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Autore: Katnip_GirlOnFire    05/08/2015    3 recensioni
Questo è il primo lavoro che pubblico in questo fandom.
Saranno una serie di OS ambientate dopo l'episodio 2x16, che mi ha lasciata così male che mi sarei messa a piangere.
Questa raccolta sarà pura Bellarke, tutti piccoli episodi che definiscono il loro rapporto.
Ci sarà un po' di angst, ma anche tanti bei momenti fluff.
Non so come descrivere questa cosa, se non come qualcosa uscito fuori dal mio povero cuore di shipper in subbuglio.
Dopo questa introduzione di schifo non credo di aver invogliato nessuno a leggere, ma per favore, date una letta.
E.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bellamy non riesce a comprendere cosa causi tutto quello scompiglio.
Non vede il campo così frenetico da un lungo tempo, ormai.
Allunga il passo cercando di raggiungere il cancello, già pronto a imbracciare il fucile, ma qualcuno gli blocca la strada.
«Harper?» alza un sopracciglio confuso.
«Bellamy, ehm…io -»
Bellamy la liquida con un cenno del mento, cercando di guardare oltre le sue spalle.
«Che succede?»
Sta accadendo qualcosa nei pressi dei cancelli.
La ragazzina che lo fronteggia balbetta, alla ricerca delle giuste parole. «In infermeria c’è…c’è una ragazzino che chiede di te»
Bellamy aggrotta le sopracciglia «Di me?»
«Si, di te» risponde Harper con un po’ più di sicurezza.
La cosa non ha alcun senso alle orecchie dell’ormai consacrato capo del campo.
Da quando i quarantadue si sono staccati dall’insediamento dell’Arca, troppo diversi da quegli adulti che non erano passati per l’inferno per il quale erano passati loro per sopravvivere, è passato ormai più di un anno.
Da quando se n’è andata Clarke è passato più di un anno.
Bellamy scuote la testa cercando di scacciare il pensiero che è fisso nella sua testa da un lungo tempo.
È richiesto in infermeria. Non era mai stato richiesto in infermeria, se non in situazioni ingestibili.
Harper era diventata la nuova guaritrice del campo, del Campo 42. Aveva imparato in fretta, in situazione di necessità.
Da quando sono diventati un campo indipendente hanno perso solo quattro membri, sepolti sul lato est del campo.
Sul muro davanti al quale sorge il cimitero è appeso un cartello.
“In pace, tu posso lasciare la riva.
Nell’amore, possa trovare la prossima.
Ci rincontreremo.”

Bellamy si era occupato personalmente di incidere quelle parole sulla tavola di legno, omettendo la penultima frasedell’elogio funebre che pronunciavano sull’Arca.
“Ti auguro molti viaggi sereni, fino al nostro ultimo viaggio verso la terra”.
Avevano ormai conosciuto la terra.
La terra, meta sognata, meta agognata.
Avevano conosciuto i suoi segreti, i suoi pericoli, le sue sofferenze.
Sulla terra avevano versato sangue, proprio e di altri.
Sulla terra avevano perso ciò che restava della loro innocenza.
L’unico viaggio da augurare alle persone che li avevano lasciati era, semmai, verso l’alto, verso il cielo.
Verso la pace.
Fanno del loro meglio per non aggiungere altre fosse in quella radura.
Harper se la cava, anche se non è una grande esperta.
Anche se non è Clarke, sussurra una vocina nella testa di Bellamy, ma lui la scaccia stizzito.
Torna a guardare Harper che lo osserva, confusa dal suo silenzio prolungato.
«Il ragazzo può aspettare» afferma infine scostandola gentilmente e proseguendo sulla sua strada verso i cancelli.
Qualcuno deve avercela con lui, quel giorno, perché pochi metri più avanti è Raven a fermarlo.
«Ei» lo saluta con una pugno sul braccio.
Da un anno a questa parte, Raven era diventata ciò di più vicino ad un amica che Bellamy avrebbe potuto avere.
Come leader della sua gente, teneva profondamente a ognuno degli individui che dimoravano nel campo, ma alcune persone gli erano rimaste vicine e fidate: Raven, Wick, Miller…
Poi c’erano Lincoln e Octavia.
Octavia, la sua piccola sorellina, che ormai non era più tale.
Poche settimane dopo il ritorno da Mount Weather, la coppia aveva deciso di intraprendere un viaggio, alla ricerca della propria identità.
Ormai non si sentivano più parte di niente.
Entrambi ripudiati dalla comunità dei Terrestri, avevano provato a tornare con il Popolo del Cielo, ma erano troppo cambiati, troppo diversi. Si sentivano reietti.
Così, nonostante il grande legame che legava i due fratelli, Octavia aveva deciso di partire col suo compagno promettendo a Bellamy che, prima o poi, sarebbe tornata al nuovo campo.
Dalla loro ripartita, Bellamy non si era mai sentito più solo.
Vincolato dalla promessa fatta a Clarke, di prendersi cura della loro gente, era rimasto in testa al gruppo ridotto, le spalle curve sotto il peso della colpa che si era ritrovato a sostenere da solo.
