Libri > Una serie di sfortunati eventi
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Autore: Valyna    06/08/2015    2 recensioni
Ambientata durante il quinto libro della saga, L'Atroce Accademia. One shot introspettiva sui pensieri di Duncan Pantano durante la messinscena che architetta con la sorella Isadora per permettere ai Baudelaire di studiare per l'esame del Vicepreside Nero. Dato che la sua personalità è stata praticamente abbozzata nel libro, ho pensato di inventare alcuni dettagli sul suo carattere e sulla sua famiglia che non ci sono stati rivelati nei libri. Se ci sono errori o parti che contrastano con eventi canonici, vi prego di farmelo sapere.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Conte Olaf, Duncan Pantano, Isadora Pantano
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Duncan Pantano era un ragazzo coraggioso. Per quanto lui stesso non amasse definirsi tale (a differenza di sua sorella Isadora che, in quanto poetessa, era solita lasciarsi affascinare da parole del genere) e per quanto potesse sembrare strano usare una parola come “coraggioso” per descrivere un ragazzo della sua età, – dodici anni e mezzo, dei quali sei erano stati dedicati completamente all'imparare la nobile arte del raccontare con oggettività e precisione i fatti accaduti in giro per il mondo, altrimenti detta giornalismo – in questa situazione poteva, forse, essere la parola adatta. Tutto ciò aveva un che di contraddittorio, soprattutto se pensato da uno come lui, dato che, in molti casi, la parola “coraggioso” nasconde dietro di sé una certa soggettività di descrizione – e un giornalista non deve mai farsi prendere dalle proprie emozioni o lasciarsi condizionare dal proprio giudizio nel presentare i fatti al pubblico. Ma se, per qualche serie di sfortunati eventi, due trigemini di dodici anni e mezzo si fossero trovati a dover ingannare, con un travestimento mediocre (e Duncan era certo che fingersi qualcuno portando un nastro o un paio di occhiali di proprietà di questo qualcuno non potesse definirsi travestimento), un criminale e maestro dell'inganno, nella speranza di salvare i loro cari amici dalle grinfie del suddetto malfattore, forse , anche usare una parola così altisonante come “coraggioso” poteva rivelarsi appropriato (e di questo Duncan ancora non era sicuro).

 

Mentre trascinava il sacco di farina che avrebbe dovuto recitare la parte di una bambina di quattro anni esperta nel mordere le cose, tra tutto quello che avrebbe potuto fare, Duncan ripensò alla sua vita di qualche anno prima. Non era una cosa che gli succedeva spesso; solitamente era Isadora quella che si metteva a ricordare della loro infanzia o del loro tempo speso con i genitori, e magari, per l'occasione, ci scriveva anche un distico. Per quanto riguardava lui, non avrebbe avuto molto senso ricordare i momenti passati insieme ai genitori: era vero che il suo compito era quello di riportare i fatti, ma questo valeva solo nel caso di avvenimenti importanti per la società, come ad esempio le cause dell'incendio che aveva coinvolto la sua famiglia, oppure i crimini e le atrocità commesse dall'aguzzino dei suoi amici Baudelaire, il conte Olaf, o ancora la misteriosa società VF che sembrava avesse a che fare sia con i suoi amici che con il loro persecutore. E su quelli lui aveva già preso appunti nel suo quaderno dalla copertina verde scuro. Con un movimento inconscio portò la mano verso la tasca destra della sua divisa, come per toccare il suddetto quaderno, ma venne a contatto solo con il tessuto del maglione e quasi lasciò andare il sacco che stava trascinando. Per un attimo, aveva creduto di aver perso il suo prezioso quaderno, per poi ricordarsi, un momento dopo, che ovviamente non poteva averlo tasca: l'aveva prestato a Violet Baudelaire, in modo che lei potesse studiare le noiosissime storie del signor Remora e passare l'esame del Vicepreside Nero l'indomani. Tutto ciò gli fece rallentare il passo e sua sorella si voltò verso di lui con sguardo interrogativo, come per controllare che andasse tutto bene. Lui le rispose con un cenno del capo e un sorriso, anche se no, non andava tutto bene. Non andava tutto bene perché il suo normale pensiero razionale da giornalista non stava funzionando in quel momento, mentre invece sarebbe dovuto essere la cosa che avrebbe permesso ai due trigemini di mantenere la calma ed evitare di venire smascherati dal conte Olaf.

