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Autore: Fabi96    13/08/2015    2 recensioni
La saga di divergent, vista dalla prospettiva di una coppia ancora più coinvolta nella guerra tra le fazioni, una ragazza e un ragazzo uniti nel loro sentimento, separati dai loro valori e dalle loro scelte.
Parlo di Eric, racconto della sua visione di questa rivoluzione, delle due battaglie e delle sue rinunce. Perché anche lui ha rinunciato a qualcosa.
Parlo di una ragazza che cercherà di riportare la pace nella città disastrata di Chicago, mentre Tris e Quattro saranno al di fuori della barriera.
Racconto quella parte di storia che la Roth ci ha mostrato attraverso le telecamere del dipartimento.
Parlo di un amore non compreso, dai suoi stessi protagonisti, di una società distrutta dalla guerra e una generazione perduta.
Io racconterò del fiore di loto, che quando inizia a germogliare è sommerso dall'acqua putrida e impura, ferito da insetti e infastidito dai pesci; infine rinasce, e rimane il lottatore più forte, in una natura ostile.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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È un po più lunghino del solito... Giusto per scusarmi dell'attesa infinita di questi mesi! 
La scusante è... Che l'ispirazione era venuta meno. Anzi non avevo proprio intenzione di continuarla. Ma l'altra sera mi sono ritrovata a rifare i miei viaggi mentali che avevano fatto iniziare tutta la storia, e quindi mi sono rimessa a scrivere. 
Ditemi cosa ne pensate! Secondo me mancano due o tre capitoli. Forse due. O uno. Non lo so! Non l'ho ancora scritto! 
Avete già in mente come potrebbe finire? E se vi dicessi che odio i finali scontati e felici? 
Si vedrà! Scusate ancora per il ritardo, e spero di riuscire a farmi perdonare con questo capitolo. 
Chiedo scusa anche alle ragazza che di solito recensiscono di non essere più stata presente nelle loro storie tra i commenti. Mi sono completamente scollegata da EFp in questi mesi... 

Scusate, abbiate pazienza... Buona lettura. 




Pietà 


"Cosa c'è? Cosa ho fatto?" Sbraitò, spingendo via la donna vicino a lei. 
La scodella di zuppa scivolò dalle mani dell'infermiera e si schiantò sul pavimento della stanza. Quattro si staccò dal muro, le fece cenno e con gentilezza la invitò ad uscire dalla stanza. 
La donna raccolse il resto del cibo di Elise e per l'ennesima volta in quella settimana se ne andò senza essere riuscita a farle mangiare nulla.
"Non è cosa hai fatto, ma cosa stai facendo." Sussurrò, tornando ad appoggiarsi con la schiena al muro della stanza.
"Non sto facendo nulla." 
Elise tornò sotto le coperte del letto e si ridistese, e per l'ennesima volta in quei giorni, chiuse gli occhi.
"Perché passi tutto il giorno in un letto, quando sai che non prenderai mai sonno? So che in realtà non dormi." 
Quattro incrociò le braccia al petto. 
Ogni giorno da quando era tornato in città passava le ore notturne all'ospedale della città, nel corridoio adiacente la camera di elise, durante i pasti accompagnava l'infermiera per vedere se la ragazza mangiasse, e così non era, Elise faceva tanto che ogni volta un'infermiera se ne andava via piangendo con il cibo addosso o con il piatto rotto, come quella sera. Sperava che la sua presenza potesse incuterle timore e quindi mangiasse un minimo. Ma non era così. Johanna lo aveva avvisato della situazione di Elise, aveva pianto contro il suo petto mentre lui cercava di confortarla per il dolore degli ultimi avvenimenti. 
Finiva sempre così, lui cercava sempre di trovare qualcuno a cui appigliarsi, qualcuno a cui dedicarsi, aprirsi agli altri per cercare di alleviare il dolore. E cazzo se faceva male, faceva ancora molto male. Glie lo aveva insegnato lei. Trovare conforto negli altri. Elise stava facendo esattamente il contrario, si stava facendo morire dentro da sola.
