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Autore: Overlook    10/08/2015    5 recensioni
Dragon Ball Z
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"Gli occhi iniettati di sangue si aprivano e chiudevano ad intermittenza, cercando di mettere a fuoco le immagini sgranate che gli si paravano dinanzi. [...] Altra tosse sanguinolenta, altri sputi a terra ed altri agghiaccianti rumori d'ossa infrante a pochi metri da lui. [...] Il riflesso gli faceva scorgere anche l'altra persona che occupava quel suo stesso spazio, spostata alla sua sinistra, apparentemente incurante ed ignara di ciò che si era svolto sino a qualche istante prima innanzi ai suoi occhi[...]".
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Al cuore di uno degli eremitici ritiri del Principe dei Saiyan per allenarsi e sfogarsi, in un momento cruciale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Clamor, omen" diOverlook è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

 

 

Clamor, omen

di Overlook, 2015©

 

Gli occhi iniettati di sangue si aprivano e chiudevano ad intermittenza, cercando di mettere a fuoco le immagini sgranate che gli si paravano dinanzi. Parevano infernali spirali di fumo violaceo, emanavano fetido odore di carcasse umide e stagnanti; si udivano ronzii elettrici, si facevano via via sempre più vicini, sempre più famelici alle orecchie frastornate e deboli di lui, apparentemente riverso a terra, come fosse svenuto momenti prima. La luce doveva essere scarsa, in realtà, anche se gli pareva invece essere quasi accecante. Guizzi di sangue nero come la pece fluttuavano nell'aria rarefatta come avessero avuto vita propria, non sapeva da dove provenissero, né quando si sarebbero arrestati in quel vorticoso percorso a volute che stavano seguendo. Forse erano solo inganni della sua mente ottenebrata, probabilmente aveva solo bisogno di strizzare le palpebre arse e sudicie con i palmi delle mani, così pesanti e sporche, quasi avesse scavato a lungo nel terriccio che lo circondava, come se avesse preparato la propria tomba o fosse appena riuscito ad uscirne.

La sensazione di nausea, una cinghia stretta al massimo attorno alla bocca dello stomaco, si faceva più intensa ad ogni affannato respiro, la testa doleva come dopo un gran colpo inferto alle spalle, sulla nuca e quel gran fumo denso, fitto, quasi palpabile sembrava proprio stesse per inghiottirlo; a nulla stavano servendo gli strepitanti scatti di gambe e braccia per muoversi, spostarsi da lì, schivare quelle fauci fameliche e stordenti, a nulla era valso urlare la propria disperata sorpresa; era solo, solo in un vuoto pulsante ed infernale, tremendamente a disagio con sé stesso, come se corpo e mente non fossero più in grado di rimanere congiunti nello stesso individuo. Una tosse secca, rimbombante, riuscì a trovare una via d'uscita dalla gola sanguinolenta, provocandogli fitte di mille lame affilate fin sul palato. Aveva sputato al suolo nero e osceno, colmo di altrettante putride tracce ed era proprio in quell'istante che, come non fosse esistita alcuna legge di tridimensionalità e spazi, dinanzi a quegli occhi allucinati era comparso un bambino, i capelli corvini e dalla forma d'una fiammella, con il piccolo ciuffo sbarazzino sull'ampia fronte madida di sudore ed un paio di occhi severi, ma ancora innocenti, irrorati di lacrime dense e furenti.

 

Padre, io... I-io volevo soltanto mostrarvi i miei progressi, volevo s-solt-”

 

Taci, Vegeta! Ho preso la mia decisione, tu ti unirai a noi tutti al fianco del potente Freezer e ne diventerai il pupillo. Non ho tempo di badare ai tuoi insulsi piagnistei, non voglio perdere il mio tempo dietro a stupidaggini da poppante. Mi stai deludendo, Principe Vegeta, ti credevo diverso, superiore a tutti gli altri tuoi coetanei, almeno per estrazione... Che c'è, ho forse sbagliato i miei calcoli a non aver spedito anche te nell'iperspazio alla conquista di altri pianeti?!”

 

N-No, padre, perdonatemi. No-Non so cosa mi sia preso, che sciocco, torno immediatamente nelle mie stanze, continuerò ad allenarmi in vista dell'incontro con il grande Freezer. Non vi deluderò, padre.”

 

Lo spero bene. Ora va', hai già trascorso fin troppo tempo, per oggi, nell'ozio. Muoviti!”

 

Con un boato sordo, Re Vegeta aveva serrato il portellone della propria stanza di comando, innanzi ai piccoli occhi d'ebano del figlio di appena una decina d'anni, forse meno, frastornato e mortificato fin nel midollo, con le mani inguantate, sudate ed incapaci di reggere ancora il piccolo pupazzo in plastica ritraente un alieno rettiliano, col quale avrebbe voluto giocare silenzioso e ben nascosto solo qualche minuto, prima di tornare a straziare il proprio corpicino di guerriero nobiliare. La statuetta cadde così a terra, restituendo un tonfo metallico e sterile, del tutto inascoltato dai numerosi soldati che pattugliavano i corridoi limitrofi. Gli occhi carichi di lacrime dense come lava, intrise di disincanto e di mute richieste di attenzione, aveva dovuto schermarsi lo sguardo con le mani contrite e correre lontano il più in fretta possibile, prima che il Re, suo padre, avvertisse il suo disperato pianto, isolato, solitario e ferito, corroso ormai irreparabilmente nella sua innocenza di bambino. Mille e più cocci di purezza gioviale giacevano ora dinnanzi a quel piccolo principe abusato.

 

 

Altra tosse sanguinolenta, altri sputi a terra ed altri agghiaccianti rumori d'ossa infrante a pochi metri da lui, ma non riusciva a scorgere nulla, non v'era niente, solo il più buio degli sfondi, inondato ancora da quella persistente fumiga lorda e puzzolente, alle cui estremità s'ergevano ululanti mulinelli veloci e spaventosi, che parevano inghiottire in un macabro infinito qualunque cosa si fosse a loro appressata. Non era neppure riuscito a chiedersi perché si trovasse... lì, qualunque cosa quel posto orrido rappresentasse, né come diavolo avesse fatto a finirci, ma pareva essergli innaturalmente sottintesa, invece, la natura di quel luogo ed il perché del suo trovarvisi.

 

“Non lì... No, Freezer... Ti scongiuro, non farlo... Lo prometto, non accadrà mai più, n-no... Nooo!”

 

Il portellone enorme e pesante fu chiuso davanti al suo volto appena adolescente e ai suoi fianchi dolenti ed ammaccati erano già comparsi bracci metallici arroventati, pronti a ghermirlo e fustigarlo. Due soldati incappucciati e coperti di una spessa corazza verdognola lo avevano di sorpresa colto alle spalle, legandogli tenacemente entrambi i polsi su di una rigida asse in gelido acciaio, costellata di acuminati punteruoli rotanti, quasi impazienti di toccare, bucare e torcere quel piccolo corpo, tanto muscoloso, tanto giovane, tanto già straziato. Urla di dolore, odio e ricerca di un padre già perso che lo soccorresse erano divampate come fiamme nei pressi di quell'umido, stretto corridoio terminante in una scala sotterranea, lì dove si ergeva l'ingresso della Stanza delle Lezioni. Invero conosciuta ai più cocciuti esemplari Saiyan come la buia stanza della base mobile di Freezer in cui corpo e mente venivano trafitti un'intera notte, senza sosta, dai più sporchi e purulenti aggeggi punitivi, in una lotta mai pari tra macchina ed essere vivente, spesso e volentieri scatenata a causa dei più futili ed umani motivi.

