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Autore: Noah Jayden Vati    30/07/2015    0 recensioni
A causa di alcune revisioni vi consiglio vivamente di saltare il Prologo e passare direttamente al Capitolo 1.
( Aggiungerò un disegno alla fine di ogni testo, a partire dal Capitolo 1 :) )
Quella che voglio raccontare non è la mia storia, purtroppo non ho mai avuto i requisiti giusti per essere considerato un protagonista interessante. Non so nemmeno da dove cominciare in effetti, non sono mai stato bravo neanche in questo. Sono però un buon osservatore, e di cose da narrare, credetemi, ne ho viste tante.
Ebbene sì, mi sono impuntato su questa cosa, ed anche se so di non essere mai stato bravo con le parole, io ho intenzione di raccontare. Raccontare di una guerra senza schieramenti o fazioni, combattuta da uomini che si nascondevano dietro la parola
Ideali , ma che di indeali proprio non ne avevano. Voglio parlare di una battaglia che con la potenza di un vortice è riuscita a risucchiare dentro di sé decine di vite, compresa la mia.
Io voglio raccontare le vicende di una di queste vite. Voglio raccontare una storia di cui non ho mai voluto far parte.
N.J.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Heylà, signori e signore. Vi informo subito che colui che parla in questo capitolo è e sarà l'unico narratore di questa storia. Il resto lo scoprirete leggendo.

*********************

Ci sono ricordi che non possono essere dimenticati facilmente, nonostante ogni nostro sforzo; ci sono memorie che non riescono ad abbandonare la nostra mente, perché noi stessi inconsapevolmente non vogliamo mandarli via; ci sono voci, suoni, volti e profumi che trovano dimora negli angoli più impenetrabili del nostro Io e lì si legano con catene intangibili fatte di nostalgia e sogni, paure ed angosce.
Uno scrittore, Huxley, disse che la memoria di ciascun uomo è la sua letteratura privata. Dovrò cimentarmi in questa lettura se voglio spezzare quelle catene e rendere così liberi i frammenti di ricordi che mi mancano per rimettere insieme il mio incompleto puzzle di memorie.
Non è poi così difficile raggiungere lo scopo, tutto ciò che serve è solo un po' di tempo e la giusta concentrazione. Per ironia della sorte però, nonostante ci abbia ripetutamente provato, la pace che tanto bramo non sembra essere alla mia portata, dato che spesso e volentieri vengo puntualmente disturbato.

Devo proprio ammettere che le celle le ho sempre immaginate in modo assai differente.

« Noah?»
Eccoci di nuovo... La voce metallica e sfarfallante che ha appena parlato proviene dal piccolo altoparlante fissato ad un angolo della stanza. È vecchio e logoro, di forma rettangolare e con dei piccoli bucherelli al centro da cui fuoriesce il suono.
Mi volto verso di esso con fare seccato, come se di fronte a me ci fosse una persona in carne ed ossa a cui mostrare tutto il mio disappunto.
«Cosa vuoi?» gli chiedo con un certo tono.
«Ooh.» Sospira la voce, quasi divertita «Tu sai cosa voglio.»
Certo che lo so. Ma mai e poi mai potrei dirglielo.
Un po' per guadagnare tempo, un po' per infastidirlo e non dargli quella soddisfazione di avermi ormai in pugno, decido di non rispondergli subito, e far finta di riflettere.
Appoggio la schiena, prima ricurva, contro il muro e faccio un respiro profondo, ma me ne pento non appena il mio naso, dopo la profonda inalazione, viene assalito da quel forte odore di muffa e umido che impregna ogni centimetro di questo posto. La visuale dal canto suo è quasi del tutto oscurata ( e dico quasi, perché se non fosse per quell'unica lampadina giallognola incavata nel muro del soffitto, mi ritroverei completamente al buio) ma non è poi un gran problema, visto che qua dentro non c'è niente di tanto interessante da osservare. Nonostante tutto, non ho problemi a riconoscere gli oggetti attorno a me e dopo aver fatto un svelta panoramica della stanza il mio sguardo cade sul piccolo materasso vicino alla parete opposta a quella a cui sono appoggiato. Lo guardo intensamente come se in esso si trovasse la risposta che cerco mentre la mia mente viene assalita da migliaia di frasi e parole, che non sembrano minimamente riuscire a soddisfarmi.
Le cose da fare sono sostanzialmente due: o ascoltare ciò che la mia mente mi dice, cioè vomitare fuori tutta la verità, o seguire il volere delle mia labbra e mentire. Chi delle due devo assecondare?

