WE ARE OUT FOR PROMPT - 31 Luglio/02 Agosto 2015
Titolo: An Unexpected
Occasion
Personaggi: Erik/Christine Daaé, Raoul de Chagny
Prompt ©Tamara Patarini: Christine è la cantante di una
band composta, oltre a lei, da Meg Giry, Carlotta Giudicelli e Raoul, il suo
ragazzo. Erik è un giovane uomo ossessionato da lei e dalla sua voce. Una sera,
dopo un'esibizione, tenta un approccio "professionale".
Note: modern!AU, triangolo.
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An Unexpected Occasion
Parte prima.
Il piccolo pub parigino C.
Garnier – dal nome di colui che l’aveva aperto, negli anni venti del secolo
scorso – era conosciuto per ospitare ogni sera della settimana band provenienti
da ogni angolo nascosto della città, e per le gare tra di esse che venivano
tenute una volta al mese. Era un locale caratteristico, con arredi ricercati e
tipici della Belle Époque – luci soffuse, cuscini verde petrolio e oro, legno
massello e lampade a gas – e ogni giorno attirava un numero spropositato di
gente, tra turisti, curiosi e avventori affezionati.
Christine Daaé era grata di
potercisi esibire con il suo gruppo. Era difficile riuscire a entrare nella
lista standard delle band che venivano chiamate puntualmente una volta a
settimana e a cui spettava persino un piccolo introito – in genere i gruppi
nuovi e poco conosciuti si esibivano per il semplice piacere di farlo o per
provare l’ebbrezza di salire sul piccolo palco del Garnier – ma grazie alle
conoscenze di Raoul, suo ragazzo dai tempi del liceo, erano riusciti a
stabilirsi a tempo indeterminato.
Poteva dire, dopo i due anni di
vita della band, che erano un gruppo tutto sommato affiatato. Meg è stata la
sua migliore amica sin da quando si era trasferita a Parigi, a sette anni, e
suonava il basso; Raoul, che aveva conosciuto in terza media, si alternava tra
chitarra elettrica e batteria a seconda dei brani; mentre Carlotta, la ragazza
nuova trasferitasi da Roma in quarta liceo, cantava e suonava la chitarra
tradizionale che dava sempre una certa malinconia alle loro canzoni. Per quanto
riguardava Christine, era lei la cantante solista – anche se a volte preferiva
cedere il posto a Carlotta pur di non sentirla lamentarsi e borbottare riguardo
al fatto che la sua voce fosse migliore e che il pubblico venisse ad ascoltare
lei. Per inciso, no, non venivano ad
ascoltare lei – volevano Christine: ma gli altri le volevano troppo bene per
farglielo notare.
Dunque, come già detto,
Christine era grata della sua occasione. Ma non poteva fingere che la cosa le
andasse del tutto bene: aveva sperato, non appena avevano iniziato a suonare al
Garnier, che qualche produttore di musica li sentisse e offrisse loro un
qualche contratto, ma finora – ed erano trascorsi già cinque mesi, il che
significava una ventina di esibizioni all’incirca – non erano ancora stati
avvicinati da nessuno. Monsieur André, uno degli attuali proprietari del
locale, cercava sempre di tranquillizzarli dicendo che magari il mercato non
era ancora pronto per loro, e che la loro occasione sarebbe arrivata quando
meno se l’aspettavano, e che lui personalmente non aveva modo di rintracciare
qualcuno dei sopracitati produttori per convincerli ad andare a sentire un
particolare gruppo dato che lui, anche se gestiva un pub che serviva quasi
unicamente a quello, non era per niente un esperto di musica.
Se non altro, Christine era
certa di avere almeno un fan – anche se di questo ne aveva tenuto all’oscuro
gli altri membri del gruppo, specialmente Raoul. Dopo ogni esibizione, infatti,
il barista le si avvicinava e le porgeva discretamente una rosa rossa “da parte
di un ammiratore segreto”, poi le faceva l’occhiolino e tornava al suo lavoro.
Christine aveva provato a chiedergli chi gliele lasciasse, se non altro per
ringraziarlo, ma il Persiano – così si faceva chiamare dal resto dello staff –
scuoteva il capo con un mezzo sorriso e le diceva che, se e quando questo
ammiratore avesse voluto smettere di essere segreto,
lei sarebbe stata la prima a saperlo.