Quella sera Vegeta s'era fatto cogliere in flagrante, a porgere seccamente un lurido bicchiere colmo d'acqua stagnante ad un cucciolo d'alieno catturato insieme ai genitori, già barbaramente dilaniati e consumati durante il banchetto di festeggiamento per la conquista del pianeta ZT098, ai confini della galassia dell'Est; meandri sconosciuti a chiunque, ma non a Freezer ed al suo esercito di mercenari. Sulle prime assolutamente indifferente alle suppliche mugolanti di quell'esserino verde, squamoso e goffo, anzi quasi sadicamente compiaciuto, pur di non udire più quegli fastidiosi strepiti aveva ferocemente afferrato il primo contenitore utile che avesse qualcosa di bevibile al suo interno, poco e niente gli interessava, se fosse stato potabile o meno.

Intanto, per la fine che avrebbe dovuto fare di lì a poco il suo destinatario...

 

 

A nulla era valso quello sguardo così spaventato, di ragazzino violentato e violentatore, plasmato come creta a divenire malvagità allo stato puro, completamente sotto il controllo del suo signore, del suo nuovo padre. Le guardie più robuste lo avevano accerchiato e condotto al quel cospetto, barcollante, la caviglia sinistra rotta dai feroci colpi di spranghe in ferro ed un occhio emaciato, socchiuso. Le tenere labbra, serbanti una dentatura appena maturata definitivamente, ancora seghettata, erano livide e sanguinanti, spaccate in più punti, quasi a volerle forzare a restare serrate com'erano.

Freezer non aveva sentito ragioni, tanto meno lui aveva cercato di dargliene, l'orgoglio innato gliel'aveva inizialmente impedito. Sperava in un unico colpo violento al capo, com'era già accaduto, per farlo svenire e ricondurlo dunque nelle sue stanze, dove si sarebbe svegliato svilito, tramortito e ancor più furente. Invece Freezer sorrise beffardo, centellinando il consueto calice di vino rosso, facendo un cenno inequivocabile ai propri tirapiedi.

 

E mentre quei punteruoli insistevano a torcere e strappare quei giovani tendini, negli occhi irrorati di sangue e lacrime infetti montava una rabbia ed un inespresso bisogno d'aiuto insormontabili, che prima di quanto si potesse pensare stavano ergendo un muro di granitica, triste solitudine che presto lo avrebbe sepolto vivo.

 

 

Pareva dovessero fuggire dalle loro stesse orbite, quegli occhi d'ebano, sbarrati davanti a scene già vissute, così lontane, ma così tangibili, dislocate dinanzi al suo sguardo mostruosamente deformato. Il cuore gli scoppiava in petto, si scorse nudo e letteralmente ricoperto di sangue sino alle mani, che rispettivamente reggevano l'una un vecchio ed infangato prototipo di giocattolo alieno, che pareva piangesse ininterrottamente e disperatamente, con quella sua stessa voce di bambino e l'altra reggeva un groviglio indistricabile di corti e fini capelli color lillà.

 

 

Ϟ

 

 

Il repentino movimento, violento e terrorizzato, di Vegeta tra le candide lenzuola fece sussultare e scappare in un battito di ciglia il piccolo micio nero che ore prima si era accoccolato proprio ai piedi di quel letto, avvertendo nella silenziosità e nelle movenze felpate di quell'alieno fonti di quiete e riparo notturni, probabilmente.

Vegeta seguì per un istante l'immaginaria traiettoria di quella fuga, poi lo sguardo si posò esterrefatto ed ancora violentemente scosso dinanzi a lui stesso: la sponda di un letto ampio e ormai rovente, una camicia da notte in seta bianca appallottolata malamente sulla poltroncina di fronte; una specchiera colma di spazzole, profumi, vasetti ed altre insulse velleità tipicamente femminili gli restituiva un'immagine di sé ch'era sconvolta e impallidita, madida e nauseabonda. Il riflesso gli faceva scorgere anche l'altra persona che occupava quel suo stesso spazio, spostata alla sua sinistra, apparentemente incurante ed ignara di ciò che si era svolto sino a qualche istante prima innanzi ai suoi occhi onirici. Bulma, nuda e lattescente, nel gioco di un pallido filo di luce che la Luna ricamava su quella stanza attraverso le imposte serrate, dormiva prona e quieta, immobile tranne che nell'impercettibile sollevarsi delle scapole sotto la spinta del seno importante; s'alzava e s'abbassava al ritmo lento e profondo dei suoi respiri.

Un ammontare eterogeneo di stizza per l'indifferenza di lei, ma anche e soprattutto di sollievo nell'aver realizzato si trattasse solo di un orribile incubo, si fece strada nella coscienza del principe, che si risolse in fretta a dedicarsi una breve doccia rinvigorente, dunque a vestirsi della propria battle suite e partire veloce alla volta di una delle sue consuete, eremitiche permanenze ai confini di quel mondo. Quasi pareva una stella cadente nelle notti di quel mese estivo e rovente, nella scia di luce che aveva lasciato come traccia del suo tragitto, nel mezzo di quel cielo terso che ora ammantava un'insonnolita e amaramente sorpresa Bulma, seduta ai piedi del letto coperta in fretta dalle sole lenzuola, con gli occhi cristallini rivolti proprio a quella finestra ormai completamente spalancata.

 

 

Ϟ

 

 

Se il colore bianco fosse stato reale e non solamente percettibile, Bulma quel mattino avrebbe di sicuro giurato che tutto, intorno a lei, aveva assunto interamente quei toni candidi. Invano aveva provato a riaddormentarsi dopo essere stata bruscamente svegliata dal rombo potente dell'energia spirituale ch'era servita al compagno per innalzarsi in volo verso lidi inesplorati. S'era risolta a scendere pacatamente le scale, sbuffando appena, giungendo poco dopo all'interno dell'ampia cucina; il pacchetto di sigarette dimenticato lì ore prima, un posacenere in ceramica verniciata ed un thermos colmo di tea bollente, le avevano tenuto debole compagnia, all'aria appena fresca delle prime luci dell'alba trascorse seduta in una delle molte terrazze semicircolari.

Il cerchio alla testa che l'eccessivo fumare le aveva provocato, misto al buco allo stomaco causato dall'interruzione brusca di un sonno profondo, le stavano restituendo solo il bianco, come riflesso d'ogni cosa e persona scorgesse al rientro in casa.

 

“Buongiorno, mamma!”

 

“Ehi, ciao tesoro, buongiorno, ti spiacerebbe parlare a voce bassa? La mamma ha un gran mal di testa, purtroppo, oggi”.

 

Trunks, di appena sette anni, ma prevedibilmente molto più brillante ed autonomo di quella tenerissima età anagrafica, si portò subitamente entrambe le mani sulla boccuccia colpevole, chiedendo scusa con uno sguardo dolce eppure già così serio e somigliante a quello del padre.

 

“Ehi, ma... Dov'è papà? Ieri sera la nonna ci ha lasciato in forno quella deliziosa crostata alle fragole... È così buona, di solito sono fortunato a trovarne ancora qualche briciola, se papà la trova per primo, eh eh!”

