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Autore: Monique Namie    06/08/2015    15 recensioni
Dylia fa parte del dipartimento di trasposizione della E-Security, un ente pubblico che si occupa della sicurezza dei cittadini residenti sui pianeti di un nuovo sistema solare colonizzato dall'umanità. Un giorno le viene affidata una missione in solitaria per scongiurare un attentato a una importante stazione spaziale, ma qualcosa non va come previsto e da allora la sua vita prende una piega del tutto inaspettata...
Una storia d'amore e d'odio, di persone guidate dalla bontà e di altre accecate dal desiderio di vedetta. Una storia disseminata di ostacoli in apparenza insormontabili e intrighi legati allo spionaggio che portano i protagonisti del racconto a fare i conti con situazioni complicate, in cui i concetti stessi di "bene" e "male" tendono a confondersi.
{Il primo capitolo ha partecipato a "Boom! Il contest che vi lascerà con il fiato sospeso!" indetto sul forum di EFP}
Genere: Avventura, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Trasposizione inversa - second chance
Questo capitolo si è classificato 5°
a "Boom! Il contest che vi lascerà con il fiato sospeso!" indetto da Sam27 sul forum di EFP.




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Immagine originale "Forever Yours" by Lecidre



Cap.1-Possibilità


Osservava il temporale in avvicinamento dalla terrazza dell’albergo in cui alloggiava da appena qualche ora e ripensava al viaggio da poco concluso. Dylia non aveva mai visto un cielo così violaceo in tutte le sue precedenti escursioni su quel pianeta. Nonostante nell'atmosfera si aggirassero frotte di droni deflatori, programmati per assorbire tutti gli elettroni in eccesso, l’aria restava carica d’elettricità statica e la sentiva sul viso e sui capelli come una mano invisibile che continuava a sfiorarla.
Il messaggio che le avevano girato quelli della E-Security, per cui lavorava, parlava chiaro: qualcuno avrebbe fatto saltare un ordigno all’interno della stazione Damon per il turismo spaziale a mezzogiorno in punto di quello stesso giorno. Ed erano già le undici. Ispirò profondamente e poi rientrò nel salotto della suite: mezz’ora era più che sufficiente per collegare le apparecchiature e assicurarsi del funzionamento del dispositivo di trasposizione. Dopodiché avrebbe indossato la tuta con gli elettrodi, l’avrebbe sincronizzata con il programma installato nel computer e, stesa sul letto, sarebbe caduta nel sonno vigile che era abituata a sperimentare da quando aveva ottenuto l’incarico di traspositrice. In conseguenza di quel processo la sua coscienza o, più correttamente, la sua proiezione astrale, si sarebbe separata dal corpo fisico e allora avrebbe potuto entrare in azione.
Quindici minuti prima dell'ora X tutto era pronto; il timer d’attivazione scattò alle undici e cinquanta e Dylia, senza complicazioni, si ritrovò improvvisamente all'interno della stazione Damon. Scansò un turista frettoloso che la stava per investire appiattendosi prontamente contro la parete del deposito oggetti smarriti. Trasse un sospiro di sollievo: il pericolo maggiore era proprio quello di finire imprigionati nel corpo di qualche ignaro passante, per cui in luoghi affollati come quello bisognava prestare la massima attenzione.
Prima di dirigersi verso l’albergo aveva volontariamente dimenticato una valigia dentro la navetta che l’aveva portata fin lì; poi aveva atteso pazientemente fuori dal mezzo di trasporto, confondendosi fra i viaggiatori che lasciavano la stazione, per assicurarsi che il bagaglio fosse portato effettivamente nel deposito. Se qualcuno avesse deciso di osservarne il contenuto non avrebbe comunque capito l’utilità dell’oggetto al suo interno: quella che appariva come una semplice scatoletta metallica, era in realtà un prototipo segreto che lavorava in simbiosi con l’apparecchiatura che Dylia aveva messo in funzione nella suite dell'albergo. Serviva per creare il presupposto di distorsione del campo elettromagnetico che consentiva al suo doppio astrale di venire scagliato lì alla stazione, quando il suo corpo fisico giaceva invece sul comodo letto del momentaneo alloggio. Senza di quell’oggetto, l’apparecchiatura per la trasposizione l’avrebbe proiettata in quella stessa camera a qualche metro dal letto su cui giaceva, diventando inutile per la missione.
