Capitolo
2
Katherine
POV
Atterrai
sul pavimento in marmo con un salto preciso, ravviando una
ciocca di capelli scuri che mi era finita davanti agli occhi.
Miro era già lì, appoggiato a una delle colonne
in stile dorico che
adornavano il grande salone. Gli occhi verde pallido, lo stesso colore
che
avrebbero avuto quelli di un felino, facevano capolino sotto le
scomposte
ciocche corvine.
- Sei in ritardo rispetto al solito. –
Annuii, avvicinandomi lentamente alla sua figura snella e tonica.
Ogni volta mi sorprendeva il fatto che un uomo con quella corporatura
potesse essere così forte fisicamente.
- Le lezioni alla Loggia hanno occupato più tempo del
previsto. –
- La piccola Ametista é un’allieva difficile?
– chiese, mentre si
voltava ad armeggiare con le bottiglie sullo scrittoio e recuperava due
calici
puliti in cui versare del liquore ambrato. Me ne passò uno,
facendomi segno di
accomodarmi liberamente.
Puntai immediatamente la poltrona in pelle nera che nel corso di quegli
incontri era diventata il mio posto preferito.
Mi acciambellai come un gatto, incrociando le gambe e sedendomici
sopra.
Miro fece tintinnare il calice contro il mio e mi si sistemò
di
fronte, osservandomi con quel suo sguardo curioso e penetrante.
Era il genere di occhiata che aveva il potere di far cadere il mio
corpo in preda a caldi brividi.
- Si sta impegnando, ma Damon non ha molta pazienza. –
Il barone ridacchiò.
- Tuo fratello é tutto fuorchè paziente, un vero
de Villiers. –
- E io non lo sono? – ribattei, sfoderando una delle occhiate
più
maliziose del mio repertorio. Sguardo basso, ciglia che nascondevano
vezzosamente le iridi verde azzurre e tono di voce misurato e sornione.
Ravviai
con un colpo studiato la ciocca di capelli più vicina e
rimasi in attesa.
Damon la chiamava “la mossa” perché
sosteneva che davanti a una
combinazione come quella nessun uomo interamente eterosessuale avrebbe
mai
potuto resistere.
- Tu possiedi altri aspetti dei de Villiers, meu pisică sălbatică – ribattè,
passando al rumeno sul finire
della frase.
Conoscevo abbastanza di quella lingua da sapere che le
sue parole significavano “mia gatta selvatica”.
Mi piaceva quel soprannome ed era esattamente come mi
sentivo: una gatta selvatica pronta a balzare all’attacco al
minimo segnale di
pericolo.
- Quali altri aspetti? –
- La testardaggine,
l’orgoglio, il fascino ... –
Non mi resi conto di quanto
ci fossimo avvicinati durante quello scambio di parole
finchè non lo vidi in
piedi davanti alla poltrona.
I muscoli del mio corpo erano
pronti a scattare e quasi mi imploravano
di agire.
Così li accontentai.
Balzai in piedi, annullando
i centimetri che ci separavano, e posai le labbra sulle sue. Avvertii
un
momento di esitazione prima che Miro chiudesse le braccia intorno alla
mia vita
e ricambiasse il bacio con trasporto.
Quando ci separammo, ormai a
corto di fiato, le sue labbra sottili erano piegate in un sorrisetto
divertito.
- L’impulsività l’hai
decisamente presa dai Montrose. –
Ricambiai il sorriso.
- La miglior combinazione
possibile tra le due famiglie – ironizzai.
Scarlett
POV
Stavo uscendo dalla Loggia,
in attesa che mia madre o mio padre si facessero vivi, quando la voce
di Damon
attirò la mia attenzione.
- Ehy, terremoto, sali. –
La Harley Davidson rombava,
ricordando le fusa di un grosso felino, e Damon appariva quasi come un
moderno
cavaliere in sella a un cavallo meccanico.
Una mano era poggiata sul
manubrio, l’altra mi porgeva un casco.
- Non dovresti riportare
Kat? –
Scosse la testa.
- Non é ancora tornata dal
suo salto, ci penseranno i miei a riprenderla. Allora, ti sbrighi a
portare
quel sedere in sella o preferisci rimanere ad aspettare qui? –
Esitai.
Una parte di me non voleva
proprio rimanere lì al freddo finchè i miei
genitori non si fossero ricordati
che erano troppo grandi per continuare a fare i piccioncini e che
avevano degli obblighi nei riguardi della loro unica figlia,
l’altra continuava a vedere
immagini di se stessa spiaccicata sull’asfalto.
Non ero mai salita su una
moto prima, anzi ne ero abbastanza terrorizzata, ma non
l’avrei mai ammesso
davanti a lui.
- Sei sicuro di saperla
guidare, vero? –
- No. Pensavo di andarci a
schiantare contro un albero, o magari un muro, tanto per fare qualcosa
di
diverso questo venerdì sera. –
Gli feci una linguaccia.