 

Aveva seguitato lui, sinceramente confuso dall'assenza del genitore silenzioso, ma sempre accanto a loro, al contrario di quel Goku, padre dell'amichetto Goten, di cui proprio costui tanto tesseva le lodi, ma che onestamente Trunks ancora non aveva scorto nei paraggi, nemmeno per un istante. Ne aveva solo udito la voce, giorni prima. Per quanto sveglio e sensibile potesse già essere quel bambino, Bulma aveva preferito glissare un altro po' sul reale stato dell'amico, deceduto per salvare tutti loro. Aveva chiesto la stessa indulgenza anche a Vegeta, che curiosamente aveva accettato di buon grado, anzi, che aveva pure compreso, come se appunto avesse trovato anch'egli inopportuno mettere il così giovane figlio già al corrente di certi spiacevoli eventi che l'essere al mondo comportava, prima o dopo, per chiunque.

 

“Mi dispiace, tesoro, ma temo che per oggi la torta e gli allenamenti saranno tutti tuoi, tuo padre se n'è volato chissà dove nel bel mezzo di questa notte, ohi...!”

 

La donna reggeva con indice e pollice la tempia sinistra, poggiata coi gomiti al tavolo. Con gli occhi contriti dall'indolenzimento, seguiva l'incedere del debole fumo che fuoriusciva dalla tazza colma di latte bollente tra le mani del ragazzino, seduto di fronte a lei.

 

“Oh, capisco... Accidenti! Proprio oggi che volevo chiedergli di giocare con me con uno dei nuovi robot che mi ha regalato il nonno, uffa! Me lo aveva promesso, se mi fossi allenato a dovere sin dal mattino, mi avrebbe accontentato...”

 

Lo sguardo luminoso si fece triste e un poco deluso, ma Bulma ne sciolse la pena poco dopo

 

“Beh, sono sicura che se te lo ha promesso lo farà, lo sai com'è fatto tuo padre, è difficile avvicinarlo, ma è sempre accanto a noi”.

 

Pur parlando con convinzione, un'amara verità saltellava da una sponda all'altra della consapevolezza della scienziata. In realtà era difficile per il figlio, avvicinare il padre; assai meno per lei e questa volta non certo solo per dei carnali seppur intensi incontri occasionali, ma per intere ore, intere giornate, trascorse nel quasi totale silenzio, in cui il principe dei Saiyan sembrava trovasse piacere nell'avere, ben distanziata, ma almeno nella stessa casa, Bulma, comunque affaccendata nei propri complessi calcoli e più svariati lavori. Quasi ogni notte, ormai, una delle due camere da letto rimaneva vuota e con la porta accostata, l'altra era imprevedibilmente più che piena e assai ben serrata.

Il piccolo Trunks stava riuscendo soltanto da poco nell'impresa d'averlo accanto più o meno quotidianamente, avvolto in un alone severissimo, quasi esclusivamente per la sola durata dei loro allenamenti, con qualche raro sipario di un'uscita al parco, se i risultati nella Gravity Room avevano lasciato abbastanza soddisfatto il principe e se l'umore volgeva nel verso giusto.

 

“Sì, hai ragione mamma! Aspetterò, intanto ora che mi viene in mente, ieri pomeriggio Goten mi ha chiesto di raggiungerlo a casa sua oggi, starò da lui sino al mattino; vuole farmi vedere la sua bicicletta nuova, ma rimarrà di stucco quando vedrà questo gioiellino!”.

 

Fiero e incredibilmente... Saiyan, Trunks agitava tra le mani il nuovo robottino donatogli dal Dott. Brief in occasione del suo sesto compleanno, già assorto nelle proprie fantasie di bambino, per quanto alieno a metà.

 

“D'accordo, ma cerca di non sporcarti troppo e ringrazia Chichi dell'ospitalità, fa' come ti ho insegnato, da bravo. Ora va', corri a lavarti i denti, non vorrai far aspettare il piccolo Goten!”

 

Facendogli un occhiolino complice, Bulma era riuscita ad infondere nuovo entusiasmo al figlio, sollevata d'avergli fatto momentaneamente dimenticare il vuoto che non apertamente, ma palesemente si erigeva in quegli occhietti blu durante le assenze di Vegeta.

 

 

Ϟ

 

 

Come se un'intera porzione di soffitto fosse precipitata d'improvviso sul letto.

Ecco cosa a Bulma era sembrato, quel peso enorme esploso in mezzo ai suoi sogni notturni più profondi. Non aveva aperto gli occhi, ma per un attimo il respiro le si era mozzato in gola e le gambe affusolate s'erano intrecciate ed avvicinate all'addome, come a proteggersi. Solo per una frazione di secondo aveva provato del timore, nella maniera più naturale e sorprendente possibile s'era poi vista sollevata e cullata dal solo fatto che il compagno le giacesse accanto. Se lui era ancora lì, fermo, nulla -o, almeno, non di grave- era accaduto.

Ignara che proprio il compagno le aveva involontariamente provocato tale illusione sensoriale di frastuono, la donna continuava adesso a chiedersi cosa mai fosse accaduto nel cuore più buio di quelle ore passate, tale da rendere a Vegeta così insopportabile il rimanerle affianco sino all'ora del risveglio.

Un cipiglio interrogativo ed assente la stava investendo, era già l'ora di pranzo e lei si ritrovava sola nel laboratorio elettrotecnico, armeggiando in modo automatico, avvezzo, tra tonnellate di cavi elettrici e risme di fogli colmi di intricate formule matematiche e abbozzi di progettazione per un qualche macchinario.

Uff, dove hai la testa, Bulma, non manca poi molto, alla presentazione, cerca di concentrarti, accidenti!

Con la mano meno unta di lubrificante per motori s'era scostata la frangetta dalla fronte, il caldo era davvero insostenibile e di certo quel groviglio di strani pensieri non la stava aiutando a concentrarsi sul solo lavoro. Eppure non v'era stata da mesi un'occasione tanto propizia per poter terminare finalmente l'assemblaggio di quelle nuove Capsule Oplà: Trunks era partito di buon'ora alla volta dei Monti Paoz e da lì non sarebbe tornato almeno sino al mattino seguente; Vegeta, invece... Beh, lui non c'era, era andato via quella notte... Ecco di nuovo quel pagliaio di pensieri in cui s'era promessa di non affondare più per il resto del pomeriggio.

Saltò il pranzo, lasciando così i genitori liberi di uscire ed andare a far visita al loro agente immobiliare, con cui avevano in piedi una trattativa per trasferirsi in una graziosa cascina in campagna.

Sarà l'età, ma io non mi muoverei da qui, dalla mia casa adorata, bella e comoda, nemmeno a cent'anni...

Pensava tra sé e sé, scettica su quella inaspettata decisione dei suoi; persino Vegeta, che anni prima li avrebbe costretti a gran voce, soprattutto sua madre, a far le valigie, ne era rimasto vagamente colpito. Il Dottor Brief, per quanto pigro e scostante, padroneggiava egregiamente il proprio mestiere di scienziato ed anzi, era molto più accondiscendente di lei, nell'esaudire ogni richiesta del principe dei Saiyan, fino a sfociare spesso nell'incoscienza. Se proprio ci tenevano a costruire e stuzzicare bombe atomiche ad orologeria, lo facessero almeno ben lontani da casa sua!

Solo al concludersi di quell'acido ragionamento, si rese un'ennesima volta contro di non aver fatto altro che pensare in altre situazioni allo stesso soggetto: il suo Vegeta.

Poteva ben dirlo, ormai. Solo per un controproducente orgoglio, presuntuoso e condiviso, s'erano separati poco prima della nascita del figlio. Lui alla volta dello spazio aperto, soffocato dall'avvicinarsi di quei sentimenti e quelle sensazioni che avrebbe poi cercato disperatamente -e altrettanto apertamente trovato-; lei inizialmente amareggiata, ma in breve tempo falsamente indifferente e risoluta. Avevano ostentato una surreale capacità d'atteggiarsi e parlarsi come mai nulla fosse accaduto, come mai alcuna mano di Vegeta avesse sfiorato i punti più sacri di lei o alcun dolce sguardo complice di Bulma avesse mai incrociato gli occhi bisognosi, feriti e feroci di lui.