"E lo sai così bene perché passi le tue giornate a fissarmi. Sono stanca. Lasciami riposare." 
Si girò, voltandogli le spalle e sistemandosi su un fianco, con le ginocchia raccolte contro il petto.
"Non sei stanca. Sei in piene forze, quindi muovi quel culo e scendi dal letto. Ho bisogno del tuo aiuto."
Con due falcate raggiunse la sponda della branda, prese le lenzuola bianche tra le mani e le tirò verso il fondo del materasso.
"No! Ho detto che sono stanca!" Urlò cercando di ritirare su le coperte.
"Non puoi continuare così." Strattonò ancora le lenzuola cercando di strapparle dalle mani di Liz, ma lei, persistente, insisteva a tirarle verso di lei, stando inginocchiata sul materasso, con il camice sollevato sulle cosce.
"Vai a cercare qualcun altra da annoiare con la tua presenza!" Continuava a tirare, come una bambina.
"Cosa credi? Che se tu stai qua a guardarmi star male, tutto si risistemerà? Sei patetico!" 
Cercava di ferirlo, ma ci voleva molto di più per scalfirlo. Tirò verso di lui le coperte di nuovo, sentiva la stoffa molto vicino allo strapparsi, ma non l'avrebbe accontenta, quel capriccio e quel comportamento dovevano finire! 
"Faccio cosa voglio! Me lo sono meritata!" 
Il telo delle lenzuola cedette e Elise perse l'equilibrio, cadendo dal letto. Quattro molto lentamente aggirò il mobile. Non l'avrebbe aiutata. 
Secondi di silenzio, solo il rumore del respiro irregolare e arrabbiato di Elise. 
"Io mi merito un po' di riposo!" Urlò. 
"Ho fatto tutto quello che era giusto!" Singhiozzò con il viso tra le mani, premuto contro il pavimento, rannicchiata per terra. 
Il suo respiro non si calmava.
Finalmente, una reazione! Il silenzio di quei giorni Quattro non poteva gestirlo, ma le lacrime si.
"L'ho lasciato, ho accettato il ruolo di capo, era diventato il mio nemico!" Urlò l'ultima parte con il viso rivolto verso un Quattro pietrificato, in piedi a pochi metri da lei. Elise sentiva le lacrime rigarle il viso, scavare le guance, lungo un tragitto a loro così familiare.
"Ho messo le vite di tutti davanti alla mia!" 
Un altro singhiozzo spaccò il silenzio e un urlo muto le sfigurò il viso. Quattro si abbassò al livello della ragazza, inginocchiandosi davanti a lei e prendendola per le spalle per confortarla, tirandole indietro i capelli rossi dal viso bagnato. Le accarezzò la schiena più volte, cercando di calmare i singhiozzi.
"L'ho sacrificato. Li ho sacrificati...per il bene...di tutti!" Disse tra un fiato rotto e l'altro.
"Calmati." Le sussurrò, accarezzandole la nuca e stringendola di più contro il suo petto. Anche la voce di lui era incrinata.
"Li abbiamo sacrificati, Quattro. E..." Prese fiato. 
"A noi cosa..." Lo prese di nuovo. 
"A noi cosa è rimasto?" disse in un unico respiro.
Allora Lo sapeva! Sapeva di Tris, sapeva cosa era successo in quella settimana.
E Quattro si lasciò andare al dolore con lei. 
La strinse più forte, per fermare il fiato rotto che sentiva provenire dal suo petto. Gli occhi gli si inumidirono e le lacrime iniziarono a sgorgare involontariamente. Abbassò la testa e la seppellì nella spalla di lei, in cerca di riparo da tutto il peso del dolore che lo coglieva di nuovo, più forte che mai.