Nel sonno vigile i sensi appaiono paradossalmente amplificati, il che significa che si possono percepire vaghe tracce dei pensieri inconsci e dell'aura delle altre persone. Mentre si muoveva con circospezione all’interno della stazione, Dylia poteva quindi osservare l’aura dei passanti e udire un continuo fastidioso vociare dentro la sua testa. Le sarebbe bastato sincronizzarsi come al solito con la frequenza di pensiero del terrorista per scoprire ciò che aveva in mente, dove aveva piazzato l’ordigno e come fare per disinnescarlo, ma quel giorno qualcosa offuscava i suoi sensi.
Il temporale in avvicinamento che aveva osservato un’ora prima dalla terrazza dell’albergo ora era esattamente sopra la città. Non scendeva una goccia di pioggia, ma si sentiva il rumore ravvicinato dei tuoni: era senza dubbio una tempesta di fulmini di grande intensità. Ipotizzò che la sua carenza percettiva fosse causata dall’elettricità statica presente nell’atmosfera. Un po’ perché si trovava ad agire da sola, senza l’ausilio di un collega, un po’ per colpa dei fulmini e dei sensi alterati, man mano che i minuti passavano e si avvicinava l’ora predestinata, una sensazione pressante d’ansia si faceva sempre più vivida in lei. Mancava pochissimo a mezzogiorno e lei continuava a vagare all’interno della stazione senza una direzione precisa. Poi, tutt'a un tratto, s'immobilizzò. Qualcuno era entrato nella camera dell'albergo e si era seduto di fianco al suo corpo addormentato sul letto: avvertiva distintamente la sua presenza, ma non riusciva a vederlo in faccia. Poi avvertì una mano sconosciuta accarezzargli i capelli sparsi sul cuscino e si sentì male. Chiunque fosse entrato in quella stanza non aveva di certo a cuore la sua sicurezza. Tutti sapevano che era rischiosissimo tentare un contatto diretto con una persona separata dalla sua componente astrale: nel peggiore dei casi poteva avvenire un arresto cardiaco fatale.
«Sei caduta in trappola come un'ingenua, cara Dylia.» La voce profonda e innaturale di un uomo risuonò amplificata nella sua mente. Le stava evidentemente parlando a qualche centimetro dal viso. «Non ci sarà nessun attentato questo mezzogiorno. Oh, tuttavia mi rifarò nei prossimi giorni, quando tu non potrai più interferire.» Le parve di vedere un ghigno malvagio nascere sulle labbra di quel misterioso individuo. In quel preciso momento scattarono le dodici in punto e alla stazione Damon tutto continuò a procedere tranquillamente; il computer nel salotto della suite interruppe il processo di trasposizione, ma il corpo astrale di Dylia rimase confinato lì dov'era. Doveva tornare indietro il prima possibile. Si mosse velocemente verso il deposito degli oggetti smarriti dove aveva lasciato la valigia e cercò di liberare la mente (più si avvicinava al dispositivo di distorsione del campo elettromagnetico, più sarebbe stato semplice tornare), ma continuava a sentire le mani di quello sconosciuto accarezzarla ora sulle le guance, ora sulle labbra, ora sul collo. Aveva bisogno di concentrazione assoluta per tornare, lui lo sapeva e agiva intenzionalmente per
metterla in difficoltà, eppure forse c’era una soluzione alternativa: si avvicinò alla base di lancio delle navette e notò alcuni cavi scoperti in una zona di lavori in corso opportunamente transennata. Attraversò come un fantasma le sbarre che vietavano l’accesso al pubblico e allungò le mani. Non era sicura che fosse una buona idea, l'unica cosa di cui aveva la certezza era che doveva trovare al più presto un metodo per tornare in sé e svegliarsi se non voleva fare una brutta fine. Afferrò i cavi. Una scossa di energia elettrica la investì e andò a riversarsi sull’apparecchiatura che aveva sistemato nella suite dell’albergo facendola fondere. Quando il meccanismo saltò, Dylia riacquisì immediatamente il controllo del proprio corpo e sferrò prontamente un pugno in faccia all’uomo che le stava davanti. Sentì un dolore acuto sulle nocche della mano, serrò i denti e alzandosi di scatto si preparò per il prossimo colpo ma qualcosa la bloccò. Shulik - così si faceva chiamare l’attentatore che si divertiva a far saltare ordigni esplosivi in luoghi pubblici - era davanti a lei con un rivolo di sangue che gli scendeva dal labbro inferiore.
