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Autore: whitemushroom    06/08/2015    7 recensioni
Kuja affonda nell'oscurità di una prigione, abbandonandosi ai suoi pensieri. C'è una canzone nell'aria, e forse le note riescono a raggiungere qualcuno che sogna soltanto di tornare a casa.
Dedicato all'utente Devilangel, che mi supporta da sempre con le sue recensioni: tanti auguri di buon compleanno, come vedi non mi sono dimenticata la storia che mi avevi chiesto! Buona lettura, spero ti possa piacere e che sia più o meno come la desideravi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Imperatore Mataeus, Kuja, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Moonlight Paradox


“I’ve never seen the moon, I’ve never seen the sky.
I’m calling for your fingers trailing on my chest.
‘cause I catched a glimpse of you, a glimpse into the light,
My filthy, wretched soul and your perfect breath”.


“Interessante. Dunque ti sono rimaste ancora delle forze”.
È buio. I suoi occhi hanno sempre visto anche nelle notti di luna nuova, anche quando le stelle si addormentavano prima di un temporale. Ma adesso non vede.
Può muoversi. Solleva il braccio, si porta la mano al viso e lo sente sotto i polpastrelli.
Il suo pensiero va agli occhi. Accarezza le palpebre e le dita non affondano in due orbite vuote. Le socchiude e scivola lungo la cornea dell’occhio destro, lasciando che l’indice si inumidisca per le lacrime. I suoi occhi sono ancora lì, e questo lo rassicura. Ma ovunque lui sia non vi sono luci o colori e l’oscurità gli entra nel petto, trasformandosi nel suo stesso respiro. È nero, e non gli appartiene.
Può usare la magia, perché non ci ha pensato? Conosce più incantesimi di luce di quanto siano consentiti ad una creatura del crepuscolo come lui. Sente la magia nel suo cuore ed apre il palmo verso quel punto che dovrebbe essere “sopra” di lui.
Ma questa non esplode e non ruggisce, non si trasforma in un alito di fuoco. Non appena il flusso di incantesimi si accende nel suo petto sente qualcosa dentro, qualcosa di buio; è nero, è affamato, ed è il suo stesso fiato a divorare la magia trasformando il potere nascente in un soffio strozzato. D’improvviso si sente vuoto, come se le forze gli siano state rubate dall’oscurità che adesso lo riempie dalla punta dei capelli fino ai piedi.
Kuja si ritrova a terra, sempre se vi è una terra. Le sue dita non toccano nulla, percepiscono solo vuoto, ma si ritrova accasciato su qualcosa e non riesce ad alzarsi. Il buio continua, forse l’unica cosa da fare è chiudere le palpebre ed attendere, immaginando di galleggiare nella notte di Alexandria. “Come immaginavo. Senza la tua magia non hai alcun valore”.

“Your soft skin is on my lyre
and yet your wings are words of doom
Moonlight paradox, the girl I dream about is fire
Moonlight paradox, she flies me to the moon.”