"Cosa ci è rimasto?" Ripeté, strozzando la parola, quasi senza fiato.
Quattro prese un lungo respiro, alzò il viso e allineò i suoi occhi a quelli di Elise obbligandola a guardarlo, ponendo le sue mani ai fianchi del suo viso.
"Tu. Mi sei rimasta tu. E ti sono rimasto io." 
Elise appoggiò la fronte contro quella di Quattro, i singhiozzi si erano calmati, ma le lacrime non si fermavano.
"Sono così stanca..." 
"Lo so. Ma siamo alla fine. Devi fare un ultimo sforzo. Dobbiamo farlo insieme." 
"Per cosa? Per chi? Non voglio più aiutare nessuno."
"Non è vero. Puoi salvare il nome di Eric, puoi rendere pubblico il fatto che non è stato un traditore fino in fondo. Ci ha salvato quella notte, ha salvato te e me. Puoi redimerlo."
Lo guardò dritto negli occhi. Poteva lei farlo? Eric se lo meritava? Non doveva nemmeno domandarselo. Tutte le cose brutte che le aveva fatto non erano nulla comparate alle cose belle che avevano vissuto e condiviso, all'amore che si erano dedicati, tutto il male che le era stato fatto non era avvenuto a causa di Eric, erano vittime di quella dannata guerra. Se lei ne sarebbe uscita, l'avrebbe fatto anche il nome di Eric. 
"Ho bisogno di farmi una doccia.." Si scusò, reagendo per la prima volta in quei giorni. 
Si asciugò le lacrime dalle guance e si alzò dal pavimento, guardandosi attorno e poi riportando lo sguardo su Quattro, ancora in ginocchio. 
"Sei la persona più forte che conosca Tobias, dopo di lei. Lei era la più coraggiosa, più di tutti noi. Ma glie l'hai insegnato te come crescere, tu lei hai permesso di essere se stessa. Le hai insegnato a combattere, e poi a vincere. Se sei ancora vivo e perché lei l'ha voluto con tutta se stessa, non pentirti mai di essere ancora qui, e non con lei."
Si girò verso la porta del piccolo bagno della stanza.
 "Troppi sacrifici sono stati fatti per mandare tutto a puttane da soli..." 
La porta si chiuse e Quattro si ritrovò da solo. Ma per la prima volta in quei giorni non si sentì veramente solo, si lasciò cadere sul pavimento, sedendosi. Sorrise, appoggiando la testa contro il materasso del letto. E poi scoppiò a ridere, una risata cristallina di pura liberazione, meglio di un urlo, meglio di una corsa, pura aria che gli lasciava i polmoni nel migliore dei modi. Attraverso un sorriso. Perché il brutto non era ancora finito... Ci sarebbero voluti anni per tornare alla normalità. 
E poi pianse, ancora. 




"Abbiamo deciso di non utilizzare nessuna legge che preveda la morte di questi individui. Primo motivo, perché il desiderio di tutti è riniziare, e il migliore dei modi è ricostruire tutto da capo, partendo dalla nostra costituzione e creare una giustizia per tutti, non più legata alla relativa fazione. La morte non è prevista come pena." Annuncio  l'uomo davanti a tutta la folla che si era radunata alle porte della barriera.
Quattro, Johanna, Zeke, Elise erano tra tutti, in prima fila. 
Davanti a loro i traditori, con le mani legate e i visi sporchi e pallidi.
"Secondo motivo perché è stato deciso da una persona del consiglio di non praticare la pena che è stata utilizzata per troppo tempo durante la guerra contro i divergenti. Troppe persone sono state vittima di essa." 
Elise fece un passo in avanti, distanziandosi dalla folla e avvicinandosi a un prigioniero.
Era inginocchiato tra la polvere e la sporcizia, con la testa bassa. Quando gli stivali della ragazza entrarono nel suo campo visivo, alzò di scatto la testa, cercando il suo sguardo, con la speranza di grazia.
