CAPITOLO
23
Dimitri fissava Adrian con sguardo
affilato, con una punta furente.
“Niente… purtroppo…” disse il moroi
in un tono quasi da sbruffone, ma che però arrivò come un lamento.
Il sopracciglio di Dimitri fece un
scatto leggermente percettibile, che non prometteva bene, per chi come me lo
conosceva.
“Non succede niente” dissi io,
prima che la situazione si fraintendesse più del dovuto.
Dimitri mi guardò per capire se gli
stavo nascondendo qualcosa, perciò a mia volta lo fissai caricando il mio
sguardo di tutta la sincerità possibile. Non so cosa ci vide, ma lasciò andare
il braccio di Adrian.
Fece un respiro per calmarsi e
tornò in se.
“Torni ai suoi alloggi, signor
Ivashkov” fece Dimitri nella sua veste professionale
Adrian non sembrava capire la
gravità della situazione o forse faceva finta a non intuirlo. Fece un passo
indietro, ma non per andarsene, bensì per essere di nuovo rivolto verso di me.
“Rose… Dovevo provarci…” accompagnò
la frase con una lenta alzata di spalle, come se infondo si aspettasse che le
cose sarebbero andate così.
Lo guardai, ma non sapevo cosa
rispondergli, amavo Dimitri e le cose non sarebbero mai cambiate. Non potevo
sforzare dei sentimenti falsi per lui, non sarebbe stato giusto, per entrambi.
I suoi sembravano capire la mia
silenziosa spiegazione e allora se ne andò, lasciando me e il mio mentore in un
silenzio delicato.
Mi voltai a guardarlo e lui fece lo
stesso, non sapevo se dovevo dire qualcosa o meno, perciò mi girai e mi avviai verso
i miei alloggi.
L’aria era strana, un po’
elettrica, e le temperature andavano ad alzarsi. L’inverno stava passando.
Ormai ero arrivata, ancora una
decina di passi e potevo dire fine a questa infinita giornata, ma
all’improvviso sentii il profumo di quel dopobarba circondarmi e la sua mano
afferrare il mio braccio e trascinarmi dietro a lui. Priva di qualsiasi volontà
e scioccata che mi avesse rincorso, lo seguii attratta come una falena verso la
luce.
Si inoltrò un po’ nel bosco e alla
si fermò. La sua mano ancora stretta sul mio braccio.
Non fece cenno di muoversi. Io gli
stavo dietro, il naso gli sfiorava di un millimetro il soprabito da cowboy che
portava sempre e che io ora adoravo più che mai.
Tentai di muovermi, quando lui
parlò.
“No!”.
Guardai stordita la sua schiena,
come se lo stessi guardando in viso.
“Cosa?” dissi, effettivamente, non
capendo.
“No” ripetè lui, voltandosi.
Il suo sguardo un fuoco tenebroso
di sentimenti.
“Ho detto no. A Tasha.”
Il mio cuore perse un battito, e
poi un altro.
Mi aveva davvero lasciato a bocca
aperta, mai avrei pensato che sarei riuscita a sentire quelle parole uscire
dalla sua bocca, nemmeno nei miei sogni. Eppure, stava succedendo, proprio ora.
Cercai di riprendermi ed essere
sicura di aver capito giusto.
“Perché? Era la tua occasione di
avere una famiglia” dissi di getto. “Lei è pazza di te”.
O cotta, come diceva sempre Lissa.
“Per un po’ ho pensato che avrebbe
potuto funzionare, ma sapevo che in verità, l’avrei solo presa in giro”.
Come io con Adrian?
“Perché?” chiesi ancora, senza
fiato dalle mille emozioni che mi sconvolgevano.
Eravamo rinchiusi in una bolla
privata.
“Perché sapevo che il mio cuore non
le sarebbe mai appartenuto…”
Mi guardava perforandomi l’anima.
Tutto questo non aveva senso.