La mia testa, che in questo momento mi da l'impressione di essere così pesante, sfrega lievemente contro la parete ruvida provocandomi un leggero dolore e svegliandomi improvvisamente da quella trance in cui ero caduto.

Ormai deciso sul da farsi, mi volto verso l'altoparlante e parlo, con l'intento di seguire il volere della mia bocca.
«Perché continui ad insistere? Ti ho già detto che io non so niente.»
La Voce non si fece attendere neanche un momento per sputare fuori la sua risposta.
«Io la penso diversamente. Dimmi un po', ciò che è davvero inutile è insistere o lo è il continuare a mentire? Dove ti porterà la strada lastricata di menzogne che hai appena imboccato?»
«Le bugie portano solo ad altre bugie.» Lo so bene.
«Esatto, Noah. Proprio così.» continua lui «Quindi...?»
«Quindi niente. Stai tenendo chiuso un quattordicenne in una gabbia, 'quindi' dovrei dirlo io.»
«Pensi che, vista la tua condizione, a qualcuno importi se sei minorenne?»
«Certo che no.» gli sibilo, con tutto l'odio che ho in corpo.

Udita la mia risposta, la voce metallica comincia ad emettere uno strano suono, molto simile al tintinnio di quelle campanelle che si tengono sull'uscio di un negozio. Ci metto qualche secondo per capire cosa effettivamente sia quel rumore: sta ridendo. Non in modo scomposto o forzato, si sta semplicemente prendendo gioco di me, consapevole che quella è la migliore arma da usare contro una persona piena di rabbia. Senza dire altro, poi, interrompe il collegamento, lasciandomi di nuovo in quel profondo silenzio in cui mi trovavo poco prima, che quasi mi solletica le orecchie.

Ne approfitto per chiudere gli occhi per il tempo che mi basta per rilassarmi un po', prima che la mia mente torni a concentrarsi sul dolore che mi fanno la schiena ed i piedi.
Passa qualche minuto prima che io riesca a trovare la forza per agire, apro di scatto gli occhi e con aria sconsolata inclino leggermente la testa a sinistra, verso il primo ostacolo che mi preclude la libertà. Lentamente mi alzo da terra aiutandomi con le mani e per evitare di cadere a causa delle gambe mezze intorpidite appoggio una spalla al muro. Con non poca fatica raggiungo la porta in ferro della cella che ovviamente non è munita di maniglia ma che ha posizionate, una in alto ed una in basso due finestrelle, sbloccabili esclusivamente dall'esterno: da una passa il cibo e dall'altra le occhiatacce delle guardie. Dopo essermi ben assicurato di aver raggiunto un buon equilibrio mi decido a tirarle un calcio, non troppo forte, per evitare di farmi male, ma comunque abbastanza potente da poter richiamare l'attenzione di una persona.
Non contento, ripeto la stessa azione per altre due volte a discapito del mio piede nudo, e al terzo colpo qualcuno finalmente decide di rispondere al mio richiamo, colpendo la porta violentemente.
Lo sportellino della finestrella superiore si apre di scatto, rivelando la parte superiore del volto di un uomo sulla quarantina intento a spiare l'interno della cella.
Appena i suoi occhi incontrano i miei, la guardia mi lancia uno sguardo di rimprovero, quasi per volermi chiedere il perché del mio comportamento e mi intima con parole piuttosto colorite di non riprovare a prendere a calci la porta.
Gli insulti che mi lancia non mi impressionano più dei suoi occhi inferociti che ormai sono ridotti a due fessure. Lo lascio parlare senza cercare in alcun modo di contrattaccare e, diversamente da ogni sua aspettativa, avvicino il mio volto alla finestrella mantenendo il contatto visivo con l'uomo al di là di essa.
La mia vista comincia ad annebbiarsi e poco prima che la mia pupilla diventi bianca come quella di un cieco rendendomi completamente non vedente, riesco e scorgere il volto attonito della guardia, ormai consapevole che quella di aprire lo sportello e guardarmi dritto in faccia fosse stata una terribile idea.
Fortunatamente la mia cecità non dura a lungo, chiudo per un momento le palpebre ed appena le riapro tutto attorno a me è sparito, niente più materasso, altoparlante o pareti, anche il dolore che provavo e l'odore di quella cella è scomparso. Adesso attorno a me c'è solo il bianco.
Tutto bianco e piatto, come un grande foglio di carta, ma di un colore tanto puro e chiaro quanto irreale. Non ha né limiti né estensioni, è semplicemente bellissimo, e perfetto.
Delle piccole schegge simili a coriandoli e frammenti di vetro cominciano a piovere a migliaia verso il basso, ognuna di esse segue la propria direzione. Alcune si aggregano tra di loro formando delle masse informi, altre cambiano forma e colore per poi sfrecciare di fronte a me in cerca di altre schegge a cui unirsi.
Tutto ciò avviene ad una velocità sorprendente, tanto che non ci metto più di un paio di secondi per capire cosa i frammenti stiano cercando di riprodurre: un'esatta copia della mia cella.
Consapevole di non dover rimanere lì, mi dirigo verso la porta e dopo averla fissata con un po' di esitazione avvicino la mia mano destra ad essa, che la oltrepassa come se il ferro di cui era composta si fosse trasformato in una leggera cortina di fumo. Alla mano, poi, segue la testa, il busto ed il resto del corpo che viene pervaso da un leggero solletico durante il passaggio, seguito da un lieve ronzio simile allo statico di un televisore.
La scena che mi si para davanti all'uscita della stanza è sempre la stessa: dei frammenti schizzano in varie direzioni indaffarati a creare un'esatta copia dei ricordi della guardia riguardo alle varie zone del carcere che voglio visitare.
Adesso sono in mezzo ad un lungo corridoio che porta ad altre celle oltre alla mia, munite di una targhetta con su inciso un numero. La mia è la 41 e ce ne sono sedici in totale.
Infondo al corridoio grigio, alla mia sinistra, ci sono due rampe di scale (una verso l'alto ed una verso il basso) ed un ascensore; con un innocente sorriso stampato sulla faccia mi dirigo verso quella direzione ed inizio a scendere a piedi. Supero un piano, due, tre, quattro; sono tutti identici al mio tranne quello in cui mi trovo adesso, probabilmente il piano terra. Scendo l'ultimo scalino e mi imbatto in un altro corridoio, ancora incompleto a causa di alcuni frammenti mancanti intenti a riprodurre la hall del carcere, situata poco più avanti. Mi incammino verso di essa e noto con una certa sorpresa che si potrebbe considerare completamente spoglia, nonostante la sua ampiezza, se non fosse per il grande disegno di forma circolare che ricopre gran parte del pavimento.