 

Nel buio e nel silenzio del prato della scuola improvvisamente risuonò una voce che i due ragazzi riconobbero subito: era l'Allenatore Genghis, o per meglio dire, il conte Olaf travestito, che aspettava le sue vittime (o, come avrebbe preferito chiamarli lui, i suoi cari studenti) per l'addestramento CRAMPO. Duncan fece un grosso respiro e chiuse gli occhi, cercando di non ripensare agli articoli letti riguardo l'uomo che gli si trovava davanti, dove si narrava dei suoi svariati omicidi (dei, purtroppo, a causa della sua memoria eccezionale, ricordava perfettamente ogni dettaglio) e portando una mano al viso per sistemare gli occhiali di Klaus che stava indossando, unico elemento del suo travestimento. I due trigemini fecero attenzione a mantenersi a debita distanza dal loro finto insegnante e Duncan ebbe cura di mantenere sempre dietro di sé il sacco che doveva interpretare la parte di Sunny. Seguendo la luce della vernice fosforescente con la quale il secondogenito dei Baudelaire aveva disegnato un cerchio qualche giorno prima, i due iniziarono a correre in tondo, senza riuscire nemmeno a scambiarsi uno sguardo per timore di venire scoperti. Ogni volta che si avvicinava all'allenatore, Duncan sentiva lo stomaco stringersi in una morsa letale e ogni volta che sentiva su di sé lo sguardo avido e crudele dell'uomo, si trovava a desiderare davvero con tutto il cuore, con un'intensità mai provata prima, di trovarsi di nuovo nella sua casa, dentro la biblioteca dei suoi genitori, al sicuro. Mentre ansimava e sentiva il sudore scorrere lungo il suo viso, Duncan rivide il volto di sua madre e si perse nei ricordi del suo passato.

 

Fin da quando erano piccoli (e a quel tempo gli sembrò nientemeno che una coincidenza, anche se poi gli eventi futuri avrebbero svelato che in realtà non lo era affatto), lui, Isadora e Quigley avevano sviluppato delle abilità nel campo della scrittura: Quigley si era appassionato di cartografia e passava ore chiuso nello studio con loro padre a studiare le varie mappe del mondo che erano state disegnate nel corso degli anni, mentre Isadora amava le poesie e passava ore nella biblioteca di famiglia a leggere le opere dei suoi autori preferiti. Duncan invece teneva da parte tutti i giornali che arrivavano a casa Pantano e, giorno dopo giorno, ritagliava da essi gli articoli che più gli piacevano o lo interessavano, per poi studiarli e cercare di ricordare ogni dettaglio delle vicende da essi narrate. Questa attività di selezione degli articoli veniva svolta nella biblioteca, vicino alla scrivania di sua madre, perché in quel punto della stanza erano disponibili colla e forbici che servivano al giovane giornalista in erba per tenere insieme i suoi preziosi ritagli. La madre dei trigemini Pantano era una scrittrice, e i suoi racconti erano amati in tutta La Città e oltre; il suo stile di scrittura, le trame che la sua mente inventava e i personaggi da lei creati erano unici e particolari e la donna era considerata un genio della sua professione. Duncan non poteva dire di apprezzare particolarmente gli scritti di sua madre (cosa che invece era più congeniale a Isadora, che avrebbe passato ore a leggere e rileggere le frasi perfette che uscivano dalla penna – o per essere più precisi, dalla macchina da scrivere – della loro mamma), ma, nonostante ciò, si trovava spesso in sua compagnia, dato che, molto spesso, lavorava vicino a lei. Ogni tanto, la madre condivideva con lui la trama della sua nuova storia, o un particolare evento del passato di un suo nuovo personaggio, o, quando Duncan trovava pochi ritagli interessanti nei suoi giornali, faceva con lui anche discorsi più complessi, ad esempio su come avrebbe potuto reagire un certo personaggio a una determinata situazione o su come si sarebbe potuta evolvere la relazione tra due dei suoi personaggi. All'inizio, il trigemino giornalista non era molto interessato; insomma, si trattava di fatti e avvenimenti fittizi, senza alcuna connessione con la realtà. Poi, con il tempo, imparò che, nonostante i nomi dei personaggi e delle città dove venivano ambientate le vicende fossero inventati, i fatti in sé potevano rispecchiarne alcuni avvenuti davvero, e dando un certo finale alla storia o facendo dire certe battute ai personaggi, si poteva anche esprimere un proprio giudizio o un'opinione sulla vicenda, senza venire etichettato come imparziale. Un giorno, in un libro di storia, la sua materia preferita, trovò anche un resoconto di uno scrittore che riuscì a denunciare le ingiustizie che avvenivano nel suo paese attraverso i suoi scritti, in un periodo in cui i giornalisti non potevano raccontare la verità nei loro giornali perché censurati dal governo. Da quel momento, vide la madre sotto una nuova luce e nonostante l'amore per i fatti e per la cronaca rimase (la sua devozione alla verità non gli avrebbe mai permesso di raccontare un avvenimento dando dei nomi fasulli ai protagonisti), iniziò comunque a leggere i suoi racconti e a vedere nei personaggi della madre il riflesso di persone incontrate nella vita reale. Il suo tipo di personaggio preferito, o meglio, quello di cui gli piaceva parlare di più con sua madre, era il cattivo della situazione: la donna gli diceva sempre che scrivere di personaggi del genere le risultava molto facile perché nel mondo degli adulti c'erano molti individui del genere, e l'ispirazione purtroppo non le mancava mai.