"Permetteremo a ognuno di loro di scegliere." Disse Elise ad alta voce in modo che tutti potessero sentire la decisione del consiglio.
Lo suo sguardo tornò in quello del ragazzo davanti a lei. 
I suoi occhi le davano i brividi, la sua voce la faceva scattare, ma stava controllando l'orribile sensazione di scappare il più lontano possibile da lui. Doveva superare la sua paura.
"Jack puoi scegliere. Se chiedere perdono, prendere il siero che ti permetterà di ricominciare da zero, oppure andartene. Per sempre."
"L'esilio? Andarmene dalla città?! Ma io non ho fatto nulla! Ho seguito gli ordini di Eveline!" Gridò, rivolgendo poi lo sguardo alla folla, in cerca della donna che lo aveva portato a quello.
"Eveline ha chiesto perdono. E ha espresso il desiderio di rimanere." Disse Quattro dalla folla in risposta all'affermazione di Jack.
"Come posso chiedere perdono per qualcosa che non ho fatto!?" Chiese ad alta voce, urlando come un pazzo verso l'uomo che aveva letto il volere del consiglio, e poi rivolgendo lo sguardo alla folla. Non voleva incrociare gli occhi di Elise.
"Ti sto dando l'opportunità di riniziare Jack. Di dimenticare quello che hai fatto. Accettalo." Sussurrò Elise guardando fisso il muro della barriera per non incrociare quegli occhi schifosi.
"No! Non cancellerò mai quello che c'è tra noi! Non ne sei ancora convinta?" Si alzò da terra con uno scatto cercando di afferrarla.
"Dobbiamo stare insieme!"
La afferrò dal polso con le mani legate, ma Elise fu più veloce e gli assestò una ginocchiata dritta all'inguine. Cadde pesantemente sul terreno. 
"Non mi toccare! Mai più!" 
L'urlo della ragazza lo fece indietreggiare ancora di più, strisciando nella polvere.
"Scegli!" Gli urlò ancora, ormai furente. Alcune lacrime di rabbia le erano sfuggite al proprio controllo. 
Jack la guardò ancora, poi fissò la gente, e infine strisciò nella polvere per raddrizzarsi e dare le spalle alla città, correndo e zoppicando verso l'ignoto al di là della barriera. 
Elise lo guardò allontanarsi per tutta la durata del pomeriggio, mentre gli altri traditori decidevano le loro sorti. Quando il punto della figura di jack scomparve al di là dell'orizzonte, inghiottito dal sole morente, Elise si lasciò andare contro Quattro, l'ultimo a dover compiere quell'atto di pietà. 
"Io non avrei mai dato la possibilità dell'esilio, lo sai." Le sussurrò all'orecchio.
"Ne abbiamo già discusso. Non mi macchierò le mani di altro sangue. Il mondo lo giudicherà per quello che ha fatto." 
"Gli avrei dato volentieri la morte." Commentò Zeke alle loro spalle. 
"A suon di padellate, da cosa ho sentito dire..." Gli rispose Cristina al suo fianco.
Marcus era davanti a loro, ultimo traditore a dover scegliere. 


Rimbombava tutto.
Le parole che sapeva che molte persone dicevano intorno a lui... Quanta gente stava parlando! Che caos! Non riusciva a distinguerne nessuna, e non poteva comprendere il significato di esse perché erano disconnesse tra loro:
"Fuga... Protezione... Eliminare... Barriera... Esperimento... Modificato."
"State zitti" ripeteva, ma parlava da solo, non riusciva a vedere nulla, se non una luce intensa al di là delle palpebre. Si, le palpebre, perché sentiva che era incapace di aprirle, che erano troppo pesanti.
"Ditemi dove sono. Dov'è lei?" Urlò dall'apprensione.