La ragazza non poteva fare a
meno di apprezzare il romanticismo del gesto, anche se personalmente non
avrebbe mai tradito Raoul. Era una cosa dolce e carina, resa ancora più gradita
per il fatto che non ci fosse esibizione che concludesse senza che lei
ricevesse una rosa. Era sicura che lui – doveva per forza trattarsi di un lui,
decise Christine – si trovasse nel pub per poterla sentire cantare, e che fosse
anche amico del Persiano, o non si spiegava come mai il barista ci tenesse in
modo particolare a coprire e assecondare la sua missione.
«Christine, tutto bene?»
La voce preoccupata di Meg la
riscosse dai suoi pensieri, riportandola bruscamente sul palco del Garnier. Si
voltò verso di lei, osservandola mentre accordava la sua chitarra, e le
sorrise. «Sì, Meg, non preoccuparti. Ero solo sovrappensiero.»
L’amica le si avvicinò, uno
sguardo comprensivo sul volto. «Stai ancora pensando a quello che ci ha detto
monsieur André? Lascia perdere, Chris», la confortò. «Magari stasera è la volta
buona che un produttore entra da quella porte e ci offre un contratto. Chi può
dirlo? Ora come ora possiamo solo dare il meglio di noi sul palco.»
E non è quello che facciamo tutte le sere? Christine sospirò
rassegnata. «Sì, Meg. Hai ragione», annuì, passandosi una mano tra i capelli
con aria spazientita. Prima stava pensando solo al suo ammiratore, ma grazie a
Meg adesso le era tornata anche l’ansia per i produttori – quella serata non
stava procedendo per niente bene, se si aggiungeva anche il mezzo litigio che
aveva avuto con Raoul prima di venire al locale.
Tornò a volgere lo sguardo verso
il pubblico, scrutando i tavolini debolmente illuminati da caratteristiche
lampade a gas e cercando qualcuno che avesse scritto in faccia “ammiratore
segreto” – non trovandone, ovviamente. Chi poteva essere? Il Persiano non le
aveva dato il minimo indizio, e adesso era irritata anche per quel mistero
irrisolto.
Accolse con gratitudine l’inizio
della musica e il rumore del chiacchiericcio che si trasformò in un quieto
brusio – a quel punto strinse il microfono tra le mani e iniziò a cantare.
Parte seconda.
Seduto in un tavolino solitario sulla
balconata del locale che circondava la sala sottostante, un uomo nascosto
nell’ombra giocherellava distrattamente con lo stelo di una rosa rossa,
trattenendo poi il fiato quando alle prime note della musica si aggiunse la
voce melodiosa della cantante.
Sospirò, chinandosi in avanti
per avere una visione migliore senza rischiare di farsi notare dal resto degli
avventori. Erano già tre mesi che seguiva i progressi di quella band: conosceva
a memoria il testo di ogni canzone, aveva memorizzato ogni singolo accordo,
notava il più minimo cambiamento che veniva apportato alla spartitura, e poteva
addirittura interpretare l’umore della giovane cantante a seconda di come le
brillavano gli occhi o stringeva le dita intorno al microfono. Quella sera
appariva combattuta: aggrottò la fronte al di sotto della maschera nera che
indossava – il bianco avrebbe attirato troppa attenzione nel buio – e ripensò a
ciò che gli aveva riferito il suo amico Persiano. A quanto pareva nessuno si
era ancora fatto avanti con delle proposte serie per la loro carriera, e
l’umore del gruppo era leggermente a terra.
Erik sbuffò: il problema non era
di certo della cantante – lei era perfetta, anche se gli sarebbe piaciuto poter
avere la possibilità di rendere la sua voce più raffinata ed elegante. Il
problema era che si trattava di quattro ragazzi poco affiatati: la ragazza con
i capelli rossi che di tanto in tanto cantava sembrava fare di tutto per
mettere in ombra la solista, il ragazzo suonava bene o male a seconda di quanto
aveva litigato con la sua fidanzata – le nocche della sua mano divennero
bianche al pensiero di loro due insieme, ma come sempre mise un freno ai propri
istinti – e la biondina mancava di tecnica e spessore.
