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Autore: Megan Alomon    12/08/2015    1 recensioni
"L'hai tenuto" mi disse. Era il libro di poesie scritte da lui che mi aveva lasciato prima di andarsene.
"Certo che l'ho tenuto, credevi che l'avessi buttato?"
"...Sì"
"E perchè mai?"
Per un attimo rimase zitto, poi mi guardò negli occhi e disse "Perchè pensavo che ti fossi dimenticata di me. Perchè credevo che se tu fossi stata Euridice lo avresti fatto, lo avresti buttato."
(Catullo è tornato. E magari stavolta resta davvero)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And it's peaceful in the deep, 
'cause either way you cannot breathe, 
no need to pray, no need to say 
now I am under .

And it's breaking over me, 
a thousand miles down to the sea bed, 
I found the place to rest my head. 
Never let me go, never let me go. 

 
 
Tornato
 


Quando tornò da me era sera. Successe così: ero seduta sui gradini di casa mia, con la spalla destra mollemente appoggiata al muro portante. Fumavo una Chesterfield Blu e pensavo a quanti soldi avrei risparmiato se mai mi fossi decisa a smetterla con quel vizio maledetto. Lo vidi arrivare tra le foglie della siepe, era un'ombra sfocata che si avvicinava barcollando e in quella camminata storta c'era qualcosa di terribilmente familiare. Quando arrivò al cancello lo riconobbi: era più magro rispetto a quando se ne era andato, i capelli erano più lunghi e più spettinati ed evidentemente non si radeva da qualche giorno. Era lui, Catullo, e s'appoggiò al cancello per tenersi in piedi. Forse perchè era palesemente ubriaco. Io non mi mossi. Lui ci mise qualche secondo ad inquadrare la mia posizione, solo allora fece "ciao" con la mano e mi disse: "Sapevo che ti avrei trovata qui!" Io gettai lontano la mia sigaretta, mi alzai e senza nemmeno cercare di capire tutte le emozioni che stavo provando risposi: "Mi pare ovvio. Qui ci abito".
Aprii il cancello e gli feci cenno di entrare, lui mi seguì e lo feci accomodare in cucina. "Allora?" dissi cercando di non far vedere che m'ero accorta che era ubriaco, "Cosa ti porta da me?" Scelsi le parole con cura. Non gli avevo chiesto "che cosa ti porta qui" ma "che cosa ti porta da me". In attesa di una risposta mi voltai verso il lavello e presi un bicchiere d'acqua per offrirglielo ma quando mi voltai lui era ad una manciata di centimetri da me. Puzzava di alcol e di sudore, i vestiti erano stropicciati. Da quanto, esattamente, si trovava fuori casa?
"Ascolta, sei ubriaco."
"Sì."
"Infatti non era una domanda". Catullo aprì la bocca e alzò un dito in aria come per dire qualcosa ma poi rinunciò. Non lo vedevo e non lo sentivo da mesi e per quanto nulla di quello che pensavo su di lui fosse cambiato non avevo intenzione di lasciargli vedere quanto fossi immensamente felice di vederlo. Lui mi strappò il bicchiere di mano e ne bevve il contenuto buttando all'indietro la testa e strizzando gli occhi. "Ti sembra il modo?!" lo rimproverai.
"Euridice ha abortito"
Mi cadde il mondo addosso. Sapevo che una volta andatosene dalla casa che condividevamo era tornato alla disperata ricerca del suo unico vero amore, Euridice per l'appunto, ma non sapevo come erano andate le cose, non sapevo nulla di nulla. E tantomeno sapevo che fosse rimasta incinta.
Inghiottii a vuoto, Catullo mi guardava in attesa di qualcosa, con gli occhi lucidi e il mento che gli tremava.
"Quando è successo?" chiesi piano.
"Quattro giorni fa... ha detto che, che..." ma le parole gli morirono in bocca. Mi portai una mano alla bocca, la mia maledetta empatia mi faceva provare il suo stesso dispiacere e sentivo un nodo formarsi nella mia gola. O forse era solo la visione di Catullo in quello stato che mi faceva venire voglia di piangere e spaccare qualcosa.
Gli misi una mano sulla spalla sinistra e dissi "Mi dispiace. Ma sai, alcune volte capita, magari il suo corpo..."
"No!" gridò, "L'ha deciso lei, l'ha deciso lei! E' andata all'ospedale e niente, basta, fine, kaputt!"
Si gettò su di me e mi strinse, lo sentivo tremare e lo strinsi forte. "Non sapevo dove andare." disse contro la mia spalla.
Io lo allontanai da me, gli diedi una carezza sulla guancia e dissi: "Hai bisogno di una doccia"
Mi guardò per un attimo soltanto, poi si incamminò verso il bagno.
