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Autore: Alexander Bane    12/08/2015    0 recensioni
*PREMESSA* Il rating arancione sarà in futuro sostituito da uno rosso, una volta che, in capitoli molto più avanti, tematiche rosse verranno trattate. Thanks ;)
"Alexander, non avrai paura dei fantasmi?"
Il Limbo è il mondo di mezzo, il mondo delle ombre, ma anche un mondo lasciato a sè stesso in un universo in guerra. Ma anche alcuni umani, i Principali, possono accedervi. Il destino del Limbo e del suo folle sovrano sono appesi ad un filo, nelle mani di un' improbabile eroina e la sua guida. E' nei momenti più bui che la luce affiora. Benvenuti nel mondo delle Ombre.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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La sveglia suonò alla solita ora, al momento del mattino dove i colori dell'alba sono uguali a quelli del tramonto. Sentii le orecchie stapparsi con uno sbadiglio, lasciando che i suoni del passaggio delle prime auto iniziassero a farmi intendere che ero sveglia. Fortunatamente uso la sveglia del cellulare, tenuta a basso volume, così da permettermi un risveglio non troppo movimentato e caotico. Lentamente mi liberai delle lenzuola, facendo disperdere il calore immagazzinato sotto di esse nell'aria della mia camera e posando i piedi sul pavimento di legno, cercando le mie soffici pantofole. Mentre i piedi zompettavano a quelli del letto, tentai di fare mente locale per ricordare che giorno fosse.

 

...mercoledì”, borbottai dopo uno sbadiglio, trovando finalmente le pantofole.

 

Mi alzai e mi stiracchiai, in quello che pareva più contorsionismo che l'atto di stirarmi. Raggiunsi il bagno e mi sfilai i vestiti, lanciandoli con noncuranza sullo stendiabiti, afferrando lo spazzolino e domandandomi cosa dovessi portare quel giorno all'istituto. Mi lavai i denti e mi sciacquai la faccia, tastando con la lingua il palato per sentire la freschezza della menta del dentifricio. Usavo lo stesso sin da quando ero piccola, dal momento in cui mia madre me l'aveva fatto provare.

Uscii dal bagno ed aprii l'armadio, infilandomi le prime cose che mi capitarono: canottiera bianca, una maglietta verde smeraldo a mezze maniche con alcuni decori rossi, un paio di jeans scuri e la felpa del giorno prima, fortunatamente asciutta.

Mentre mi avvicinavo allo zaino per caricarlo di libri e qualsivoglia oggetto scolastico, mi saltò in mente l'idea di farmi una doccia calda. “Ma no...” pensai di rimando. “Tanto oggi ho ginnastica, e sono già vestita, la farò stasera...”.

 

Caricato lo zaino, me lo misi in spalla e sostituii le pantofole ad un paio di scarpe da ginnastica bianche, afferrai le chiavi riposte con molta cura su una delle mensole della stanza e scesi dalle scale cercando di non fare rumore. Lanciai uno sguardo al salotto, solo per scorgere Anna sul divano addormentata sotto il suo piumone. Aprii lentamente la porta e mi guardai intorno, sentendo immediatamente odore di bagnato. Lunghi ruscelli piovani scorrevano accanto ai marciapiedi, riempiendo i tombini e reclamando qualsiasi oggetto cadesse ai passanti. Doveva aver smesso di piovere da poco, in quanto esso sovrastava gli altri odori della città. Ma neanche quell'odore riusciva a non farmi percepire il lieve effluvio di caffè proveniente dal bar dall'altro lato della strada. Tastai le tasche della felpa per essere sicura che chiavi e portafoglio fossero lì, presi fiato e corsi fino al marciapiedi di fronte, saltando i corsi d'acqua ai lati della strada.

 

Aprii la porta in vetro del bar, ed inspirai profondamente per godermi l'odore dei caffè e dei cappuccini che i primi clienti gustavano ai tavoli. Ordinai una brioche ed un cappuccino, pagai in anticipo e mi sedetti ad un tavolo davanti alla vetrata. Il posto era invaso da una luce quasi dorata, dalla quale fortunatamente il vetro lindo non si lasciava contaminare, mostrando i colori del mondo esterno senza variazioni. Esso era così pulito che riuscivo perfino a vederci il mio riflesso, insieme a quello degli altri clienti. Mentre guardavo il mio riflesso nella vetrata, per sistemarmi una ciocca ribelle di capelli, notai un volto sconosciuto riflesso dietro di me. Era confuso, i lineamenti, per quanto mi riguardava, potevano essere di un quindicenne come di un ventunenne. L'unica cosa distinta nel vetro erano i capelli, scompigliati ed appuntiti.

Mi voltai per scorgerlo nella sua interezza, ma l'unica cosa che vidi furono i tavoli ed il bancone.