Clessidre. Ne aveva tante nel suo palazzo sotto la sabbia. La granduchessa di Lindblum aveva sgranato gli occhi quando le aveva detto di sceglierne una per il suo laboratorio.
Nel buio non è possibile sentire le scorrere del tempo; ha provato a contare i battiti del proprio cuore, ma non ha tutta questa pazienza. Ricorda di non averne mai avuto troppa paura, perché il tempo scorreva sulla sua pelle lasciandola sempre candida, sempre perfetta come quella di un dio, perché forse quello era ciò che era stato creato per essere.
Ma adesso vorrebbe sentire il rumore di un pendolo. Un ticchettio, o anche solo della sabbia che scende lentamente contro il vetro. Potrebbero essere trascorsi cento giorni, mille o soltanto uno. Ogni volta che cerca di liberare la propria magia le forze lo abbandonano, ed ogni volta si ritrova simile ad una bambola rotta.
Ricorda delle bambole. Bambole grandi e piccole, con un cappello a punta. Lo fissano con degli occhi luminosi che potrebbero distruggerlo, ma poi si spengono e quando lui muove le dita volano nel vento e non osano più guardarlo. Ma lui non è come loro. Scaccia il ricordo e annega di nuovo nel buio. Gli incantesimi gli muoiono in gola ogni volta, ma non ha alcuna intenzione di lasciarsi cadere. Ad ogni magia che richiama l’oscurità lo stringe fino a soffocarlo, gli preme i polmoni contro le costole e lo mette a tacere con un dolore che lo attraversa fino allo stomaco e gli fa uscire dalle labbra delle urla che non dovrebbero appartenergli.
Ma non smette di tentare.
C’era un tempo in cui il dolore era l’unica cosa che riusciva a capire. I ricordi del luogo che avrebbe dovuto chiamare “casa” sono stati i primi a tornare, dopotutto.
“Sarebbe tutto più semplice se decidessi di accettarmi come tuo padrone”.
È dal centro della sua testa che proviene la voce. La prima volta avrebbe fatto qualunque cosa per farlo smettere, ma adesso trova quasi piacevoli quelle parole. Lo aiutano a ricordargli che il tempo scorre.
Lo aiutano a ricordargli che è ancora vivo.
“Sai qual è l’unica cosa che mi manca qui dentro, Imperatore?” sussurra, sapendo benissimo che l’altro può sentirlo. “Poter vedere la tua faccia mentre capisci che il tuo grandioso piano non funzionerà mai! Pensi davvero di piegarmi con questi miseri trucchi?”
L’ultima cosa che i suoi occhi ricordano prima di tutta quell’oscurità era la luna. Era piena e bellissima, la regina di uno stormo di draghi d’argento. Stava cantando proprio quella canzone, gli sembrava l’occasione adatta per celebrarne la bellezza. Perché i poeti non narrano mai del sole, che con la sua gioia riesce a dare la vita ed un sorriso al mondo. I poeti cantano della luna, di un satellite che brilla solo quando il sole le elemosina parte della sua ricchezza: perché lei è fredda e stupenda, e chi le rivolge gli occhi è costretto a piangere dal profondo del cuore per quell’astro imperfetto che forse non dovrebbe esistere. E lui è la luna, e deve ballare nel cielo per loro. L’altro, la sua minuscola metà, è troppo luminoso e quando vi si avvicina sente solo bruciore e fastidio nel proprio cuore.

“The silver queen has set her pyre,
roaring, asking, merging with me soon.
Moonlight paradox, the girl I dream about is fire
Moonlight paradox, she flies me to the moon.”


“Che cosa vuoi?”
Detestava quando qualcuno gli si avvicinava alle spalle. Si era sempre considerato imbattibile, ma da quando si era svegliato in quel mondo aveva scoperto di non essere l’unico predatore, né il più pericoloso. Anzi, si era scoperto ogni giorno più debole, ogni volta più diverso, ogni riunione più solo ed accerchiato da quelle creature con cui non avrebbe potuto condividere nulla nemmeno volendo. Ed aveva odiato quegli sguardi su di lui, perché gli ricordavano quelli di Garland quando lo torturava e lo straziava fino alle viscere per ricordargli la sua eterna sottomissione. Ma negli occhi dell’osservatore stellare c’era solo il vuoto.
In quelli dell’Imperatore c’era superiorità. In quelli della Strega arroganza. In quelli dell’Angelo pura morte.
In quelli del gigante nero che gli era comparso all’improvviso nella sua stessa ombra, come portato dal vento, c’era una luce che forse non sarebbe riuscito a decifrare nemmeno se si fosse levato l’elmo. “Hai una bella voce” fu l’unica risposta.
Kuja rimase in silenzio qualche secondo, facendo scivolare quelle parole fino in gola. Osservò l’altro affacciarsi sul parapetto dell’osservatorio, l’unica costruzione sopravvissuta in quel frammento di mondo trascinato lì chissà come; la luce della sera riusciva a rendere quella forma ancora più maestosa, una sua mano avrebbe potuto stringergli la testa e fracassarla senza alcuno sforzo. Ma i suoi passi erano leggeri anche dentro l’armatura pesante e l’elmo guardava lontano, oltre le montagne e la notte. “Conosci una canzone che parli della luna?”
“Oh …”
Non si aspettava una simile domanda. Aspettò diversi istanti, lasciando al vento il compito di riempire il proprio silenzio. “… forse un tempo la conoscevo, ma i miei ricordi non sono ancora completi”.
“Capisco”.
L’uomo fece per andarsene.
“… ma posso inventarne una solo per te, se ti va”.