Fortunatamente c’era Miller, c’era Wick. E c’era Raven.
Nè Wick nè Miller avevano avuto un legame con Clarke simile a quello che avevano avuto lui e Raven.
Il meccanico sentiva di aver subito diversi torti da parte di Clarke, ma non voleva bene a nessuno come ne voleva a lei.
L’uccisione di Finn aveva portato Raven a rinnegare quell’amore.
Era in lutto, era distrutta, ma in fondo al cuore sapeva che Clarke aveva fatto ciò che era giusto.
Clarke era diventata famiglia.
E poi se n’era andata.
Era Wick a voler dare la notizia a Raven.
Ma appena potè alzarsi dal lettino dell’infermeria dopo l’asporto di gran parte del midollo, fu Bellamy a dirglielo. Gli sembrava giusto così, e Wick si era fatto da parte, comprendendo.
Inizialmente, Raven era rimasta immobile davanti a Bellamy.
Poi aveva cominciato a urlare, a insultare Clarke con tutti gli epiteti possibili e immaginabili. Si era rivoltata contro Bellamy, incolpandolo per averla lasciata partire. Lo aveva preso a pugni sul petto, mentre lui restava immobile.
Aveva infine rovesciato il lettino a cui era stata inchiodata per tutto quel tempo con un urlo rabbioso, e poi era caduta in ginocchio in mezzo all’infermeria vuota, dove la presenza di Clarke aleggiava ancora, singhiozzando silenziosamente.
A quel punto Bellamy si era inginocchiato accanto a lei, stringendola fra le braccia e lasciandola piangere sulla sua spalla, incurante della maglietta che si stava ormai inzuppando di lacrime.
Avrebbe voluto rassicurarla. Avrebbe voluto dirle che sarebbe andato tutto bene, che Clarke sarebbe tornata.
Ma non voleva illuderla, ne voleva illudersi.
Allore le aveva solo accarezzato i capelli, dondolando da una parte e dall’altra.
«Ce la caveremo» aveva sussurrato, forse più nel tentativo di convincere se stesso che di convincere lei.
L’aveva tenuta stretta finchè non aveva smesso di piangere, condividendo silenziosamente la sua pena.
Era stata quella pena ad unirli, ad avvicinarli, a renderli compagni, amici, confidenti.
«Ciao R», la saluta ricambiando il pugno. «Come va la gamba?»
Da quando Murphy le aveva sparato, più di un anno fa, rendendola disabile dal ginocchio al piede della gamba sinistra, Bellamy glielo chiedeva ogni singolo giorno. Nonstante fosse passato più di un anno e il tutore di Wick le permettesse di camminare senza difficoltà.
Quasi.
«Ah, sei uno sballo» risponde sarcastica a quello che ormai è diventato una specie di rituale, una battuta giornaliera.
«Senti, Wick ha un problema con l’apertura dei cancelli, ti convoca nel settore dell’elettronica» gli comunica sbrigativa.
«Lo vedo che ci sono problemi ai cancelli»
Bellamy legge l’espressione di Raven e capisce che c’è qualcosa che non va. Non gli sta dicendo tutto.
«Ma se è un problema di elettronica che bisogno c’è di creare tutta quella confusione lì davanti?»
Cerca di passare oltre al meccanico, ma lei gli si para davanti di nuovo, poggiandogli le mani sul petto.
«Che ci posso fare se questo campo è pieno di idioti?» sbuffa roteando gli occhi. «Dai, Wick ha bisogno di te. Adesso» conclude con enfasi.
Ma Bellamy ha un brutto presentimento. Perché tutti cercano di tenerlo lontano dai cancelli?
«Digli che arrivo subito» scarta di lato e si avvia a passo veloce verso la piccola folla che si è radunata davanti all’entrata.
«Ei, aspett-» Raven cerca di afferrarlo per un braccio e trattenerlo, ma la gamba non le permette di essere abbastanza veloce.
«Figlio di puttana» borbotta senza curarsi che lui la possa sentire.
Bellamy si lascia sfuggire un sorrisetto, all’insulto. Raven è sempre Raven.
Torna subito serio. C’è un campo che ha bisogno di tornare all’ordine.
«Che succede qui?»
La sua voce baritonale fa voltare tutti nella sua direzione.
Alcuni sorridono, altri sgranano gli occhi sorpresi.
Miller salta giù dalla sua posizione rialzata di vedetta e gli si para davanti.
«Amico…»
«Che succede, Miller», chiede Bellamy con nuova autorità. In mancanza di una risposta, Bellamy cerca di superarlo, ma il ragazzo gli blocca nuovamente la strada. «Senti, io non lo farei-»
Bellamy stringe i denti.
Si è sempre fidato di Miller, ma qui sembra che tutti gli tengano nascosto qualcosa, scavalcando la sua autorità. «Miller, fatti da parte»
Il suo secondo, dopo un attimo di esitazione, abbassa la testa e si sposta.
Tutta la folla si apre, lasciandolo passare.
Quando Bellamy arriva davanti ai cancelli il suo cuore perde un colpo.
Perché dietro le sbarre c’è Clarke.