S'erano rivisti per la prima volta in quegli anfratti sperduti dove il Dottor Gelo avrebbe tentato di nascondersi, lei teneva tra le braccia il loro figlio di pochi mesi e lui la ascoltava elucubrare a voce alta su un articolo provvidenzialmente letto tempo addietro; entrambi ignari ancor per poco che a pochi passi da loro stava l'incarnazione futuristica di quel che sarebbe diventato quel paffuto frugoletto piagnucolante.

Non le aveva mai dato false speranze, anzi, le aveva messo in chiaro praticamente da subito che, sì, era fin troppo palese che fisicamente si attraessero in maniera incontenibile e che quel magnetismo era senz'altro alimentato anche dai due caratteri così similmente opposti, ma il principe del popolo Saiyan non aveva alcun desiderio d'altra natura se non sessuale, verso di lei e men che meno, una volta accortosi in largo anticipo dello stato interessante di Bulma, si sarebbe abbassato ad accettare ed allevare un mezzosangue, inutile e affatto voluto.

Eppure in quello sguardo tanto austero ed imponente, in quelle pose e quelle parole così virili e taglienti, la scienziata non aveva potuto fare a meno di scorgere una vena di maschera, di scudo a qualunque cosa avesse potuto frapporsi tra il guerriero e l'uomo.

Gli aveva risposto per le rime, rendendogli noto che l'avrebbe ben volentieri cresciuto da sola, il bambino; che per nulla al mondo avrebbe mai lasciato che un brutale, sconsiderato guerriero maniaco della forza avesse a che fare con quell'innocente esserino, fosse stato maschio o femmina.

 

Bene, allora!”

 

Sì, benissimo!”

 

Queste, se non andava errato, erano state le ultime parole prima che lui mettesse in funzione una delle navicelle spaziali poste nell'ampio giardino e la abbandonasse lì, con un nulla di fatto immenso. Solo una lacrima, ma la più amara e dolorosa avesse mai pianto, le aveva solcato il viso arrossato, mesi dopo, quando lì accanto, nell'ampio letto, sonnecchiava abitualmente beato un minuscolo mezzosangue dai soffici e radi capelli lillà.

 

Quando Cell aveva dato loro, guerrieri e semplici terrestri, quella sorta di finta tregua in attesa del torneo da lui stesso indetto, Vegeta, disinvoltamente e quasi come fosse ovvio dovesse essere così, aveva iniziato a rimettere piede, la notte, in quella che era stata la sua stanza sin dal suo primo arrivo alla Capsule Corporation.

Lentamente, gradualmente, una sorta di dialogo era ricominciato, dapprima forzato da una contemporanea permanenza notturna in vari luoghi della stessa casa.

 

Aaaaahh! Accidenti, Vegeta, mi hai spaventata a morte! Che ci fai qui a quest'ora?! Che pasticcio, ora mi tocca ripulire tutto questo succo di frutta dal pavimento!”

 

Tsk, potrei rivolgere la stessa domanda a te, non ti pare?”

 

Caro il mio scimmione, non che debba renderti conto di cosa io faccia in casa mia, ma non vedi che stavo servendomi dell'acqua?!... Tutta quella carne fritta, a cena, mi ha messo una sete infernale, dannazione, non sono ancora riuscita a chiudere occhio!”

 

Ma il Saiyan aveva già smesso, pareva, d'ascoltarla e si era avvicinato alla porta finestra dischiusa di fronte alla più alta delle terrazze della gigantesca cupola.

 

Ehi, mi stai almeno ascoltando?! Ma insomma...! Che tipo, mi fai versare il succo ovunque e poi nemmeno degni di attenzione chi ti sta parlando... V-Vegeta, ma-ma che fai?”

 

Con lo sguardo severo e magnetico a cui lei mai aveva smesso di pensare, la stava ora osservando di sbieco, con un braccio sporto verso la sua direzione, tendendole a quanto pareva la propria bottiglia di acqua freschissima, recuperata dal frigorifero appena prima dell'arrivo di lei.

Gli sorrise gentile, prendendo il contenitore in mano, senza aggiungere altro.

 

S'era svolto così, quel nuovo inizio che mutualmente s'erano concessi, silenti, qualche anno addietro; all'inizio fatto se non altro di sole parole e muto rispetto reciproco, ma col trascorrere di non più d'un paio di mesi, somatizzata alla bell'e meglio la tragicità degli eventi che avevano decretato la pace per quel pianeta, il torpore di corpo e mente, al volgere della sera, s'era fatto in entrambi nuovamente un vero tormento, in verità mai del tutto sopito; un qualcosa di tanto fastidioso quanto agognato, ma era stata lei comunque a cedervi per prima, per un soffio, presentandosi sulla soglia socchiusa di quella camera sterile e silenziosa durante una notte particolarmente fresca.

 

Che cosa vuoi, Bulma? Non ho proprio tempo da perdere dietro alle tue sciocchezze, specialmente adesso. Sono molto stanco.”

 

Ma lo sguardo smaliziato eppur serio della donna, fisso in quegli occhi fintamente seccati, lo aveva atterrito, lasciando spazio solo ad una sorprendente evidenza fisica di quell'ardore non più celabile in altro modo.

Muti, quasi senza emettere respiri, s'erano avvicinati velocemente, disfacendosi in fretta degli abiti dell'altro, agguantandosi con gli occhi e con le mani, prima di lasciare che lingue e inconoscibili sacralità prendessero il posto di indiscusse protagoniste.

I risvegli seguenti erano comunque silenziosi, ma sempre meno tesi. Certo, Bulma non sempre si svegliava con Vegeta ancora accanto, né lui stesso era onorato della presenza di lei sino all'alba, presa com'era dalle assordanti grida di quel moccioso, spadroneggiante in qualche stanza più avanti. Però ci si stavano abituando, tutti e due. Di seguito erano ritornati soventi i battibecchi e gli scontri a colpi di sarcasmo pungente e frecciatine verbali ben assestate, ma questa volta, anziché stizza, insofferenza e perversa attrazione, questi suscitavano sulle loro labbra, a volte, ben nascoste ombre di sorrisi complici, interminabili nottate trascorse a forgiare con i rispettivi segni d'esclusiva appartenenza l'uno all'altro i loro corpi, fusi in uno soltanto; come venticello giocoso e primaverile, pareva essere trascorso il tempo che aveva segnato il graduale scemare della dipendenza di Trunks dalla madre, facendo posto ad una parlantina piuttosto sicura di sé, caparbia e spesso agguerrita, in un certo moto d'orgoglio; un'evidente intelligenza fuori dal comune, il tutto corroborato da una strenua combattività mentale e fisica e da una bontà d'animo che erano le parti più nobili di entrambi quei genitori, così anomali, autonomi eppure così solidamente uniti ai suoi occhi.