“Time is scattering the seeds of night,
the moon now is shining, and you are going home.
Put on your scales, your scales of silver light,
princess of this fleeting dream, please don’t leave me alone”.


Nessun suono anticipa il colpo. Un incantesimo lo colpisce tra le scapole, trasformandogli la schiena in un mantello di fuoco; d’istinto prova ad usare la propria magia, e prima che possa riflettere sul gesto il dolore si moltiplica e non gli rimangono abbastanza forze per difendersi o gridare.
“Mi sembrava di averti detto di smettere di cantare”.

“Tonight her face is dark, her face is dark and Death,
new moon cries and mourns and lies.
I miss the days I drowned into your breath,
I call for you but only a moth replies.”


Non gli piace più la sua voce: gracchia, trema, ha bisogno di aria.
Forse dovrebbe smettere di cantare. Forse dovrebbe accettare il silenzio.
Non c’è Garland nel silenzio. Il tempo non scorre.
La verità è che lui è sempre appartenuto all’oscurità. E che adesso ha sonno, soltanto sonno.

“I loved a dragon lady, she bathed in my desire:
her hunting grin’s my only silver bloom.
Moonlight paradox, the girl I dream about is fire
Moonlight paradox, she flies me to the moon.”


Quando riapre gli occhi il cielo è pieno di stelle e la luna sta calando la sua falce contro il mare. Scuote la testa, cercando di non cadere nel sogno, ma non appena chiude gli occhi la luce chiara gli scivola sotto le palpebre e lo chiama. Prova a respirare, aspettando l’oscurità.
Eppure quella che gli riempie i polmoni è aria fresca, la stessa che gli sta scompigliando i capelli mentre sale verso l’alto, quasi ad acchiappare tutti quegli astri sparsi davanti ai suoi occhi come petali di magnolia su un lago nero. Muove le mani, e stavolta le dita sono davanti a lui. Le conta, e non è mai stato così felice di riuscire ad arrivare fino a dieci. “Vai piano” ordina una voce carica di potere alle sue spalle. “L’Imperatore deve aver usato un incantesimo simile a quelli di Exdeath. Quella prigione di Nulla ha assorbito praticamente tutta la tua magia”.
“Quanto tempo …?”
“Nove giorni”.
Nove giorni che per lui sono sembrati un millennio. Respira una seconda, poi una terza volta sempre a pieni polmoni, quasi come ad essere sicuro che l’aria non gli sfugga di nuovo e che tutto questo non sia solo il parto della sua mente. Sotto le sue gambe percepisce il piacevole pulsare della vita mentre il drago nero non smette di muovere il collo e le ali divorando lo spazio sotto di loro. Le sue dita scivolano sulle squame della creatura, sforzandosi di ricordare quanto tempo è passato dall’ultima volta che si è ritrovato così, sospeso tra cielo e terra ed il vento intorno a lui come un manto invisibile e selvaggio. Vorrebbe abbandonarsi subito a quel piacere per cancellare l’incubo nero degli ultimi giorni, ma c’è una cosa che ha bisogno di sapere. Perché solo i Guerrieri di Cosmos aiutano il loro prossimo senza aspettarsi qualcosa in cambio. “Cosa vuoi da me, Golbez? Non sei il tipo da calpestare i piedi degli altri, meno che mai quelli dell’Imperatore”.
“Devo per forza avere un motivo per aiutare qualcuno?”