Tre quarti d'ora dopo, non era ancora uscito, ma non me ne preoccupai fino a quando non mi ricordai che era schifosamente ubriaco quando era arrivato e un pensiero assurdo mi attraversò la mente "Oh mio Dio!" mi dissi, "Si è sentito male ed è annegato"
Percorsi il corridoio in meno di due nanosecondi e cominciai  a picchiettare istericamente alla porta. "Catullo! Per l'amor di Dio, rispondi! Catullo!" continuai per quasi un minuto ma non avendo nessuna risposta decisi di entrare ugualmente. La chiave di quel bagno era stata persa secoli prima e mi bastò abbassare la maniglia per farmi spazio nella stanza.
Catullo era nella vasca, seduto con le ginocchia appena sopra il pelo dell'acqua, le braccia appoggiate sopra di esse e i pugni chiusi.
Si voltò e solo allora parve accorgersi della mia presenza e disse: "Oh. Sei qui anche tu?"
Mi inginocchiai vicino alla vasca e guardai il suo profilo. "Tesoro mio" dissi, "Che pensi di fare? Stare qui tutta la notte?"
"Sì." una lacrima gli corse giù per la guancia e subito fu seguita da un'altra, ed un'altra. Afferrai la spugna e gliela passai sulla schiena, come faceva mia madre quando ero piccola e continuai fino a che non si fu calmato.
"Ci alziamo?"
Lui annuì e si alzò, io lo aiutai ad avvolgersi in un asciugamano e poi si sedette sul bordo della vasca e mi guardò di sottecchi. Lo trovavo stupendo, meraviglioso, puro. L'avevo sempre trovato così e non ero mai riuscita a dirglielo, io con le parole ho sempre litigato. Forse lo amavo, ma non ne ero per niente sicura.
"Posso restare per stanotte?" mi chiese.
"Era scontato che tu rimanessi qui, resta quanto vuoi." Lui sorrise. Pareva essersi leggermente ripreso dalla sbornia e mi guardò serio un secondo dopo. "Grazie"
"E di cosa?"
"Di non avermi mandato via. Sei l'unica amica che ho."
Mi avvicinai e gli stampai un bacio fra i capelli bagnati. "E tu, caro Catullo, sei l'unico che è tornato da me."
Lui mi guardò con uno sguardo che non avevo mai visto e disse "Sei diventata più bella, lo sai?"
"Io..." volevo dirgli che anche lui era diventato più bello ma non ci riuscii, "...No, niente. Comunque, grazie, ora tu vestiti, ho delle vecchie cose che hai dimenticato qui. La tua stanza sai dov'è. Vado. Notte."
Mi chiusi la porta del bagno alle spalle e rimasi un attimo ferma dov'ero.
"Sei diventata più bella"  
Mi toccai il viso con le mani: non mi sembrava di essere diventata più bella, Catullo doveva proprio averci visto male
La mattina dopo, mentre io bevevo caffè e Catullo prendeva un'aspirina, gli chiesi che cosa aveva intenzione di fare. Lui mi disse che non voleva più stare con Euridice, che non l'amava più, perchè quello che gli aveva fatto era troppo da sopportare persino per lui.
"Vedi"mi spiegò, "Non è il fatto che abbia abortito che mi turba, è quello che ha detto. Ha detto che un figlio da me non lo vuole... Capisci? E' meschino."
"E' da figli di puttana"
Ci fu una pausa piuttosto lunga, e temetti di aver sbagliato tutto, ma poi Catullo rise e disse "Sei un genio, hai ragione"
Io sorrisi e abbassai gli occhi sul bordo della tazza. Catullo era bello, più di quanto non mi ricordassi e avevo il cuore che mi saltava fuori da petto. Non capivo cosa mi stesse succedendo.
"Perchè credi che Euridice lo abbia fatto?" mi chiese così, dal nulla. Io lo guardai negli occhi, ci vidi un forte desiderio di verità e glielo dissi senza mezze misure "Perchè non ti ha mai amato"
"Già" mi disse abbassando il tono di voce fino a quasi sussurrare, "Lei non è come te, non è vero?"
Aprii la bocca per dire qualcosa ma non mi venne in mente nulla e abbassai di nuovo lo sguardo. Feci tintinnare il cucchiaino contro il bordo della tazza per un paio di volte, poi mi alzai e buttai tutto nell'acquaio. Sentivo lo sguardo di Catullo puntato sulla mia schiena  ma quando mi voltai non lo guardai. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo.
"Vado a farmi un bagno" dissi.
"Hai avuto qualche ragazzo da quando sono andato via?"
Dove diavolo voleva arrivare? Che domanda era? "Solo qualcuno di passaggio" risposi scocciata.
"Scusami, non volevo, sono uno stronzo"
"Sì, hai ragione."
Finito il bagno tornai in cucina; era domenica e non dovevo lavorare né studiare. Aprii il frigo e bevvi del latte direttamente da cartone. Catullo mi si avvicinò e mi fece fare un salto dalla paura. "Ma allora sei pure scemo!" esclamai.