«Mi hai fatto male», disse lui con un sorriso proprio di una personalità perversa che ama il dolore.
«Te ne posso fare anche di più se vuoi!»
«Non aspetto altro», rispose con tono provocatorio.
Lo sguardo dell’agente Dylia scivolò per qualche istante ai piedi del letto, sul tappeto che si infilava sotto al comodino dove aveva nascosto il taser elettrico in previsione di casi come quello, poi tornò a fissare l’uomo che aveva davanti. Lo aveva visto in faccia un paio di volte prima di allora, ma mai così da vicino e mai di persona. Aveva sventato alcuni dei suoi attentati, sempre in sicurezza, sempre agendo a distanza proiettando il suo doppio astrale nei posti predestinati; come fosse arrivato a lei era inspiegabile.
«Come hai fatto a trovarmi?», chiese.
Dagli occhi dalle iridi nere di lui guizzò una scintilla di desiderio immorale. Aveva un viso dai lineamenti aggraziati e capelli neri come la notte proprio come piacevano a lei. Sembrava impossibile che una persona così bella potesse nascondere un'anima corrotta; eppure quello che aveva davanti era un fuorilegge con una taglia a molti zeri sulla testa.
«Magia!», esclamò sorridendo sadicamente. Era chiaro che oltre ad essere pericoloso e senza scrupoli era anche del tutto suonato.
Per riprendere il controllo dalla situazione le bastava soltanto raggiungere il taser, ma qualcosa continuava a frenarla e non riusciva a capire se fosse paura o altro. Constatò che Shulik era disarmato e il rivolo di sangue che gli scendeva dall’angolo della bocca per lambire quel viso privo di difetti non era necessario; quasi le dispiacque di essere stata lei la causa di quell’imperfezione.
«Seguirmi fino in albergo è stato un gravissimo errore!», disse con voce alterata, cercando più che altro di convincere se stessa di quello che stava per fare.
«Uccidimi!», la provocò lui con una smorfia di sfida
. «Ah già, dimenticavo! Voi traspositori non avete armi mortali. Che fregatura!» E detto ciò, rise.
«Ti ucciderò lo stesso!»
«Oltre alla mia taglia riceverai un riconoscimento, una medaglia forse, poi ti trasferiranno in un dipartimento più prestigioso…», fece una breve pausa durante la quale non smise di fissarla con quegli occhi neri da diavolo, «… e non ci rivedremo mai più. Mai. Più.»
Lui l’avrebbe di certo uccisa senza rimorsi. Se ora era ancora viva lo doveva solo a se stessa, alla sua prontezza di riflessi e alla sua capacità di trovare una soluzione nei momenti peggiori. A lui non sarebbe importato niente se fosse stata costretta a vagare per sempre come un fantasma in un limbo a metà tra il mondo reale, per cui a lei non doveva importare niente di prendere quel taser e azionarlo contro di lui. Con uno scatto felino scese dal materasso, s’inginocchiò, afferrò l’arma dal nascondiglio e gliela puntò contro esercitando una leggera pressione sul grilletto pronta a fare fuoco. Tutto avvenne in un istante, ma al momento il tempo sembrò andare a rallentatore: Shulik si mosse a carponi verso di lei e, restando sopra al letto, afferrò con decisione il polso della mano con cui teneva il taser costringendola ad allentare la presa e a lasciar cadere l'arma. Lo sguardo di Dylia incrociò quello di Shulik e in quegli occhi scolpiti in un viso paradossalmente angelico, percepì qualcosa di indecifrabile, una misteriosa scintilla di luce. Perché non la faceva finita una volta per tutte? Senza proferire parola, le strinse più forte il polso iniziando a farle male. Sentiva che se non avesse agito immediatamente sarebbe entrata nel panico, quindi usando la mano libera raggiunse l'arma e premette il grilletto: i due dardi
si precipitarono sul torace del criminale scaricandogli addosso una scossa ad alta tensione. Shulik finì privo di sensi steso sul letto dopo un gemito.