Riportò l’attenzione sulla
cantante, piegando il capo di lato con curiosità quando la vide scrutare il
pubblico con aria assorta e determinata, come se stesse cercando qualcuno in
particolare. Inevitabilmente sorrise: che stesse cercando lui – o meglio, il
suo ammiratore segreto? Se pensava di trovarlo tra la folla, in piena vista, si
sbagliava di grosso – non era tipo da esporsi al pubblico ludibrio come
chiunque altro.
Il Persiano gli aveva detto più
volte che Christine – Christine, si
chiamava, il suo angelo aveva persino un nome elegante – avrebbe voluto
conoscerlo e ringraziarlo, ma in realtà Erik doveva ammettere di essere
indeciso. Non che il desiderio non fosse corrisposto – avrebbe dato un braccio
per poter parlare faccia a faccia con lei, con la donna che negli ultimi tre
mesi era stata la sua ossessione, l’aria che gli permetteva di respirare, la
protagonista di sogni e fantasie – ma temeva che il suo aspetto peculiare avrebbe in qualche modo
impedito qualsiasi tipo di rapporto, sia lavorativo che privato.
Non che dubitasse della sua
gentilezza e delicatezza, ed erano pur sempre nel ventunesimo secolo, e cose
che nei secoli passati lo avrebbero portato all’ostracismo del resto della
società oggi sarebbero magari passate più o meno in secondo piano; ma
onestamente, vista l’infanzia che aveva tollerato e la vita che aveva condotto,
non si sentiva molto ottimista al riguardo. Era anche per quel motivo che
indossava una maschera e mandava chi lavorava per lui a svolgere le sue
commissioni durante il giorno: non aveva alcuna intenzione di essere additato
come lo scherzo della natura del momento.
Eppure non poté fare a meno di
domandarsi se per lei, per Christine, per conoscerla, ne valesse la pena.
La risposta gli giunse verso la
fine della loro esibizione, quando le ultime note si persero nell’aria poco
prima degli applausi: sì, lei ne era degna. Come altro spiegare la fortuita
coincidenza che lo aveva portato a varcare proprio quel locale, una banale
notte di tre mesi prima, se non per incontrare lei?
Presa la sua decisione, Erik si
alzò, la rosa tenuta con cura tra le mani, e si diresse a reclamare un posto
nella vita della ragazza.
Parte terza.
Meg e Carlotta erano rientrate a
casa: neanche oggi qualcuno si era fatto avanti per parlare di lavoro, e le due
non vedevano l’ora di chiudere la serata e dimenticare quella situazione
affidandola al sonno. Anche Raoul era rincasato, ancora irritato e furioso con
la fidanzata sia per il litigio che per il recente rifiuto di lei di
riaccompagnarla a casa - «Abito a due isolati da qui, Raoul, ho voglia di fare
due passi. Ci sentiamo domani», gli aveva detto seccamente, senza neppure
aspettare una risposta.
Christine era rimasta un altro
po’ al Garnier per bere qualcosa, infastidita col mondo per una miriade di
ragioni diverse. Era preoccupata per la band, che sarebbero stati costretti a
sciogliere se una qualche occasione non si fosse presentata il più presto
possibile; era arrabbiata con Raoul, che continuava a trattarla come una
bambina fragile da tenere rinchiusa sotto una campana di vetro, e che aveva –
come diavolo aveva fatto, poi – scoperto del suo ammiratore e delle rose che le
lasciava, perché quella scema di Carlotta aveva lo sguardo lungo quasi quanto
la sua lingua e non riusciva a tenere la bocca chiusa; e soprattutto era
irritata e delusa perché il suddetto ammiratore segreto, quella sera, non aveva
palesato la sua presenza con le sue solite rose rosse. Era un motivo stupido
per essere arrabbiata, Christine lo sapeva bene – dopotutto non lo conosceva
neanche, e per quanto ne sapeva poteva essere anche lo stesso Persiano – eppure
non poteva fare a meno di sentirsi, in un certo senso, abbandonata.
Infilandosi il cappotto e
imbacuccandosi per bene, visto che fuori l’aria ottobrina era decisamente
gelida, Christine rifletté che forse era per questo che Raoul l’aveva presa
così male – in fondo era la sua ragazza, e se la sua mente era occupata quasi
interamente dal mistero che era questo fan segreto, non si rifletteva forse in
modo misero su di lei? Ovviamente non aveva mai tradito Raoul, né con la mente
né con il pensiero – beh, esclusi certi attori hollywoodiani, in ogni caso – e
non aveva intenzione di farlo neanche stavolta.