- Spiritoso. –
Accettai il casco e lo
indossai. Scavalcai come se stessi per montare in sella a un cavallo e
rimasi
incerta su dove poggiare le mani.
Damon parve capirlo perchè
le afferrò con gentilezza e le posizionò attorno
alla sua vita.
- Se ti arriva troppo vento
puoi appoggiare la testa sulla mia schiena, così sarai un
po’ più riparata. –
Annuii, accorgendomi che
stava spiando la mia reazione dallo specchietto retrovisore.
La moto partì con un rombo
potente e non riuscii a impedire alle mie mani di serrarsi con forza
sul suo
giubbotto di pelle.
Persino sotto gli strati di
abiti riuscivo a sentire i muscoli possenti che guizzavano per lo
sforzo di
mantenere in equilibrio la moto.
Strinsi le labbra per
soffocare un’esclamazione colorita quando affrontammo la
prima curva e mi
accorsi di quanto poco la moto fosse distante dall’asfalto.
- Asseconda i miei
movimenti. –
Chiusi gli occhi,
sforzandomi di rilassarmi e fare affidamento su di lui.
Se potevo contare sulla sua
protezione durante un viaggio nel passato potevo fare altrettanto per
un
semplice passaggio in moto, no?
La fredda aria invernale
portò alle mie narici il profumo penetrante che indossava.
Una qualche
fragranza di Paco Rabane, una di quelle che sembravano capaci di far
perdere la
lucidità alle ragazze ogni volta che il loro naso registrava
quell’odore.
Avevo persino cominciato a
sospettare che fosse un qualche intruglio ormonale, perchè
era l’unica
motivazione che avrebbe potuto spiegare la mia reazione in quel momento.
Ero improvvisamente
tremendamente consapevole dei nostri corpi premuti l’uno
contro l’altro e la
cosa era a dir poco ridicola visto che c’erano strati e
strati di indumenti a
separarci.
- Mi stai stritolando, Scar.
E siamo arrivati a casa – annunciò.
Mollai la presa di scatto,
avvampando per l’imbarazzo.
Tuttavia sembrava che quella
volta Damon non avesse capito la vera motivazione che mi aveva spinta a
spalmarmi su di lui.
- Ti spaventa proprio tanto
Ivy, eh? –
- Ivy? – ripetei, perplessa.
- Ivy è il nome di questa
bellezza – confermò, battendo affettuosamente sul
serbatoio.
- Sì, mi terrorizza. Senza
offesa, Ivy – conclusi, rivolgendo un’occhiata
divertita al manubrio.
Damon rise, sistemando il
casco sotto il sellino e stiracchiandosi pigramente.
- Ci vediamo domani alla
loggia. –
Annuii osservandolo rimettere
in moto Ivy e sparire lungo la strada illuminata dai lampioni.
Trovai le chiavi di casa al
primo colpo e una volta aperta la porta realizzai quanto fossi
effettivamente
stanca.
La mamma fece capolino dalla
cucina con un sorriso dolce dipinto sul viso.
- Tesoro, come é andata alla
loggia? –
- Meglio del solito, sono
riuscita a eseguire un minuetto quasi passabile – mormorai,
sedendomi a tavola
e mangiando la porzione di maccheroni al formaggio che mi avevano
tenuto in
caldo per la cena.
- Ah, quindi hai un talento
per la danza superiore a quello catastrofico di tua madre. –
Soffocai una risata.
- Diciamo che abbiamo la
stessa dote nell’andare fuori tempo. –
Gwendolyn lanciò a entrambi
un’occhiata fintamente indispettita.
- Continuate così e la
prossima cena dovrete ordinarla d’asporto. –
- É una promessa? – chiese
mio padre, sorridendo sghembo.
Quello era il famoso sorriso
alla de Villiers: papà, Richard, lo zio Raphael, Damon e
persino Kat lo
avevano. Io e Raven non eravamo state altrettanto fortunate.
- Gideon de Villiers! –
esclamò.
Poi però scosse la testa e
rise come se fossero impegnati in una sorta di flirt adolescenziale.
Bleah, assolutamente
stomachevoli.
Finii di mangiare in fretta
la pasta e annunciai che andavo a dormire.
- Raven ti passerà a prendere
per andare a scuola per le otto – mi gridò dietro
la mamma.
Alzai un pollice in alto per
fare capire che avevo recepito il messaggio.
E ora il momento della
giornata che preferivo: un viaggio di sola andata nel mondo dei sogni.
Erede di
Saint Germain POV
Arrivai nell’antica e
signorile abitazione di Rackozy sfruttando l’esigenza della
trasmigrazione
giornaliera con quella di ottenere maggiori informazioni circa quella
fastidiosa traduzione.
Eppure non si trovava nel
suo studio privato come di consueto.
Vagabondai tra i corridoi
diretto verso la grande sala d’allenamento per la scherma,
certo che l’avrei
trovato intento a provare nuove mosse contro un manichino.