Contemporaneamente allo scorrere degli anni, in lei s'era fatto sempre più incisivamente strada un non proprio nuovo sentimento, non sapeva se potesse già precisamente definirlo; verso quell'alieno lo aveva già scorto vagamente, forse un accenno a senso unico, tempo addietro, ma questo miscuglio di sentori profondi l'aveva portata ora a cercare lo sguardo di Vegeta anche nella più piatta quotidianità dei suoi affari, a cercare le sue parole in merito a fatti e progetti che nulla c'entravano con loro due in particolare; e sorprendentemente quello sguardo desiderato era arrivato, celato nel silenzio. Quelle parole sperate erano giunte alle sue orecchie, nascoste dietro l'assenza di scambi visivi. Il tocco e i baci, la notte e in ogni momento assolutamente privato, s'erano fatti più delicati ed avvolgenti, seppur sempre irresistibilmente selvatici e virili. Aveva forse paura di definire troppo precocemente tutto quell'insieme o forse trovava l'intero corollario di termini Terrestri inadatti e sminuenti... Non lo sapeva ancora.

I grandi occhi azzurri tornarono a focalizzarsi su di un grosso circuito scoperto, da riparare.

 

Il suo Vegeta.

 

Quello sapeva, ormai, di poterlo ben dire.

 

 

Ϟ

 

 

Lo sguardo quasi truce e fisso nel vuoto era appena un indizio dello stato di profonda inquietudine in cui versava. L'orribile incubo che lo aveva investito durante la notte, aveva trascinato quegli stessi fantasmi anche alla luce del pomeriggio ormai inoltrato. Lo stomaco vuoto gorgogliava impaziente, ma Vegeta aveva per il momento altre intenzioni, non certo quella di rientrare nella dimora dalla quale ore prima era letteralmente fuggito. Avrebbe voluto poter farsi cullare da Morfeo sino al mattino, beandosi silenzioso e apparentemente indifferente della presenza così vicina e piacevole della sua compagna, per poi gustarsi in pace una ricca colazione e portare il figlio con sé nei propri quotidiani e seriosi allenamenti, fisici e mentali. Tuttavia, quello spirito, il suo stesso fantasma passato, dagli occhi d'ebano ed un minuto mantello bordeaux riportante lo stemma della sua razza, continuava a piangere, disperato e mai soccorso, dentro di lui, in qualche anfratto tanto buio e nascosto, pietrificato e inarrivabile. Quella voce acuta, disillusa e tremebonda, non smetteva di singhiozzare; gli pareva urlasse Papà, ma la consueta alterigia lo stava fortunatamente obbligando a concentrarsi su grossi massi rocciosi, disposti in quel casuale ed armonioso ordine da venti e piogge da chissà quanti secoli. Un unico movimento, delle sole eburnee pupille, li aveva letteralmente fatti saltare in aria uno ad uno, come fossero state grosse briciole di pane raffermo.

Tsk, è fin troppo facile. Devo trovare qualcosa di più impegnativo.

 

Mentre a velocità sostenuta sovrastava in volo gran parte delle terre emerse, Vegeta non riusciva a placare quel pianto nel proprio ricordo. Non aveva mai volentieri parlato nemmeno a sé stesso, nella propria coscienza, di quell'infanzia trascorsagli in un soffio, gli pareva quasi di non averla mai vissuta. Non ricordava d'aver un tempo avuto i medesimi pensieri e le medesime reazioni che ora sdegnava, quando le riconosceva, in Trunks. Anzi, sino a che, a suo figlio, non vi si era avvicinato quel tanto ch'era bastato, neppure aveva contemplato che un guerriero Saiyan, seppur bambino, potesse avere limiti così stretti, d'autocontrollo e di orgoglio personali.

Altrettante erano state tuttavia le occasioni in cui aveva dovuto, ben cautamente, convenire con sé stesso che Bulma aveva cresciuto nella maniera più confacente ad una stirpe regale come la sua, il più degno erede che il destino gli avesse potuto portare. Vegeta in realtà era da sempre un tipo poco incline a credere a sciocchezze come il destino, il fato, lo stretto rapporto di causa-effetto delle proprie azioni sulla pelle altrui, la sensibilità, l'affetto...

Era recente, il modo nuovo in cui quegli ultimi due termini suonavano alle orecchie della sua più intima coscienza.

Quella Bulma...

Gli era inizialmente parso fosse solo una stupida quasi coetanea, piena di sé, vanitosa e oltremodo fastidiosa, per quanto dotata di un innegabile estro per la scienza. Ma, doveva proprio ammetterlo, giunto a quel punto: l'intollerabilità verso quella straordinaria terrestre s'era dissipata in quello che ora gli pareva davvero il tempo d'un istante. Ben presto si erano fatti largo reciproco magnetismo, perverso desiderio, eccitazione, eccessiva fantasia proibita e umane voglie.

All'epoca l'obbiettivo primario era scovare Kaharot ovunque egli fosse, stanco d'attenderlo su quel pianeta, ed ammantarsi d'oro, non certo perdere tempo dietro a quello che aveva creduto essere soltanto deplorevole cedimento all'abitudine di vedersela ronzare intorno. Così era andato via.

Eppure...

Era cambiato qualcosa, forse? Aveva per un solo secondo smesso di pensare a lei, alle sue mani, a quella voce così attraente e irritante, a quel corpo, a quei capelli di seta, ai suoi occhi così profondamente luminosi e pieni di comprensione, quasi al limite della follia? Tutti i suoi patetici conoscenti le avevano dato della matta al solo apprendere che proprio lei gli aveva di buon grado offerto un tetto sotto cui sostare liberamente; figurarsi poi quando s'era resa palese la loro sorta di relazione, mai comunque maturata sotto gli occhi indiscreti del sole. Il culmine era arrivato con l'evidenza dello stato interessante di lei. Impossibile da celare, quello.

Nonostante fosse letteralmente fuggito da quell'irreversibile rapporto causa-effetto a cui era sempre rimasto indifferente, mai un solo istante il suo inconscio aveva messo da parte quella longilinea, sottile figura e tutto ciò che di più profondo serbava al di là delle invitanti fattezze fisiche.

 

Il moccioso, d'altra parte, giorno per giorno, lo aveva saputo sorprendere: giudizioso, serio, battagliero, affidabile, tranquillo e sempre pronto a misurarsi, nella lotta e nelle doti della mente. Un vero Saiyan, con quel qualcosa in più. Quel qualcosa in più che aveva il colore del cielo ed il sapore di quel suo corpo candido e morbido...

Ora basta. Doveva liberarsi di tutti quei pensieri fonte di distrazione all'allenamento, ma era come se già ne fosse consapevole: Anche non avesse avuto niente di tutto quello, a cui pensare, l'impalpabile bambino, alieno come lui, regale come lui, Vegeta come lui, non avrebbe smesso di urlare, terrorizzato e solo, dentro di sé, in quel che fu l'irreparabile processo di seppellimento del proprio animo in un loculo di triste ferocia.

 

 

Ϟ

 

 

 

Era un allettante miscuglio di senso e curiosità, ciò che li aveva portati entrambi a trasformare quel violento gioco di calci, pugni e sfere energetiche -che da ore si stava protraendo nonostante i rimproveri della madre di uno di loro- in un felpato e divertito osservare il lentissimo incedere di una chiocciola con la sua scia caratteristica su di una piccola sporgenza rocciosa, alle cui basi era germogliata da poco erba tenera e smeraldina.

 

“Chissà che brutto, voler correre e non riuscirci!”

 

Goten pareva davvero intristito per le sorti che la natura aveva affibbiato a quel piccolo essere vivente. La genuina dedizione a tutto ciò che di semplice e innocente lo circondava, inteneriva ed avrebbe intenerito qualunque adulto ormai privato di quel candore, ma non il suo più caro amico, più grande di lui di un solo anno abbondante. Trunks era anzi spesso critico e vagamente scettico nei confronti di questi lati tanto puri di lui, sicuramente per il diverso stampo di educazione e crescita; il più piccolo s'era trovato a crescere nella spartanità della vita rurale, aggrappandosi alla sola figura materna, pur sempre alleggerita da quella del fratello maggiore, mentore e cicerone di imprese di un padre di cui non aveva -ancora- mai incrociato lo sguardo.