Però, ecco… Ciò non le impediva
di essere curiosa, giusto?
Le campanelline appese sulla
porta del locale tintinnarono quando uscì in strada, pronta a farsi una lunga
passeggiata solitaria prima di raggiungere il suo appartamento – in cui viveva per
conto suo, grazie alla buonanima di mamma Valerius che gliel’aveva lasciato in
eredità.
Aveva fatto appena due passi
quando una figura si staccò dall’ombra del vicolo, piazzandosi in mezzo al
marciapiede e costringendola a fermarsi con un’esclamazione appena soffocata e
a malapena educata.
Stava quasi per fare
dietro-front e rientrare nel locale, spaventata, quando la figura – l’uomo,
decise – allungò una mano verso di lei porgendole bruscamente una rosa rossa.
A quel punto tutta la sua
attenzione si focalizzò sul fiore che lo sconosciuto teneva in mano, e con sua
stessa sorpresa, anziché voltargli comunque le spalle e trovare rifugio nel
pub, perché chissà chi diavolo poteva
essere e poteva volere da lei questo estraneo, ammiratore segreto o meno,
Christine fece un passo in avanti e accettò la rosa dalla sua presa.
L’uomo parve allora rilasciare
il respiro che aveva trattenuto, e d’un tratto, malgrado il cappello che
indossava ben calato sul viso, non apparve più tanto minaccioso.
«Le chiedo scusa», esordì allora
cautamente, con una bassa voce musicale che le fece venire i brividi. «Non era
assolutamente mia intenzione spaventarla. Non sono un malintenzionato – volevo
solo farle di persona i miei più sinceri complimenti, e ringraziarla per aver
permesso a noi tutti di godere della bellezza della sua voce. Il Daroga… voglio
dire, il Persiano… mi ha detto che avrebbe voluto conoscermi, e non volevo… non
voglio che possa sentirsi minacciata dall’ombra di uno sconosciuto che
semplicemente l’ammira.»
«Oh», fu tutto ciò che riuscì a
dire Christine, in un misto tra imbarazzo e delizia. «In effetti gli ho chiesto
diverse volte di lei, ma mi ha sempre detto che è un uomo che ama la sua
privacy e che probabilmente non l’avrei mai vista. Mi dispiace che si sia
sentito in obbligo di andare contro i suoi desideri solo per placare la mia
curiosità, ma non nego che sono molto lieta di fare la sua conoscenza.»
A quel punto sorrise e,
spostando la rosa dalla mano destra a quella sinistra, gli porse la prima e
disse: «Io sono Christine, Christine Daaé. E la ringrazio di cuore per le sue
bellissime parole.»
Erik la guardò dal di sotto del
cappello e della maschera tra soggezione e meraviglia, non credendo davvero che
il loro primo approccio potesse andare così bene. Subito allungò la propria
mano e strinse con delicata fermezza quella di lei, ricambiando il favore delle
presentazioni. «Non ho detto che la pura e semplice verità. E il mio nome è
Erik Destler.»
Parte quarta.
Nell’udire quel nome, Christine
trattenne bruscamente il fiato. «Oh mio Dio», mormorò. «Erik Destler… Lei è quel Destler? Il famoso compositore… Il
pianista?»
«Suono parecchi strumenti», fu
la sua unica risposta, accompagnata da un umile cenno affermativo del capo. Finse
di non mostrare quanto il fatto che lei lo conoscesse lo avesse riempito di
soddisfazione, visto che non si aspettava che una ragazza così giovane fosse
informata sulle novità della musica classica. «La prego, nessuna deferenza.
Sono io qui l’ammiratore, e lei l’artista.»
«Mi permetta di dissentire,
monsieur! Lei è un genio, e io di certo non merito…» Balbettò lei ancora
incredula, cercando di memorizzare più dettagli possibili di quello che era, ai
suoi occhi, una sorta di divinità della musica.
«Coraggio, mademoiselle Daaé»,
la interruppe subito, avvicinandosi e porgendole gentilmente un braccio:
contava di trarre quanto più possibile da quella fortuita situazione. «Posso
essere tanto audace da offrirmi di accompagnarla a casa? Il Daroga mi ha detto
che abita qui vicino.»
«Si è informato su di me?»
Domandò Christine senza parole, accettando il suo braccio e lasciando che la
conducesse lungo il marciapiede.