“Tu avevi detto…”
“Ho mentito!” disse agitandosi, le
mani tra suoi splendidi capelli. “Tu… tu mi prendi come non mi è mai successo
prima. Quel giorno avevi ragione” sorrideva sarcastico “…io mi domino, sempre.
E tu, una ragazzina, eri riuscita a capirlo, eri riuscita a leggermi l’anima e
questo, mi ha spaventato.”
Tacque un secondo, un minuto o
forse ore.
“ Tasha è simpatica, intelligente e
non mi avrebbe spaventato perché…”
E allora capii.
“Perché lei non ti capisce!”
completai la sua frase. Tutte le sensazioni che mi dava e avevo su di lui erano
sempre state vere, non erano mai state frutto della mia fantasia, come volevo
credere.
Lui mi guardò svuotato del suo
macigno.
“Quando a Natale mi ha chiamato con
il mio diminutivo e ho visto la tua faccia, per un momento, ho provato quasi
odio per lei, perché ti aveva fatto soffrire, anche se inconsapevolmente. Mi
sono odiato anche’io, perché sono rimasto seduto”.
A lui era sempre importato. Questo
mi bastò.
Mi bastò per sentire il mio cuore
in parte riprendere vita, solo in parte però, perché alla fine c’era un’altra
consapevolezza.
“Però non possiamo stare assieme”.
Lui mi guardò consapevole anch’esso.
“No.”
“Tu il mio mentore, ed io una
studentessa”.
Si avvicinò. “Si”.
La mia voce si incrinò.
“E fra pochi mesi tu sarei il
guardano di Lissa, e sperando, anche io”.
Un altro passo. “Si”.
Era a pochi centimetri da me.
Sentivo il suo calore fin dentro le ossa.
Azzardai un sospiro. “Fra pochi
mesi…” e quindi non ora.
Stupendomi lui disse “Si”.
Si chinò con l’intenzione di
baciarmi, con mia sorpresa mi tirai leggermente indietro. La sua sorpresa forse
era più grande della mia.
“Hai detto che non avrei più dovuto
farlo” sussurrai.
Gli stavo dando la possibilità di
scegliere, di capire se lo voleva davvero o fosse solo una volontà presa dalla
situazione.
“Te l’ho detto… ho mentito” sussurrò
a sua volta, prendendo la sua decisione.
Per quei pochi momenti non ci
furono più ostacoli tra noi. Solo Dimitri e Rose, che si volevano.
*
Ero felice, come forse non lo ero
mai stata. Sapevamo che dovevamo tornare indietro, era da un po’ che eravamo
nel bosco e per la prima volta incamminarsi verso l’ignoto, non fu poi così
spaventoso come nel passato avevo temuto. Non sapevo che cosa aspettarmi da
quella svolta, ma ciò non mi importava. Tutto quello che sentivo era il mio
cuore battere gioioso e la mia mano stretta in quella calda dell’unico uomo che
sarei mai riuscita ad amare così intensamente.
Ad un passo dalla vita reale lui mi
attirò di nuovo a se e mi baciò ancora. Non avrei più potuto fare a meno dei
suoi baci, lo sapevo.
Ci staccammo, cercando di regolarizzare
i nostri respiri.
“Cos’è successo oggi durante
l’attacco?” mi chiese tornando lentamente nei suoi panni da mentore.
“Cosa ti hanno riferito?” chiesi
nella mia beatitudine.
“Nulla” mi disse tranquillo “Ti ho
visto. Non me lo sarei mai perso”. Persi un battito.
Mi aveva tenuto d’occhio. Era una
cosa che avevo relegato nel cuore, la paura che non sarebbe venuto a vedere il
frutto dei nostri duri allenamenti. Lo amai, se possibile, più di un secondo prima.
“Cosa ti è preso? L’ho visto sai,
lo spavento nei tuoi occhi.”
Mi incupii leggermente al ricordo
delle sensazioni provate.
“Nikolai” dissi “La sua morte.