Trunks, invece, che per quanto inusuali nel loro essere, i genitori li aveva sempre avuti entrambi -era stato troppo piccolo per sapere che, in realtà, il primo suo anno di vita era stato quasi completamente perduto dal padre-, era nato e stava crescendo nell'agio della quotidianità cittadina e mondana, sorretto dall'amore smisurato materno e dal severo, silenzioso appoggio paterno. E di quest'ultimo aveva ereditato insieme allo sguardo magnetico pure una certa ritrosia, almeno di facciata, a sorridere e gioire angelico di tutto ciò che lo attorniasse, concedendosi molto più spesso una spocchiosa aria di superiorità che però mai era sfociata in qualcosa di malvagio o manchevole di quel solido legame che li aveva stretti e li avrebbe per sempre tenuti insieme come fratelli.

 

“Ma che sciocchezze vai dicendo, Goten? La chiocciola non pensa come noi, è un animale, non ha la capacità di ac-”
 

“Tutti a tavola!”


La voce di Chichi interruppe il sipario di toni un poco ridicoli che Trunks stava offrendo al più piccino e tutto quel fare saccente aizzato da una genuina ammirazione dell'altro scemò in un ululato entusiasta all'unisono, che riportò subito a pari livello di null'altro che bambini i due neo-guerrieri, che ancora non avevano applicato sulla loro pelle, quel titolo di cui erano consapevoli essere i portatori.

La tavola robusta, tondeggiante, in massiccio legno chiaro, fabbricata a mano, ospitava una lunga fila di piatti semplici, in porcellana candida leggermente consunta, ma ricolmi di abbondanza tipicamente casereccia; i manicaretti non temevano di sporcare coi loro intingoli le foglie sminuzzate d'insalata verde che giaceva loro accanto, i tranci di pesce guizzavano nella salsa di soia come fossero ancora vivi, insomma, tutto quel che sapeva non avrebbe visto -e nemmeno voluto vedere, a ben pensarci- a casa sua, alla Capsule Corporation, dove l'inclinazione di madre e padre alla compostezza e alla sobrietà al momento dei pasti, faceva delle portate stesse un ensemble di minuziosi composti sempre ordinati e puliti. Sui Paoz mangiava torta che sapeva del grano grezzo e dei frutti maturi appena colti, con le mani, a casa prelevava da capienti vassoi quante più porzioni possibili degli artefatti e perfetti dolci che nonna e pasticceria dietro casa si prodigavano ad offrire a lui e agli altri due individui facenti parte della famiglia.

Poteva tirare un sospiro più profondo, quando si intratteneva da Goten. Non certo perché a casa sua non si sentisse nel proprio adorato regno, ma era pur sempre ancora un bambino e, di tanto in tanto, non subire la tensione delle lunghe indagini paterne mentre l'osservava allenarsi, o dell'attento scrutare compiti e doveri da parte della madre a fine giornata, gli serviva proprio. Lo sapeva bene, lui e Goten non erano affatto come gli altri, precisamente lo erano solo a metà e nemmeno del tutto, visto che le loro madri non erano propriamente riconducibili a donne terrestri qualunque. Specialmente lui, più grandicello, si sentiva assolutamente fiero di portare sulle spalle già un'esigua ombra di quella responsabilità che il proprio sangue comportava.

Ma correre a tavola sghignazzante insieme a Goten e godersi i racconti enfatizzati di Gohan era comunque troppo piacevole per essere messo in secondo piano, al momento.

Non aveva smesso di pensare a dove avrebbe potuto trovarsi il padre in quel frangente; aveva provato ad intercettarne l'aura per la pura curiosità di scoprire la sua ubicazione, ma un po' per la sensibilità aliena ancora da affilare e un po' perché Vegeta, abbassando la propria aura di proposito, aveva reso più che ostico quel rilevamento al suo bambino, Trunks aveva desistito definitivamente, un poco deluso, ma sereno, sicuro dell'affidabilità di parole e fatti del genitore.

 

“Dimmi un po', Trunks, stai seguendo degli allenamenti particolari con tuo padre in vista del torneo?”
Gohan, per quanto ormai adolescente ben inserito nel mondo comune della sua generazione, aveva già vissuto troppi cruenti scontri al limite del pensabile, per poter di punto in bianco placare istinti e interessi atavici.

“Oh, sì, certo, papà ed io trascorriamo almeno tre ore al giorno nella sua stanza gravitazionale, insieme! Lo raggiungo appena terminate le lezioni, il pranzo e... I compiti...”
Il più grande non poté trattenere una risatina tutt'altro che di scherno
“Ah, ma lo studio è importante, la tua mamma è la più grande scienziata sulla Terra, non vuoi seguirne le orme? Studiare non è poi tanto male, fidati piccolo, te lo garantisco io che, come te e Goten, ho sempre adorato allenarmi con papà”.

Ed un improvviso silenzio quasi ossequioso si abbatté su quella tavola chiacchierona.

“Gohan, vostro padre è forte come il mio?”
“Già, fratellone, racconta un po': papà quanto si allena?”
Gli occhi del ragazzo incontrarono quelli già velati d'umida reminiscenza della madre, che di scatto si affrettò al lavandino per iniziare il lavaggio delle mille stoviglie.

“Beh, ecco...”
Avrebbe potuto anche raccontare, senza il rischio di fare qualcosa di male, di come Vegeta era arrivato su quel pianeta con intenzioni tutt'altro che mansuete, ma che lo scontro con Son Goku e il quasi casuale incontro con Bulma lo avevano fatto deviare orgogliosamente nella direzione opposta, facendogli acquisire potenza e capacità combattive che mai avrebbe raggiunto in altro modo. Non avrebbe potuto affermare con certezza che Vegeta fosse mai stato superiore al loro padre, quanto a forza, ma che di sicuro il suo valore di guerriero e di principe dell'intera sua razza erano incommensurabili. Da diffidente nemico di quegli occhi mercenari, crescendo, Gohan, si era trovato a ricredersi sul conto di quel Saiyan, sino ad ammirarlo nella propria dedizione ai princìpi dell'antica stirpe e non solo.

Si risolse però a non dire nulla, ma a passare gentile le mani su quelle zazzere scompigliate e insozzate dalla fanghiglia dell'infinito giardino che la foresta diventava di fronte a quella casetta, dinnanzi a quei quattro occhietti tanto brillanti e limpidi.

“I nostri padri sono incredibilmente forti e valorosi, siamo fortunati ad averli sempre accanto”.

Non si pose nemmeno il problema, Goten, di dissentire proprio su quell'ultimo punto, preso come fu dall'enfasi di quel discorso e soprattutto rapito proprio dalla persona che lo aveva pronunciato.

Così il pranzo continuò per la restante mezz'ora, in sorrisi e sguardi del tutto privi di impensierimenti e di elucubrazioni più profonde di semplici aneddoti scolastici da parte di tutti e tre.

 

 

Ϟ

 

 

L'orologio digitale retroilluminato segnava le ore 23:45.

La penna procedeva come autonomamente da diversi minuti a scattare su e giù sotto la pressione del tavolino sul quale Bulma la stava facendo picchiettare, aprendola e chiudendola.