«Non è quello che fanno tutti i
fan, forse?» Replicò lui restituendole la domanda, sorridendo al di sotto della
maschera che non era sembrata turbare la giovane più di tanto. «Inoltre, vorrei
approfittare di questo incontro per introdurre un altro argomento.»
«La prego», lo esortò lei a
mezza voce.
Erik annuì, poi scelse le
successive parole con estrema cautela. «Sarei molto onorato se lei prendesse in
considerazione l’idea di diventare mia allieva, mademoiselle Daaé. Ha una voce
meravigliosa e molto espressiva, ma sono nel giusto se assumo che non sia mai
stata, come dire?, educata tecnicamente?»
Alla conferma della ragazza, lui
proseguì. «Dunque, questa è la mia proposta. Lei mi permetta di istruirla, e le
posso garantire che entro la primavera tutta Parigi conoscerà il suo nome, ed
entro il prossimo inverno avrà così tanti impegni da avere a malapena il tempo
di respirare.» Tacque un momento, poi sorrise e aggiunse in tono più scherzoso:
«Ma forse questo non depone a mio favore e non avrei dovuto dirlo, mh?»
Christine si lasciò sfuggire una
risatina, poi si prese alcuni momenti per pensare; Erik glielo permise.
Non avevano fatto che venti
passi quando lei parlò. «La sua proposta è probabilmente la cosa più bella che
mi potrà mai capitare», esordì, con un sospiro palesemente sognante. «Tuttavia,
deve capire che io non canto da sola: faccio parte di un gruppo. E una simile
offerta, per quanto allettante – non mi fraintenda! – mi porterebbe ad
allontanarmi dai miei amici e dalla nostra band probabilmente senza possibilità
di ritorno. Mi creda, se fossi da sola, se dovessi pensare solo per me, le
direi sì senza pensarci due volte… Ma per il momento ho bisogno di discuterne
con gli altri, considerare i pro e i contro, vedere cosa sia più conveniente.
Sul serio, monsieur Destler, non me ne voglia a male, ma non posso proprio
darle una risposta subito. Posso essere tanto presuntuosa da chiederle se
possiamo riparlarne in un secondo momento?»
Erik apprezzò la diplomazia che
Christine aveva mostrato nel rispondere, e apprezzò ancora di più che lei non
gli avesse detto un secco no così, a prescindere. Era una ragazza saggia
malgrado la sua età, il suo modo di pensare e parlare ne era chiaro esempio,
per cui non la biasimò per aver preso quella decisione.
No, ciò che rimpiangeva era di
non averla incontrata prima che quella stupida band nascesse, legandola a degli
inetti che le avrebbero tarpato le ali vita natural durante se lei non se ne
fosse liberata al più presto.
E quello sciocco ragazzo – ah!
Di sicuro l’insolente avrebbe fatto di tutto per convincerla a non accettare,
come se avere il suo affetto non fosse abbastanza – no, il giovane voleva anche
la sua anima, la sua voce, avido com’era. Ebbene, Erik non poteva accettarlo:
doveva fare in modo di convincere Christine che la sua proposta era troppo
succulenta per poterla ignorare, e doveva fare in modo soprattutto che il
fidanzato non entrasse nel merito delle sue decisioni.
«Non si preoccupi, mademoiselle,
capisco perfettamente il suo punto di vista», ammise infine con un sospiro,
decidendo per il momento di non insistere – non voleva fare la figura
dell’ossessivo. «Ci sono scelte che cambiano e sconvolgono la vita, e che non è
mai facile compiere. Ma se fossero facili forse non ne varrebbe davvero la
pena, non crede? Ad ogni modo, si prenda pure il suo tempo: le lascerò il mio
biglietto da visita, così potrà entrare in contatto con me quando più le fa
comodo. Se non dovesse trovarmi, le basterà rivolgersi al Persiano e sarò io a
trovare lei, le va bene?»
Christine annuì immediatamente,
grata di non essersi appena giocata l’occasione della vita con la sua prudenza.
«La ringrazio, monsieur Destler, sul serio», ripeté per l’ennesima volta,
rafforzando appena la stretta sul suo braccio come per trasmettergli la sua
gratitudine.
Parte quinta.