Qualche sera prima dell'incendio aveva abbracciato suo figlio facendogli promettere che sarebbe sempre stato attento a ciò che succedeva intorno a lui e che sarebbe sempre stato in grado di analizzare velocemente e razionalmente la realtà, in modo da riconoscere gli adulti con cattive intenzioni, in modo da essere sempre accorto a non venir smascherato per primo da uno di loro, in modo da essere in grado di proteggere i suoi fratelli e i suoi amici, in modo che niente sarebbe andato storto.

 

Quelle stesse parole risuonarono nella mente del ragazzo, quando si accorse di non trascinare più il sacco di farina e gli occhi piccoli e neri del conte Olaf gli vennero incontro. “Niente andrà storto”, le stesse parole che aveva detto a Klaus con fermezza qualche ora prima, le stesse parole che gli ripeteva dolcemente la madre, fiduciosa nelle sue abilità.

 

Duncan avrebbe voluto essere un ragazzo coraggioso; un ragazzo coraggioso in grado di mantenere il sangue freddo, in grado di capire che non era un buona idea abbandonare il sacco che doveva interpretare la parte di Sunny alla mercé del conte Olaf e, soprattutto, in grado di proteggere sua sorella e i Baudelaire dall'enorme sfortuna che ora si stava abbattendo su di loro per colpa sua. Ma, evidentemente, “coraggioso” non era la parola giusta per descrivere Duncan – come volevasi dimostrare, sulla scelta delle parole appropriate lui non si sbagliava mai – e tutto nella sua vita, da quel momento, sarebbe andato sempre più storto.

 

 

 

Note dell'autore

Grazie per essere arrivati a leggere fin qui. In questi giorni ho ripreso in mano i libri della serie e mi sono ritrovata a rileggere L'Atroce Accademia. Dato che i Pantano sono i miei personaggi preferiti del libro (dopo il conte Olaf) e che Duncan è stato uno dei miei primi amori quando lessi i libri per la prima volta, ho pensato di scrivere questa one shot introspettiva sui pensieri che potrebbe aver avuto durante la messinscena architettata da lui e Isadora. Come credo sia ovvio, più del 50% di questa fanficion è puramente inventato, in quanto Isadora e Duncan compaiono principalmente nel quinto libro e hanno un carattere e in generale una backstory poco più che abbozzati, ma mi sembrava giusto dare un po' di spazio anche a loro che, a pensarci bene, sono stati l'elemento che ha indirizzato la storia verso la trama più importante che era rimasta nascosta nei primi quattro libri. Ovviamente, comprendo che il compito del signor Lemony Snicket era quello di riportare le vicende dei Baudelaire e non dei Pantano, ma non nego che mi renderebbe molto felice se qualche altro scrittore temerario decidesse di farsi carico dell'onere di raccontare anche la vicenda dei trigemini. (Tra l'altro, è la primissima volta nella mia vita in cui scrivo su personaggi provenienti da un libro e non da anime/manga, quindi sono molto preoccupata di aver fatto un disastro)

Valyna

  
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