Rappresenta una paradisea con il becco, che sorregge una foglia di palma, rivolto verso sinistra e con le ali ben aderenti al corpicino dal petto bianco e piumaggio verde. La coda di piume dell'uccello ricopre la maggior parte del semicerchio inferiore e su di essa, vicino al bordo della circonferenza sono scritte con un colore rosso vivo tali parole:

ST. LEONARD PENITENTIARY.

Un nome adorabile per un posto adorabile. E quello é il loro logo.
Con una smorfia di disgusto sul viso distolgo lo sguardo dall'enorme disegno e dopo aver lanciato un'occhiata repentina al resto della hall in cerca di indizi interessanti finalmente qualcosa coglie la mia attenzione: un leggero luccichio proveniente da un piccolo stanzino, poco piú a destra dell'entrata del carcere.
Mi dirigo verso di esso e oltrepasso la porta in legno con facilità, proprio come avevo fatto per uscire dalla mia cella.
Lo scenario che mi trovo davanti è un vero e proprio disastro; la stanzetta, oltre a essere piccolissima, è ricoperta da cima a fondo da carte svolazzanti. Le pareti sono ricoperte da post-it e fogli, alcuni di essi sono addirittura sparsi a terra o disposti disordinatamente sui numerosi scaffali fissati ai muri. Solo la scrivania in legno che occupa buona parte dello spazio a disposizione sembra estraniarsi totalmente dal resto della stanza. Tutti i documenti su di essa sono sistemati in perfetto ordine ad un angolo del mobile ed accanto ad essi si trova un telefono munito di soli tre pulsanti (R, G, B), il resto dello spazio lì sopra invece è occupato da otto piccole console unite con dei cavi ad un microfono, ognuna di esse ha inciso ad un lato il piano e l'ala del carcere a cui appartengono ed ogni pulsante permette di collegarsi alla cella corrispondente al numero scritto su di esso.
Non ci vuole un genio per intuire che questa è la stanza in cui lavora il proprietario della Voce.
Preoccupato di aver perso di vista quella flebile luce, comincio a frugare freneticamente all'interno dei cassetti della scrivania ma riesco a controllarne solo due, uno contenente alcune scartoffie, l'altro una semplice cornice blu con dentro una foto. Per quanto riguarda gli altri cassetti, tutto ciò che potevo vedere al loro interno era lo stesso bianco che mi avvolgeva poco prima che la copia della mia cella cominciasse a prendere forma. Dopotutto non posso conoscere qualcosa che la mente dell'uomo che sto manipolando non sa.
Sconsolato per non aver trovato ciò che cercavo, faccio dietrofront per dirigermi di nuovo verso la porta, con la seria intenzione di ispezionare tutta la galera se necessario, ma ancor prima di riuscire a compiere un passo qualcosa riesce a catturare la mia attenzione. È una piccola luce, debole, che sembra andare ad intermittenza. Proviene da uno di quegli scaffali fissati al muro e sembra affievolirsi ad ogni secondo che passa. Mi avvicino in fretta ad essa, mettendomi in punta di piedi per osservare meglio: sopra lo scaffale, oltre ad una montagna di polvere, ci sono mucchi di fogli, delle chiavi e...
«Il mio anello!»
Non è nemmeno mio, lo so, ma grazie a Dio l'ho trovato.
Con una certa dose di odio nei confronti dell'uomo che me lo aveva sequestrato ma con comunque un espressione sollevata sulla faccia, non posso fare a meno di abbozzare un leggero sorriso, nonostante quello che adesso stringo tra le mani sia solo una copia dell'oggetto originale.
Non mi resta adesso che informare Hank della locazione di questo gioiello e della mia cella, con un trucchetto simile a quello utilizzato con la guardia, ed in poco tempo sarò finalmente fuori di qui, com'è giusto che sia.
Apro la mano e guardo orgogliosamente l'oggetto argentato, osservandone i particolari e le incisioni al suo interno.