Ma chi poteva sentirlo? Solo lui sentiva la sua stessa voce, e il proprio urlo lo scongelò da quell'incoscienza, e riuscì ad aprire le palpebre.
Chiuse gli occhi ripetutamente finché lo sfondo che aveva davanti non si mise a fuoco.
"Sta chiedendo della bambina, penso" un altra voce si aggiunse al coro che lo circondava. Non riusciva a capire se stessero parlando tutti insieme o solo se tutto stava rimbombando nella sua testa.
"Si!" Cercò di urlare.
"Si di lei.." Una fitta gli spezzò il fiato, e il dolore lo percorse dalla ferita alla spalla fino alle dita dei piedi. Strozzò l'urlo che gli stava nascendo dal fondo della gola, e ringhiò, sbattendo il pugno contro il piano su cui era appoggiato.
"Non..." Singhiozzò.
"Fatele del male." Sussurrò prima di perdere i sensi. Di nuovo.




"Devi muoverti molto lentamente. Le ferite non si sono ancora cicatrizzate completamente." 
Eric si raddrizzò dalla posizione distesa in cui era sulla barella di quell'infermeria ambulante. Non sapeva quante ore aveva passato li, forse erano anche giorni, non ne era sicuro. Aveva perso i sensi così tante volte. 
Mise giù i piedi sul pavimento gelido fatto di roccia. Da quello che aveva potuto capire era stato trasportato attraverso tunnel bui, con solo una linea di luce al neon appese al soffitto, fino ad arrivare a quella specie di caverna dove lo avevano ricucito.
"Prova ad alzarti, ma non forzare le braccia o i muscoli della schiena." 
Fece forza sulle gambe e si raddrizzò: sentì ogni legamento del suo corpo tendersi. Era debole, aveva molta sete, era mezzo nudo, coperto solo da una t-shirt e dei boxer.
"Dov'è lei?" Chiese, girandosi verso la voce dell'uomo che aveva parlato.
Era alto, sulla cinquantina, aveva i segni dei suoi anni intorno agli occhi, ma il corpo era tonico, i capelli neri striati di bianco, ed era vestito completamente di nero. Le braccia erano conserte ed era appoggiato alla porta della stanza, come per farlo desistere da qualsiasi tentativo di fuga.
Il ragazzo si avvicinò al mobile dove aveva notato appoggiati sopra un paio di pantaloni neri, non i suoi, ma erano di sicuri stati destinati a lui. Li indossò velocemente. 
"Elise, vuoi dire?" Chiese, senza spostare i suoi occhi da quelli di Eric.
"Non ti interessa. Come conosci quel nome?" Una fitta alla spalla lo fece grugnire e rallentare le sue azioni.
"È il minimo, non pensi Eric?" 
"Come fai a conoscerci?!" Urlò.
"Devo sapere chi sto nascondendo, e comunque..." Si scusò.
"Non hai ripetuto nient'altro che quei due nomi, mentre eri incosciente. Ho tirato le conclusioni da solo." 
La sua voce era profonda, quella che ci si aspetterebbe di sentire da uomo così massiccio.
Eric si appoggiò al muro per cercare sostegno.
"Cosa sono quei segni?" Indicò con la testa l'uomo.
Il ragazzo si guardò le braccia.
"Tatuaggi." Tagliò corto.
"Ti hanno obbligato?" 
Perché gli stava chiedendo quello? Scosse la testa, ghignando.
"Li ho voluti io. Servono per distinguersi dal resto delle persone." 
Appoggiò completamente la schiena alla parete opposta alla porta. Pochi metri li separavano. 
"Cosa eri tu per quelle persone?" 
Non erano domande intelligenti, nemmeno ovvie. Erano insensate, ma Eric aveva capito cosa stava facendo quell'uomo. Non sapeva dove era, non sapeva con chi stava parlando, e se fossero stati alleati con gli esclusi per lui e la piccola non ci sarebbe stata via di fuga questa volta.