Speravo di averla superata e invece…” lasciai morire la frase nel nulla.
Lui sorrise triste e mi accarezzò
il viso. Non ero abituata a quel tocco delicato su di me, ma sapevo che ne
avrei conservato il ricordo per sempre.
“Non penso ci riuscirai mai. Hai
visto morire una persona importante, non sono cose che si dimenticano
facilmente. Oh, Roza… solo il tempo ti aiuterà a convivere con questo, te
l’avevo già detto, no?”.
Era una cosa che sapevo, ma detta
da lui sembrava una cosa realmente possibile. Lui sapeva infondermi la forza per
affrontare tutto.
Gli sorrisi.
Staccammo le nostre mani e ci
incamminammo verso gli alloggi.
Questa disastrosa giornata sembrava
voler terminare col lieto fine. Era tutto troppo bello, io ero troppo felice, era,
davvero, tutto troppo… E la cosa iniziò ad innervosirmi.
Qualcosa non andava. Mi bloccai e
Dimitri lo stesso. Si guardava attorno in allerta, quindi non era solo una mia
impressione.
Provai a concentrarmi e notai una
cosa.
“Troppo silenzio” dissi. Lui annuì.
Gli uccellini e gli altri rumore
tipici del bosco circostante si erano zittiti in un secondo.
L’orribile soluzione ai nostri quesiti
non tardò arrivare, con i suoi spaventosi occhi e l’aura di morte.
Gli strigoi stavano attaccando la St.
Vladimir.
Ne vedemmo due, che a loro volta ci
avevano visto. Ci attaccarono senza indugio.
Io non pensai e agii.
Come una cosa sola, io e il mentore
combattemmo in sintonia come se lo facessimo da una vita. Io non avevo il
paletto perciò, misi il mio strigoi in difficoltà fino a quando, dopo che
Dimitri impallettò il suo, mise fine all’esistenza anche del mio avversario.
Ci guardammo attorno in attesa di
vederne spuntare altri.
Lui mi strattonò, perché gli
prestassi ascolto.
“Devi correre ad avvertire gli
altri guardiani” annuii piena di adrenalina.
“Dì loro buria” disse con tutta la sua intensità.
“Buria”. Ripetei.
“Corri”. Gridò.
Non persi tempo questa volta. Era
una giornata di deja vù, ma ero ben conscia di quello che avevo attorno ora e
non mi sarei più fatta prendere alla sprovvista dagli eventi.
Corsi a perdifiato attraverso l’accademia
e appena sperai di essere udibile, iniziai a gridare quella parola. Buria.
Alcune luci si accesero, alcune
porte si aprirono. Alberta fu la prima che incrociai.
“Rose” mi guardò accigliata.
Non persi tempo. “Gli strigoi ci
attaccano. Buria!”
Com’era comparsa, Alberta, si era
anche volatilizzata. Non sapevo quella parola quale processo avesse dato il
via, ma il mio compito non era certo terminato qui.
Nel giro di qualche minuto i
guardiani si erano suddivisi e si stavano già dividendo gli incarichi. I moroi
erano da proteggere e questo era una cosa che sapevo anche io, ma sapevo anche
che Dimitri era la fuori.
Corsi indietro per la strada che
avevo fatto pochi minuti prima e quando uscii sotto il cielo stellato, rimasi
sconvolta da quello che mi trovai davanti. La battaglia era già in atto. Cercai
Dimitri con lo sguardo, ma non lo vidi. Tuttavia, mi balzò subito agli occhi un
guardiano a terra la cui vita gli era stata da poco strappata. Provai una morsa
d’odio per gli strigoi. Notai, poi, anche un’altra cosa: il suo paletto ancora
nel fodero. Non ci pensai due volte, lo raggiunsi e presi la sua arma.
Tutta la stanchezza che pensavo di
avere scomparve, e una forza crescente mi diede coraggio.