Dylia si lasciò cadere seduta sul pavimento e si
massaggiò un po' il polso indolenzito mentre cercava di calmarsi. Ci avrebbero pensato i suoi colleghi a fare giustizia; la sentenza del tribunale extrasolare sarebbe stata senza dubbio una condanna a morte. Prese le manette che aveva nella fondina sul fianco e immobilizzò Shulik legandolo alla spalliera del letto. Nello svolgere quell'operazione si sorprese ad osservare quelle sue mani dalle dita affusolate; sembravano le mani di un artista, non quelle di un pericoloso criminale fissato con gli esplosivi. Scosse la testa per scacciare il pensiero e s’incamminò nella stanza del soggiorno in cui aveva lasciato le attrezzature per la trasposizione. Il dispositivo principale era completamente fuso, ma il salvavita collegato al portatile aveva fatto il suo dovere. Ora le bastava premere un tasto per inviare alla centrale gli aggiornamenti sulla missione. Le bastava premere un tasto per segnare la fine della miserabile vita di quel fuorilegge.
Click.

Quando uscì dall’albergo i raggi del sole ormai avevano iniziato a filtrare tra le nubi sempre più rade. La prima volta che si era trovata nella condizione di dover uccidere a sangue freddo un criminale le mani le tremavano. Al tempo faceva parte della squadra di assalto. Le avevano detto che doveva guardare la sua vittima negli occhi per poter superare velocemente lo shock e così aveva fatto. Ricordava ancora l’espressione sgomenta rimasta impressa sullo sguardo di quell’uomo anche dopo avergli sparato. Il tempo per lui sembrava essersi cristallizzato, congelato. Sarà stato anche un assassino, ma guardarlo negli occhi non era servito a farsene una ragione. Chi era lei per decidere di porre fine alla vita di una persona? Si rese conto in quel momento che, con buona probabilità, era stato quel suo attaccamento ai valori il motivo reale per cui aveva fatto domanda di trasferimento nel dipartimento di trasposizione. Almeno lì, l'unica arma utilizzata per la difesa era il taser elettrico e non veniva mai chiesto di giustiziare qualcuno guardandolo negli occhi per superare il trauma.
Percorrendo la strada che portava verso la stazione ripensò a Shulik, a quel suo volto dai lineamenti perfetti nonostante il rivolo di sangue che gli scendeva dal labbro. Quell'immagine di lui le si era stampata nella mente. Entrò in stazione passando prima per il deposito degli oggetti smarriti a ritirare il bagaglio che aveva volontariamente dimenticato. Osservò una squadra di operai che cercava di spegnere le fiamme con un estintore lì dove, in una zona di lavori in corso esclusa al pubblico, si era verificato un inspiegabile cortocircuito. Per un attimo ebbe un ripensamento; automaticamente portò una mano nel fianco dove aveva riposto le manette nella speranza di non trovarle, invece erano proprio lì al loro posto. Nel biglietto lasciato sul comodino aveva scritto: Ti propongo una sfida, tu e io, senza coinvolgere più nessun innocente. Ci stai?
Se il capo del dipartimento avesse saputo quello che aveva fatto, l’avrebbe come minimo rimossa dall’incarico e costretta a seguire le sedute di uno psicoanalista. Aveva fatto la cosa giusta dando a quel criminale una seconda possibilità? Assolutamente no. Non si aspettava nemmeno di ricevere una risposta. Molto probabilmente avrebbe ricominciato a far saltare ordigni in luoghi affollati ferendo a morte gente innocente e la colpa sarebbe stata tutta sua: una traspositrice che non aveva avuto il coraggio di agire secondo la legge. Avrebbe dovuto essere radiata ed esiliata su un pianeta-circondariale.
Spostandosi verso la piattaforma di lancio notò uno strano fermento tra i viaggiatori; all'inizio non capì, poi sollevò lo sguardo verso i tabelloni elettronici che recavano gli orari e le destinazioni delle prossime partenze e comprese il motivo di tanto agitarsi: al posto delle consuete informazioni compariva una sola scritta a caratteri cubitali: Solo tu e io.
Un sorriso spontaneo le illuminò il volto. Shulik si era ripreso, aveva letto il messaggio e aveva accolto l'invito. Tutto era pronto per una nuova sfida, ma questa volta sarebbe stato diverso, se lo sentiva.





Note autore:
La storia potrebbe benissimo terminare qui. In realtà il capitolo era nato proprio per essere una one-shot, poi però mi sono affezionata troppo ai personaggi che ho creato e, poiché odio i finali, ho deciso di continuare la narrazione. Sarò ben lieta di leggere i vostri pareri al riguardo.
In questa storia c'è molta fantascienza e qualche elemento che può essere ricondotto al sovrannaturale. Se qualcuno si interessa vagamente di esoterismo è probabile che abbia intuito qualcosa di familiare.


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"Inverse Transposition" di Monique Namie
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