Oh, Nick...” mi dissi, strofinandomi gli occhi. “E' proprio vero che gli umani vedono volti ovunque”. Ridacchiai fra me e me, sorseggiai il cappuccino appena ordinato e mangiai la mia brioche, ancora calda. Prima di uscire lanciai un'occhiata all'orologio, sistemandomi le maniche della felpa: 6:50.

 

Caspita, ce ne avevo messo di tempo, fra vestiti e colazione. Affrettai il passo verso l'istituto, correndo poi fra le viuzze, scorciatoie e marciapiedi. Infine, quando giunsi davanti ai cancelli, tirai un sospiro di sollievo: ero ancora riuscita a mantenere il mio orario. Me la presi comoda, sul viale che portava all'ingresso. Mi presi il tempo di guardare le fronde dei pini marittimi che solo qualche ora prima venivano scosse dal vento, il verde rigoglioso delle siepi e l'acqua scorrere nei canali di scolo. Il cielo era azzurro e quasi senza una nuvola.

 

Dentro l'edificio, precisamente alle 7:15, mi feci aprire da Garrett, lo ringraziai e mi sedetti su una delle panche ai bordi del corridoio. Poco prima che l'istituto venisse invaso dagli studenti, guardando il soffitto percepii come delle dita che mi sfioravano il collo, ed ebbi un brivido. Di scatto la mia mano corse a coprire la zona dove mi pareva di aver percepito il tocco, sentendo però solo il mio collo. Non ci feci troppo caso, e guardai le orde di ragazzi e ragazze entrare dalle porte fino ai corridoi. Cercai con lo sguardo Darevonn ed Alyssa, ma non trovai nessuno dei due. Quando l'afflusso di persone iniziava a concedere ai volti e voci di differenziarsi, la campanella suonò, e sentii una mano chiudersi attorno al mio avambraccio.

 

Allora, Nicole, andiamo o hai intenzione di guardare la porta ancora per molto?” Sorrisi e riconobbi la voce, e scherzando replicai. “Oh, Darevonn, scommetto che sei arrivato anche prima di me, ti sei appostato dietro al primo oggetto che hai trovato, mi sei subito venuto dietro e hai fissato il mio zaino fino ad adesso, chiedendoti quali delizie io abbia oggi in serbo per te”. La sua mano fece più presa e mi tirò su, e ci incamminammo lungo il corridoio. I suoi capelli arancioni fecero impallidire un paio di ragazze del primo anno ed i suoi occhi azzurri domandare se fosse come gli altri ragazzi a chiunque non lo conoscesse. In un attimo di silenzio, la sua voce calma e teatrale si diffuse nel corridoio. “Sai anche tu che neanche se vivessi qui dentro arriverei prima di te. Andiamo, Nick, qui tutti non arrivano prima di dieci minuti dalla campanella! C'è chi pomicia in giardino, chi cazzeggia nelle strade, chi è sveglio già alle cinque ma tu sei l'unica che entra qui dentro prima che inizino i dieci minuti finali”. Risi, sorridendogli.

Ora, tu e la tua delizia entrate in classe, s'il vous plait”, aggiunse lui con un inchino, indicando la porta in legno della classe. Poco prima di entrare, lanciai uno sguardo alle lastre di vetro sul soffitto, chiedendomi, senza alcun motivo, quanto dovessero essere spesse per essere sicure. E soprattutto perché nessun volatile si azzardasse a sporcarle.

 

La giornata proseguì come ogni mercoledì, Darevonn si sedette accanto a me per tentare di rubarmi la merenda quando abbassavo la guardia ed Alyssa se ne stava tranquilla in prima fila. Come sempre.

Quando giunse l'intervallo, Darevonn pareva essersi appisolato sul banco. Risi, sventolandogli un pacchetto di cracker davanti agli occhi. Lui aprì gli occhi, sbadigliò e mosse le braccia a peso morto tentando di afferrarlo.

Dopo un po' si alzò in piedi, mi guardò ed indicò il pacchetto col dito, passandosene un altro sul collo simboleggiando la ghigliottina. Chiusi per qualche secondo gli occhi e risi, sentendomi vibrare il corpo. Li riaprii sicura che mi stesse scuotendo in modo spastico, ma l'unica cosa che vidi fu il suo volto acquistare un'espressione sconvolta e sicura allo stesso tempo.

Prima che potessi realizzare, la stessa terra su cui stavo in piedi tremò violentemente, facendomi perdere l'equilibrio.

Mentre dalle classi esplodeva un grido e l'allarme suonava, ebbi come un presentimento.

 

Qualcosa mi disse che c'era dell'altro, oltre le scosse.

Ma in quel momento, la mia unica preoccupazione era uscire.

   
 
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