Quell'ultima serie di complessi calcoli proprio non le tornava, non si riusciva a venirne a capo e fortunatamente la cosa poteva essere per il momento mollata in stallo, quello era solo l'abbozzo ad un nuovo progetto che avrebbe preso piede solo una volta terminato e consolidato quello precedente.

Una cosa alla volta riesce molto meglio di mille assieme, cara, ricordalo!”, le ripeteva sin dall'infanzia suo padre, il dottor Brief, che aveva fatto di quella massima un pessimo stile di vita, costituito da lentissimi progressi ad ogni nuovo lavoro; ogni volta doveva poi essere lei, a dare una smossa al tutto, per poter garantire alla loro azienda primato ed eccellenza in quel loro campo professionale così competitivo.

Quella sera però, ad un certo punto, Bulma si risolse a sbolognare quel calcolo tremendamente complicato sulla disordinata scrivania scura dello studio privato del padre, lasciando a margine un biglietto che lo invitava gentilmente a restituirle i fogli una volta risolto l'arcano, possibilmente nel più breve tempo possibile. Adorava averne sino al collo, di impegni, adorava quel tipo di vita freneticamente colma di bocconi abbastanza ostici con cui poter dilettarsi con la stessa gioia di una belva accanto ai resti della propria preda.

Essere la fedele ed unica compagna del principe dei Saiyan rappresentava già di' per sé il boccone più succulento della sua vita, mai se ne sarebbe stancata, questo era praticamente ovvio e mai avrebbe smesso di sondarne i fondali meno illuminati, lei sola che poteva permettersi di entrargli tanto dentro senza chiedere alcun permesso. Lo sapeva assai bene e nelle notti più infuocate, in concomitanza con le soventi trasferte del figlioletto, godeva a voce alta nel sentirselo dire, che lei era la sola cosa che lui volesse con e dentro di sé. E non serviva che, ebbro di piacere, glielo gridasse apertamente, erano molto più eloquenti carezze, baci e strette proibite, visto che Vegeta mai nella propria esistenza aveva elargito e voluto elargire, tanta delicatezza e passionalità a qualcuno; era per lei sola che lui avrebbe poi ostentato una gelosia al limite con la territorialità animale, una fedeltà che non avrebbe neppure creduto gli fosse potuta appartenere; tutto questo, per il momento, era rimasto implicito nelle risposte a metà e negli sguardi che i due costantemente si elargivano. Non troppo, ma ancora lontani erano i tempi in cui il fiero principe del popolo Saiyan avrebbe palesemente dichiarato la propria devozione ed il proprio affetto verso lei e il loro piccolo, grande Trunks.

A lui per ora avevano tenuto nascosta l'incredibile vicenda temporale che li aveva resi conoscenti del suo alter-ego futuristico, per evitare qualunque rischio di turbamento di cui un bambino, per quanto alieno, sarebbe stato facile preda.

Ancora non poteva sapere, lei, né sapere, lui, che quell'invisibile eppur plateale sentimento che li legava era l'Amore più puro e profondo si potesse trovare in qualcuno a questo mondo.

Al momento, qualcosa lasciava Vegeta ancora irrisolto, come in una gabbia; una piacevolissima gabbia, ma pur sempre un luogo, uno stato d'essere che, quando vi si trovava a rifletterci, finiva ineluttabilmente per cozzare con l'altro sé stesso*.

Al momento, qualcosa lasciava a Bulma un sentore vagamente agrodolce in bocca, ogni qualvolta cercasse di fare il proprio punto della questione: era pur sempre un essere umano, lei, pertanto la predisposizione a dare un nome a qualunque situazione e sentimento stesse vivendo era comunque troppo innata per sfuggirvi. E quel sapore quasi ostile si traduceva nel bizzarro dualismo che la vedeva complice assoluta del ritrovato rapporto con il suo bel principe tenebroso, come lo aveva definito lei ai tempi dell'approdo sulla Terra dopo Namecc, ma anche illusa ottimista quando, nelle giornate particolarmente favorevoli, si lasciava andare a fantasie palesemente di coppia, di romanticismo quasi fiabesco; lei per prima si riconduceva coi piedi per terra, ricordandosi che la vita le aveva concesso un principe, ma non d'azzurro vestito.

E quanto le stava meglio così, accidenti.

 

Vegeta non s'era ancora fatto vivo e lei s'era disabituata a ritiri che durassero più del tempo che il sole impiegava a sorgere e calare. Gli occhi leggermente arrossati e velati di un incipit di sonnolenza controllavano l'incedere digitale dei minuti al ritmo d'ogni secondo. Si sentiva davvero una ragazzina, come faceva a non aver ancora capito nulla?!

Non v'era spazio per sfuriate sugli orari e relative scuse e giustificazioni, mai era stato così e mai avrebbe voluto che tale diventasse il loro ciclonico adorarsi intimamente e, quasi, segretamente.

Spense tutte le luci del laboratorio, se ne chiuse il portellone alle spalle e con passo svelto si diresse verso l'attigua porta di casa, desiderosa di lavarsi di dosso quella puzza di circuiti e di stendersi al pallore lunare, sul suo letto fresco.

Non gli aveva mai detto di amarlo, non ne era neppure sicura, troppi erano i miscugli di sentimenti che la presenza e la parola di quell'alieno le facevano ribollire dentro. Mai come in quell'istante però, Vegeta le stava mancando, come l'aria.

 

 

Ϟ

 

 

Gli pareva d'esser stato in missione interspaziale per mesi, invece erano trascorse soltanto quasi ventiquattro ore. L'impiantito maiolicato dell'ampia terrazza più alta della propria dimora gli aveva restituito il nulla come eco del suo atterraggio ed un respiro, più lento e profondo, si impadronì di lui a lungo; cercò di mantenere una percezione stabile della troppo debole aura di Bulma, così da sapere dov'ella si trovasse e non farsi nemmeno trovare, quindi, per il momento.

Il fantomatico pianto riecheggiava ancora nella sua testa, a dir la verità un poco stordita, da qualche giorno; Kaharot aveva annunciato il suo temporaneo ritorno in vita per partecipare al Torneo di Arti Marziali e dall'istante in cui lui aveva sentito quella voce così anticamente impressa, gli allenamenti erano tornati a farsi davvero consistenti e sfibranti, aiutati e adrenalinizzati dalla presenza del proprio erede, quello vero, stavolta, quello del suo tempo. Il lento, graduale ed in fondo piacevole sedimentarsi dei vari tasselli che costituivano ora la sua vita intima e familiare, lo aveva portato al dolce ed inammissibile approdo che quel che provava per Bulma e per il piccolo Trunks non era solo qualcosa dettato da abitudine e ovvi legami di sangue, ma un germoglio tardivo, ben più profondo ed intenso -che di lì a poco sarebbe sbocciato nel fiore più bello di tutti*-.

Aprì lentamente la porta-finestra di fronte a lui; quella casa la conosceva ormai assai bene, seppure dopo più di un anno di permanenza, per altrettanto tempo ne era stato lontano.

Si era trovato così nel mezzo di quella che era la sua stanza, ridotta all'essenziale. Nulla più d'un comodo ed ampio letto, un comodino su cui poggiava una abat-jour accesa di rado, un paio di pantofole mai indossate, un armadio ad anta singola ed un piccolo bagno comunicante, senza vasca né altri agi, solo i servizi primari ed una cabina doccia dai vetri opacizzati.

Niente faceva supporre che quella stanza possedesse un occupante, eppure tutti e due i suoi coinquilini l'avrebbero saputa distinguere tra mille. Senza che ancora se ne fosse totalmente reso conto, Vegeta aveva già lasciato da parecchio tempo un'impronta indelebile e desiderata di sé, nei cuori e nelle menti di quelle due persone così simili tra loro, così simili a lui.