Quando arrivarono infine nella
sua via, chiacchierando tranquillamente come vecchi amici, Christine notò una
macchina parcheggiata davanti al portone del suo condominio che non ci sarebbe
dovuta essere. Mentre vi si avvicinava, lo sportello del guidatore si aprì
bruscamente e Raoul uscì dall’auto come una furia, sbattendolo con forza per
richiuderlo e fissandola con così tanta rabbia e sospetto da farle male al
cuore.
Deglutendo, si sciolse
gentilmente dalla stretta di Erik e gli rivolse un mezzo sorriso di scuse. «Mi
scusi un attimo», mormorò, prima di raggiungere il suo fidanzato.
Raoul la aspettava a braccia
conserte poggiato contro la macchina. «E questa cosa che significa?» Sibilò,
indicando con un cenno del capo all’uomo che attendeva pacatamente qualche
metro più indietro, l’essenza stessa della galanteria.
«Significa che ho incontrato un
amico che si è offerto di riaccompagnarmi a casa, Raoul», ribatté lei sullo
stesso tono, pregando che Erik non li sentisse. «Che problema hai?»
Il ragazzo la fissò come se
fosse diventata pazza. «Che problema ho?
Ti sto aspettando da più di un’ora, ecco che problema ho! E tu stai
gironzolando con un altro?»
«Raoul!» Esclamò Christine
inorridita e imbarazzata. Poi gli piantò un dito sul petto e riabbassò la voce,
nuovamente furiosa. «Come ti permetti? Non ti fidi di me, forse? E in ogni caso
ti ho detto che ci saremmo rivisti domani, quindi non hai alcun motivo di
trovarti qui. Sono ancora arrabbiata con te, sai.»
«Ah certo, sei tu quella
arrabbiata, scusami eh», replicò subito, sarcastico. Lanciò un’occhiataccia a
Erik e insisté, afferrandole una mano: «Non mi hai mai parlato di un amico che
se ne va in giro mascherato. Sei sicura di dirmi tutto, Chris?»
Imbarazzata e offesa oltre ogni
dire per conto di monsieur Destler, Christine strappò la propria mano dalla
stretta del fidanzato. «Senti, non ho intenzione di fare una scenata in mezzo
alla strada. Okay? Ritorna a casa, e ne parliamo domani. Domani, Raoul. Non farmi arrabbiare.»
«Me ne andrò quando tu sarai
dentro casa e quel tipo sarà sparito», ringhiò insistente il ragazzo, a voce
non abbastanza bassa da non essere sentito.
«Bene», sibilò lei, voltandogli le spalle e raggiungendo rapidamente
il suo nuovo amico. Si fermò a pochi passi da lui per riprendere fiato e si
accorse di avere le guance in fiamme, insieme dalla rabbia e l’imbarazzo, e per
un momento non seppe che dire. «Sono mortificata», sbottò alla fine, a mezza voce.
«Non so cosa dirle per scusarmi. Raoul è…»
«Un fidanzato fin troppo
premuroso?» Offrì Erik gentilmente, benché si sentisse tutto fuorché generoso
nei confronti dell’altro ragazzo. In realtà, avrebbe voluto scuoterlo
violentemente per il modo in cui aveva trattato la giovane, che aveva come
unica colpa quella di essere troppo affabile ed educata. «Non si deve scusare,
non è colpa sua. Bene», sospirò poi, frugando all’interno della propria giacca
alla ricerca del suo biglietto da visita, e porgendolo poi a Christine.
«Suppongo che il mio compito per stasera si concluda qui. Quello è il mio
numero privato, mi chiami quando vuole senza alcuna esitazione. È stato un
enorme piacere fare la sua conoscenza, mademoiselle Daaé.»
«Oh no, il piacere è stato tutto
mio, mi creda!» Esclamò frettolosamente lei, allungandosi per stringergli di
nuovo la mano in una stretta grata. «La ringrazio ancora per l’opportunità che
mi sta dando, le darò una risposta non appena possibile.»
«Attenderò con ansia», sorrise
lui, benché lei non potesse vederlo. «Buonanotte, mademoiselle. Di nuovo, è
stato un piacere», la salutò infine, sfiorandosi il bordo del cappello con due
dita per poi voltarsi e sparire lungo la strada soffusamente illuminata.
«Buonanotte, monsieur», sussurrò
lei guardandolo andare via. Le sue dita sfiorarono ancora incredule il
cartoncino del biglietto da visita, Raoul per il momento completamente
dimenticato.
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