Improvvisamente, senza il benché minimo motivo, l'anello emette uno strano sibilo, seguito da un leggero tremolio che in poco tempo diventa sempre più violento. L'immagine dell'anello comincia a contorcersi e deformarsi e prima che io possa solo proferire parola mi accorgo che anche le pareti della stanza stanno avendo la stessa reazione del gioiello. Aggrotto le sopracciglia e le guardo con curiosità, curiosità che presto si trasforma in paura dettata dalla consapevolezza di essere completamente indifeso in una situazione in cui non sapevo come reagire. Accidentalmente lascio cadere l'anello che si scompone in piccoli frammenti incolori ancora prima di riuscire a toccare terra. Il pavimento e le pareti si dissolvono in gruppi di piccole schegge e il bianco assoluto inizia ad inghiottire ogni cosa di fronte a sé. Non è rimasto che un frammento di pavimento sotto ai miei piedi, destinato anch'esso a scomparire in poco tempo, ma prima che io riesca a fare qualcosa una forza sovrumana, mai sperimentata in precedenza, mi trascina via verso il basso costringendomi ad interrompere bruscamente il collegamento ormai quasi inesistente con la guardia.

Apro di scatto gli occhi, visibilmente turbato. Con una manica mi asciugo la fronte lievemente imperlata di sudore e mi scosto una ciocca di capelli castani scivolata vicino al mio occhio.
Non riesco ancora a capire cosa sia appena successo ma sono comunque leggermente rincuorato da fatto di trovarmi nuovamente nella mia vera cella. Lo sportellino della porta è rimasto aperto ma non c'è più traccia dell'uomo, che non può essere in alcun modo fuggito, altrimenti me ne sarei accorto.
Un rumore sordo proveniente dall'esterno mi dissuade immediatamente dall'avvicinarmi alla finestrella per sbirciare fuori.
Il mio cuore comincia a battere all'impazzata non appena qualcosa urta la porta, che subito dopo inizia ad aprirsi lentamente.
Faccio istintivamente un passo indietro senza mai distogliere lo sguardo dal piccolo spiraglio che si è aperto, permettendo ad un fascio di luce di entrare nella mia cella. Per un attimo inizio a sperare, forse stupidamente, che sia Hank che forse è riuscito a trovarmi.
La porta si apre del tutto con un sonoro cigolio e finalmente posso mettere a fuoco la figura di fronte a me. Socchiudo gli occhi per poter vedere meglio, tutta quella luce a cui non sono più abituato adesso illumina gran parte della stanza, impedendomi di osservare l'individuo.
Ora lo vedo.

Ma non è Hank. E nemmeno la guardia.

*********************

Vi faccio i miei complimenti se siete riusciti ad arrivare fino qua. Per il resto, ciò che chiedo è solo un vostro piccolo aiuto: se notate errori o qualcosa che vi fa storcere il naso, fatemelo notare subito. Farete un favore a me ed ai vostri occhi. :)
   
 
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