Speravo che Lissa fosse al sicuro,
così come tutti. Andai verso l’alloggio dei moroi più vicino, e si trattava di
quello dei bambini. Volevo aggiungere un membro in più alla linea difensiva.
Durante il tragitto incontrai uno
strigoi, che mi prese piuttosto alla sprovvista, ma lo riuscii ad impalettare
con una mossa strategica insegnata da Dimitri.
Poco dopo incontrai un altro mostro
che però non si lasciò sopraffare come quello appena trovato. Era più grosso e
decisamente più forte. Non ci pensò molto e mi attaccò usando, ovviamente,
tutta la sua forza. Usava gambe e braccia con una velocità davvero estenuante.
Riuscii a tagliarlo su un braccio
facendolo gridare e arrabbiare di più.
Mi colpì forte su una spalla
facendomi cadere.
Ok, stavo iniziando a sudare
freddo.
Mi preparai ad infilzare il mio
avversario in qualsiasi punto possibile, quando improvvisamente prese fuoco,
come una torcia. Le sue grida erano orribili e fastidiose, ma nel girò di poco
morì.
Mi guardai soprafatta intorno.
Sapevo che viso cercare, ed eccolo lì. Christian.
La sua faccia era seria e coinvolta.
“Dovresti essere al sicuro negli
alloggi!”.
Lui sbuffò.
“Un grazie no, eh?”.
Mugugnai qualcosa, ma lui parlò ancora.
“E’ la mia vendetta personale…”
Diceva sul serio. Era davvero
sicuro di quello che stava facendo. Aveva caricato in quelle parole, tutto il risentimento
che fin da piccolo si portava dietro, a causa di scelte non sue.
Ci guardammo ancora una volta negli
occhi e credo pensammo alla stessa cosa. Le mie doti e le sue doti.
Annuimmo contemporaneamente e
iniziammo a cercare gli strigoi affannosamente.
Ucciderli, grazie all’aiuto di
Christian, era davvero un gioco da ragazzi.
C’erano molti strigoi che tentavano
di entrare negli alloggi dei moroi giovanissimi e altrettanti erano anche i
guardiani, tra cui Dimitri. Ero felice di sapere che stesse bene.
Combattemmo per un po’ con tutte le
nostre forze, fin quando notai che Christian stava per cedere, aveva esaurito
tutte le sue energie e allora gli dissi di mettersi in salvo.
“Posso continuare” urlò offeso.
Lo strattonai.
“Hai dimostrato il tuo onore, ora
ti prego raggiungi gli altri moroi.”
Perse concentrazione ed io anche.
Uno strigoi lo attaccò alle spalle, lo scostai malamente facendolo cadere
brutalmente a terra e mi trovai così messa in svantaggio nei confronti di quel
mostro.
Iniziavo a perdere lucidità,
l’adrenalina era andata a calare e tutta la stanchezza accumulata nella
giornata si stava facendo sentire, proprio nel momento peggiore.
Lo strigoi mi tirò un pugno al viso
che mi fece accasciare a terra.
Sarei morta, lo sapevo. Già una
volta mi ero trovata a faccia a faccia con quella che credevo sarebbe stata la
mia ora, e forse, da quella volta, l’avevo solo prolungata.
Le forze mi avevano ormai
abbandonata. Non sentivo più i rumori della battaglia, a parte il distante battito
del mio cuore. I miei occhi si tenevano aperti a fatica, eppure ancora
resistevano e sapevano, che non erano quegli occhi rossi che volevano guardare,
non sarebbero stati quelli, l’ultima cosa che avrei visto. Voltai lo sguardo in
quella che ero certa essere la direzione giusta, me l’aveva indicata il cuore.
Ed eccolo lì. Dimitri stava correndo verso di me e mi tendeva la mano. Ero conscia
di essere troppo distante e lo era anche lui.
I suoi occhi incontrarono i miei, ed
ecco cosa volevo vedere: il suo amore per me. Non mi bastava altro. Me ne
andavo sapendo di aver amato e di essere stata amata.