Sta per rispondergli a tono, ma si ferma. Ripete dentro se stesso quella frase, come se in un istante un altro frammento della sua memoria fosse tornato, un piccolo ricordo di una persona con quella stessa, ridicola risposta.
Per alcuni versi il gigante nero è un enigma. Tutti gli altri Guerrieri di Chaos lo evitano, eppure non lo ha mai visto sfoggiare poteri degni di chissà quale meraviglia: non ferma il tempo, non tinge il mondo del nero del Nulla, non apre i cieli facendo piovere le stelle. Rimane in silenzio, con le braccia incrociate come se tutto, persino il conflitto degli dèi, scorra oltre le sue spalle poderose e si infranga come la marea sugli scogli.
Ma Kuja sa che c’è un uomo sotto quell’armatura. Un uomo che vuole soltanto tornare a casa.
“Già, quasi dimenticavo… tu rispondi sempre ad una domanda con un’altra domanda … perché ancora mi ostino a ragionare con te?”
Perché lo invidi, sembra dire una voce dentro di lui. Perché non capisci come riesca a camminare nel crepuscolo senza bramare la luce, quando tu nell’ombra proprio non riesci a vivere. Desideri sapere come abbia fatto ad accettare il suo destino ed essere soltanto il lato oscuro della luna, quello che nessuno vede perché tutti si lasciano ammaliare dal suo luminoso fratello. Ti chiedi dove quell’uomo possente trovi la forza per rimanere indietro e lasciare all’altro il compito di risplendere, rifugiandosi dietro le quinte senza mai cercare le luci della ribalta come tu ti ostini penosamente a fare. Lui che desidera tornare al più presto nel suo mondo, mentre tu hai fatto a pezzi l’unico posto che avresti potuto chiamare “casa”.
Lo invidi perché lui non conosce l’invidia.

“Potrei dire la stessa cosa di te” risponde l’altro, l’unica luce visibile sotto il suo elmo fissa verso l’orizzonte.
Kuja sospira, sapendo che ormai la discussione è ad un punto morto. Cerca di immaginare l’espressione scocciata dell’Imperatore quando se lo ritroverà davanti alla prossima riunione, o forse come cercherà di mascherarla in malo modo. Troverà un modo per fargliela pagare, l’idea di stringere quel collo sotto le sue dita gli fa correre lungo la schiena il piacere selvaggio del sangue, ma cerca di scacciarlo in un angolo della mente dove non possa fargli perdere la calma e l’autocontrollo. Che l’Imperatore si trovi un altro burattino su cui sfogare le sue crisi di potere.
“Comunque hai ragione. Avevo i miei motivi per farti uscire da lì”.
Le parole di Golbez rompono i suoi pensieri. Sembrano campane di bronzo in una notte vuota.
“Ti mancava una strofa, se non ricordo male”.
Il vento gli porta il profumi dei fiori sulla costa. Sbocciano soltanto sulle isole settentrionali, e si aprono soltanto nelle notti di luna piena. Riesce a sentirne il profumo anche a quell’altezza, oltre le ali nere che fendono l’aria, precise e forti come il ritmo di una canzone. Stava pensando a quei fiori quando ha composto i primi versi quasi senza pensarci, seduto sulle rovine dell’osservatorio e lo stregone in armatura alle sue spalle, in misteriosa attesa. “Hai ragione. Come ho fatto a non pensarci?”

"Your snowy hair here lies, your mortal form was broken:
the only way to your starry and sleeping dome.
Moonlight paradox, the path I dream is open,
Moonlight paradox, your faithful knight is coming home."
  
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