Lui rise, poi si fece serio. "Sei davvero più bella di qualche mese fa. Anche se... hai i baffi bianchi per via del latte" Mi sbrigai a pulirmi il viso con il dorso della mano destra e mi sentii arrossire.
"Beh, grazie Catullo. Trovo bene anche te" Lui sorrise e aprì l'anta del mobile per mettere via lo zucchero. Mi respirò sul collo mentre si allungava e mi passò un brivido lungo la schiena. Cosa mi stava succedendo?
Catullo si allontanò da me e disse "Devo tornare a casa di Euridice, prendere le mie cose e tornare a condividere questo appartamento dall'affitto troppo alto con te. Sempre che non ti dispiaccia."
Io risi "Secondo te mi dispiace?" Lui mi fece l'occhiolino "Non si sa mai!"
Fece per uscire dalla cucina ma quando fu sulla porta lo bloccai dicendo "Mi sei mancato. Molto."
Lui mi guardò e sorrise, poi uscì.
Catullo, nel giro di due giorni, era di nuovo il mio coinquilino. La scena dello zucchero si era ripetuta, e non so se Catullo avesse capito che mi piaceva da morire. Ero decisamente cambiata, sentivo un legame molto forte con Catullo, forse perchè anche lui aveva definitivamente perso quello che amava. Si crea un legame istantaneo quando si incontra una persona che, come te, ha perso chi amava e non c'è bisogno di parole, ci si capisce subito.
Ero seduta sul divano a guardare un po' di tv, quando lui apparve sulla porta con uno sguardo strano. In mano aveva un libretto con la copertina gialla. "L'hai tenuto" mi disse. Era il libro di poesie scritte da lui che mi aveva lasciato prima di andarsene.
"Certo che l'ho tenuto, credevi che l'avessi buttato?"
"...Sì"
"E perchè mai?"
Per un attimo rimase zitto, poi mi guardò negli occhi e disse "Perchè pensavo che ti fossi dimenticata di me. Perchè credevo che se tu fossi stata Euridice lo avresti fatto, lo avresti buttato. Davvero non credevo che ce lo avessi ancora... lo hai letto?"
"Sì, tutto quanto. Scrivi davvero bene, sono seria."
Lui mi sorrise e si avvicinò per darmi un abbraccio che durò molto più del dovuto e io aumentai la pressione delle mani sulla sua schiena massiccia. Quando mi lasciò andare, rimase a pochi centimetri dal mio viso e disse: "Anche tu." Io scossi la testa, "Anche io cosa?"
"Anche tu mi sei mancata. Molto." Mi afferrò dolcemente il viso fra le mani e rimase un secondo a guardarmi negli occhi, poi mi baciò lievemente. Io tremavo, non sapevo cosa fare, non capivo le mie emozioni, ero confusa. Così seguii l'istinto. Respirai a fondo e tornai a prendermi quello che volevo. Baciai Catullo in maniera famelica, inarcando la schiena per rimanergli più vicina e gli accarezzo le guance,il collo, le spalle, le braccia e le mani che erano sui miei fianchi.
La tv era diventata un rumore bianco di sottofondo che faceva da cornice sbilenca ai nostri respiri accelerati. Spinsi Catullo con la schiena contro lo schienale del divano e mi sedetti sulle sue ginocchia. Lui mi sciolse  i capelli e mi accarezzò la fronte e poi le guance e il collo. La mano sinistra scese fino al mio seno ed esitò. Io feci di sì con la testa e gli diedi il permesso che lui aveva silenziosamente chiesto. A quel contatto mi scappò un gemito e lui tornò a baciarmi famelico. Sentivo la voglia di Catullo mescolarsi con la mia, diventare una cosa sola. Gli misi una mano sotto la maglia che portava e sentii la pelle del petto sotto le mie dita. Catullo mi afferrò per le cosce e si alzò, io gli cinsi la vita con le gambe. "Ti porto di là. Qui è scomodo" mi sussurrò ad un orecchio.
Camera di Catullo era in penombra. Lui mi appoggiò con delicatezza sul  materasso. I nostri vestiti ci misero poco a finire sul pavimento, e poi successe. Io e Catullo fummo una cosa sola per un po'. Io gli morsi le spalle per non gridare e lui piantò le unghie più volte nella mia schiena. Facemmo l'amore, mi va di chiamarlo così perchè "sesso" mi sembra diverso da quello che c'era tra me e Catullo quel pomeriggio.
La petit mort, come la chiamano i francesi, venne a prendere prima me, strappandomi dalla gola un verso animalesco e qualche minuto dopo toccò a lui. Mi baciò uno zigomo e poi si stese al mio fianco.
Avrei potuto vivere così per tutta la vita.
Io, Catullo, la casa condivisa, tutto quello che avevamo e che avevamo perso. Mi alzai e mi misi a  sedere. Lui mi accarezzò la schiena.
"Catullo..." dissi, "Non andare più via"
Lui mi sorrise e socchiuse gli occhi. Non se ne andò più.
 
 
 
  
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