Eppure quella volta le voci
che pervenivano da dietro l’imponente porta in quercia erano
due: l’inconfondibile
accento rumeno del barone e una sottile e seducente voce femminile che
doveva
appartenere a una ragazza all’incirca mia coetanea.
Sbirciai all’interno,
soffermandomi sulla figura che duellava con il barone anche se il loro
più che
un allenamento sembrava una sorta di corteggiamento vezzoso sul filo di
spada.
Ci avevo visto giusto.
La bruna bellezza contro cui
duellava Rackozy doveva avere meno di vent’anni; gli occhi
verde azzurri si
illuminavano mentre sorrideva all’indirizzo del suo sfidante
e le onde corvine
le ricadevano attorno al volto alabastrino dandole un’aria
selvaggia e ribelle.
Indossava stretti pantaloni
da schermidore che mettevano in risalto le gambe tornite e le curve
femminili
del suo corpo e che nessuna donna dell’epoca avrebbe mai
avuto l’adire di
indossare.
Seppi, ancora prima di
posare lo sguardo sull’anello con l’ossidiana
incastanata che sfoggiava al
dito, di trovarmi davanti una viaggiatrice.
Ma da quale epoca?
Non ricordavo di aver mai
visto una ragazza de Villiers gene portatrice, se si escludeva la
profezia che
riguardava Rubino, e quella lì non assomigliava affatto alla
leggendaria
viaggiatrice.
Neppure una Montrose, il cui
gene dominante era il rosso dei capelli, sebbene il colore degli occhi
fosse
quello giusto.
Forse una viaggiatrice di
una generazione successiva a quella di Diamante e Rubino.
Magari una loro figlia?
O l’erede dell’altro
fastidioso viaggiatore, quello che chiamavano la pantera dagli occhi
blu e che
riusciva a viaggiare a suo piacimento nel passato e nel futuro?
Bussai leggermente alla
porta, annunciando la mia presenza.
- Rackozy, sono arrivato. –
Lo vidi irrigidirsi, pronto
all’attacco come il felino del quale portava il nome.
La ragazza assunse un’espressione
sorpresa, ma doveva essere prossima al ritorno nella sua epoca
perchè si portò
una mano alla fronte e strinse gli occhi come se fosse sofferente.
- Alla prossima lezione,
barone – la sentii asserire compitamente.
- Alla prossima,
mademoiselle. –
Poi venne risucchiata nel
vortice temporale.
Ormai certo di non essere
visto da fastidiosi estranei, varcai l’ingresso con un
sorriso sardonico dipinto
sulle labbra.
- E così questo era il
misterioso impegno che ti impediva di incontrarmi a un’ora
più consona,
Miroslaw? –
- Alla Loggia sarebbe parso
strano se avessi annullato la lezione all’ultimo momento
– commentò pacatamente.
Annuii.
- É ammirevole il modo in
cui adempi al tuo lavoro di insegnante -, ironizzai, - Sei
assolutamente certo
che l’aspetto attraente della tua allieva non ti condizioni
un po’ troppo? –
E non ci sarebbe certo stato
nulla di strano in ciò.
Chiunque fosse quella
ragazza, non poteva negare che fosse provvista di un fascino
considerevole.
- É semplice lavoro. Mi hai
detto tu di avvicinarmi nuovamente alla Loggia, rammenti giovane Conte?
–
Annuii nuovamente.
- Bada di non lasciarti
distrarre dalla missione finale. A proposito, il suo nome? –
Non sapevo perchè la sua
identità avesse tanta importanza, ma non conoscerla mi
disturbava più di quanto
fosse lecito.
- Katherine. –
- Katherine ... e poi? –
- Katherine de Villiers –
sibilò tra i denti.
Dunque quella era un
componente del trio della nuova generazione, la prima volta in cui il
gene si
fosse risvegliato in ben tre eredi, coloro contro i quali secondo la
profezia
ero destinato a misurarmi.
Gli passai il piccolo pezzo
di pergamena sul quale avevo appuntato lo scritto per me intraducibile.
- Cerca qualcuno in grado di
tradurlo in una lingua attuale, questo latino arcaico mi da il mal di
testa. –
Rackozy annuì, ripiegandolo
con cura e intascandolo.
- C’è altro? –
- Sì. Desidero partecipare
alla lezione di domani, non disturbarti a informare la tua deliziosa
allieva –
conclusi, uscendo dal salone a passo deciso proprio mentre le vertigini
cominciavano
a farsi sentire.
Un guizzo nel buio ed eccomi
nuovamente nel mio studio affacciato su Piccadilly
Circus.
Spazio
autrice:
Ce
ne ho messo di tempo per aggiornare a causa di
una serie di impegni che mi hanno tenuta occupata per un po’.
Spero che il
capitolo ne valga la pena e che vogliate farmi sapere che ne pensate.
Qualcuno
vuole provare a indovinare il nome del misterioso erede del Conte? Vi
anticipo
che é collegato a un villain di una serie molto famosa. Alla
prossima.
Baci baci,
Fiamma Erin Gaunt