La sua famiglia.

Non riusciva nemmeno a dirlo dentro di sé, tanto il proprio orgoglio si ostinava ad arginarlo nella propria ritrovata umanità; non riusciva ad identificare con nessun terrestre o alieno termine la profondità che saldava lui a Bulma e viceversa. Non avrebbe dovuto trascorrere ancora molto tempo; il Saiyan avrebbe preso il sopravvento sull'uomo, salvo poi rendersi conto che l'unico principe che valesse la pena essere era proprio quello pronto a dare la propria vita per i suoi cari. Da quel giorno Vegeta non avrebbe più provato paura di amare.

Per il momento, però, Bulma era la cosa che in tutto quell'interminabile defluire del giorno e della prima notte, le era mancata, come l'aria. E quel bambino doveva smettere di piangere, a qualunque costo.

 

 

Ϟ

 

 

Sebbene avesse continuato ad insistere con la storia che “Qui sui monti non è caldo come in città, anche se siamo in piena estate voglio che vi mettiate tutti sotto alle lenzuola, almeno!”, appena Chichi chiuse la porta della cameretta alle sue spalle, qualche risolino e un unanime scostarsi dei leggeri tessuti da quell'ampio materasso fecero da sfondo a quella notte tanto buia e colma di stelle; Gohan, a bassa voce, raccontava ai due bambini come il decimo giorno di quel mese fossero visibili e frequenti le scie di stelle cadenti, che non appena se ne fosse intravista una, bisognava assolutamente affrettarsi ad esprimere un desiderio nella propria mente e di tenerlo segreto, pena il non avverarsi mai. Goten e Trunks, però, stremati dai giochi e dalle risate senza sosta erano già stati accolti tra le ampie ed invisibili braccia di Morfeo e così il ragazzo più grande decise di velarli delle lenzuola almeno sino alle ginocchia, un po' per spirito di diligenza, un po' per istinto di protezione affinato negli anni, qualcosa di vagamente preoccupante vagava nei suoi più inconsci presagi. Si addentrò anch'egli tra le lenzuola del gran materasso steso in mezzo alla stanza e chiuse gli occhi, scacciando facilmente i più vaghi presentimenti al pensiero del nuovo incontro con l'adorato padre ormai così vicino e... I frequenti incontri pomeridiani con la bella compagna di scuola, Videl.

 

 

Ϟ

 

 

Un gran sbadiglio assai rumoroso la colse di sorpresa, non dandole nemmeno il tempo di portare la mano alla bocca. Era davvero esausta. Intristita, anche, ma soprattutto spompata da quella giornata tanto intensa sin dalla notte precedente. Dove sei, Vegeta?, continuava a chiedersi, stringendosi al cuscino foderato di pregiato raso che le procurava un corroborante senso di fresca leggerezza.

Né le imposte, né le finestre stesse erano state serrate, nella inconscia speranza di vederlo o sentirlo tornare nel cuore della notte.

Gli occhi cristallini stavano ormai faticando troppo a rimanere aperti a tratti, si risolse a chiuderli e provare a lasciarsi andare ad un sonno senz'altro ristoratore.

Un alito di vento decisamente troppo intenso per essere legato alle condizioni del meteo la fece sussultare, si sentì come trafiggere teneramente dalle parole di quel puma avvolto nel buio:

 

“Questa notte arriverà un gran temporale, non hai visto le nubi all'orizzonte? Avresti dovuto chiudere almeno le persiane”.

Le avrebbe voluto dire ben altro, le avrebbe voluto chiedere d'abbracciarlo, pur sapendo di non doverlo neppure fare, perchè lei gli si prodigasse accanto, ma quel muro così spesso e barcollante ancora non voleva mollare, ancora lui stesso non voleva farlo crollare, non del tutto.

 

“Se piovesse dentro casa” -gli rispose impastata lei dopo qualche istante- “Ne sarei felice, fa un caldo infernale, dormirei nella piscina lì fuori”.

 

Vegeta si spogliò del buio che l'ammantava da capo a piedi e lentamente le si sistemò accanto, né troppo vicino, né troppo distante. Un braccio a reggere il capo sullo schienale del letto, l'altro disteso accanto alla donna in un timido e impronunciabile tentativo d'invitarla a sistemarsi meglio accanto a lui. Si chiedeva se anche lei, in quel momento, potesse udire quelle urla così forti, di quel bimbo dal cuore di pietra, che sembrava smaniasse per tornare alla luce della realtà.

“Vegeta...”

Il silenzio del Saiyan fu un invito a proseguire, per lei che ormai conosceva ogni sfumatura di lui.

 

“Che... Che cosa è successo, la notte scorsa?”.

 

Non avrebbe voluto chiederglielo, se non altro per evitare pure il più vago rischio di mettere a soqquadro la quiete così rara per il compagno.

Vegeta le restituì il silenzio e quando lei fece per voltarsi a scrutare quel volto cesellato e quasi evanescente sotto i riflettori della Luna calante, il boato ovattato di un tuono lontano conferì a quell'istante un'aura quasi eterea, come se qualcosa o qualcuno onnisciente rispetto a loro avesse scandito quelle parole e quel momento per imprimerli nella loro testa a vita.

Gli occhi di Bulma s'abbassarono in una smorfia rabbuiata e forse addolorata, avrebbe insistito, tempo prima, sino a sfinirlo e seccarlo irreversibilmente, ma ora le cose erano diverse. Non v'era solo Trunks a renderle tanto differenti. V'erano loro due, insieme. Silenziosi, comprensivi, brucianti di profondi sentimenti ancora inconfessati, non del tutto, non nella loro totale magnificenza, almeno. Non poteva insistere, avrebbe fatto del male ad entrambi. Così si strinse solo di più al suo petto possente e teso, costellato di ombre di cicatrici che al posto suo raccontavano l'immane brutalità attiva e passiva di quel passato ferino.

Il respiro della donna si fece presto più lento e profondo, le labbra si dischiusero appena nel tentativo d'assorbire ed espellere più aria, le mani sottili scivolarono dal petto al suo fianco e lui, Vegeta, volto fisso a quella Luna amica e nemica, le donò allora per un istante il suo sguardo, non più così corrucciato.

Cosa mi hai fatto, Bulma... Io... Io ero... Sono il grande Principe dei Saiyan, io... Io devo sconfiggere Kaharot, n-non... Non posso permettere che ti accada mai nulla, né a te né al piccolo Trunks... Perdonami, Bulma... .

In quel vortice di pensieri carichi d'un presagio talmente palpabile da sapersi già reale, socchiuse gli occhi scavati dall'enorme sofferenza di essere ancor per poco diviso a metà, pronto a riscoprirsi truce guerriero, ma intenzionato a rimanere l'uomo che aveva riconosciuto in sé stesso.

Si addormentò lento, difficoltosamente, cullato dalla purezza di ciò che scorgeva accanto a sé, stretto a lui; e dilaniato, da quel pianto straziante in fondo al suo animo.

Di lì a poco avrebbe affrontato quel Vegeta malvagio e l'avrebbe sconfitto definitivamente, pagandone un prezzo molto, molto alto. Ma quel pianto, una volta per tutte, avrebbe taciuto, per sempre.

 

 

-Fine-

 

 

 

_____________________________________

 

*1: Cit. e Rif. a “L'altro sé stesso”, di Proiezioni (qui su EFP)

*2: Ispirata da “Mulan”, di W. Disney

 

 

 

 

  
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