 

Bellamy non sa che fare.
Ha immaginato così tante volte questo momento che ora ha paura sia un’altra delle sue illusioni.
È cambiata.
Da quando l’ha vista l’ultima volta è cambiata.
È più magra, i vestiti sono quelli di un terrestre, i capelli biondi sono stati tagliati corti e ricadono in ciocche disordinate sulla sua fronte. Li ha probabilmente tagliati con un coltello di pietra.
«Bellamy» sussura Miller, aspettando l’ordine per aprire i cancelli.
Ma il capo del campo non da nessun ordine.
Si avvicina di più al cancello.
«Clarke?» sussura.
«Ciao Bell»
La voce di Clarke lo fa trasalire, riportando alla mente tantissimi ricordi.
Il suo cuore batte errante.
La scruta a lungo, in stato confusionale.
Quando alza il fucile verso di lei, attraverso le sbarre, tutti sussultano e si allontanano.
Tutti tranne Clarke che, nonostante gli occhi tradiscano come quel gesto l’abbia ferita, mantiene la sua posizione. Ferma.
Bellamy non riesce a sentire niente intorno a se, Raven che gli urla di abbassare l’arma - con un testa di cazzo extra -, Miller che cerca di farlo ragionare.
Ci sono solo gli occhi di Clarke, azzurri, ma non più azzurri come un tempo. Sono annebbiati come un cielo ricoperto di nuvole.
«Sono io, Bellamy» sussurra avanzando lentamente di un passo.
Bellamy però non abbassa l’arma.
«Qual è l’ultima cosa che mi ha detto?» chiede con voce tremante.
Clarke lo guarda confusa. «Bell…»
«Qual è l’ultima cosa che mi ha detto Clarke?» ripete alzando la voce.
Clarke sobbalza un poco, non sa se per la voce che ha usato o se per il fatto che si riferisca a lei come ad un’altra persona. Si stupisce quando comprende che Bellamy crede che non sia reale. Che lei sia un’illusione.
«Ci rincontreremo» sussurra cercando di trattenere le lacrime.
In quel momento non le importa se ha un arma puntata contro, non le importa se il cancello potrebbe essere elettrificato e fulminarla all’istante.
Clarke allunga una mano tremante attraverso le sbarre e la poggia sul volto di Bellamy, pietrificato.
«Bellamy, sono io»
Lo guarda con tutta l’intensità di cui è capace. «Sono qui»
Il ragazzo si riscuote, allontanandosi all’istante come se il tocco di Clarke lo avesse bruciato.
Fa un cenno col mento a Miller, che tira un sospiro di sollievo e apre i cancelli.
Clarke entra lentamente, guardandosi intorno, guardando cosa hanno costruito e le facce conosciute.
Ma non si sofferma su nessuna di queste troppo a lungo.
La sua attenzione è per Bellamy, a pochi metri da lei. Il fucile gli dondola a fianco, e i suoi occhi sono vuoti.
Il tempo sembra fermarsi. A Clarke sembra quasi di volteggaire verso di lui, le orecchie che rimbombano, estranee a qualsiasi suono esterno.
Gli cinge i fianchi con le braccia e lo stringe forte a se, affondando la testa nel suo petto, incurante di ciò che ha intorno.
Sono qui, vorrebbe dirgli.
Non ti lascerò mai più.
Dopo un primo momento di immobilità, le braccia di Bellamy la circondano in un movimento quasi meccanico.
La sua mente è bianca mentre la stringe sempre più forte, mentre affonda il volto tra quei capelli sbarazzini e respira a pieno il suo odore. Respira come un uomo che è stato in apnea per un lunghissimo tempo. I polmoni gli bruciano e le mani gli tremano.
Dopo un momento che sembra durare anni, Bellamy scoglie l’abbraccio.
La guarda dritta negli occhi.
Si allontana.
L’assenza delle sue mani brucia sul corpo di Clarke.
 
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Eilà salve.
Benvenuti nella testa della Bellarke shipper più disperata del secolo.
Sono anche una minor Clexa shipper. Lo so, le due cose sono inconciliabili, ma ehi, nel mio cuore c'è posto per tutte le ship. 
Momentaneamente, however, sono più in mood Bellarke, dopo aver visto il finale. E soprattutto dopo aver letto che (SPOILER ALLERT!) potrebbe non esserci una riunione nella terza stagione.
Quindi questa è la prima di una lunga serie di OS sullo sviluppo del rapporto tra Clarke e Bellamy.
Inizialmente ci sarà angst da vendere, perchè il mio Bellamy si sente abbandonato e arrabiato con la mia Clarke. Ma la perdonerà.
Tra queste OS potrei anche infilarci traduzioni di OS di altri autori (che segnalerò, così che possiate leggere le originali), perchè ho letto certe cose bellissime e Fluff che potrebbero adattarsi alla linea della mia "storia", più in là.
Sono molto ripetitiva quando scrivo, e spesso quando rileggo non noto gli errori che faccio.
Quindi se stai leggendo e hai incontrato qualche strafalcione orrendo, per piacere recensisci, chiunque tu sia.
Cia' :)
E.
 
  
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