscire a dire finalmente qualcosa di pungente. -E poi, credo che quella che non sa come mi chiamo sia tu.-concluse fissandola intensamente. Diana non mostrò il minimo imbarazzo a quella domanda, anche se Gabriel fu sicuro di vedere un nuova sicntilla accendersi nei suoi occhi. La ragazza si avvicinò , portando il viso a un centrimetro dal suo. Gabriel si irrigidì, non se l’aspettava di trovarsela così vicina. Poteva contargli le ciglia.La pelle di lei era veramente bella, liscia e luminosa.
-Gabriel Tomas Hayes.- disse scandendo con attenzione ogni sillaba, -questa potevi anche risparmiartela. La tua bella faccia me la ritrovo davanti ogni mattina, perchè c’è una tua gigantografia appesa fuori dalla porta della mia stanza. Da piccolo eri molto più simpatico.- Gabriel deglutì, non era riuscito a seguire molto il filo del discorso, il profumo dei capelli di lei lo stordiva. Chi se lo aspettava che Diana Forrest profumasse così tanto di fiori? Un suono di passi interruppe il loro battibecco. Erano passi lenti, scanditi dal suon sordo di un bastone. Nella stanza entrò una signora.Una signora molto anziana.Diana ritornò con un movimento fluido a stendersi sul letto, lasciando Gabriel lì imbambolato. La vecchina che era appena entrata sembrava uscita direttamente da una fiaba. Nonostante l’età e il bastone camminava con un portamento regale. Gli occhi ,ciorcondati da una sottile ragnatela di rughe, erano azzurri come il cielo, il viso era incorniciato da capelli candidi fermati sulla nuca in uno chignon. Sembrava uscita da una foto in bianco e nero degli anni ’30. Indossava una camicia bianca di ottima fattura, il cui colletto era fissato da una spilla ,su cui brillava una pietra brillante pietra rossa. Cecily Dashwood. Sua nonna. Erano anni che non si trovava con lei nella stessa stanza. Cecily si avvicinò al letto, fissando Diana e ignorando apparentemente Gabriel. Lui non avrebbe dovuto essere lì, non avrebbe dovuto incontrarla.
 
 -Mi ha chiamato Lucy. Ti ha visto al pronto soccorso in compagnia di un giovanotto.- disse Cecily, posando elegantemente le mani sull’impugnatura del bastone, guardò Gabriel con la coda dell’occhio per una frazione di secondo. Il bastone era di un legno scurissimo , quasi nero,l’impugnatura era intagliata come la testa di un leone, con gli occhi di pietre preziose.
Diana incrociò le braccia, sbuffando. Gabriel non potè ignorare la preoccupazione che leggeva nei suoi occhi.
-Oh si! Avrei dovuto immaginarlo, quella ficcanaso! Non dovevi venire. Non c’era bisogno-
-Sono venuta in taxi. Due rampe di scale non hanno ucciso mai nessuno.- rispose Cecyli sorridendo benevola.
-Sono le dieci. Le hai prese le pillole?-ribattè Diana ignorandola.
-Certo.- rispose la donna. -Scommetto che è stata scontrosa pure con te, vero Gabriel?- proseguì rivolgendosi improvvisamente al ragazzo. Gabriel arrossì, e scattò in piedi. Distolse lo sguardo non riuscendo a reggere quegli  occhi azzurri senza tempo che lo fissavano.Non riusciva a rispondere.
-Puoi stare tranquillo è fatta così. Più si arrabbia e più ti vuole bene-.Sua nonna sorrise con calore.
 Diana sbuffò divertita. Scese dal letto, rimettendosi il cappuccio della felpa in testa.
-Si, si certo. Ora piantala con queste sciochezze e andiamo a casa.- disse la ragazza prendendo Cecily sotto braccio, non rivolse a Gabriel neanche uno sguardo.
-Gabriel- riprese sua nonna, ignorando le parole della ragazza. -Vuoi tornare insieme a noi? Mi piacerebbe tanto parlare di fronte a una tazza di tè. Sempre se vuoi.- Lo fissò intensamente speranzosa. -Ho tante cose da dirti- Queste ultime parolo furono quasi sussurrate. Lui sentì la gola seccarsi, prese lo zaino posato lì vicino e se lo mise in spalla.
-Io..mi dispiace. Devo proprio andare- disse continuando a fissarsi intensamente le scarpe. Si voltò sentendo lo sguardo rabbioso di Diana che gli trafiggeva la schiena. Dopo una frazione di secondo fu colpito effettivamente da qualcosa. Sentì un dolore sordo alla nuca,e vide una bottiglietta d’acqua rotolare ai suoi piedi.
-Invece di andare in giro a salvare la gente, potresti fare una vera buona azione e rispondere a tua nonna!- urlò Diana. Gabriel non ebbe il coraggio di girarsi. Sentì le guancie che diventavano rosse.
-Lo sai almeno quante medicine prende al giorno eh? Ha un aneurisma maledizione!Potrebbe rompersi da un momento all’altro, e voi ve ne state  belli e tranquilli chiusi in casa vostra invece di..-
-Diana- esclamò Cecily con tono inquisitorio, indurendo il tono di voce all’improvviso. -Basta così-
Gabriel non riuscì ad ascoltare altro. Uscì a gran velocità, travolgendo un paio di infermiere e qualche barrella. Sentì come una bestia nel cuore che lacerava e distruggeva. Che strano modo di percepire il senso di colpa, pensò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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