"Un insegnante." Mentì. 
"Un insegnate..." Pesò la parola.
"Eri proprio un insegnate antipatico se ti hanno riempito di pallottole." Sorrise l'uomo.
"Chi sei? Dove sono?" Cercò di cambiare discorso Eric.
"Sono John, e sono il capo della gente di questa zona. Io ho ordinato che venissi curato." 
"Perchè? Potevo essere un rischio per voi. Mi avevano trovato due uomini! " 
"Se fossero lontanamente vicino al poter essere chiamati 'uomini', ora io non sarei qui a chiederti quello che sto per chiedere." 
"Ma cosa cazzo stai dicendo? Non conosco questo posto, non ero nemmeno certo di trovare qualcuno al di là della barriera. Non ho tempo da perdere." Si diede una spinta contro il muro e si mosse per sorpassare Andrew e uscire dalla porta.
Andrew lo prese per la spalla e lo sbatté contro il muro, accanto all'uscita, dove prima si trovava lui.
"Non hai altro modo Eric. Sei fuggito, chissà da dove e da cosa, ma hai un neonato con te e sei ferito. So che se ti metti in viaggio adesso, in queste condizioni, metterai a rischio la tua e la sua incolumità. Ti sto offrendo una via più facile." 
La spalla aveva iniziato a bruciare e a pulsare, il respiro di Eric era veloce a causa della rabbia.
"Non c'è altra strada! Non accetto aiuto da nessuno. Fatti da parte!" Spinse con le braccia sulle spalle dell'uomo con tutta la sua forza, ben poca a quanto vide, perché John non si mosse di un millimetro. 
"Sei un combattente, si vede. Sai sparare e lottare, sarai stato anche un insegnante, ma secondo noi sei stato molto di più per la tua gente. Io ti assicuro una casa, cure, un lavoro e protezione. Persone intorno a te. Una nuova vita. Un nuovo inizio." 
Eric si era immobilizzato, ipnotizzato da quelle parole.
John capì che aveva la sua piena attenzione e continuò.
"In cambio ti chiedo di allenarli. Allena i miei ragazzi. Abbiamo armi qua, al di sotto del deserto, ma non sono capaci ad usarle e non sono in grado di proteggere se stessi, figurarsi la propria gente. Ti chiedo di insegnarglielo." 
Eric guardò il pavimento. 
Non si meritava un nuovo inizio. Non poteva riniziare senza di lei. Non era giusto.
"Non merito un nuovo inizio." Diede voce ai suoi pensieri.
John mollò la presa intorno alle spalle del ragazzo e fece due passi indietro.
"Tutti lo meritano. Ti sto dando la possibilità di redimerti per tutto quello che può essere successo prima, per quello che vi ha costretto a fuggire. Accetta." 
Allungò la mano, in attesa della decisione di Eric.
Ci pensò, ci pensò veramente. Così profondamente da fargli male la testa. L'istinto gli urlava di andarsene. Prendere la bambina e andarsene. 
Allungò una mano e strinse quella dell'uomo.
"Voglio vederla." 
La stretta si sciolse e John alzò le mani in aria, con un sorriso vittorioso che Eric avrebbe tanto voluto cancellare da quella faccia a suon di pugni. Aveva bisogno di sfogarsi.
"Certo!" 
Aprì la porta, invitandolo ad uscire per primo. 
"Come fai a conoscere il nome di lei?" Chiese, seguendolo oltre l'uscita, verso un altro cunicolo buio. In qualche modo quel posto gli ricordava la sede degli intrepidi. 
"L'hai ripetuto molte volte. Comunque, ottima scelta." 
"Cosa?"
"Il nome della bambina, Elise. Molto bello. L'hai chiamata molte volte mentre eri nei fumi del dolore, e la nostra bambinaia ha capito che ti riferivi a lei."


Qualcuno lassù si stava veramente prendendo gioco di lui.
  
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